02 novembre, 2019

BIOGRAFIE DI LONGESI ILLUSTRI - IV PUNTATA


Dal mio saggio storico “Quel borgo baciato dalle acque del Mylè”, estraggo i capitoli relativi alle biografie di alcuni personaggi longesi che hanno onorato il nome del loro paese natio attraverso atti e comportamenti che li hanno resi illustri e degni di essere ricordati dalle generazioni future.

Ma il nostro paese, invero, nel corso degli anni e delle Amministrazioni che si sono succedute, non ha inteso rendere loro i giusti onori rammentandoli attraverso l'intestazione di una strada, di una piazza, di un monumento anche. Forse perchè non hanno operato nella comunità longese oppure perchè non sono morti a Longi né ivi hanno avuto sepoltura.
Qualcuno di questi è stato rammentato per iniziativa personale dei loro discendenti. Voglio rammentare il detto “ nemo propheta in patria”, secondo una frase scritta nei Vangeli che riportano le parole che Gesù stesso aveva proferito: “un profeta non riceve onore nella sua patria”. E' triste!
Negli annali storici della loro attività sociale, religiosa , professionale e del cursum honorum nell'ambito della propria condizione “lavorativa” , viene riportato il nome e cognome seguito dall'epiteto “da Longi”. La Storia li ricorda così, il loro paese no.
Pubblico, a puntate , le loro vite riguardanti l'impegno sociale, senza foto purtroppo per motivi tecnici in quanto estrapolate dalla bozza del mio libro di cui sopra. La pubblicazione ha lo scopo di rammentarli ai concittadini longesi ma soprattutto ai giovani affinchè sappiano “a quali personaggi famosi” Longi ha dato i natali. Buona lettura


P.S. Mi riprometto , tempo libero permettendo, di pubblicare , circa ogni settimana, una biografia per volta


Francesco Zingales da Longi, Generale di Corpo d’Armata


  
Il quadro si trova presso la sede della Scuola Ufficiali di Torino in quanto Francesco Zingales è stato, tra l’altro, Comandante della Scuola Ufficiali di Modena.

Fu un condottiero, un eroe longese. È un privilegio ed un onore per il nostro paese aver dato i natali ad un uomo insigne, co-protagonista della storia d’Italia della prima metà del secolo scorso. Servì la Patria con dedizione e fu comandante “profondamente umano”. Parecchi degli aspetti della sua vita di alto Ufficiale sono ai più sconosciuti.

Il 30 novembre 1950 moriva, a Milano, all’età di 66 anni, Francesco Zingales. Era nato a Longi il 9 gennaio 1884 da Francesco Zingales (padre e figlio con lo stesso nome) e da Angela Sirna. Per sua espressa volontà testamentaria, i funerali si sarebbero dovuti svolgere in forma semplice, seppure con gli onori militari, e con il “silenzio” suonato dal trombettiere sulla sua tomba; non volle fiori, né che alcuno prendesse il lutto. Ma la centralità della chiesa di S.Babila, dove ebbe luogo la ceri-monia religiosa, la presenza di autorità dell’esercito e di una compa-gnia di bersaglieri, che rese gli onori militari, l’affluenza di tante perso-ne amiche e di conoscenti, resero solenni le esequie. Le molte decora-zioni, deposte su un cuscino portato da un ufficiale, dietro la bara, era-no lì a testimoniare la Sua presenza attiva nella storia d’Italia per un terzo di secolo: dalla guerra di Libia all’invasione della Sicilia. È stato sepolto a Venezia, nella Cappella di famiglia, Bressanin-Candeo, appar-tenente alla moglie Maria Candeo.

Pascoli ed Ussari furono due dei suoi professori al liceo di Messina, i cui studi concluse brillantemente, tant’è che Ussari gli aveva consigliato di intraprendere la strada della letteratura, ma il giovane Francesco, che sentiva fortemente il richiamo della divisa, preferì frequentare il Corso allievi Ufficiali presso l’Accademia di Modena, della quale, in se-guito, divenne Comandante. Avuti i gradi di tenente, ebbe come desti-nazione Palermo, laddove trovò anche il tempo per iscriversi all’Università e conseguire la laurea in Giurisprudenza. Nel “cursus ho-norum” raggiunse il grado di Generale di Corpo d’Armata, l’apice di una carriera militare in seno all’Esercito, dopo il quale c’è l’incarico po-litico di Comandante Supremo. L’Enciclopedia Britannica lo cita come autore di testi militari, non smentendo così l’Ussari, che aveva sperato per lui un futuro letterario.

Durante il terremoto di Messina del 1908, fu autore dell’ultimo salva-taggio, operato nel giorno dell’Epifania, cioè dieci giorni dopo la cata-strofe, di due donne, madre e figlia, che si erano rifugiate sotto il letto, formato da trespiti e tavole, e si erano nutrite con delle pere, conservate là sotto.

Ebbe un rapporto d’amicizia con Gabriele d’Annunzio, che ricopriva il grado di Tenente, mentre Francesco Zingales, con quello di Capitano, faceva parte dello Stato Maggiore. Il poeta, nel fargli dono dei tre volumi della sua “Leda senza cigno”, vi scrisse la seguente dedica: “Al valo-roso Capitano Zingales questi tre volumi che non valgono i Suoi tre nastri azzurri. Gradisca: ottobre 1916”. I nastri azzurri si riferivano alle tre medaglie al valore, delle quali il nostro concittadino era stato insignito. Al quale, peraltro, il D’Annunzio dedicò un sonetto, in cui, riferendosi alla figura di Cristo che benedice l’Italia (nel bassorilievo del battistero di S. Pietro) toccando con la mano la Dalmazia, termina con l’invocazione “e grida/su fino all’Istria e al grande orlo dalmatico:/ Libera alle sue genti l’Adriatico”. Il Vate d’Italia, con il suo ingegno profetico, aveva forse previsto che il suo Ufficiale superiore avrebbe successivamente conquistato la Dalmazia. La qual cosa avvenne, du-rante la Seconda Guerra Mondiale, da parte del Corpo d’Armata Auto-trasportabile agli ordini del nostro Generale. Ma il rapporto d’amicizia tra i due uomini fu interrotto prima, esattamente nel 1920, allorché il Tenente Colonnello Zingales, Capo di Stato Maggiore del Generale Ca-viglia, dopo il trattato di Rapallo, consegnò a D’Annunzio l’ordine di sgomberare Fiume. Ernesto Massi, Ufficiale dei Bersaglieri a disposi-zione del Generale, Professore di Economia politica presso l’Università di Roma, in un articolo titolato “Un Siciliano Eroico” e pubblicato su “I Vespri d’Italia”, ha rievocato alcuni passaggi della vita del Generale Zingales: comandante del XXXV Corpo d’Armata, in Russia, nel di-cembre del 1942, per sfuggire all’accerchiamento delle divisioni sovieti-che, chiese ed ottenne di essere autorizzato ad eseguire una rischiosa manovra di disimpegno per uscire dalla sacca in cui i suoi uomini ven-nero a trovarsi (“i soldati italiani non amano aspettare passivamente la sorte, ma preferiscono affrontarla a viso aperto” ebbe a dichiarare in quell’occasione); diede così inizio alla ritirata delle armate sud fino al Donez e ad alla gigantesca battaglia difensiva sul Don. “Lo rivedo il giorno di Natale nelle prime ore del pomeriggio – scrive Massi – mentre già scendeva la terribile notte russa sulle bianche distese gelate e acqui-stavano maggior risalto le fiamme che poco lungi divoravano un villag-gio, inquadrata che fu la nostra colonna da un improvviso e micidiale fuoco di mitragliatrici, balzare dalla macchina, e lui, pur piccolo di statu-ra, ergersi sulla persona sì da apparire a me altissimo e chiamare a rac-colta intorno a sé i suoi uomini per snidare l’insidia”. Negli scontri suc-cessivi ammirai la sua calma imperturbabile mentre tanti erano stati presi dal mal di Russia, da una specie di angoscia delle interminabili steppe nevose, delle lunghissime notti, del pericolo inafferrabile ovun-que in agguato che turbava il normale raziocinio…”. Nel libro, che de-scrive la ritirata dei nostri soldati, dal titolo “Il tragico Don”, gli autori, Fortuna e Uboldi, così si soffermano sul nostro condottiero: “Zingales è un ufficiale energico, intelligente. Nel luglio 1941 gli era stato assegnato il comando del Corpo di Spedizione Italiano in Russia (CSIR), ma giunto a Vienna con le truppe italiane in viaggio per il fronte orientale, si era am-malato di broncopolmonite e l’avevano sostituito con Giovanni Messe. Nell’estate successiva, Zingales è arrivato in Russia, convinto che il desti-no gli debba una rivincita per il mancato comando dello CSIR. Così la prospettiva di essere al centro dell’offensiva russa (è il 19 dicembre 1942) da un lato lo preoccupa, ma dall’altro lo esalta”. “Del condottiero ebbe le intuizioni sul campo di battaglia:” continua Massi “così in Jugoslavia, quando intuì il valore risolutivo di una nostra rapida avanzata, litora-nea, anche agli effetti del fronte greco-albanese, ed occupò fulminea-mente la Dalmazia, senza lasciarsi arrestare dagli ordini dell’Armata, che finse di non ricevere; così in Libia, quando, assunto il comando di Corpo d’Armata di manovra in fase di ripiegamento, intuì la nuova si-tuazione avversaria e trasformò la ritirata in un’avanzata che portò alla rapida rioccupazione della Cirenaica; anche allora furono i comandi superiori a fermarlo e la partenza di Rommel per un’improvvisa licenza segnò la sospensione della controffensiva; così in Sicilia quando intuì i piani del nemico e concepì ed attuò quell’audace movimento di fianco, sotto la pressione nemica, che consentì il recupero delle divisioni “Ao-sta” e “Assietta” che stavano per essere tagliate fuori dalle forze coraz-zate del generale Patton, schierandole su una nuova linea nella Sicilia orientale; una siffatta manovra di recupero non si sarebbe osata imba-stire in nessuna scuola di guerra”. … “Egli aveva fatto la guerra con convinzione, direi quasi con ingenuità, senza riserve mentali e si era adoperato con tutte le sue forze per condurre alla vittoria le truppe che la Patria gli aveva affidato. Egli porta nella tomba più di un segreto di cui venne a conoscenza quale capo dell’ufficio storico nell’altro dopo-guerra: non per niente ebbe ad incontrare diffidenze ed ostilità che molto lo amareggiarono”.  
“L’abito del comandante, conclude Massi, non gli impedì di essere profondamente umano: lo ricordo, commosso sino alle lacrime, a Sta-lino fra i feriti della Pasubio, la gloriosa divisione che per quattro gior-ni resistette all’urto di quattro divisioni sovietiche. Lo ricordo in Sicilia preoccupato di assicurare il pane alla popolazione civile, di aiutare fa-miglie bisognose di funzionari e di insegnanti che da vari mesi non percepivano lo stipendio, di soccorrere gli indigenti”.

Mentre era in Sicilia, pose, anche se per breve tempo, il suo comando a Mirto e trovò così l’occasione per visitare il suo paese natio al fine an-che di verificare le condizioni dei suoi concittadini in quel difficile pe-riodo. In tale circostanza, come scrive Priolisi nel suo libro “Per ricor-dare..” ordinò al “Genio Militare di costruire due tronchi della strada rotabile Longi-Galati Mamertino, segnatamente nelle contrade Scilido-ni e Liazzo, che ne ostruivano il collegamento”. Si racconta, inoltre, – come precedentemente scritto – che il Generale Francesco, avendo sa-puto che le truppe tedesche avevano piazzato alcune bocche da fuoco ai piedi del Pizzo di S.Nicola (Rocca che parla) con l’intento di bom-bardare il suo paese e quello di Galati Mamertino, riuscì a dissuaderne quel comandante. A Longi, si udirono i tuoni dei cannoni tedeschi con-tro le truppe alleate, e viceversa, ma nessuna bomba cadde né sul pae-se, né nei dintorni.

 Qui non vogliamo fare una cronistoria della sua carriera, dei vari in-carichi ricoperti, dei comandi 

avuti, delle numerose medaglie ed onori-ficenze conferitegli. Di ciò hanno parlato altri testi. 

Vogliamo, però, rammentare alcuni passaggi della sua vita di Ufficiale e di eroe, decora-to al valore. 

A 43 anni è già Colonnello, a 51 Generale di Brigata, a 57 Generale di Corpo d’Armata. Durante la 

guerra Italo-Turca, nel 1912, viene decorato con medaglia d’argento al V.M. perché “Comandante la

sezione mitragliatrici, benché avesse 5 serventi feriti e 4 colpiti da insolazione, seppe con coraggio 

ed intelligenza far funzionare egre-giamente la sezione eseguendo personalmente il tiro 

nell’ultima  fase del combattimento. Quando dovette ritirarsi, mancando il persona-le, trasportò 

egli stesso per un certo tratto una mitragliatrice, dando l’esempio della fermezza e dell’energia”.

omissis...


Altra medaglia d’argento gli fu conferita, nel 1916, per “la bella con-dotta tenuta durante i combattimenti che condussero alla presa di Gorizia ove prestò opera efficace, non solo nei servizi di S.M. a lui affidati, ma prendendo parte volontariamente alle azioni delle trup-pe, che con slancio ed ardire seppe spingere all’assalto”. Scorrendo il suo stato di servizio, leggiamo una serie di medaglie di bronzo, nastri-ni, autorizzazioni a fregiarsi di medaglie commemorative delle varie vi-cende cui prese parte, di onorificenze ricevute.


Nel 1941, venne nominato Cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia poiché “conferì alle sue divisioni grande efficienza bellica e spirito guer-riero. Durante breve, ma intenso ciclo operativo, in cui le circostanze ri-chiedevano spiccata rapidità di concezione e d’azione, guidò le sue truppe all’occupazione di importanti e vasti territori, conseguendo sul nemico, con ritmo incalzante ed ininterrotto, decisivi risultati. Fronte Giulia Dal-mazia”.

A seguito di siffatta azione di conquista della Dalmazia, nell’aprile-maggio del 1941, gli venne conferito l’incarico di Governatore di Spala-to. Per l’operazione sul fronte russo del 1942, fu nominato Ufficiale dell’Ordine Militare di Savoia perché “coinvolto in periodo di crisi, di lavoro e di riordinamento del C.A. da lui comandato, dall’aspra of-fensiva nemica, resisteva per sette giorni al crescente impressionan-te aumento della pressione, ripiegando per ordine superiore, quando la situazione, per cedimento laterale, era già seriamente compro-messa. Nel successivo periodo, lottando contro nemici di forze e mezzi superiori e difficoltà di ogni genere, dirigeva l’azione del nu-cleo rimasto con perizia, decisione e sereno sprezzo del pericolo, confermando la caratteristica di valoroso che appare dall’azzurro del suo petto”. Bellissima motivazione!

Da quanto descritto, risalta una figura eccezionale, che per lunghi anni ha avuto affidati compiti di comando e di grossissima responsabi-lità operativa. Ci troviamo dinnanzi ad un uomo dotato indubbiamente di un’intelligenza non comune, di capacità imputabili non certamente alla media, bensì di fronte ad un condottiero vero, ad uno studioso di tattica e di strategia militare, applicate con successo, talora per la pri-ma volta, nonché in presenza di un uomo che sapeva commuoversi di fronte al dolore ed essere sensibile ai bisogni della gente, pur nella freddezza del suo temperamento, discendente dal ruolo cui era chiama-to, quello del comando.


A distanza di oltre quarant’anni dalla sua scomparsa, attraverso la documentazione esistente, a noi viene descritto un uomo che s’impone per la sua statura istituzionale e per la sua personalità di combattente e di servitore della Patria. Quanto scritto sulla sua lapida tombale “…il generale di Corpo d’Armata Francesco Zingales qui attende che sia resa giustizia al Soldato d’Italia” è senz’altro una provocazione alla storia contemporanea dell’Italia, perché i milioni di italiani che com-batterono durante l’ultima guerra mondiale non hanno fatto altro che servire la loro Patria, che li ha chiamati a difenderLa, giusta o sbagliata che fosse la causa. Il cittadino ideologicamente può dissentire, ma il Soldato deve obbedire e difendere i colori della propria divisa, della propria bandiera, del suo Paese. In guerra, i contendenti di entrambe le parti hanno le loro ragioni da difendere: non esiste chi ha ragione e chi ha torto. È il rapporto di forza che, alla fine, dà ragione al vincitore. Semmai, sono da condannare gli orrori e i crimini di guerra. E di que-ste azioni cruente indubbiamente il Soldato italiano non può essere mai incriminato. Egli ha solo adempiuto ad un dovere: quello del Sol-dato, quello di Italiano in quel ciclo storico! È vero, la conquista, in epoca relativamente recente, della libertà e della democrazia, l’Italia la deve ad altri popoli, che con il loro sangue hanno sconfitto uno dei pe-riodi più bui della storia delle nazioni: il nazifascismo. Ma, ripetiamo, il Soldato in grigio-verde obbediva agli ordini che ufficialmente la sua nazione gli impartiva. Aveva ed ha ancora ragione, quindi, il generale Francesco Zingales nel momento in cui ha fatto incidere sul suo sacello
 un appello per rendere “giustizia al Soldato d’Italia”, il quale ha sempre onorato la sua divisa.
Un uomo di quella levatura non può continuare ad essere ignorato dalla collettività che gli ha dato le origini. Si legge nei documenti mili-tari che lo riguardano: “Francesco Zingales da Longi”. E Longi non può seguitare a simulare di non sapere o a far finta che non gli appar-tiene. È ora che una testimonianza visibile della sua opera sia affidata ai posteri attraverso una memoria storica.

La figlia maggiore del generale, Angela Maria, vedova del barone pa-lermitano, avv. Michele Tortorici, mi ha raccontato, mentre era in vita, che suo padre, nonostante i suoi impegni, derivanti dalle responsabilità dei diversi incarichi militari avuti, lo avessero allontanato dalla Sicilia, nel suo animo rimase sempre attaccato alla propria terra ed ai Sicilia-ni, che stimava per la loro tenacia e la loro frugalità. Tant’è vero che, nel 1927, preferì impiegare nelle campagne della moglie, in San Donà di Piave, sconvolte dai combattimenti dopo Caporetto, dei contadini longesi, e rimase fortemente addolorato quando venne a sapere della disgrazia occorsa ad una loro congiunta rimasta vittima di un inciden-te, presso la stazione ferroviaria di Mestre, con amputazione di en-trambe le mani. Emigranti longesi, bisognosi del pane quotidiano, che si univano ad un altro grande e più fortunato “emigrante”, che offriva loro lavoro.
 «Lavoratori siciliani» afferma la figlia del generale «che, in quel primo dopoguerra, erano oggetto di riconoscenza e affetto, da parte dei veneti, quali profughi, nel 1917, in Sicilia.»

San Donà di Piave divenne il paese d’adozione del nostro conterra-neo, pur avendo egli fissato la sua residenza in quel di Venezia, in quanto vi trascorreva parecchio tempo, dimorando nella villa di perti-nenza, per gestire la grande estensione di terreni della moglie. Campa-gne che trasformò in “Agenzia Zingales”, laddove Agenzia sta per Azienda, dando, così, lavoro a parecchi contadini del luogo e, come detto, anche a longesi. Quel Comune ritenne doveroso, per i meriti so-pra descritti, intitolare una “Via Generale Francesco Zingales” (Sic!).

Il nostro Comune, invece, non ritenne di inserire il suo cognome nel-la targa che commemora la realizzazione del Monumento ai Caduti pur avendo egli fatto pervenire il bronzo di cannone per la fusione con cui venne creata l’artistica statua. “Ingrata patria non avrai le mie ossa”, disse Publio Cornelio Scipione Africano rivolgendosi alla sua Roma. Fu così anche per il Generale Francesco Zingales, il quale, dopo la fine del-la guerra, non venne più a Longi e fu sepolto a Venezia.
 Notizie inviatemi dai figli

Giuseppe (da Padova):

Io ricordo sempre che il dizionario dello Zanichelli cita papà come “gene-rale, studioso, forte tempra di soldato” e vorrei che anche le sue doti di studioso fossero ricordate.

Ne è testimonianza la nomina, subito dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, a capo dell’Ufficio Storico dell’Esercito, dove veniva raccolta la documentazione e la storia del recente conflitto. In questo lavoro, curò personalmente il volume sul “La conquista di Gorizia” alla cui prepara-zione ed esecuzione aveva partecipato direttamente. Il volume è stato ri-stampato nel 2006, per le celebrazioni del novantesimo dell’annessione di Gorizia all’Italia; gli appassionati ne hanno seguito le tracce trovando an-cora puntuali riferimenti.

Non conosco le opere militari del papà; so però che fu uno dei primi fautori della guerra di movimento, in cui potevano fornire un grande con-tributo i più moderni mezzi di trasporto e i carri armati, risparmiando le vite dei combattenti. Lo dimostrò in Dalmazia e nella riconquista della Libia, ma anche nelle manovre di sganciamento nelle sfortunate campa-gne di Russia e Sicilia.

Questa sua capacità di condurre grandi unità motorizzate gli è stata ri-conosciuta anche dai tedeschi (vedi www.Wikipedia.de). Non è poi un caso che fosse stimato uno dei più colti fra gli ufficiali dell’Esercito e gli siano state affidate l’Accademia di Modena e la Scuola di Applicazione di Parma.

Vorrei anche ricordare che papà tornò alla fine di Agosto del ’43 dalla Sicilia (dove era stato inviato il giorno dopo lo sbarco anglo-americano) con una ferita che richiese il ricovero all’ospedale militare di Merano. Qui, alla notizia dell’armistizio, ebbe una congestione cerebrale che lo tenne in coma per alcuni giorni. Ciò fu anche una fortuna perché riuscì a sottrarsi sia all’internamento in Germania, sia alle richieste di adesione all’esercito di Salò. Dopo la Liberazione dell’Italia del Nord, fu subito reintegrato in servizio ma rifiutò di far parte del Collegio che doveva giu-dicare il comportamento di altri ufficiali.

 Dalle memorie di Angela (Palermo):

Per quanto riguarda la parte che si riferisce ai rapporti con Gabriele d’Annunzio, riproduco qui di seguito una parte delle memorie di mia sorella Angela:

I combattenti della Prima Guerra Mondiale avevano, fra i loro obiettivi, anche la liberazione della Dalmazia e alla fine del conflitto vi fu chi, come Gabriele D’Annunzio, non si rassegnò ad accettare “la Vittoria mutilata”. Mio padre aveva avuto ai suoi ordini il Tenente D’Annunzio nel 1916,
nella conquista di Gorizia. In quell’azione papà aveva ricevuto la sua ter-za medaglia al valor militare e il poeta gli aveva dedicato la “Leda senza cigno” con le parole: “Al valoroso capitano Zingales questi tre volumi, che non valgono i suoi tre nastri azzurri”36.

Poi avvenne la marcia dei legionari su Ronchi, la proclamazione dello “Stato di FiumÈ, il Natale di Sangue (1920) e il Trattato di Rapallo. Il Generale Caviglia incaricò il suo Capo di Stato Maggiore (mio padre) di comunicare a D’Annunzio l’ordine di lasciare la città.. I militari obbedi-scono. Papà non lo incontrò più, ma conservò un sonetto, inedito e or-mai perduto.
Da Maria Rita (da Roma) ed Enrico (da Milano):

L’Ufficiale che, al funerale, portava le medaglie su un cuscino era Franz Zingales, Capitano della Folgore, un nipote (pluridecorato al V.M. ndr). Nella Basilica di San Babila la banda militare suonò l’’attenti’, l’Inno al Piave, il Silenzio.

Partenza per la Russia nel luglio 1941: a Papà era stato affidato il co-mando del CSIR-Corpo di Spedizione Italiano in Russia, che lui stesso aveva preparato ed organizzato. Pochi giorni prima della partenza, Papà fu operato di ernia, e l’operazione fu da lui stesso disposta in segreto, per-ché non pregiudicasse la partenza. Una domenica, Papà ordinò al suo au-tista, Giuseppe Girompini, di reperire una macchina civile e di portarlo da Cremona, dove risiedeva il comando, a Milano, dove un suo conterra-neo e amico, il chirurgo Prof. Ciminata, lo avrebbe operato. Il Girompini, che aveva famiglia a Milano, portò Papà presso l’ospedale di Monza, ed attese a casa di essere riconvocato per riportarlo a Cremona. Papà partì pochi giorni dopo per la Russia, con il CSIR, con il treno militare. Ma a Vienna venne fatto scendere, febbricitante, e ricoverato in ospedale. Mio Padre ritornò successivamente sul fronte russo, come comandante del XXXV Corpo d’Armata ‘Autotrasportabile’.

In Libia, gli era stato ordinato di rinunciare alla presa di Tobruk per la-sciare questo onore all’alleato tedesco. Ignorò ripetutamente l’ordine fin-chè fu fatto rientrare in Italia, nel marzo 1942. Questo episodio è descritto dal Generale Enrico Caviglia nel suo Diario. Mia Madre, nel raccontarme-lo, mi disse che si aspettava, di ritorno a Roma, di essere ‘silurato’. Cosa che non avvenne.

Cronologia della sua carriera

Tenente nella Campagna di Cirenaica e Tripolitania, 1912 – Capitano all’inizio della Prima Guerra Mondiale, 1915 – Maggiore (promozione per merito di guerra), Battaglia di Gorizia, novembre 1916 – Tenente

 
36 Una conferma di quanto raccontatomi personalmente dalla figlia Angela.Colonnello e Capo di Stato Maggiore, ottobre 1917 – Al Ministero della Guerra, Gabinetto del Gen. Caviglia, nel 1919 – Direttore dell’Ufficio Storico del Min. Guerra, fino al 1923 – Direttore Capo Divisione presso lo Stato Maggiore Centrale, giugno 1925

Colonnello dal giugno 1926 – Comandante in 2° della Scuola di Ap-plicazione Fanteria nell’agosto 1930 – Generale di Brigata nel settem-bre 1934 – Comandante dell’Accademia di Fanteria e della Scuola di Applicazione di Fanteria di Modena, gennaio 1936 – Generale di Divi-sione, luglio 1937 – Generale di Corpo d’Armata, gennaio 1940 (XXXV Corpo d’Armata Autotrasportabile, con sede a Cremona) – Campagna di Yugoslavia, 1940 – (partenza per la Russia, 1941) – Campagna di Li-bia, 1941 – 42 – Campagna di Russia. 1943 – Campagna di Sicilia, 1943

– Collocato nella riserva, per età, dal 10 gennaio 1947.

Non giurò alla Repubblica Italiana, sostenendo che aveva servito la Patria per oltre 40 anni sotto il suo unico giuramento, prestato da Sot-totenente, nel settembre 1905.

Nota personale

Nel cimitero di Longi, sulla destra, entrando, ci sono tre tombe (gentilizie) senza nomi. In due di queste sarebbero sepolti i corpi dei nonni della famiglia del Generale e dei suoi fratelli. Questa no-tizia mi è stata riferita, a suo tempo, dai miei nonni paterni, i quali ne erano a conoscenza perché i loculi sono prospicienti la nostra cappella di famiglia.


Nessun commento: