Dal mio saggio storico
“Quel borgo baciato dalle acque del Mylè”, estraggo i
capitoli relativi alle biografie di alcuni personaggi longesi che
hanno onorato il nome del loro paese natio attraverso atti e
comportamenti che li hanno resi illustri e degni di essere ricordati
dalle generazioni future.
Ma il nostro paese,
invero, nel corso degli anni e delle Amministrazioni che si sono
succedute, non ha inteso rendere loro i giusti onori rammentandoli
attraverso l'intestazione di una strada, di una piazza, di un
monumento anche. Forse perchè non hanno operato nella comunità
longese oppure perchè non sono morti a Longi né ivi hanno avuto
sepoltura.
Qualcuno di questi è
stato rammentato per iniziativa personale dei loro discendenti.
Voglio rammentare il detto “ nemo propheta in patria”, secondo
una frase scritta nei Vangeli che riportano le parole che
Gesù
stesso aveva proferito: “un profeta non riceve onore nella sua
patria”.
E'
triste!
Negli
annali storici della loro attività sociale, religiosa ,
professionale e del cursum honorum nell'ambito della propria
condizione “lavorativa” , viene riportato il nome e cognome
seguito dall'epiteto “da Longi”. La Storia li ricorda così, il
loro paese no.
Pubblico,
a puntate , le loro vite riguardanti l'impegno sociale, senza foto
purtroppo per motivi tecnici in quanto estrapolate dalla bozza del
mio libro di cui sopra. La pubblicazione ha lo scopo di rammentarli
ai concittadini longesi ma soprattutto ai giovani affinchè sappiano
“a quali personaggi famosi” Longi ha dato i natali. Buona lettura
P.S.
Mi riprometto , tempo libero permettendo, di pubblicare , circa ogni
settimana, una biografia per volta
Francesco
Zingales da Longi, Generale di Corpo d’Armata
Il
quadro si trova presso la sede della Scuola Ufficiali di Torino in
quanto Francesco Zingales è stato, tra l’altro, Comandante della
Scuola Ufficiali di Modena.
Fu
un condottiero, un eroe longese. È un privilegio ed un onore
per il nostro paese aver dato i natali ad un uomo insigne,
co-protagonista della storia d’Italia della prima metà del secolo
scorso. Servì la Patria con dedizione e fu comandante “profondamente
umano”. Parecchi degli aspetti della sua vita di alto Ufficiale
sono ai più sconosciuti.
Il
30 novembre 1950 moriva, a Milano, all’età di 66 anni, Francesco
Zingales. Era nato a Longi il 9 gennaio 1884 da Francesco Zingales
(padre e figlio con lo stesso nome) e da Angela Sirna. Per sua
espressa volontà testamentaria, i funerali si sarebbero dovuti
svolgere in forma semplice, seppure con gli onori militari, e con il
“silenzio” suonato dal trombettiere sulla sua tomba; non volle
fiori, né che alcuno prendesse il lutto. Ma la centralità della
chiesa di S.Babila, dove ebbe luogo la ceri-monia
religiosa, la presenza di autorità dell’esercito e di una
compa-gnia di bersaglieri, che rese gli onori militari, l’affluenza
di tante perso-ne amiche e di conoscenti, resero solenni le esequie.
Le molte decora-zioni, deposte su un cuscino portato da un ufficiale,
dietro la bara, era-no lì a testimoniare la Sua presenza attiva
nella storia d’Italia per un terzo di secolo: dalla guerra di Libia
all’invasione della Sicilia. È stato sepolto a Venezia, nella
Cappella di famiglia, Bressanin-Candeo, appar-tenente alla moglie
Maria Candeo.
Pascoli
ed Ussari furono due dei suoi professori al liceo di Messina, i cui
studi concluse brillantemente, tant’è che Ussari gli aveva
consigliato di intraprendere la strada della letteratura, ma il
giovane Francesco, che sentiva fortemente il richiamo della divisa,
preferì frequentare il Corso allievi Ufficiali presso l’Accademia
di Modena, della quale, in se-guito, divenne Comandante. Avuti i
gradi di tenente, ebbe come desti-nazione Palermo, laddove trovò
anche il tempo per iscriversi all’Università e conseguire la
laurea in Giurisprudenza. Nel “cursus ho-norum” raggiunse
il grado di Generale di Corpo d’Armata, l’apice di una carriera
militare in seno all’Esercito, dopo il quale c’è l’incarico
po-litico di Comandante Supremo. L’Enciclopedia Britannica lo cita
come autore di testi militari, non smentendo così l’Ussari, che
aveva sperato per lui un futuro letterario.
Durante
il terremoto di Messina del 1908, fu autore dell’ultimo
salva-taggio, operato nel giorno dell’Epifania, cioè dieci giorni
dopo la cata-strofe, di due donne, madre e figlia, che si erano
rifugiate sotto il letto, formato da trespiti e tavole, e si erano
nutrite con delle pere, conservate là sotto.
Ebbe
un rapporto d’amicizia con Gabriele d’Annunzio, che ricopriva il
grado di Tenente, mentre Francesco Zingales, con quello di Capitano,
faceva parte dello Stato Maggiore. Il poeta, nel fargli dono dei tre
volumi della sua “Leda
senza cigno”,
vi scrisse la seguente dedica: “Al
valo-roso Capitano Zingales questi tre volumi che non valgono i Suoi
tre nastri azzurri. Gradisca: ottobre 1916”. I
nastri azzurri si riferivano alle tre medaglie al valore, delle quali
il nostro concittadino era stato insignito. Al quale, peraltro, il
D’Annunzio dedicò un sonetto, in cui, riferendosi alla figura di
Cristo che benedice l’Italia (nel bassorilievo del battistero di S.
Pietro) toccando con la mano la Dalmazia, termina con l’invocazione
“e
grida/su fino all’Istria e al grande orlo dalmatico:/
Libera
alle sue genti l’Adriatico”. Il
Vate d’Italia, con il suo ingegno profetico, aveva forse previsto
che il suo Ufficiale superiore avrebbe successivamente conquistato la
Dalmazia. La qual cosa avvenne, du-rante la Seconda Guerra Mondiale,
da parte del Corpo d’Armata Auto-trasportabile agli ordini del
nostro Generale. Ma il rapporto d’amicizia tra i due uomini fu
interrotto prima, esattamente nel 1920, allorché il Tenente
Colonnello Zingales, Capo di Stato Maggiore del Generale Ca-viglia,
dopo il trattato di Rapallo, consegnò a D’Annunzio l’ordine di
sgomberare Fiume. Ernesto Massi, Ufficiale dei Bersaglieri a
disposi-zione del Generale, Professore di Economia politica presso
l’Università di Roma, in un articolo titolato “Un
Siciliano Eroico”
e pubblicato su “I Vespri d’Italia”, ha rievocato alcuni
passaggi della vita del Generale Zingales: comandante del XXXV Corpo
d’Armata, in Russia, nel di-cembre del 1942, per sfuggire
all’accerchiamento delle divisioni sovieti-che, chiese ed ottenne
di essere autorizzato ad eseguire una rischiosa manovra di disimpegno
per uscire dalla sacca in cui i suoi uomini ven-nero a trovarsi (“i
soldati italiani non amano aspettare passivamente
la
sorte, ma preferiscono affrontarla a viso aperto” ebbe
a dichiarare in quell’occasione); diede così inizio alla ritirata
delle armate sud fino al Donez e ad alla gigantesca battaglia
difensiva sul Don. “Lo
rivedo il
giorno
di Natale nelle prime ore del pomeriggio – scrive Massi – mentre
già scendeva la terribile notte russa sulle bianche distese gelate e
acqui-stavano maggior risalto le fiamme che poco lungi divoravano un
villag-gio, inquadrata che fu la nostra colonna da un improvviso e
micidiale fuoco di mitragliatrici, balzare dalla macchina, e lui, pur
piccolo di statu-ra, ergersi sulla persona sì da apparire a me
altissimo e chiamare a rac-colta intorno a sé i suoi uomini per
snidare l’insidia”. Negli
scontri suc-cessivi ammirai la sua calma imperturbabile mentre tanti
erano stati presi dal mal di Russia, da una specie di angoscia delle
interminabili steppe nevose, delle lunghissime notti, del pericolo
inafferrabile ovun-que in agguato che turbava il normale
raziocinio…”. Nel libro, che de-scrive la ritirata dei nostri
soldati, dal titolo “Il tragico Don”, gli autori, Fortuna e
Uboldi, così si soffermano sul nostro condottiero: “Zingales
è
un
ufficiale energico, intelligente. Nel luglio 1941 gli era stato
assegnato il comando del Corpo di Spedizione Italiano in Russia
(CSIR), ma giunto a Vienna con le truppe italiane in viaggio per il
fronte orientale, si era am-malato di broncopolmonite e l’avevano
sostituito con Giovanni Messe. Nell’estate successiva, Zingales è
arrivato in Russia, convinto che il desti-no gli debba una rivincita
per il mancato comando dello CSIR. Così la prospettiva di essere al
centro dell’offensiva russa (è il 19 dicembre 1942) da un lato lo
preoccupa, ma dall’altro lo esalta”. “Del
condottiero ebbe le intuizioni sul campo di battaglia:” continua
Massi “così in Jugoslavia, quando intuì il valore risolutivo di
una nostra rapida avanzata, litora-nea, anche agli effetti del fronte
greco-albanese, ed occupò fulminea-mente la Dalmazia, senza
lasciarsi arrestare dagli ordini dell’Armata, che finse di non
ricevere; così in Libia, quando, assunto il comando di Corpo
d’Armata di manovra in fase di ripiegamento, intuì la nuova
si-tuazione avversaria e trasformò la ritirata in un’avanzata che
portò alla rapida rioccupazione della Cirenaica; anche allora furono
i comandi superiori a fermarlo e la partenza di Rommel per
un’improvvisa licenza segnò la sospensione della controffensiva;
così in Sicilia quando intuì i piani del nemico e concepì ed attuò
quell’audace movimento di fianco, sotto la pressione nemica, che
consentì il recupero delle divisioni “Ao-sta” e “Assietta”
che stavano per essere tagliate fuori dalle forze coraz-zate del
generale Patton, schierandole su una nuova linea nella Sicilia
orientale; una siffatta manovra di recupero non si sarebbe osata
imba-stire in nessuna scuola di guerra”. … “Egli aveva fatto la
guerra con convinzione, direi quasi con ingenuità, senza riserve
mentali e si era adoperato con tutte le sue forze per condurre alla
vittoria le truppe che la Patria gli aveva affidato. Egli porta nella
tomba più di un segreto di cui venne a conoscenza quale capo
dell’ufficio storico nell’altro dopo-guerra: non per niente ebbe
ad incontrare diffidenze ed ostilità che molto lo amareggiarono”.
“L’abito
del comandante, conclude Massi, non gli impedì di essere
profondamente umano: lo ricordo, commosso sino alle lacrime, a
Sta-lino fra i feriti della Pasubio, la gloriosa divisione che per
quattro gior-ni resistette all’urto di quattro divisioni
sovietiche. Lo ricordo in Sicilia preoccupato di assicurare il pane
alla popolazione civile, di aiutare fa-miglie bisognose di funzionari
e di insegnanti che da vari mesi non percepivano lo stipendio, di
soccorrere gli indigenti”.
Mentre
era in Sicilia, pose, anche se per breve tempo, il suo comando a
Mirto e trovò così l’occasione per visitare il suo paese natio al
fine an-che di verificare le condizioni dei suoi concittadini in quel
difficile pe-riodo. In tale circostanza, come scrive Priolisi nel suo
libro “Per ricor-dare..” ordinò al “Genio Militare di
costruire due tronchi della strada rotabile Longi-Galati Mamertino,
segnatamente nelle contrade Scilido-ni e Liazzo, che ne ostruivano il
collegamento”. Si racconta, inoltre, – come precedentemente
scritto – che il Generale Francesco, avendo sa-puto che le truppe
tedesche avevano piazzato alcune bocche da fuoco ai piedi del Pizzo
di S.Nicola (Rocca che parla) con l’intento di bom-bardare il suo
paese e quello di Galati Mamertino, riuscì a dissuaderne quel
comandante. A Longi, si udirono i tuoni dei cannoni tedeschi con-tro
le truppe alleate, e viceversa, ma nessuna bomba cadde né sul
pae-se, né nei dintorni.
Qui
non vogliamo fare una cronistoria della sua carriera, dei vari
in-carichi ricoperti, dei comandi
avuti, delle numerose medaglie ed
onori-ficenze conferitegli. Di ciò hanno parlato altri testi.
Vogliamo, però, rammentare alcuni passaggi della sua vita di
Ufficiale e di eroe, decora-to al valore.
A 43 anni è già
Colonnello, a 51 Generale di Brigata, a 57 Generale di Corpo
d’Armata. Durante la
guerra Italo-Turca, nel 1912, viene decorato
con medaglia d’argento al V.M. perché “Comandante
la
sezione
mitragliatrici, benché avesse 5 serventi feriti e 4 colpiti da
insolazione, seppe con coraggio
ed intelligenza far funzionare
egre-giamente la sezione eseguendo personalmente il tiro
nell’ultima fase del combattimento. Quando dovette ritirarsi, mancando il
persona-le, trasportò
egli stesso per un certo tratto una
mitragliatrice, dando l’esempio della fermezza e dell’energia”.
omissis...
Altra
medaglia d’argento gli fu conferita, nel 1916, per “la
bella con-dotta tenuta durante i combattimenti che condussero alla
presa di Gorizia ove prestò opera efficace, non solo nei servizi di
S.M. a lui affidati, ma prendendo parte volontariamente alle azioni
delle trup-pe, che con slancio ed ardire seppe spingere all’assalto”.
Scorrendo il suo stato di servizio, leggiamo una serie di medaglie di
bronzo, nastri-ni, autorizzazioni a fregiarsi di medaglie
commemorative delle varie vi-cende cui prese parte, di onorificenze
ricevute.
Nel
1941, venne nominato Cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia
poiché “conferì alle sue divisioni grande efficienza bellica e
spirito guer-riero. Durante breve, ma intenso ciclo operativo, in cui
le circostanze ri-chiedevano spiccata rapidità di concezione e
d’azione, guidò le sue truppe all’occupazione di importanti e
vasti territori, conseguendo sul nemico, con ritmo incalzante ed
ininterrotto, decisivi risultati. Fronte Giulia Dal-mazia”.
A
seguito di siffatta azione di conquista della Dalmazia,
nell’aprile-maggio del 1941, gli venne conferito l’incarico di
Governatore di Spala-to. Per l’operazione sul fronte russo del
1942, fu nominato Ufficiale dell’Ordine Militare di Savoia perché
“coinvolto
in periodo di crisi, di
lavoro
e di riordinamento del C.A. da lui comandato, dall’aspra of-fensiva
nemica, resisteva per sette giorni al crescente impressionan-te
aumento della pressione, ripiegando per ordine superiore, quando la
situazione, per cedimento laterale, era già seriamente compro-messa.
Nel successivo periodo, lottando contro nemici di forze e mezzi
superiori e difficoltà di ogni genere, dirigeva l’azione del
nu-cleo rimasto con perizia, decisione e sereno sprezzo del pericolo,
confermando la caratteristica di valoroso che appare dall’azzurro
del suo petto”.
Bellissima motivazione!
Da
quanto descritto, risalta una figura eccezionale, che per lunghi anni
ha avuto affidati compiti di comando e di grossissima responsabi-lità
operativa. Ci troviamo dinnanzi ad un uomo dotato indubbiamente di
un’intelligenza non comune, di capacità imputabili non certamente
alla media, bensì di fronte ad un condottiero vero, ad uno studioso
di tattica e di strategia militare, applicate con successo, talora
per la pri-ma volta, nonché in presenza di un uomo che sapeva
commuoversi di fronte al dolore ed essere sensibile ai bisogni della
gente, pur nella freddezza del suo temperamento, discendente dal
ruolo cui era chiama-to, quello del comando.
A
distanza di oltre quarant’anni dalla sua scomparsa, attraverso la
documentazione esistente, a noi viene descritto un uomo che s’impone
per la sua statura istituzionale e per la sua personalità di
combattente e di servitore della Patria. Quanto scritto sulla sua
lapida tombale “…il generale di Corpo
d’Armata Francesco Zingales qui attende che sia resa giustizia al
Soldato d’Italia” è senz’altro una provocazione alla
storia contemporanea dell’Italia, perché i milioni di italiani che
com-batterono durante l’ultima guerra mondiale non hanno fatto
altro che servire la loro Patria, che li ha chiamati a difenderLa,
giusta o sbagliata che fosse la causa. Il cittadino ideologicamente
può dissentire, ma il Soldato deve obbedire e difendere i colori
della propria divisa, della propria bandiera, del suo Paese. In
guerra, i contendenti di entrambe le parti hanno le loro ragioni da
difendere: non esiste chi ha ragione e chi ha torto. È il rapporto
di forza che, alla fine, dà ragione al vincitore. Semmai, sono da
condannare gli orrori e i crimini di guerra. E di que-ste azioni
cruente indubbiamente il Soldato italiano non può essere mai
incriminato. Egli ha solo adempiuto ad un dovere: quello del
Sol-dato, quello di Italiano in quel ciclo storico! È vero, la
conquista, in epoca relativamente recente, della libertà e della
democrazia, l’Italia la deve ad altri popoli, che con il loro
sangue hanno sconfitto uno dei pe-riodi più bui della storia delle
nazioni: il nazifascismo. Ma, ripetiamo, il Soldato in grigio-verde
obbediva agli ordini che ufficialmente la sua nazione gli impartiva.
Aveva ed ha ancora ragione, quindi, il generale Francesco Zingales
nel momento in cui ha fatto incidere sul suo sacello
Un
uomo di quella levatura non può continuare ad essere ignorato dalla
collettività che gli ha dato le origini. Si legge nei documenti
mili-tari che lo riguardano: “Francesco Zingales da Longi”.
E Longi non può seguitare a simulare di non sapere o a far finta che
non gli appar-tiene. È ora che una testimonianza visibile della sua
opera sia affidata ai posteri attraverso una memoria storica.
La
figlia maggiore del generale, Angela Maria, vedova del barone
pa-lermitano, avv. Michele Tortorici, mi ha raccontato, mentre era in
vita, che suo padre, nonostante i suoi impegni, derivanti dalle
responsabilità dei diversi incarichi militari avuti, lo avessero
allontanato dalla Sicilia, nel suo animo rimase sempre attaccato alla
propria terra ed ai Sicilia-ni, che stimava per la loro tenacia e la
loro frugalità. Tant’è vero che, nel 1927, preferì impiegare
nelle campagne della moglie, in San Donà di Piave, sconvolte dai
combattimenti dopo Caporetto, dei contadini longesi, e rimase
fortemente addolorato quando venne a sapere della disgrazia occorsa
ad una loro congiunta rimasta vittima di un inciden-te, presso la
stazione ferroviaria di Mestre, con amputazione di en-trambe le mani.
Emigranti longesi, bisognosi del pane quotidiano, che si univano ad
un altro grande e più fortunato “emigrante”, che offriva loro
lavoro.
«Lavoratori
siciliani» afferma la figlia del generale «che, in quel primo
dopoguerra, erano oggetto di riconoscenza e affetto, da parte dei
veneti, quali profughi, nel 1917, in Sicilia.»
San
Donà di Piave divenne il paese d’adozione del nostro conterra-neo,
pur avendo egli fissato la sua residenza in quel di Venezia, in
quanto vi trascorreva parecchio tempo, dimorando nella villa di
perti-nenza, per gestire la grande estensione di terreni della
moglie. Campa-gne che trasformò in “Agenzia Zingales”, laddove
Agenzia sta per Azienda, dando, così, lavoro a parecchi contadini
del luogo e, come detto, anche a longesi. Quel Comune ritenne
doveroso, per i meriti so-pra descritti, intitolare una “Via
Generale Francesco Zingales” (Sic!).
Il
nostro Comune, invece, non ritenne di inserire il suo cognome nel-la
targa che commemora la realizzazione del Monumento ai Caduti pur
avendo egli fatto pervenire il bronzo di cannone per la fusione con
cui venne creata l’artistica statua. “Ingrata patria non avrai
le mie ossa”, disse Publio Cornelio Scipione Africano
rivolgendosi alla sua Roma. Fu così anche per il Generale Francesco
Zingales, il quale, dopo la fine del-la guerra, non venne più a
Longi e fu sepolto a Venezia.
Io
ricordo sempre che il dizionario dello Zanichelli cita papà come
“gene-rale, studioso, forte tempra di soldato” e vorrei che anche
le sue doti di studioso fossero ricordate.
Ne
è testimonianza la nomina, subito dopo la fine della Prima Guerra
Mondiale, a capo dell’Ufficio Storico dell’Esercito, dove veniva
raccolta la documentazione e la storia del recente conflitto. In
questo lavoro, curò personalmente il volume sul “La conquista di
Gorizia” alla cui prepara-zione ed esecuzione aveva partecipato
direttamente. Il volume è stato ri-stampato nel 2006, per le
celebrazioni del novantesimo dell’annessione di Gorizia all’Italia;
gli appassionati ne hanno seguito le tracce trovando an-cora puntuali
riferimenti.
Non
conosco le opere militari del papà; so però che fu uno dei primi
fautori della guerra di movimento, in cui potevano fornire un grande
con-tributo i più moderni mezzi di trasporto e i carri armati,
risparmiando le vite dei combattenti. Lo dimostrò in Dalmazia e
nella riconquista della Libia, ma anche nelle manovre di sganciamento
nelle sfortunate campa-gne di Russia e Sicilia.
Questa
sua capacità di condurre grandi unità motorizzate gli è stata
ri-conosciuta anche dai tedeschi (vedi www.Wikipedia.de).
Non è poi un caso che fosse stimato uno dei più colti fra gli
ufficiali dell’Esercito e gli siano state affidate l’Accademia di
Modena e la Scuola di Applicazione di Parma.
Vorrei
anche ricordare che papà tornò alla fine di Agosto del ’43 dalla
Sicilia (dove era stato inviato il giorno dopo lo sbarco
anglo-americano) con una ferita che richiese il ricovero all’ospedale
militare di Merano. Qui, alla notizia dell’armistizio, ebbe una
congestione cerebrale che lo tenne in coma per alcuni giorni. Ciò fu
anche una fortuna perché riuscì a sottrarsi sia all’internamento
in Germania, sia alle richieste di adesione all’esercito di Salò.
Dopo la Liberazione dell’Italia del Nord, fu subito reintegrato in
servizio ma rifiutò di far parte del Collegio che doveva giu-dicare
il comportamento di altri ufficiali.
Dalle
memorie di Angela (Palermo):
Per
quanto riguarda la parte che si riferisce ai rapporti con Gabriele
d’Annunzio, riproduco qui di seguito una parte delle memorie di mia
sorella Angela:
I
combattenti della Prima Guerra Mondiale avevano, fra i loro
obiettivi, anche la liberazione della Dalmazia e alla fine del
conflitto vi fu chi, come Gabriele D’Annunzio, non si rassegnò ad
accettare “la Vittoria mutilata”. Mio padre aveva avuto ai suoi
ordini il Tenente D’Annunzio nel 1916,
nella
conquista di Gorizia. In quell’azione papà aveva ricevuto la sua
ter-za medaglia al valor militare e il poeta gli aveva dedicato la
“Leda senza cigno” con le parole: “Al valoroso capitano
Zingales questi tre volumi, che non valgono i suoi tre nastri
azzurri”36.
Poi
avvenne la marcia dei legionari su Ronchi, la proclamazione dello
“Stato di FiumÈ, il Natale di Sangue (1920) e il Trattato di
Rapallo. Il Generale Caviglia incaricò il suo Capo di Stato Maggiore
(mio padre) di comunicare a D’Annunzio l’ordine di lasciare la
città.. I militari obbedi-scono. Papà non lo incontrò più, ma
conservò un sonetto, inedito e or-mai perduto.
Da
Maria Rita (da Roma) ed Enrico (da Milano):
L’Ufficiale
che, al funerale, portava le medaglie su un cuscino era Franz
Zingales, Capitano della Folgore, un nipote (pluridecorato al V.M.
ndr). Nella Basilica di San Babila la banda militare suonò
l’’attenti’, l’Inno al Piave, il Silenzio.
Partenza
per la Russia nel luglio 1941: a Papà era stato affidato il co-mando
del CSIR-Corpo di Spedizione Italiano in Russia, che lui stesso aveva
preparato ed organizzato. Pochi giorni prima della partenza, Papà fu
operato di ernia, e l’operazione fu da lui stesso disposta in
segreto, per-ché non pregiudicasse la partenza. Una domenica, Papà
ordinò al suo au-tista, Giuseppe Girompini, di reperire una macchina
civile e di portarlo da Cremona, dove risiedeva il comando, a Milano,
dove un suo conterra-neo e amico, il chirurgo Prof. Ciminata, lo
avrebbe operato. Il Girompini, che aveva famiglia a Milano, portò
Papà presso l’ospedale di Monza, ed attese a casa di essere
riconvocato per riportarlo a Cremona. Papà partì pochi giorni dopo
per la Russia, con il CSIR, con il treno militare. Ma a Vienna venne
fatto scendere, febbricitante, e ricoverato in ospedale. Mio Padre
ritornò successivamente sul fronte russo, come comandante del XXXV
Corpo d’Armata ‘Autotrasportabile’.
In
Libia, gli era stato ordinato di rinunciare alla presa di Tobruk per
la-sciare questo onore all’alleato tedesco. Ignorò ripetutamente
l’ordine fin-chè fu fatto rientrare in Italia, nel marzo 1942.
Questo episodio è descritto dal Generale Enrico Caviglia nel suo
Diario. Mia Madre, nel raccontarme-lo, mi disse che si aspettava, di
ritorno a Roma, di essere ‘silurato’. Cosa che non avvenne.
Cronologia
della sua carriera
Tenente
nella Campagna di Cirenaica e Tripolitania, 1912 – Capitano
all’inizio della Prima Guerra Mondiale, 1915 – Maggiore
(promozione per merito di guerra), Battaglia di Gorizia, novembre
1916 – Tenente
36
Una
conferma di quanto raccontatomi personalmente dalla figlia
Angela.Colonnello
e Capo di Stato Maggiore, ottobre 1917 – Al Ministero della Guerra,
Gabinetto del Gen. Caviglia, nel 1919 – Direttore dell’Ufficio
Storico del Min. Guerra, fino al 1923 – Direttore Capo Divisione
presso lo Stato Maggiore Centrale, giugno 1925
Colonnello
dal giugno 1926 – Comandante in 2° della Scuola di Ap-plicazione
Fanteria nell’agosto 1930 – Generale di Brigata nel settem-bre
1934 – Comandante dell’Accademia di Fanteria e della Scuola di
Applicazione di Fanteria di Modena, gennaio 1936 – Generale di
Divi-sione, luglio 1937 – Generale di Corpo d’Armata, gennaio
1940 (XXXV Corpo d’Armata Autotrasportabile, con sede a Cremona) –
Campagna di Yugoslavia, 1940 – (partenza per la Russia, 1941) –
Campagna di Li-bia, 1941 – 42 – Campagna di Russia. 1943 –
Campagna di Sicilia, 1943
– Collocato nella riserva, per età, dal 10 gennaio 1947.
Non
giurò alla Repubblica Italiana, sostenendo che aveva servito la
Patria per oltre 40 anni sotto il suo unico giuramento, prestato da
Sot-totenente, nel settembre 1905.
Nel
cimitero di Longi, sulla destra, entrando, ci sono tre tombe
(gentilizie) senza nomi. In due di queste sarebbero sepolti i corpi
dei nonni della famiglia del Generale e dei suoi fratelli. Questa
no-tizia mi è stata riferita, a suo tempo, dai miei nonni paterni, i
quali ne erano a conoscenza perché i loculi sono prospicienti la
nostra cappella di famiglia.
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