09 novembre, 2019

BIOGRAFIE DI LONGESI ILLUSTRI - V puntata


Gen. della Giustizia Militare Avv. Leone Zingales da Longi (1882-1962)
Gen. della Giustizia Militare Avv. Leone Zingales da Longi (1882-1962)


Laureatosi in giurisprudenza presso l’Università di Messina nel 1908, entrò, per pubblico concorso, nella MAGISTRATURA MILITARE a PA-LERMO.

L’impresa libica lo trovò presente, dall’inizio del 1911 fino al 1915, nella sua funzione di magistrato militare.
Nel maggio dello stesso anno, venne inviato fra i reparti mobilitati sul fronte austriaco sino al 1918. Su tale fronte, il 15 agosto 1918, ven-ne concessa una medaglia d’argento al V.M. per fatti di guerra.

Nel settembre 1933 fu inviato in Somalia. Fu a capo di quella Procu-ra militare e fu dipendente e diretto collaboratore del Maresciallo GRAZIANI.

Della sua attività giudiziaria, fatta di disciplina e di umanità, dava at-to un avanzamento per meriti di guerra, così motivato: “per avere svol-to un’attività fervida, appassionata, veramente eccezionale. Magistrato coltissimo, carattere integro, adamantino, ha mantenuto sempre alto in ogni circostanza il prestigio della giustizia militare ed ha reso preziosi servizi all’Esercito ed al Paese. Fronte SUD 1935-1936”. 
Rientrato in Patria, nel 1941 chiese ed ottenne di essere inviato sul fronte russo e vi rimase fino al 1943, ove, attraverso la sua opera, l’indigeno imparò a conoscere la bontà intrinseca della giustizia italia-na, a gloria della civiltà occidentale, di contro alla giustizia imperiale, asservita agli interessi dell’assolutismo zarista, ed a quella più recente e settaria legata al carro stalinista. 
La sola volta che fu richiesta la pena di morte fu a carico di un mili-tare colpevole di omicidio aggravato a danno di una giovane russa: venne condannato, invece, a pena temporanea perchè la stessa madre della vittima chiese che il Tribunale volesse essere misericordioso, la-sciando al reo la possibilità di continuare a vivere nella grazia di DIO.
Al sopravvenire dell’8 settembre 1943, e prima che sopraggiungessero le truppe tedesche, mise in libertà numerosi detenuti renitenti al lavoro obbligatorio e detenuti politici; rimasero esclusi per doverosa opera di giustizia i soli detenuti per gravi reati comuni. 
Ricercato dalle SS, si diede alla latitanza insieme ai suoi due figli uf-ficiali, pluridecorati al Valore Militare. Nei primi di febbraio 1944, pre-via perentoria diffida, raggiunse la sua sede di Padova. 
Si era nel tempo della Repubblica Sociale Italiana. Dal 2 febbraio al 12 aprile, furono quelli 70 giorni densi di lotte e di vittorie contro la morte. 
Non una sola condanna a morte venne richiesta ed emessa, nono-stante che si trattasse di parecchie centinaia di denunciati in stato di arresto per reati di favoreggiamento o prigionieri nemici, evasi da campi di concentramento o mancanti alla chiamata alle armi: reato che comportava la pena capitale. Essi furono tutti prosciolti in istruttoria. 
Un alto Presule del Veneto, che ebbe liberati tutti i suoi parroci, de-tenuti sotto l’accusa di favoreggiamento, disse e scrisse dello Zingales: “Potrei conferire circa i sentimenti suoi di giustizia e di coraggio anche contro le disposizioni che gli erano imposte. Non volle condannare a morte nessuno. I miei sacerdoti, dei quali mi servivo come intermedia-ri, trovarono presso di lui sempre comprensione ed appoggio”. 
Fra moltissimi altri, un capo patriota, liberato dalla fortezza di Vero-na, dove era stato rinchiuso dai tedeschi e votato alla morte (egli era ed è di fede comunista), scrisse: “Mi risulta che il generale Zingales prima e dopo di me si adoperò con tutte le sue possibilità affinché altri patrio-ti fossero messi in libertà”.
 Tale attività non rimase ignota ai nazisti che avevano già deciso l’arresto dello Zingales, che, messo in avviso dai nostri servizi di infor-mazione, riuscì a sottrarsi alla cattura. 
Il Consiglio di Stato, Sezione Speciale per l’Epurazione, con sua de-cisione del 28 febbraio 1946, affermava nei confronti del Generale Zin-gales: scarcerò e prosciolse gran parte di tali detenuti esponendosi a ri-schi che, profilandosi sempre più minacciosi, lo costrinsero a cercare un pretesto per venire a Roma, da dove non rientrò più nella sua sede. 
Rientrato in servizio dopo la Liberazione e destinato al Tribunale di Firenze, veniva, nel dicembre 1946, inviato in missione al Tribunale Militare di Milano per sostituire temporaneamente il titolare, assente per malattia. Dovette, quindi, indagare nel procedimento penale per la sparizione del tesoro della Repubblica Sociale Italiana (il cosiddetto TESORO DI DONGO – vale a dire tutto l’insieme dei valori, valute pre-giate, metalli preziosi confiscati alla colonna fascista in fuga verso la Svizzera), il cui processo gli era pervenuto nei primi di gennaio dalla Corte di Cassazione per ragioni di competenza.
Ricercò senza timore e con coscienza i responsabili fino a che, im-provvisamente, il 15 marzo venne sostituito e rinviato alla sua primitiva sede, ch’egli, peraltro, non raggiunse.
Contro il provvedimento, sia per la forma che per la sostanza, prote-stava serenamente ma energicamente nell’unico modo consentito ad un magistrato: presentando, cioè, una lettera di dimissioni dalla magistra-tura militare di cui, con fede di apostolo, aveva fatto parte per circa 40 anni, di cui quindici spesi nell’assicurare il rispetto del diritto nel di-sordine della guerra. 

A Sua Ecc. il Ministero della Difesa 
Con nota n. 1070 dell’11 Marzo il Procuratore Generale Militare mi ha convocata per le ore 10 del 18 c.m., onde prestare il giura-mento previsto per il personale civile di ruolo, di cui nella circolare n. 10917, in data 22 febbraio 1947 di codesto ministero. 
Mi permetta di astenermi dal prestare tale giuramento. 
Il trattamento recentemente usatomi offende la mia dignità di magistrato e demolisce l’opera da me prestata in tale qualità nello espletamento di un compito in cui le supreme ragioni della giusti-zia, che non può essere uguale per tutti in regime di libertà, si asso-ciano ad altri interessi materiali e morali del Paese in questo perio-do di travagliata sua rinascita. 
Sento quindi venuta meno in me la fede di potere continuare o saldamente reggere il mio Ufficio per una coscienziosa, serena e li-bera applicazione delle leggi della Patria; pertanto chiedo di essere collocato a riposo”.
 F.to Leone Zingales

 





( Dalla pubblicazione di Rosario Priolisi “Per Ricordare”.)


Dal mio saggio storico “Quel borgo baciato dalle acque del Mylè”, estraggo i capitoli relativi alle biografie di alcuni personaggi longesi che hanno onorato il nome del loro paese natio attraverso atti e comportamenti che li hanno resi illustri e degni di essere ricordati dalle generazioni future.
Ma il nostro paese, invero, nel corso degli anni e delle Amministrazioni che si sono succedute, non ha inteso rendere loro i giusti onori rammentandoli attraverso l'intestazione di una strada, di una piazza, di un monumento anche. Forse perchè non hanno operato nella comunità longese oppure perchè non sono morti a Longi né ivi hanno avuto sepoltura.
Qualcuno di questi è stato rammentato per iniziativa personale dei loro discendenti. Voglio rammentare il detto “ nemo propheta in patria”, secondo una frase scritta nei Vangeli che riportano le parole che Gesù stesso aveva proferito: “un profeta non riceve onore nella sua patria”. E' triste!
Negli annali storici della loro attività sociale, religiosa , professionale e del cursum honorum nell'ambito della propria condizione “lavorativa” , viene riportato il nome e cognome seguito dall'epiteto “da Longi”. La Storia li ricorda così, il loro paese no.
Pubblico, a puntate , le loro vite riguardanti l'impegno sociale, senza foto purtroppo per motivi tecnici in quanto estrapolate dalla bozza del mio libro di cui sopra. La pubblicazione ha lo scopo di rammentarli ai concittadini longesi ma soprattutto ai giovani affinchè sappiano “a quali personaggi famosi” Longi ha dato i natali. Buona lettura


P.S. Mi riprometto , tempo libero permettendo, di pubblicare , circa ogni settimana, una biografia per volta

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