08 dicembre, 2019

GAETANO ZINGALES AL SERVIZIO DEL COMUNE DI LONGI



DAL MIO LIBRO “QUEL BORGO BACIATO DALLE ACQUE DEL MYLE'”, DAL RELATIVO CAPITOLO HO ESTRAPOLATO LA VICENDA VISSUTA DURANTE LA MIA GESTIONE DEL COMUNE DI LONGI. LA PUBBLICO QUI , DEDICANDOLA AI GIOVANI CHE IN QUEGLI ANNI ERANO ANCORA FANCIULLI, AFFINCHE' POSSA ESSERE DI INSEGNAMENTO, QUALE STORIA DEL PASSATO DI LONGI. HO TOLTO I NOMI E COGNOMI DEI PROTAGOSTI PERCHE' HO VOLUTO METTERE IN RISALTO I FATTI ACCADUTI E NON LE PERSONE. QUESTE ULTIME PASSANO MENTRE GLI EVENTI RIMANGONO E DIVENTANO STORIA.
QUESTA NOTA NON DEVE ESSERE INTESA,QUINDI, QUALE ATTO DI PROTAGONISMO PERSONALE BENSI' COME CONTRIBUTO DA ASCRIVERE NEGLI ANNALI DEL NOSTRO PAESE IN CUI , MIO MALGRADO, SONO STATO COINVOLTO.

Nota. Il testo è stato copiato dalla bozza con cui è stato stampato il libro per cui non ho eliminato lineette di congiunzione nell'a capo delle parole

gaetano.zingales@gmail.com





Ebbi l’onore di nascere nella via, a gradoni, percorsa ogni domenica di Pasqua, da Maria ammantata con un drappo nero, per perpetuare “U scontru” con Suo Figlio Risorto: una tra le più toccanti, e cariche di significato umano, manifestazioni religiose della Sicilia. L’evento avvenne una domenica di dicembre del 1938 nel paesino che, nei 700/800 anni del suo attuale insediamento, ha avuto attribuiti diversi toponimi per, poi, vedersi aggiudicato quello finale di “Longi”. Il fratello di mio padre, per festeggiare l’avvenimento con gli amici presso “a putia di vinu du Lallà”, dirimpetto a casa sua, impegnò una consistenza fetta delle entrate mensile del suo genitore.
Mio padre, che aveva conseguito la laurea in filosofia e pedagogia “magna cum laude” e diritto alla pubblicazione della tesi, fece pervenire quest’ultima all’eminente endocrinologo, prof. Nicola Pende , accompagnandola con una domanda di insegnamento presso uno dei suoi esclusivi istituti magistrali per ragazzi portatori di handicap. Pende, nell’accogliere l’istanza, lo destinò ad una sua scuola di Nicastro, in Calabria. Ma, il “cavaliere Benito” interruppe questo rapporto di lavoro chiamandolo a servire la Patria nella “sua guerra” a fianco dei nazisti. Me lo restituì in una bara avvolto nel tricolore. A poco meno di tre anni ero “figlio della lupa“, da me… non richiesto, ed orfano di guerra.
Omissis...
Appresi le aste e le vocali dalla nonna, la dolcissima maestra Caterina Mondì, la quale mi avviò agli studi presso il prestigioso Collegio Salesiano Don Bosco di Palermo. Alle elementari ebbi, come educatore, il buon ed ottimo Maestro Leone Carcione. Del quale non dimentico, tra le altre cose, un “10” in un tema che scrissi in memoria del mio più caro amico di giochi, Gianni, figlio di Elena Fabio, morto a soli 9 anni a seguito di una grave malattia.
Al paese giocavo a football con i compagni, allenandomi, presso la ex chiesa di San Salvatore oppure al “chiano da Nunziata”. A 16 anni sfuggii al controllo rigido di mia madre e, con i compagni, a piedi, attraversando il fiume Fitalia, raggiunsi Galati Mamertino per l’annuale sfida calcistica. Per la prima volta, vincemmo l’incontro grazie a qualche goal da me segnato. Sotto la “Santuzza” sfuggimmo al solito lancio di pietre, da parte dei perdenti, affidandoci alle nostre buone gambe. Rientrato a casa, venni castigato e legato ai piedi del robusto tavolo da pranzo. Ma, la nonna, la mia buona nonna Caterina, corse a liberarmi.
Ritentai questa mia evasione dal paese, per rincontrare la squadra di Galati Mamertino, l’anno appresso. Eravamo in piazza con la squadra pronti a partire quando, a distanza, vidi mia madre che, con fare minaccioso, mi veniva incontro. Non certo per farmi carezze. Capii le sue intenzioni e fuggii dalle sue grinfie per rintanarmi a casa di mia nonna Caterina, dove mi barricai in una stanza. Mia nonna, ovviamente, difese l’ingresso: per due giorni dormii presso i miei nonni e rientrai a casa dopo i vari tentativi di mia nonna per farmi perdonare da mia madre. Che nei miei confronti adoperava un pugno di ferro dal punto di vista educativo. Ah, se avessimo insegnato un’educazione rigida ai nostri figli!
Per questa mia passione del calcio, in V ginnasio, con la squadra in cui giocavo vinsi il campionato di serie B, interno al collegio Don Bosco. Dal quale me ne uscii perché non sopportavo i troppi castighi, cui ero sottoposto, per la mia condotta per niente irreprensibile. Ma, oggi, ringrazio quei colti e rigidi sacerdoti che mi trasmisero ottimi insegnamenti religiosi ed una buona educazione, nonché una solida formazione culturale. Ricordo con piacere il mio rigoroso professore di latino e greco, don Visalli, che tanti castighi mi inflisse – quanti giri del grande cortile oppure di guardia ad un albero (detto palo) o, altrimenti, di un serrato interrogatorio per qualche mia malefatta mentre mi stritolava tra le sue dita del pollice ed indice la tenera pelle sotto la gola (che dolore!)- ma che, già vecchio, dopo quaranta anni, mi rintracciò per dirmi che il mio assistente, don Lo Paro, originario di Cesarò, del quale ero il discepolo prediletto, era morto. Don Visalli era un ciclista ed un bravo calciatore. Rammento anche il magnifico don Rizzo, eroe della Resistenza, insignito con medaglia d’oro, mio professore di italiano, che era talmente legato a me da perdonarmi un brutto scherzo che gli tirai nella nostra sala cinematografica: gli tolsi la sedia di sotto mentre stava per sedersi. Mi pentii subito del gesto, ma era troppo tardi. Mi tolse la parola per circa una settimana; ero tormentato dal rimorso, gli chiesi di confessarmi e tutto tornò come prima: d’altronde era un sacerdote!
In quel periodo imparai a servire messa come chierico, pregavo parecchio, anzi ci furono degli spazi di crisi mistica che attraversarono le mie giornate sino all’isolamento da ciò che mi circondava e ad essere trasportato in una sensazione di levitazione pregando dinnanzi all'altare maggiore, dietro il quale c'era (e c'è) un grande e bellissimo dipinto coinvolgente sul piano spirituale. La chiesa del Collegio di via Sampolo era stata costruita di recente, con il contributo anche dei fedeli; io la sentivo, in piccola parte mia, perchè mia nonna Caterina aveva donata la somma necessaria per la realizzazione dell'altare dedicato a San Giuseppe, che era stato raffigurato con un quadro in mosaico.
Omissis..
Da cattolico sono passato ad agnostico, che è la porta dell’ateismo.
Riuscii a trasformare i magazzini della casa dei miei nonni paterni in una sala di rappresentazioni teatrali, la cui trama era inventata da me, ed assieme ai miei compagni recitavamo dei drammi invitando, con un vecchio megafono di grammofono, i compaesani ad assistervi. I quali ben volentieri, alla fine, ci regalavano 5 o 10 lire, con la cui somma – al massimo 50 lire raccolte - organizzavamo scorpacciate di genuine stigghiole.

….............................................
Passarono gli anni e , dopo circa cinquant'anni....

..omissis......



Sindaco, e dopo Sindaco
Nel 1993, venni eletto Sindaco del mio paese, Longi. Ne parlerò in ap-presso.

Finito il mandato politico- aministrativo, dopo pochi mesi, chiesi di essere collocato in pensione. Di fronte allo spettro di vegetare non de-dicandomi ad alcunché, mi misi a coltivare la mia passione per la scrit-tura. Mi venne regalato da mia moglie Lory un computer in sostituzio-ne della vecchia macchina per scrivere. Odiavo quell’aggeggio infernale, ma fui costretto ad impararlo ad usare: nel giro di qualche anno lo di-strussi e dovetti comperarne un altro.

Occupavo il tempo della mia inattività lavorativa componendo poe-sie, scrivendo romanzi e facendo ricerche storico-archeologiche sull’antica città di Demenna. I relativi scritti ne sono una testimonianza libraria.

Fondai, a Longi, il Centro Studi “Castrum Longum” ed organizzai al-cune manifestazioni culturali e ricreative, che sono descritte nel seguito di questo manoscritto e nel mio libro di “Antologia longese”.

Trascorsi alcuni anni, in cui Lory mi venne dietro, per pochi giorni, durante la mia permanenza estiva a Longi; ma successivamente decise di non seguirmi e dovetti trascorrere due estati consecutive, a Crocetta, da solo. I miei unici compagni furono un cane e le bottiglie di vino. Di-vagavo scrivendo, appunto, poesie e romanzi.

Agosto 2008

Il “Galà a Castelmalè” fu un successo. La kermesse vide la proiezione del documentario “Cercando Demenna…” della RAI, la consegna del “Trofeo al Popolo Longese” per il primo millennio di vita del paese, il commento della professoressa M.G. Militi al mio romanzo, “I Castel-malè”, la elezione della Lady Castelmalè.

Bissai la manifestazione nell’anno successivo, ma conobbe un calo di tono in quanto non si presentarono signore concorrenti al titolo di La-dy Castelmalè, per cui fui costretto ad abbandonare definitivamente le successive edizioni.


L’incompiuta riforma del comune di Longi, ovvero io sindaco a metà

Scrivere in Sicilia” ha detto Sciascia “è stata sempre un’eresia, un’attività mal considerata, una specie di spia, un compatriota che di-vulgava cose che andavano taciute”.

Ciò malgrado, poiché, peraltro, ho sempre manifestato il mio pensie-ro attraverso la stampa del Sindacato, denunciando senza mezzi termi-ni le ingiustizie, ho voluto scrivere queste pagine perché ho inteso indirizzarle soprattutto ai giovani, che si vogliono impegnare nella politica di gestione del paese e che sono la speranza del cambiamento.
Le mie esperienze, vissute alla guida del mio paese e qui narrate in maniera obiettiva, senza risentimenti o pregiudizi e senza fini di rivalsa postuma, rispecchiano le sensazioni provate, i torti subiti e, in ogni ca-so, la verità dei fatti: il mio umile desiderio è quello che i contenuti di queste pagine possano essere una guida ed una fonte d’ispirazione poli-tica per i futuri amministratori.

La nostra Longi, per rinascere, ha bisogno di giovani coraggiosi, che non si facciano condizionare dagli opportunisti; capaci ed onesti, ricchi di idee ed innamorati del paese, loro e dei loro padri; scevri da ambi-zioni di potere per il potere, le quali distruggono e spesso frustrano l’individuo; disponibili a servire la comunità con spirito di servizio, con umiltà e con senso dello Stato; che considerino un onore l’inchinarsi dinanzi alla bandiera tricolore, simbolo dell’unità e dell’amore verso la Patria; consci, però, di appartenere ad una grande comunità in diveni-re, l’Europa unita, e predisposti, quindi, a ragionare e comportarsi co-me cittadini europei, pur non dimenticando di essere longesi, siciliani, italiani. Valori, alcuni di questi ultimi, forse desueti, ma che, se convi-vono assieme a quelli della solidarietà, della tolleranza, della giustizia sociale, dell’onestà, dell’eguaglianza, della democrazia e della libertà, fanno dell’individuo un uomo che è pronto a governare.

Nella mia stanza, al Comune, avevo messo in cornice la nota frase di Pericle, famoso stratega ed “amministratore democratico” dell’antica Atene: “Sapere quello che va fatto ed essere capace di spiegarlo, amare il proprio paese ed essere incorruttibile sono le qualità neces-sarie ad un uomo che vuole governare la propria città.

Sarebbe bello, oltre che educativo, se queste parole potessero essere incise su una targa collocata all’ingresso del Municipio.

La situazione amministrativa

Nel settembre del 1993, il Comune di Longi era sotto gestione commis-sariale e, ad ottobre, si dovevano presentare le liste per l’elezione del Consiglio Comunale e del Sindaco. Il primo appuntamento del mese di maggio era andato a vuoto nonostante l’iniziativa del Comitato unita-rio, definito, alquanto impropriamente, Comitato di salute pubblica.

Il Partito Socialista Italiano locale, avversario tradizionale della De-mocrazia Cristiana, si trovava in grave crisi per una contrapposizione politica, al suo interno, tra due gruppi. Mi offrii, quale mediatore, per ricompattare il partito e, quindi, per tentare di mettere in piedi una li-sta di candidati assieme ad altri rappresentanti della sinistra o, addirit-tura unitaria, ove possibile, rappresentativa pertanto di tutti i partiti.
La mia mediazione, accolta da tutto il direttivo della sezione, in un primo momento riuscì a mettere d’accordo le due diverse anime del partito per una sua gestione concordata, ma saltò immediatamente do-po per il ripresentarsi delle divergenze, mai sepolte, e che si sostanzia-rono, questa volta, nel rimangiarsi i termini dell’accordo medesimo, da parte di chi doveva gestirli, al di sopra delle fazioni. Gelosie personali? Vecchia ruggine, mai abrasa?
Fu, in una di quelle riunioni, che il capo della corrente socialista minoritaria propose la mia candidatura a Sindaco di Longi, accol-ta e supportata da tutto il direttivo del Partito.

Era il 19 di settembre e rimaneva solo poco più di un mese per riu-scire laddove altri, conoscitori di uomini e di situazioni locali, avevano fallito: mettere in piedi una lista di candidati.

Nato e cresciuto a Longi, vi mancavo, però, da quasi quarant’anni, fatta eccezione per quei periodi di ferie estive, che vi trascorrevo an-nualmente, più che altro in campagna. Luogo, mai dimenticato, anzi sognato quale mia residenza abituale, perché terra dei miei antenati e ad esso legato dai tanti ricordi giovanili.

Ero venuto a conoscenza, nello stesso tempo, delle difficoltà ammi-nistrative ed economiche in cui versava il Comune: ritenni giusto che chiunque avesse esperienza politico- amministrativa e capacità di ge-stione manageriale dovesse metterle, in quel frangente, al servizio del proprio paese natio nel tentativo di poter sanare la situazione. Impresa ardua, da far tremare il polso, ma che doveva essere tentata ed affron-tata. Spirito d’avventura? Incoscienza? Né l’uno, né l’altra. Semplice-mente, consapevolezza di un “dovere natio”, al cui adempimento ero chiamato nell’età matura, arricchita da una trentennale esperienza, conseguita nel Sindacato, attraverso la gestione di problematiche com-plesse, la rappresentanza primaria e diretta di Organismi regionali e la partecipazione a quelli nazionali.


A quel tempo ero libero da ogni impegno politico e sindacale, dopo aver fatto per quindici anni il Segretario Regionale dell’UIL-Post Sici-lia; accettai, pertanto, l’invito socialista a presentarmi candidato a Sin-daco a condizione di poter formare una lista civica, che rappresentasse la sintesi delle varie estrazioni politiche presenti nel paese.

Mi misi subito al lavoro iniziando un giro di consultazioni con i rap-presentanti dei vari partiti, delle Organizzazioni Sindacali e delle Asso-ciazioni rappresentative di alcune fasce di cittadini sottoponendo loro anche la bozza di un mio programma politico- amministrativo, da ar-ricchire eventualmente con il contributo di tutti.

Il tentativo di una lista unitaria abortì, anche se il mio programma era condiviso, poiché un messaggio dell’ultima ora, affidato al più alto esponente locale dei socialisti, di formare una lista tra socialisti e democristiani con la presenza soprattutto, ma forse esclusiva, di alcune persone, che rappresentavano il rinnovamento politico, non mi fu mai recapitato. Tra le persone, che avrebbero dovuto far parte dell’Esecutivo, venivano indicati i responsabili locali della D.C., del P.S.I. e della CISL. Sarebbe stata una squadra forte, in grado, proba-bilmente, di cambiare il volto del paese. Per il solito miope egoismo di qualcuno nel privilegiare il proprio interesse personale a discapito di quello della comunità, la soluzione, che mi doveva essere proposta, purtroppo, non ebbe la sorte di poter vedere la luce.
Iniziarono così le febbrili trattative nel tentativo di formare una lista di uomini di sinistra e di indipendenti, che si protrassero per parecchi tormentati giorni, laddove il veto incrociato per determinate presenze nella lista, soprattutto di Assessori, faceva saltare quello che si era riu-sciti a costruire il giorno precedente. Il relativo ragionamento – se così si può chiamare una discussione che procedeva su veti e per proposte non motivati politicamente – esulava dal programma e si concentrava sulle persone: è un vizio antico, quanto mai sbagliato, che produce solo rapporti rancorosi e distrugge le buone ipotesi di un lavoro di squadra e di un cartello di intenti, attorno al quale i principi si riconoscono, crescono e trovano attuazione.

In questo contesto demolitore andò in frantumi anche una mia pro-posta, accettata da tutti tranne che dal capo della corrente minoritaria del P.S.I., che vedeva, tra l’altro, suo fratello, medico, persona capacis-sima e stimata, come candidato a Presidente del Consiglio Comunale e il Segretario del P.S.I. quale Vice Sindaco. Successivi tentativi, risultati vani, indussero alcuni socialisti a ritirare la loro disponibilità, tant’è che altri mi consigliarono di gettare la spugna. La mia cocciutaggine, però, ebbe modo di cominciare a farsi conoscere nell’ambiente.

La deprecata legge regionale elettorale – spiegherò dopo perché de-precata – consentiva ad un cittadino di candidarsi senza essere collega-to ad una lista di aspiranti al Consiglio Comunale, purché presentasse i nominativi degli Assessori, con i quali intendeva gestire il Comune ed il programma da realizzare nei quattro anni del mandato elettorale. La mia caparbietà, nonché lo sconoscere l’intreccio delle competenze degli Organi comunali per la gestione amministrativa, all’interno delle quali è prevista anche la facoltà di veto e di rigetto, da parte del Consiglio Comunale, delle proposte della Giunta – discrezionalità, che si accen-tua in caso di divaricazione politica tra i due Organismi – mi fecero de-cidere ad imbarcarmi nell’ “avventura”.

Ah! Quanto, a dir qual era, è cosa dura questa selva selvaggia e aspra e forte, …”, mi si consenta di ripetere con il Sommo Poeta, peccando ov-viamente d’immodestia nel paragonare la mia gestione del Comune di Longi all’Inferno Dantesco. L’accostamento è irriverente ed eccessivo, ma serve a rendere l’idea del percorso praticato nei quattro anni di Sindacatura.
Riuscii, allo scadere del tempo previsto, a presentare una squadra qualificata di Giunta, che vedeva socialisti, democristiani dissidenti e indipendenti. Devo questa mia riuscita all’aiuto determinante del geom. Turi Miceli, democristiano DOC., mio coetaneo ed amico sincero. Nes-sun aiuto mi venne dai maggiorenti socialisti, anzi qualcuno di questi mi osteggiò: eppure, per il passato, essi avevano presentato liste al completo per il Consiglio Comunale. Operazione, quest’ultima, che a me non fu consentita.

Ebbe inizio, così, la mia campagna elettorale, ispirata ad un nuovo modo di incontrare la gente, facendo dei comizi attraverso i quali cer-cavo di sviluppare un ragionamento sulle cose da fare, senza attaccare, politicamente o personalmente, avendo acquisito la cultura della tolle-ranza e del massimo rispetto, soprattutto delle idee altrui, comprese quelle degli avversari.

Fui presentato ai cittadini, in occasione del mio primo comizio, dal dr. Ciccio Frusteri, rappresentante del P.C.I. locale, quello stesso che, quattro anni dopo, si mise a capo di quella fazione che aveva deciso di “buttarmi fuori del Comune”, riuscendovi, ma autocastrandosi perché spianò la strada alla compagine avversaria di sempre, ad una delle tan-te anime dell’ex D.C. Ma quest’argomento fa parte del dopo.














Elezioni amministrative novembre 1993. Comizio di Gaetano Zingales, candidato a Sindaco. Sul palco, gli Assessori designati: prof Nino Carcione, d.ssa Rosa Maria Mice-li, dott. Basilio Lazzara, arch. Franco Brancatelli.

Vinsi le elezioni battendo il mio avversario candidato a Sindaco, geom. Nino Fabio, nonché Segretario della Sezione della D.C., con 667 voti contro i suoi 421. Le schede bianche, la cui matrice era intuibile che provenisse dalla mia stessa area politica, in dissenso con me, furo-no un centinaio circa. Nessun risultato elettorale amministrativo, a Longi, fu mai così strepitoso. Il Consiglio Comunale era, però, di colore politico diverso essendo l’unica lista presente nella competizione. Ne fu eletto Presidente il rag. Adele Machì e Vice Presidente l’ins. Rosario Priolisi, già sindaco negli anni intorno al ’65. La Giunta era così forma-ta: dr. Basilio Lazzara, Vice Sindaco, arch. Franco Brancatelli, prof. Nino Carcione e Rosa Maria Miceli, Assessori. Quest’ultima era il fiore all’occhiello dell’Esecutivo. La notte del risultato del voto, nell’iniziare il giro del paese, dedicai la vittoria alla memoria di mio padre, morto in giovane età mentre serviva la patria, e mi fermai in doveroso raccogli-mento dinanzi al monumento ai Caduti in guerra, ai quali promisi che avrei servito il loro ed il nostro paese con dedizione ed al massimo dell’impegno. Una breve arringa in Piazza, intorno alla mezzanotte, mi consentì di ringraziare gli elettori, nonché di ribadire il proposito per realizzare gli impegni assunti ed illustrati durante la campagna eletto-rale.

Trascorsi pochi mesi di rodaggio come novello Amministratore, il primo tremendo impatto con le difficoltà, in parte sommerse, avvenne nel mese di marzo del 1994.

I debiti del comune, il dissesto evitato

Introduco l’argomento trascrivendo, in parte, il testo del mio comizio, tenuto in Piazza Umberto I, in data 23 marzo 1994, indossando la “fa-scia tricolore”:

Vi parlo non come uomo politico, ma come Sindaco di tutti. Per que-sto ho indossato la fascia: per sottolineare anche la gravità del momento. Vi presento la mia prima relazione scritta, approvata dalla Giunta Muni-cipale.

Mi sono chiesto sempre il perché qualcuno non voleva che io diventassi Sindaco. Oggi l’ho scoperto. Non certamente per fatto politico. Non si vo-leva un uomo nuovo che avesse la capacità ed il coraggio di scoperchiare le pentole del diavolo.

Nel momento in cui io ebbi a giurare, dinanzi al Prefetto, fedeltà alla Costituzione, giurai anche di rispettare le leggi dello Stato e di servire il Paese, e, quindi, anche questo paese. Servire significa, tra l’altro, lavorare per il bene, per la giustizia, per la difesa degli interessi collettivi.

La mia storia di dirigente sindacale, in prima linea per difendere gli in-teressi dei lavoratori e nel denunciare abusi, soprusi e magagne, non poteva e non può che farmi continuare sulla stessa strada, questa volta al servizio della comunità, della mia, della nostra Longi. Ne accetto i rischi e le responsabilità, ma non rinuncio al mio dovere di uomo e di pubblico amministratore, di rappresentante periferico dello Stato.
A me, quindi, è toccata la sorte, quale soggetto nato dalle viscere di questa terra, ma forse predestinato a temprare altrove la mia personalità, attraverso una dura scuola di vita, per chiudere un periodo storico di questo nostro paese, iniziato circa trent’anni addietro ed esploso oggi in tutta la sua dimensione drammatica.

È una sorta di nemesi storica, che oggi si compie per il popolo di Longi. Ma veniamo ai fatti di questi tre ultimi mesi. …omissis… Siamo venuti a conoscenza della massa di debiti che il Comune ha accumulato negli anni. …omissis… C’è stato comunicato che, con una stima approssima-tiva, oggi il debito per il pagamento degli espropri viaggia sul miliardo e mezzo di lire, ma non sappiamo se sono comprese le parcelle degli avvocati, altrettanto onerose. …omissis…





In data 19 febbraio, la Giunta approvava il bilancio di previsione 1994. Alcuni segnali e comunicazioni successivi mi fecero intuire che qualcosa non andava per quanto riguardava il pagamento di contributi previden-ziali all’INAIL; mi recai personalmente, assieme all’Assessore al Conten-zioso, all’INAIL di Milazzo per conoscere la posizione debitoria del Co-mune. Appresa la somma, sbalorditiva, disposi una ricognizione anche presso l’INPS e la CPDEL: anche qui la stessa situazione, pesante e gra-vissima. A questo punto, chiesi all’Ufficio di Ragioneria il conteggio esat-to delle somme dovute agli Istituti Previdenziali. In data 16-3-94 appresi che il debito del Comune, per il periodo 1987-1993, comprese more, inte-ressi, sanzioni e spese legali, è di circa 350 milioni di lire, se queste som-me saranno pagate entro il 31 marzo p.v. Possono aumentare sino al 200% se, invece, esse verranno pagate dopo tale data. Oggi siamo, quindi, su circa due miliardi di lire di debiti. Ci troviamo di fronte a debiti liquidi ed esigibili, dei quali gran parte fuori bilancio.
È stata una fortuna che il Consiglio Comunale non abbia approvato ancora il bilancio di previsione.

Dopo aver bussato ad alcune porte degli Assessorati regionali e della stessa Presidenza della Regione, per chiedere anticipazioni di Cassa o con-tribuzioni, ed avendo avuto la medesima risposta d’inesistenza di forme integrative di contribuzioni ai Comuni, dichiarai al Consiglio comunale il ritiro della delibera della Giunta, relativa alla proposta di bilancio previ-sionale ’94 e l’intenzione di chiedere all’Assessorato Regionale agli Enti Locali l’invio di un Commissario per il bilancio.

Il Consiglio Comunale m’invitò a rivedere il bilancio tagliando, quanto più possibile, alcune somme dei vari capitoli di spesa… Omissis… Conte-stualmente, il Segretario Comunale ed il Revisore dei Conti hanno fatto pervenire richiesta di dichiarazione di dissesto riguardante il Comune di Longi, perché la Ragioneria non può equilibrare il bilancio.

Dichiarare il dissesto comporta, tra l’altro, la nomina di un Commissa-rio ad acta per gestire la situazione debitoria. Questi, ai fini del risana-mento, provvede a mettere in piedi i seguenti provvedimenti: vendita dei beni patrimoniali del Comune; aumento ai livelli massimi, consentiti dal-la legge, dei tributi, delle tariffe e dei canoni dei beni patrimoniali; modifi-ca della pianta organica del Municipio (riduzione del personale a 15/16 dipendenti su 27 in servizio); messa in mobilità del personale esuberante e conversione dei posti; blocco totale delle assunzioni; se spettante, viene concesso un mutuo, per risanare il bilancio, da parte della Cassa Depositi e Prestiti, al tasso vigente, ammortizzabile in 20 anni per mezzo del con-tributo statale del fondo di investimenti, che non può essere utilizzato per nessun intervento sul territorio comunale (strade, opere viarie, ecc.). L’unica positività sta nel fatto che la deliberazione del piano di risanamento sospende le azioni esecutive dei creditori dell’Ente. Infine, gli Am-ministratori, rimasti in carica, gestiscono l’ordinaria amministrazione.
È una situazione di pesantezza estrema, cui sembra non si possa sfug-gire. Rinviare, anche di un anno, la dichiarazione di dissesto, giacché eventuali anticipazioni di cassa non potranno essere ripianate con le en-trate correnti, significa raddoppiare, almeno, la massa dei debiti. Mi af-fermano che bisognava dichiarare il dissesto già alcuni anni addietro per non arrivare al punto in cui oggi siamo.

Gli Amministratori, pertanto, ed io personalmente, non possiamo fare come lo struzzo, nasconderci in pratica la testa sotto la sabbia, rinviare o lasciare ad altri la responsabilità che oggi incombe sulle nostre spalle. È, infatti, direttamente coinvolto nelle responsabilità altrui quell’Amministratore che, venuto a conoscenza di debiti, li occulta o non li denuncia agli Organi preposti.

Gli Assessori ed il Sindaco sono personalmente convinti che legalmen-te, contabilmente e razionalmente, l’unica strada che ci rimane sia quella di chiedere l’invio di un Commissario regionale per il bilancio previsiona-le ’94 e per un esame della situazione contabile complessiva (perché po-trebbero scoppiare improvvisamente altri debiti che oggi non si sanno) e quindi far decidere al Commissario il da farsi.

Io, però, non mi sono ancora rassegnato a gettare la spugna. Ho con-vocato, pertanto, per domattina un consulente tributario di Palermo per un esame di tutta la situazione, per vedere se esista qualche scappatoia giuridica per evitare lo stato di dissesto; sottoporrò anche alla sua valuta-zione una mia proposta, che è tecnicamente realizzabile, ma non so se lo sia altrettanto realisticamente. Quella, in pratica, di andare alla costitu-zione di una forma societaria, il cui capitale azionario sia costituito, in parte, dai beni immobili del Comune (bosco, terreni, impianti sportivi ed altro) e, per l’altra parte, da quote azionarie in denaro liquido versate da Enti e da cittadini; questa massa di denaro potrebbe essere utilizzata per pagare parte dei debiti e, pertanto, per evitare la dichiarazione di dissesto, anche se, purtroppo, il tempo necessario è impietoso con noi, perché in-sufficiente.

Adesso, veniamo ad un’analisi delle cause che hanno determinato la gran parte della pesante situazione odierna sui debiti per il pagamento dei maggiori oneri d’esproprio.

Il tutto ha inizio in data 2 ottobre 1965, quando muore la Duchessa d’Ossada lasciando, per testamento, gran parte dei suoi beni all’Ente Co-lonia montana Duca d’Ossada ed all’Ente Asilo nido Duchessa d’Ossada, enti che formalmente non esistevano, ma di cui doveva essere richiesto il riconoscimento giuridico al Prefetto entro un anno dalla morte della Du-chessa, in altre parole entro il 2 ottobre 1966.
Ci risulta, attraverso sentenze dei Tribunali, inviateci dal Marchese di Cassibile, che il Comune avrebbe dovuto dichiarare di accettare l’eredità col beneficio dell’inventario, inventario da compiersi a norma dell’art. 487 II comma del C.C. nel termine di tre mesi. Il Consiglio Comunale, con de-libera del 22 luglio ’66, a meno di due mesi dallo scadere del 2 ottobre 1966, dichiarò di accettare il lascito, ma mai fu redatto il prescritto inven-tario. A sua volta, l’ECA, statutariamente abilitata ad agire nella vicenda, per il tramite del Comune forse, inoltrò domanda al Prefetto per il ricono-scimento dei due predetti Enti (Colonia montana ed Asilo infantile) in da-ta 16 novembre 1966 e non entro il 2 ottobre 1966 (art. 600 C.C.).
Il Comune di Longi, quindi, perse, di fatto, l’intero asse ereditario ed invano, circa dieci anni dopo, si oppose all’entrata in possesso dei beni testamentari da parte dell’avv. Procopio e del Marchese di Cassibile, eredi della Duchessa, venuti fuori a distanza di tempo, perdendo tutte le cause: in Tribunale, in Corte d’Assise ed in Cassazione.

Mi scrive il Marchese di Cassibile in una lunga lettera inviatami: “ma, in effetti, il Comune non ha perso niente perché, se non fossero stati asse-gnati a me, i detti beni sarebbero rimasti in potere dell’usufruttuario, giacché il Comune non avrebbe avuto più titolo per richiederne la conse-gna. Il Comune ha perso l’eredità disposta in suo favore nel momento in cui lasciò scadere i termini perentori, che avrebbe dovuto osservare per perfezionare l’acquisizione dell’eredità”. E da qui, quindi, cominciarono i guai per il Comune di Longi.

Mi chiedo, perché furono fatti scadere i termini? Per ignavia, per dolo, per omissione o per altro, a qualunque supposto titolo?

Io ritengo che i longesi abbiano il diritto di chiederne conto agli Ammi-nistratori dell’epoca; ritengo, quindi, sia giusto che i cittadini si costitui-scano parte civile contro la Giunta Comunale in carica negli anni 1965-66 e, pertanto, chiedano al Consiglio Comunale di deliberare in tal senso.

Io non faccio, in questa sede, i nomi degli Amministratori di cui a rife-rimento, ma li farò in sede consiliare, se mi saranno richiesti. I meno gio-vani del paese, però, si ricorderanno e potranno avere elementi di giudi-zio.

Considerato, altresì, che ci sono grosse responsabilità che emergono da sentenze passate in giudicato, delle quali prima accennavo, non posso esimermi dal fare alcune considerazioni personali: 1° c’è qualcuno che dovrebbe avere il buon senso di scomparire dalla scena politica longese, soprattutto da quella di rappresentanza amministrativa; 2° i cittadini che hanno cause in corso con il Comune, per il pagamento di maggiori oneri d’esproprio, dovrebbero accedere ad una richiesta di transazione, se que-sta ci sarà, e, pertanto, chiedere il giusto ed il dovuto, e non il superfluo… Omissis… Questa piazza e questa chiesa, nei secoli, sono state testimoni di eventi belli e brutti di fronte al popolo, qui riunito; ma, mai come questa volta, sono state mute testimoni di un così grave disastro, che espro-pria di beni e di gruzzoli di risparmio la nostra comunità, il cittadino lon-gese. Nessuna giustificazione, se mai c’è stato dolo, potrà perdonare i po-tenziali autori di questo stato di cose.
Io mi auguro di poter essere l’artefice della “primavera di Longi”; se mi sarà consentito di amministrare ancora questo nostro Comune. Di fronte a questa chiesa, giuro che m’impegnerò al massimo delle mie modeste ca-pacità per far rinascere questo nostro paese, per realizzare quello che vi ho promesso nel mio programma, anche se la sorte ci toglierà qualche bene strumentale, che potrebbe non essere più patrimonio di Longi.

Longi, oggi, è un paese saccheggiato, ma verrà il giorno della resurre-zione! Longi risorgerà se uomini coraggiosi, dalle mani pulite e dagli in-tendimenti che si richiamano a quei valori di solidarietà, di giustizia so-ciale e di amore per questa nostra terra, governeranno il paese”.

La Giunta Municipale, negli anni 1965-66, era formata da: ins. Rosa-rio Priolisi, Sindaco, e dagli Assessori, Ins. Attilio Iannì, ins. Antonino Imbrigiotta, geom. Francesco Lazzara, ins. Nicolò Bringheli. Lazzara era l’usufruttuario dei beni della Duchessa d’Ossada ed aveva sposato una sorella d’Imbrigiotta.

Alla fine del Comizio, il Comandante della Stazione dei Carabinieri si offrì per accompagnarmi presso il Palazzo Municipale. Un gesto, que-sto, per significare che un’istituzione dello Stato, la Benemerita Arma dei C.C., era accanto al Sindaco di Longi nella denuncia drammatica dei fatti accaduti, in un momento così carico di tensione e di così gros-sa assunzione di responsabilità nella gestione del passaggio dal dissesto strisciante alla normalità amministrativa e finanziaria del Comune.

Qualche giorno dopo, continuando nel tentativo di rendermi conto cosa fosse accaduto nel recente passato, chiesi al Capo Settore dell’Ufficio di Ragioneria il motivo per cui venne omesso il pagamento dei contributi dei lavoratori, già ritenuti alla fonte, agli Istituti Previ-denziali. Mi rispose di non essere nelle condizioni di darmi un chiari-mento esauriente, se non quello che gli Amministratori precedenti ave-vano utilizzato quelle somme per altre necessità.

La richiesta ad un Sindaco novellino, di dichiarazione di dissesto del Comune, da parte del Segretario Comunale e del Revisore dei Conti, professionisti con esperienza alle spalle, mi fece trascorrere alcune not-ti insonni al solo pensiero che, dopo quasi centotrenta anni dalla sua nascita amministrativa, sarei dovuto essere il primo Sindaco, nella sto-ria del paese, a dichiararlo. Dissi: no! A me stesso ed agli altri; tra que-sti, ai Consiglieri Comunali, i quali, per la verità, in quel frangente, si dichiararono disponibili a collaborare per trovare la soluzione atta a respingere la richiesta del “disastro” economico. Anche i dipendenti comunali, riunitisi in assemblea, si dichiararono ben disposti a rinunciare alla somma di circa cinquanta milioni di lire, loro spettante, per il 1993, per il miglioramento dell’efficienza dei ser-vizi.
Mi venne incontro l’abitudine, sin dal mio insediamento, di leggere giornalmente le Gazzette Ufficiali. L’individuazione di un Decreto Leg-ge, che fu, però, oggetto di difformità d’interpretazione e, pertanto, d’applicabilità specifica, tra me ed il Segretario Comunale, m’indusse a percorrere strade giuridicamente più illuminate. La consultazione ed il successivo parere di consulenti ed Organi di livello superiore mi solleci-tarono ad andare avanti nella ricerca interpretativa e nell’applicazione della su riferita normativa. Fui, così, messo nelle condizioni di poter prendere contatto con un professionista tra i più qualificati della Re-gione, il dr. Salvatore Arcidiacono, ex Ragioniere Generale della Pro-vincia Regionale di Catania, nonché Segretario Generale dell’Associazione Nazionale dei Responsabili di Ragioneria degli Enti Locali (A.R.D.E.L.).


L’art. 10 del D.L. n. 184 del 18 marzo 1994 così recitava: “Gli Enti Locali di cui al comma 1 sono autorizzati a negoziare con gli Istituti di credito… apertura di credito a fronte di deliberazioni di alienazioni di beni di loro proprietà”. Confortato dal contenuto di quest’articolo, ot-tenni dal dr. Arcidiacono un appuntamento in quel di Catania, al quale feci partecipare il Segretario Comunale, dr. Giuseppe Romano, l’Assessore Nino Carcione, la Ragioniera del Comune, sig.ra Antonia Ruffini. Il dr. Arcidiacono ed il Ragioniere Generale della Provincia Regionale di Catania, anch’egli presente, diedero ragione a me circa la possibilità di applicare il sunnominato articolo per evitare la dichiara-zione di dissesto del Comune; di contro, il dr. Romano sosteneva che il Decreto Legge in questione non potesse essere applicato perché non era stato tramutato in legge e non era certo che sarebbe stato reiterato alla sua scadenza.

Le motivazioni ed i ragionamenti, di natura tecnico-giuridica, inne-stati dai due professionisti catanesi convinsero, infine, il Segretario Comunale circa la fattibilità dei provvedimenti da adottare e ad espri-mere, quindi, parere favorevole sulle relative delibere.

Rientrati a Longi, nella nottata del 30 marzo, la Giunta Municipale approvò, dichiarandole immediatamente esecutive, assumendosene quindi una grandissima responsabilità economica, le delibere per lo storno dei fondi da diversi capitoli di spesa, finalizzati al pagamento dell’esposizione debitoria del Comune nei confronti degli Istituti Previ-denziali (Inail, Inps, Cpdel). È stata un’operazione ad altissimo rischio, perché i capitoli “spogliati” dovevano essere rimpinguati al più presto. L’indomani, giorno di scadenza per il pagamento del debito, l’Ente provvedeva a ripianarlo, lievitato da interessi, da more e penalizzazio-ni.
A quel punto, non mi restava altro da fare che inviare tutta la docu-mentazione, per l’individuazione di eventuali responsabilità patrimo-niali, alla Sezione Regionale della Corte dei Conti. Per ben due volte, un Ispettore dell’Assessorato regionale agli Enti Locali fu inviato al Comune per esaminare gli atti e relazionare alla Corte medesima. Io stesso fui convocato dal magistrato contabile per riferire sui fatti. Chie-si, poi, di essere informato circa gli esiti della visita ispettiva presso la Ragioneria Comunale, avendone diritto in quanto promotore dell’inchiesta e rappresentante legale del Comune. Mi fu opposto un diniego. Nel corso degli anni successivi, non seppi più alcunché circa gli esiti dell’istruttoria. Sarebbe stato veramente interessante, per i cit-tadini longesi, venire a conoscenza dei contenuti della relazione ispetti-va, attraverso cui la Corte dei Conti si sarebbe mossa per le relative de-cisioni, considerato l’enorme danno che era stato procurato alle casse comunali, nonché per l’onerosa responsabilità che era stata assunta da me e dalla Giunta intera nell’evadere le delibere “notturne” per pagare i debiti. Ma, come si sa, gli assessorati Regionali sono retti da politici e parecchi funzionari, in lista d’attesa per fare carriera, sono sensibili ai loro “inviti”: i meandri della politica sono a volte imperscrutabili, se non oscuri. Una cosa è certa: qualcuno ha procurato quel danno eco-nomico al Comune, ma nessuno ha pagato, nonostante l’evidenza dei fatti e la chiarezza della documentazione.



Il cammino sulla strada del risanamento, nei mesi successivi, conti-nuò con l’adozione di alcuni atti deliberati dal Consiglio Comunale, a seguito di proposta della Giunta Municipale, tra cui l’approvazione, all’unanimità, del bilancio di previsione del 1994.

Restavano aperti i problemi relativi alle cause con i privati per il pa-gamento ultradecennale degli espropri, effettuati nel corso degli anni passati. Alcune cause, andate a sentenza, ci costrinsero a pagare gli im-porti stabiliti dal giudice; altre, invece, avrebbero visto la sentenza negli anni immediatamente successivi.

Nel frattempo, una legge, approvata nel dicembre del 1995, diede la possibilità ai Comuni di chiedere un mutuo alla Cassa Depositi e Presti-ti, con ammortamento degli oneri a carico dello Stato, per azzerare i debiti in argomento. Mi attivai immediatamente per mettere in piedi la relativa procedura. Convocai le controparti (il Marchese di Cassibile ed altri), assieme ai rispettivi avvocati, per raggiungere un accordo. Il qua-le si poté fare solo accettando quanto da loro richiesto, e cioè sulle somme loro spettanti venne fatto uno sconto del 20%, mentre gli avvo-cati praticarono una decurtazione del 30% sulle loro parcelle. In caso contrario, ove non avessi accettato le loro condizioni, le cause sarebbero continuate sino alle rispettive sentenze definitive, con aumento no-tevole degli importi che il Comune avrebbe dovuto pagare a carico del proprio bilancio e senza sconti. In sostanza sarebbe significato il pi-gnoramento di tutti i beni comunali, con contestuale dichiarazione di dissesto, che, sino a quel momento, avevo evitato e combattuto.
Il Consiglio Comunale, appositamente convocato in data 27 maggio 1996, a corredo della pratica di richiesta del mutuo alla Cassa Depositi e Prestiti, doveva ratificare l’accordo fatto con riconoscimento dei debi-ti fuori bilancio. A quel tempo, l’ “idillio” iniziale tra la Giunta Munici-pale ed il C.C. era tramontato da oltre un anno ed il cammino era stato costellato da scontri accesi e divaricazioni politiche, che portarono all’immobilizzo dell’attività amministrativa.

Il Consiglio Comunale, pur convergendo sulla necessità dell’approvazione della delibera di risanamento finanziario, accolse una proposta del Capo Gruppo consiliare B., che si sostanziava in una pugnalata alle mie spalle: “Il Consiglio si riserva la facoltà di promuo-vere eventuali azioni di responsabilità contabile per il danno erariale cagionato all’Ente a seguito del mancato rispetto della normativa vigen-te in materia, anche con riferimento ai maggiori oneri causati dalla mancata applicazione, alle controversie che hanno comportato i debiti fuori bilancio in questione, delle disposizioni contenute nell’art 5 bis della L. n. 359/92 e nell’art. 1 comma 65 della L. 549/95. Viene fatta sal-va, altresì, ogni azione di rivalsa nei confronti degli amministratori pro-tempore”.


Che cosa dice il predetto art. 5 bis? Nel concretizzare la transazione, in pratica, dovevo pretendere di avere dimezzate del cinquanta per cen-to le somme dovute per il pagamento di maggiori oneri d’esproprio. Lo feci, ma la mia richiesta fu respinta. Quindi, o accettavo le condizioni dei creditori oppure dovevo far continuare le cause. Le conseguenze sa-rebbero state che, dal miliardo e duecento milioni di lire concordate e con pagamento degli oneri d’ammortamento da parte dello Stato, dopo un paio d’anni avremmo avuto un debito di oltre due miliardi di lire, come già detto, interamente a carico del Comune. Mi fermo qui, senza aggiungere alcun commento alla cronaca, permettendomi, però, qual-che considerazione sull’allucinante dichiarazione approvata e delibera-ta dai Consiglieri dell’ex D.C.

È stata certamente una carognata nei miei confronti, ma che ho can-cellato dalla memoria delle vicende politiche longesi perché ripagato dall’intima soddisfazione di aver potuto mantenere il giuramento, fatto nella Piazza Umberto I, che mi sarei battuto con tutte le mie forze per salvare il paese dalla bancarotta. Sì, Longi non aveva più debiti, dopo tanti anni, ed il dissesto era stato impedito.
Ovviamente, come era mio costume, provvidi ad inviare alla Corte dei Conti tutto il dossier riguardante quei debiti fuori bilancio, nel caso sussistessero responsabilità patrimoniali a carico di chicchessia, alle-gando anche la delibera del Consiglio Comunale, in cui è contenuta la proposta di “ben servito” nei miei confronti. Sarebbe veramente ed in-credibilmente assurdo se la Corte dei Conti mi accollasse il pagamento di un miliardo e duecento milioni di lire, per danno all’erario, per non aver “imposto” l’applicazione del su esposto articolo 5 bis della Legge 359/92. Ve lo immaginate? Il Sindaco, che ha evitato il dissesto a segui-to di debiti da altri cagionati, chiamato a rifondere il danno all’erario! È proprio vero che, per taluni improvvisati politicanti, privi della cultu-ra di un qualsivoglia pensiero ideologico, la cecità della personale logi-ca politica esula dai valori dell’oggettiva riconoscenza umana e del comportamento morale nei confronti del proprio prossimo. In costoro, poi, non esiste alcun ragionevole discernimento nei confronti del sog-getto politico, definito avversario, ma da loro, ancora incivilmente, ne-mico.

Qualche anno dopo, il mio avversario politico, N. F., che mi subentrò nella carica, ebbe la spudoratezza di affermare che avevo “af-fossato il paese” per i debiti da me lasciati attraverso delle parcelle che dovevano essere pagate ad alcuni avvocati. Il sig. F., nella qualità di Sindaco, prima, e d’uomo, poi, ha mentito sapendo di mentire. Infatti, era noto ai funzionari del Comune, che avevano istruito la pratica per la transazione dei debiti derivanti dalle cause per il pagamento dei maggiori oneri d’esproprio, che qualche avvocato, imbranato, nella fase transattiva, dimenticò di inserire una delle sue diverse parcelle, preten-dendone, però, il pagamento dopo che la Cassa Depositi e Prestiti aveva concesso il mutuo. E nulla gliene importava che doveva essere il Co-mune a caricarsi di quest’onere. L’unica concessione che fece fu quella di dilazionare, nel tempo, l’importo. A me nessuna colpa si può impu-tare, quindi, per quanto non è stato oggetto di transazione. Se colpa esiste, semmai, oltre che a quell’avvocato, essa è da imputare a qualche funzionario del Comune, poco attento, che non ha controllato bene le cause, a ciascuna delle quali dovevano corrispondere altrettante parcel-le, da inserire nell’atto di transazione. Inutile fu una successiva richie-sta, integrativa della precedente, alla Cassa Depositi e Prestiti.


Continuando sull’argomento, com’è noto, il mutuo doveva essere estinto in vent’anni per mezzo di rate annuali di circa cinquanta milio-ni. Forse il sig. F. pretendeva che fossi stato io a pagare le rate? Op-pure che lasciassi al suo destino il Comune senza approfittare dell’opportunità che ci si offriva per sanare il lungo contenzioso e la pe-santissima situazione debitoria che ne derivava? Per riparare i danni della guerra, come si sa, occorre affrontare sempre un periodo di sacrifici. Ed è quello che Longi ha dovuto fare. La manovra d’assestamento di bilancio e di risanamento, infatti, era chiaro che non poteva esaurirsi con gli atti di cui in narrativa. Ma doveva continuare per alcuni anni incidendo nel settore delle entrate, per far fronte ai nuovi impegni as-sunti, che avevano i loro riflessi nelle uscite.
Nel momento in cui mi trovo a raccontare la storia del risanamento, proseguendo sul tema, tengo a rammentare che l’Amministrazione van-tava un credito di alcune decine di milioni per tasse non pagate, e, tra queste, quelle, considerevoli, per il consumo dell’acqua potabile. Un centinaio circa di cittadini, e tra questi alcuni facoltosi, non pagava, da anni, il tributo dovuto. E nessuno aveva intimato il recupero. Affidai, quindi, l’incarico ad un impiegato scrupoloso, togliendolo a colui che precedentemente, in quel senso, non si era adoperato. Il risultato fu che tutti saldarono il debito.

Ma c’era un altro settore, in cui l’evasione era abbastanza considere-vole: la tassa dell’I.C.I., la quale non veniva pagata da circa il 25% dei contribuenti, soprattutto di cittadini, proprietari di case a Longi, ma che non vi risiedevano stabilmente. Conferii l’incarico, pertanto, ad un commercialista esterno per i dovuti controlli ed il successivo recupero, ma la fine della mia legislatura non mi consentì di portare a compi-mento l’azzeramento di quest’ultima sacca d’evasione fiscale.

Venni a sapere che l’Amministrazione che mi seguì, presumibilmente per ingraziarsi il consenso degli elettori, abbassò l’importo dell’I.C.I. dal 7 al 4 per mille. Operazione contabilmente errata perché, dimi-nuendo le entrate, nel noto frangente in cui si trovava il Comune, si è pregiudicata una manovra relativa alle uscite, cui il medesimo doveva far fronte.

Doveva essere chiaro e consequenziale che un Comune, oberato da una notevole massa di debiti, per uscire da questo tunnel doveva neces-sariamente chiamare i suoi concittadini a sopportare, per alcuni anni, qualche sacrificio. In questi casi, la solidarietà fiscale non è un fatto dai risvolti politici, bensì una necessità oggettiva per il risanamento del bi-lancio di una collettività, la seconda grande famiglia di ciascun cittadi-no.

La politica delle opportunità clientelari e dell’allargamento del con-senso, che passa attraverso l’assistenzialismo e la mancata applicazione di alcuni parametri per la formulazione ed il pareggio del bilancio, ha portato e porta inevitabilmente l’Ente verso il baratro dell’immobilismo di gestione e dell’accumulo di debiti, che potrebbero essere evitati, in-vece, se tutti pagassero il giusto, il dovuto ed il necessario.

A margine dell’argomento, ritengo doveroso segnalare il comporta-mento del Segretario Comunale, Giuseppe Catalfamo, che, con la sua professionalità, mi mise nelle condizioni di revocare la vendita dei terreni comunali in Contrada Petrusa, il cui ricavato doveva servire a ri-pianare quell’anticipazione di cassa del 1994 per pagare, in fretta e fu-ria, gli oneri contributivi, da anni non versati agli Enti Assistenziali, di cui ho parlato precedentemente. Quest’atto, accompagnato da un lavo-ro certosino, sui bilanci e sulle carte contabili, per la ricerca di econo-mie effettuate negli anni passati, e che diede i suoi sostanziosi frutti, ritenni doveroso premiarlo con un “encomio solenne” durante una se-duta di Consiglio Comunale.


Il balletto degli assessori

La legge elettorale siciliana, varata nel 1992, consentiva al Sindaco elet-to di nominare gli Assessori Comunali al di fuori del Consiglio. Un evento innovativo, che dava la possibilità al Sindaco di sganciarsi, al-meno sulla carta, dalle logiche politiche del partito e dalle diverse cor-renti dei partiti, nonché di scegliere persone qualificate. La stessa legge prevedeva, però, la possibilità, per un cittadino, di proporsi come Sin-daco senza essere collegato a nessuna lista candidata al Consiglio Co-munale. Ove veniva a verificarsi, però, quest’ultimo frangente – come è stato nel mio caso – il Sindaco eletto, pur dotato di alcuni poteri mono-cratici, era vincolato alle decisioni del Consiglio Comunale, conservando, quest’ultimo, alcune prerogative che ne condizionavano totalmente la gestione amministrativa da parte della Giunta. Non aveva senso, per-tanto, per un Sindaco “solitario”, la presentazione ai cittadini di un programma elettorale nel momento in cui il Consiglio bocciava le pro-poste presentate dalla Giunta: vedi bilancio, piano triennale delle opere pubbliche, e così via, che sono alla base della realizzazione di un do-cumento programmatico. Inoltre, al Consiglio era data la possibilità di sfiduciare il Sindaco e di chiedere il referendum cittadino per la sua rimozione. Una legge sbagliata, in talune sue parti, che successivamen-te è stata corretta con la prescrizione dell’obbligo, per i candidati a Sindaco, di collegarsi ad una lista che concorresse all’elezione dei suoi aspiranti in seno al Consiglio Comunale.
Ma torniamo alla composizione della mia prima Giunta, che annove-rava persone culturalmente qualificate per gestire i settori loro affidati. Non dimentichiamo, però, lo stato d’abbandono dell’andamento dei servizi comunali, le incrostazioni di natura politica che affliggevano la maggior parte dei dipendenti e che tiravano fuori nel momento in cui decidevano di fare ostruzionismo, sul piano burocratico; a ciò si ag-giungeva la scarsa preparazione professionale da parte di parecchi. Con questo stato di fatto, la Giunta si è dovuta misurare: collaborazione da parte di alcuni – pochi – , ma ostruzionismo anche proveniente da par-te di quelli che avevano deciso di svolgere il ruolo di miei avversari po-litici. Ovviamente, il lavoro che la Giunta voleva e doveva portare avan-ti veniva decuplicato, ritardato e, talvolta, impedito. Pur tuttavia, poi-ché l’impegno era al massimo per cambiare le cose, gli Assessori ed io personalmente eravamo alla continua ricerca d’acquisizione di nozioni e procedure amministrative, attraverso il contatto con gli Uffici di rife-rimento, a livello provinciale e regionale, nonché con la lettura delle specifiche leggi pubblicate sulle Gazzette Ufficiali. Un lavoro di squa-dra, che ci vedeva impegnati per parecchie ore il giorno: io personal-mente, talora, anche per più di dodici ore giornaliere.


Qualcuno, però, dopo circa un anno, manifestò la sua stanchezza di fronte a siffatta situazione, laddove l’Ufficio, con il quale si rapportava, non seguiva le sue indicazioni o disposizioni; conseguentemente rasse-gnò le proprie dimissioni. Qualche altro, invece, si dimostrò claudican-te nel portare avanti gli incarichi assunti e, purtroppo, poco presente nell’attività amministrativa giornaliera: comportamento alquanto gra-ve, soprattutto se si ricopre l’incarico anche di Vice Sindaco. Vani fu-rono gli inviti e le sollecitazioni ad un maggior e più assiduo impegno, per cui, pressato di continuo da quelli che erano stati i miei sostenitori politici, fui costretto a revocare la nomina al Vice Sindaco, dr. L., e prendere atto, nello stesso tempo, delle dimissioni dell’arch. B. da Assessore ai Lavori Pubblici. Nella comunicazione fatta al presidente del Consiglio, l’Assessore Nino Carcione scriveva che “il prov-vedimento è stato preso in considerazione del fatto che il predetto40 non ha curato alcuni adempimenti derivanti dal suo incarico e per i quali il Sindaco lo aveva invitato a predisporre le opportune iniziative e l’iter burocratico per tramutarli in decisioni della Giunta”. Uno di tali man-cati adempimenti fu quello relativo alla pratica di gestione, da parte del Comune, del servizio dell’autoambulanza, che sarebbe stata donata dal-la Banca Cooperativa “Valle del Fitalia”. Omissione che consentì al su-bentrante ing. Z. di proporre la costituzione di un’associazione “no profit”, la S. Leone, per la gestione dell’ambulanza, la cui conse-guenza fu quella di poterne disporre solo dopo ben quattro anni dalla donazione dell’automezzo. Nella prefata lettera, l’Assessore Carcione comunicava, altresì, che il dr. L. “non ha dato quel suo contribu-to, in termini di presenza attiva e continuata, sia alle riunioni di Giunta sia presso la sede di quest’Ente per gli affari d’ordinaria amministra-zione e di provvedimenti che si sarebbero dovuti prendere in assenza del Sindaco. Per una maggiore precisazione di quanto sopra detto, si partecipa, tra l’altro, che, dall’insediamento di quest’Amministrazione, su n. 75 riunioni di Giunta Municipale, il predetto dott. B. L. ha assicurato n. 32 presenze”.
Ebbero inizio, immediatamente, le consultazioni e le riunioni del mio gruppo politico per procedere alla sostituzione dei due Assessori, usciti dalla Giunta. Il mio tentativo fu di assicurare all’Esecutivo un’ovvia prosecuzione di elementi culturalmente qualificati. Invitai, pertanto, persone che ritenevo all’altezza del compito, ma n’ebbi un ri-fiuto.

Ho insistito, oltre che sulle capacità, sulla levatura culturale degli As-sessori giacché, per le responsabilità di cui anch’essi sono investiti, nonché per la gestione amministrativa di settori e programmi, da parte dei medesimi, era ed è molto riduttivo e pericoloso chiamare a far par-te della Giunta persone prive dei su indicati attributi.

Mi furono proposti, invece, dei nominativi che, a mio parere, non avevano i requisiti da me pretesi ed oltretutto erano fraterni amici di… Bacco; pertanto, fui costretto a ricusarli. Questo mio rifiuto mi costò… la “carriera politica”. Da quel momento, il gruppo politico che mi aveva sostenuto mi sbatté la porta in faccia. Fui costretto, quindi, a chiamare in Giunta persone che non riscuotevano il placet da parte di parecchi cittadini che mi avevano sostenuto. Nominai, pertanto, Vice Sindaco, l’ing. L. Z., ed Assessore, il dr. A. F.: elementi sulla cui preparazione professionale e culturale non v’era nulla da eccepire.


40 Dr. L. (n.d.r.).


Sino allora il percorso, intrapreso tra Giunta e Consiglio, era stato quello di una discreta collaborazione. Bilancio e Piano Triennale delle Opere Pubbliche del 1994 erano stati approvati di comune accordo, quasi sul finire dell’anno. La Giunta si apprestava, quindi, ad approvare il Piano del ’95-’97, fotocopia di quello dell’anno precedente, il quale era già superato dal punto di vista procedurale. I due nuovi Assessori nominati ritennero di dovere dissentire, per i loro motivi, da un accor-do che già esisteva, sia nella maggioranza di Giunta sia col Consiglio Comunale. Misero in giro, quindi, voci calunniatrici, riferite alla mia persona, contestando, nel frattempo, le motivazioni che precedente-mente ci avevano indotto a collocare prioritariamente talune opere: al-cune di queste mi erano state lasciate in eredità dall’Esecutivo prece-dente. Riuscirono a portare sulle loro posizioni un altro Assessore e, per questo problema, mi trovai in minoranza, all’interno della Giunta Municipale, assieme all’Assessore Carcione; inoltre, fecero in modo di indirizzare diversamente anche il Consiglio Comunale. A nulla valsero i reiterati inviti rivolti all’Assessore R. M. M. di mantenere fede all’impegno assunto circa il mio programma politico, giacché quelle opere ne facevano parte. Essa fu irremovibile nel dichiararsi d’accordo con i due nuovi venuti. A quel punto, non mi restava altro da fare, es-sendo semplicemente assurdo che un Sindaco si trovasse a gestire in una posizione minoritaria di Giunta, che revocare la nomina della M. Apriti cielo! Le ire di parecchie persone si scatenarono contro di me perché la suddetta, nel paese, era considerata una donna integerri-ma e giusta, sol perché era impegnata nell’Azione Cattolica. In una squadra, quando uno dei giocatori si mette a fare il gioco degli avversa-ri, facendola perdere, cosa resta da fare al capitano o all’allenatore? Prendere il provvedimento più ovvio: sostituire, in campo, il compagno infedele. La M. fu surrogata dal signor G. B. Il quale, sottoposto a continue intimidazioni e pressioni, nel giro di pochi mesi diede le dimissioni.


Alcuni passaggi della motivazione di revoca della nomina all’Assessore M., così recitavano: “ha manifestato contraddizioni ed incoerenza di linea politica nel momento in cui si è dovuto procedere all’affidamento di incarichi a professionisti per la redazione di progetti di massima, relativi a opere collocate al 1° posto nelle priorità di settore del Piano Triennale di Opere Pubbliche 1994-96; infatti, pur essendo state de-liberate dalla Giunta in carica in quel momento, della quale la S.V. faceva parte, a distanza di pochi mesi non ne riconosce più l’utilità e, quindi, le priorità a suo tempo decise; “….” i Suoi recenti atteggiamenti, che si ispi-rano ad un’inversione di fiducia nei confronti del Sindaco, fanno emerge-re tentativi artificiosi e speciosi, orientati verso l’assunzione di una posi-zione politica tesa a sconfessare ed a demolire l’attività innovatrice e riformatrice del Sindaco; “….azione tesa “a non lasciarsi sfuggire le oppor-tunità, emergenti dal Bilancio Regionale e dai Programmi Europei, per avere inserite, nel corso del corrente anno, all’interno dei piani di finan-ziamento regionale ed europeo, alcune opere collocate utilmente e priori-tariamente nel Piano Comunale Triennale delle Opere Pubbliche 1994-96, la cui realizzazione reputo indispensabile per il nostro paese, soprattutto perché, tra l’altro, l’insediamento dei relativi cantieri creerebbe le invocate opportunità di lavoro per la vasta fascia di lavoratori longesi disoccupa-ti.”
In data 31 maggio ’95, nonostante una diffida inviatami dal Presiden-te del Consiglio Comunale a deliberare in merito all’affidamento di in-carichi progettuali riferiti alle due opere collocate in posizione priorita-ria nel Piano Triennale delle Opere Pubbliche ’94/96 (Consolidamento della strada provinciale e della strada comunale Longi-Cerimo; Lavori acquedotto con telecontrollo nel centro urbano), essendo venuto a sa-per che il Consiglio avrebbe cambiato il tutto, convocai egualmente la Giunta per decidere. Ma, guarda caso, l’Assessore B. non si pre-sentò alla riunione ed i due Assessori, Z. e F., non vollero aderire a quanto in precedenza era stato stabilito e deliberato dal Con-siglio Comunale, ragion per cui fui costretto a ritirare la proposta, con-siderata la parità di voti che si sarebbe avuta nella votazione: due a fa-vore e due contrari.

Omissis

Dalla stampa fui additato quale Sindaco siciliano che aveva destitui-to il maggior numero di Assessori. In effetti – è bene puntualizzarlo – , quelli destituiti sono stati solo due per i gravi motivi riferiti. Gli altri si sono dimessi volontariamente. Alcuni di questi vi furono indotti a se-guito di forti pressioni poste in essere dai miei avversari, che erano pe-raltro loro amici o parenti. I medesimi avversari, oltre tutto, si adope-rarono attivamente per crearmi terra bruciata attorno; anche nel mo-mento successivo in cui avrei dovuto formare la lista per il rinnovo dell’elezione, indussero parecchia gente a non accettare una mia pro-posta per un incarico assessoriale o di consigliere. E dire che molti di
quelli, invitati a scendere in lizza, erano stati da me beneficiati, e co-me!, sia singolarmente sia collettivamente: tra questi ultimi i braccianti agricoli, alcuni dei quali non avevano speranze di lavorare per conto della Forestale ai cantieri di rimboschimento annuale, ma che, alla fine di una battaglia da me condotta, memore di essere stato sindacalista, furono tutti avviati al lavoro. Parecchi di questi, però, non ritennero di riconfermarmi la loro fiducia e votarono per i miei avversari politici.
Dimenticare questi comportamenti e talune persone, che ritennero moralmente giusto di dovermi tradire, è stata la mia ferma decisione degli anni successivi. Tutto ciò, però, mi è servito notevolmente per co-noscere bene l’animo di taluni longesi, che è parecchio diverso di quello della gente con la quale avevo avuto a che fare, durante la mia trenten-nale attività sindacale, svolta in ambienti certamente più evoluti sul piano sociale, e quindi dotati di un diverso modo di pensare e, consequenzialmente, di comportarsi nei confronti di chi aveva loro dedicato un minimo del suo impegno sociale, che traeva e trae origine da quel credo nella solidarietà umana.

Il referendum per la rimozione del sindaco
Nel clima di guerra globale alla mia persona, iniziato all’interno della Giunta contestualmente all’ingresso in essa dell’ing. Z. ed acuito-si subito dopo la sua fuoruscita, si trovarono d’accordo le due fazioni locali, storicamente avversarie da sempre: il centro e la sinistra. Trovò, quindi, terreno fertile l’iniziativa assunta dal Consiglio Comunale di proporre la mia rimozione attraverso il referendum cittadino. La ri-chiesta del Consiglio Comunale era stata preceduta da un ben orche-strata campagna diffamatoria, basata, soprattutto, su volantini contro di me, taluni anonimi, talaltri firmati, accompagnata anche dalla messa in circolazione di apprezzamenti e di mie supposte volontà che, se fos-sero state vere, avrebbero disonorato il mio buon nome e la mia dignità di persona onesta, che ha contrassegnato la mia strada di serio e stima-to sindacalista. Esistono, in tal senso, attestati di stima, sia da parte dei vertici del mio Sindacato, sia di quelli della mia Amministrazione, presso la quale ho prestato servizio per 35 anni.


I primi venti di guerra cominciarono a spirare nel settembre del 1995, quando il Consiglio Comunale non approvò la mia relazione se-mestrale, invitandomi alle dimissioni. A quest’atto fece seguito, succes-sivamente, un ordine del giorno, presentato dal Vice Presidente, ins. R. P. – già Sindaco, come detto, negli anni 1965- 66 – con il quale avanzò la proposta di mie dimissioni, approvata dal Consiglio, dopo avermi tacciato di inadempienze programmatiche. La richiesta di rimozione fu resa esplicita nella seduta del 27 novembre 1995.

Per capire ancor meglio, però, il clima politico di quel periodo, è be-ne fare una breve cronistoria ricostruita attraverso documenti, ad ini-ziare dal maggio del ’94, quando ebbi a presentare al Consiglio ed ai cittadini la mia prima relazione semestrale, in un’aula – fatto inusitato – strabocchevole di pubblico. Dopo aver illustrato il percorso sino allo-ra compiuto, attraverso il quale si era dato impulso all’inceppata mac-china amministrativa, dopo aver illustrato le proposte e le iniziative che, nel medio tempo, s’intendevano portare avanti, concludevo la lun-ga relazione con un invito ai Consiglieri di collaborare con la Giunta, anche se diversi politicamente, poiché il paese, per risollevarsi, aveva bisogno dell’azione e dell’impegno dell’intero carro politico che lo gui-dava. La relazione fu distribuita a tutte le famiglie, nel solco di quel nuovo indirizzo instaurato, basato sulla trasparenza e sulla comunica-zione all’esterno di quelle cose che interessavano la popolazione. La re-lazione, seppure tra i distinguo e le immancabili critiche alla Giunta, attraverso la mia persona, fu approvata all’unanimità da parte del Con-siglio Comunale.


Seguì, nel gennaio del 1995, la mia seconda relazione semestrale. Dopo aver fatto un’analisi sullo stato di salute dell’Amministrazione, delle cose fatte e di quelle che mi proponevo di fare nel breve periodo, mi avviavo alle conclusioni, dichiarando: «La storia ha prescelto Voi, giovani Consiglieri comunali, ha prescelto noi, nuovi amministratori, per fermare, attraverso una gestione trasparente, obiettiva e dalle riso-luzioni coraggiose, la corsa del nostro paese lungo la china della banca-rotta… se l’obiettivo, comune, è quello di far rinascere questo nostro paese, se l’intento politico, anch’esso comune, è quello di una gestione aperta, non discriminante, e trasparente della nostra comunità, in cui tutti i cittadini sono uguali, quali sono i punti che diversificano il mio programma politico da quello del partito, cui la maggioranza di voi fa riferimento? Io rimango ideologicamente un socialista democratico e riformista, ma senza tessera né partito, perciò non devo portare acqua ad alcun mulino politico, il mio solo intento è di applicare i miei con-vincimenti di democrazia, di libertà, di tolleranza, d’eguaglianza, di ga-ranzia e di giustizia sociale, di solidarietà verso i più deboli e di pro-gresso economico nella gestione del nostro paese.»

Proseguivo con l’auspicare che era opportuno «andare a concretizza-re quella più volte dichiarata collaborazione tra Esecutivo e Consiglio» e che, conseguentemente, era «venuto il momento di dar vita a comuni gruppi di lavoro, a comitati unitari per lo studio e la gestione delle pro-blematiche del paese e delle iniziative che s’intendono portare avanti, a unitarie designazioni di rappresentanti all’interno di Organismi istitu-zionali e Commissioni comunali. In occasione della campagna elettora-le abbiamo dato, insieme, una lezione di stile e di crescita civile: non disperdiamo questo valore, ma continuiamo su questa strada, malgra-do alcune incomprensioni che è possibile però superare, per raggiunge-re l’obiettivo della pacificazione sociale e politica cancellando i gruppu-scoli di Guelfi e Ghibellini, presenti nella nostra piazza, sempre pronti a demolire anziché a costruire.»

Concludevo con le parole del Papa Wojtyla: «“Varcare la soglia della speranza”, per il nostro paese, potrà avere un significato di comuni in-tenti e di unitari traguardi se questa “soglia” oltrepasseremo tutti quan-ti insieme.»

Subito dopo la lettura della relazione, il Consigliere P., pren-dendo la parola, tra l’altro ebbe a ringraziarmi “per l’impegno, per i sa-crifici con cui avevo condotto l’attività amministrativa del Comune”, mentre il Consigliere B. mise in risalto come “la disponibilità del consiglio è stata ampia”, votando anche all’unanimità il programma triennale delle opere pubbliche. La relazione fu approvata dopo due mesi di gestazione, nonostante un documento di deduzioni piccanti presentato dal consigliere B..

L’immediato, successivo periodo, quando i rapporti tra me ed il Vice Sindaco, L. Z., si deteriorarono – come detto – sino ad arrivare alla mia revoca del solo incarico di Vice ed alle sue dimissioni dal-la Giunta, fu l’inizio di quella durissima battaglia tra me ed il Consiglio Comunale. L’estate di quell’anno, 1995, fu contrassegnata da un imbarbarimento dei rapporti, voluto dai miei avversari: due volantini anoni-mi inondarono le vie del paese, a cominciare dalla Via Garibaldi, che n’era piena (non esiste il… ”delitto perfetto”). Essi, stilati da uomini di cultura, muniti di laurea, i quali, per sviare i sospetti, li hanno riempiti di errori ortografici, hanno segnato il momento di maggior degrado so-cio – politico della vita del paese, per opera di pochi ignobili personag-gi, laddove il livore appariva in tutta la sua dimensione per le falsità narrate, per le cafonesche citazioni e per gli apprezzamenti personali, rivolti anche ai componenti della mia famiglia. A questi volantini ed all’altro, sempre anonimo, che ne seguì, io ritenni di non dovere ri-spondere per le rime poiché la carica rivestita, la mia educazione per-sonale e la mia cultura politica non mi consentivano di scendere allo stesso livello di bassezza morale e d’inciviltà degli estensori delle tre sconcertanti “novelle”. Pur tuttavia, presentai querela contro anonimi, sia per le frasi infamanti contenute in quei fogli, sia perché erano stati commessi dei reati penali dal momento in cui la legge vieta l’anonimato nelle pubblicazioni attraverso stampa; nella stessa querela aggiunsi che, se si fossero individuati i responsabili, l’eventuale risar-cimento in denaro l’avrei devoluto a fini benefici alle casse del Comune. Non ho saputo più niente circa la sorte delle indagini (fatte?). Eppure non sarebbe stato tanto difficile, da parte di un tecnico, individuare la fonte della stampa: nella nostra piccola comunità, quante macchine per scrivere con quei caratteri e quante fotocopiatrici esistevano?

Per completare il quadro, in quel periodo, furono tagliati gli alberelli da poco piantati nella Via Roma, dove c’è la sede municipale e, quindi, del Sindaco e furono tagliate le gomme alla mia autovettura e ad un au-tomezzo comunale: atti chiaramente intimidatori, finalizzati a farmi abbandonare il Comune. Gli autori, però, sconoscevano che ben altri momenti drammatici, nella mia vita passata di militante socialista e di sindacalista avevano contrassegnato il mio cammino, che continuai, quindi, con determinazione soffocandone lo stato di prostrazione.

Per completare il quadro dell’imbarbarimento della situazione, a Longi, credo per la prima volta, avvenne un “evento” quanto mai as-surdo, se non incivile. In occasione della festività del Crocifisso, il 23 agosto, è usanza che la banda musicale accompagni il Gonfalone ed il Sindaco dalla casa municipale alla chiesa madre. Ebbene, quell’anno qualcuno ordinò ai dirigenti della banda musicale locale di astenersi dall’andare al Municipio per accompagnare le autorità comunali. Dopo inutile attesa, ed aver saputo che il complesso bandistico non sarebbe venuto, decisi di recarmi alla messa cantata e, preceduto dal Gonfalone, entrai in chiesa, nel silenzio totale e lo sbigottimento da parte dei fedeli, indossando la fascia tricolore. Mi chiesi e mi chiedo ancora: chi è stato ad intimare alla compagine musicale di astenersi dal recarsi al Municipio, secondo la consuetudine? I miei avversari politici? Un cit-tadino “influente”? O verosimilmente “Chi” l’aveva ingaggiata?
Torniamo all’ulteriore mia relazione semestrale di fine agosto del ’95, in occasione della quale si ebbero le avvisaglie di quanto era nelle in-tenzioni del Consiglio Comunale da lì a poco tempo dopo. Per proposta del consigliere B., infatti, la relazione fu respinta con una motiva-zione subdola e non pertinente, quella, vale a dire, di non essere “con-forme al programma politico presentato durante la campagna elettora-le”. Dopo alcuni giorni, il Presidente del Consiglio presentò le contro-deduzioni alla stessa, accusando la Giunta di essere priva di una “reale cultura di governo” e di agire “in contrasto con ogni minima politica di programmazione”. Tra tutte le accuse possibili, ove avessero avuto un fondamento, queste sono state quelle che più facilmente si potevano prestare ad essere demolite attraverso un esame obiettivo dell’attività esplicata dalla Giunta nei decorsi venti mesi di gestione. Il Presidente concluse la sua recita a soggetto accusandomi di “inadempienze ed in-capacità amministrativa” ed invitandomi a rassegnare il mandato. A lui fecero eco i Consiglieri.


In un crescendo di tensione, il Consigliere P., qualche giornata dopo, presentò l’ordine del giorno, di cui si è fatto già cenno.

Nella sua dissertazione, l’ins. P., tra l’altro, dichiara: «Certo sa-rebbe tanto ingiusto, quanto strumentale, l’affermazione, e peggio an-cora l’accusa, che41 è stato del tutto inattivo, possibilmente si è adope-rato per far meglio, e per questo è meritevole di un riconoscimento e di un grazie…»

Quanta incoerenza, quanta contraddizione in ciò che è stato detto, dal suddetto Consigliere e dai suoi colleghi, in tutta la vicenda!

Nel novembre del 1995, il Consiglio Comunale, a maggioranza dei suoi componenti e con l’astensione del Gruppo indipendente, facente capo al Consigliere B., evase la delibera della mia rimozione at-traverso la consultazione popolare per “gravi inadempienze program-matiche”. In una pubblicazione, distribuita ai cittadini, che riportava il testo del ricorso, da me inoltrato al Co.Re.Co. di Messina, e che è ri-prodotta a fine capitolo, oltre a definire pretestuose, surrettizie e prive di fondamento le accuse rivoltemi, elencavo, tra l’altro, tutta l’attività svolta dalla Giunta e da me nel biennio di gestione.

In questo clima di guerra – credo che sia il termine appropriato per quello che è stato fatto e detto nei miei confronti – viene a me indiriz zata una lettera aperta da parte dell’ineffabile C. F., eclettico personaggio che, secondo le circostanze, assumeva le vesti di medico a tempo pieno, e, a tempo perso, di attore di teatro, di politico, di fustiga-tore, di comunista, prima, e di giustizialista post-comunista poi (si fa per dire quando si vuole che i principi di giustizia siano applicati per l’uso ove convenga), e di giustiziere essendosi autoconferito il mandato di cacciarmi dalla poltrona di Sindaco avendo io commesso, a suo dire, il reato di lesa maestà nei confronti della sinistra longese. Nella lettera aperta, tra esternazioni e doglianze, il dr. F. mi ha tacciato d’opportunismo e d’incoerenza nel momento in cui avevo tradito il mio “vecchio credo facendo la spola da un partito all’altro”, di aver dato corso a dissapori e contrasti, come mai non sono esistiti a Longi, di es-sermi chiuso nel bunker del Municipio rifuggendo dalla socializzazione con la gente, di avere incrementato le spese del bilancio comunale deli-berando l’indennità di carica per gli amministratori ed il gettone di presenza per i consiglieri, di avere liquidato alcuni Assessori, tra cui la sua parente, R. M. M. Continuando nelle accuse, F. conclude la sua lettera dichiarandosi a favore dell’indizione del refe-rendum popolare per la mia rimozione. Mi sembra doveroso consegna-re alla memoria storica del paese alcuni passaggi, i più espressivi, della mia risposta dal titolo: “Lettera aperta ad un amico”. La pubblico, per-tanto, integralmente, a chiusura di questo capitolo.
41 Il Sindaco (n.d.r.).

Per avere contezza di una panoramica completa dei fatti intrecciatisi, nonché del comportamento, nuovo per il paese, perché basato sulla trasparenza degli atti, sulla democraticità dei contatti con la gente, mi sia consentito far risaltare come nessun Sindaco o candidato a Sindaco ha fatto tanti comizi ed assemblee cittadine quanti ne ho fatti io. Ebbe-ne, nel periodo della su richiamata “guerra referendaria”, ho dovuto in-contrare, in Piazza, i cittadini, il 1° luglio del ’95 ed il 4 febbraio del ’96.

Nel primo comizio, della durata di ben due ore, ho dovuto rispondere alle accuse rivoltemi dall’ing. Z, non più Assessore, in occasione di una sua nota letta in piazza ai compaesani, e completare il mio co-mizio con l’elencazione dello stato di fatto di alcuni problemi, nonché di alcune iniziative portate a termine.

Nel fare un excursus delle principali attività durante l’anno e mezzo di gestione, ho fatto notare come i primi sei mesi sono stati dedicati al bilancio previsionale del 1994, al problema della discarica abusiva dei rifiuti solidi urbani, per la quale c’era stata una denuncia da parte del WWF di Tortorici, all’avviamento dei progetti finanziati, che erano fermi da qualche tempo.

Dal secondo semestre dello stesso anno la Giunta è stata impegnata a redigere ed approvare il Piano triennale delle Opere Pubbliche ’94-’96, ad avviare i lavori presso le scuole, elementare ed asilo nido, presso il campo sportivo, quelli dell’arredo urbano delle vie Roma e piazza Fon-te Pubblica, di vari tratti delle reti fognanti e idriche; era stata ripristi-nata la funzionalità dell’intera rete elettrica; erano stati sostituiti i con-tatori del consumo di acqua potabile; dopo il sequestro della discarica dei rifiuti solidi urbani, si stava procedendo alla realizzazione di una nuova, in un sito diverso da quello precedente; era stato garantito l’avviamento al lavoro di tutti i braccianti impegnati nel rimboschimen-to; si era intervenuti per il risanamento della frana in contrada Pado, nonché per la riparazione delle strade Pado-Portella Gazzana-Alcara Li Fusi e Portella Gazzana-Mangalavite. Inoltre, erano in corso o stavano per iniziare i lavori di riparazione di sei strade agricole in contrada Gazzana, quelli per la realizzazione della rete idrica nelle contrade, di un cantiere comunale per la ristrutturazione della Via Dante Alighieri ed, ancora, quelli per interventi di vario genere su cinque strade del centro urbano.

Dopo l’illustrazione di così copiosi interventi nel campo delle opere pubbliche, mi sono soffermato ad illustrare le priorità indicate dalla Giunta nella compilazione del Piano Triennale delle Opere Pubbliche ’94-’96, divenuto esecutivo nel novembre del ’94, e che il Consiglio Co-munale non ha voluto reiterare, in “fotocopia” per il 1995. Le priorità indicate, alla luce delle disponibilità nel bilancio della Regione Sicilia-na, avrebbero consentito il finanziamento di quattro o cinque opere su sette e ciò avrebbe significato lavoro, lavoro, lavoro per i disoccupati. Il piano in questione, oltre ad essere stato approvato due volte dalla Giunta, evaso senza modifiche dal Consiglio, per l’anno 1994, e con-cordato con lo stesso per il successivo anno, con qualche aggiunta, era stato affisso per altre due volte all’Albo Pretorio senza che vi fossero stati né ricorsi, né proposte di modifica.

Ma – proseguii – subito dopo l’accordo, intervenuto con il Consiglio Comunale, erano entrati in Giunta i due nuovi Assessori Z. e F., che costituirono una sorta di contro-potere al potere del Sindaco, quando, invece, per mandare avanti le progettualità, occorre una cen-trale operativa che si muova all’unisono. Quello dei due nuovi venuti era il vecchio modo di fare politica per creare l’immobilismo. Le cose già deliberate, peraltro, non possono essere variate né per capricci per-sonali, né per nascosti interessi soggettivi. Essi, purtroppo, si misero a brigare per convincere il Consiglio Comunale a variare le priorità, quel-le relative al Piano ’94- ’96, per le quali era mio dovere, sin dall’1 gen-naio del 1995, affidare gli incarichi tecnici a professionisti. Ma i due predetti Assessori riuscirono a convincere l’Assessore R. M. M. di non votare, in Giunta, a favore della mia proposta, benché la stessa avesse già votato per due volte a favore delle scelte progettuali prima operate. Era chiaro che si tentava un ribaltone, una sorta di mini “colpo di stato” contro la maggioranza già esistente in Esecutivo per varia-re gli incarichi progettuali che, successivamente, si sarebbero dovuti dare ai professionisti, che la nuova maggioranza avrebbe proposto.
Quale riflessione a distanza di tempo, è legittimo chiedersi il motivo di siffatto comportamento, considerato che, sia l’ing. Z., sia il figlio dell’avv. F., anch’egli ingegnere, avevano avuto degli incarichi proget-tuali da parte della mia Giunta, conformata precedentemente in maniera diversa. È legittimo, altresì, il dubbio se gli stessi potessero essere portato-ri di interessi. I quali, ovviamente, erano a me estranei, com’è palesemen-te dimostrabile attraverso la conoscenza di alcuni atti, che dovevano esse-re tramutati in delibere: per gli incarichi relativi alla redazione dei proget-ti, posti al primo posto delle priorità di settore, e per i quali i due soggetti brigarono tanto per farli saltare, erano stati già indicati i professionisti. Uno di questi era un architetto longese; gli altri: l’uno, già indicato dall’Amministrazione precedente senza però perfezionare l’incarico (ho avuto il sospetto che rappresentasse un professionista longese, già propo-sto peraltro come ingegnere capo), l’altro ancora era un forestiero, qualifi-cato però per i progetti di rete idrica con telecontrollo. Gli importi delle opere erano quantificabili in alcuni miliardi di lire.

Riprendendo il filo del mio comizio, continuai con l’asserire che l’azione demolitrice della mia persona, messa in piedi dai “golpisti”, diffondendo veleni tra la gente, mettendo in giro la voce di sottofondi inquietanti ed interessi nascosti, ed il pontificare attraverso la cattedra di “tecnico”, ipoteticamente credibile quindi, indussero il Consiglio Comunale, il quale pertanto non aveva colpa alcuna perché ha agito in buona fede, a variare, per il ’95-’97, le priorità del Piano, già con me precedentemente concordate, in accoglimento delle proposte avanzate dal nuovo Assessore ai Lavori Pubblici. Continuai elencando le nuove priorità del Piano Triennale delle Opere Pubbliche ’95-’97 e facendo ri-saltare che l’unica opera che poteva essere finanziata, attraverso il bi-lancio della Regione, era per l’importo di poche centinaia di milioni e che, rispetto al Piano precedente (quattro, cinque opere per le quali po-ter chiedere il finanziamento su sette priorità), il rapporto era sceso ad una su sette, e ne illustrai le motivazioni che ostavano al finanziamen-to, nonché l’illogicità delle scelte operate alla luce di direttive regionali, di norme, di iniziative già intraprese. Misi in risalto che il danno arre-cato alle possibilità future di lavoro, per i giovani, era stato immenso in quanto non si può pensare di venire incontro ai disoccupati con i pochi soldi dei contributi regionali per gli interventi infrastrutturali annuali (Legge 1/79), ma che occorreva creare le premesse e le condizioni per realizzare opere utili per il paese, che richiedessero il lavoro di decine di operai, quindi opere di un importo alquanto consistente.
Mi soffermai, indi, sui progetti “incriminati” e declassati. Quello del-la “rete idrica con telecontrollo”, del quale ultimo strumento nessuno conosceva l’esistenza e l’importanza: di conseguenza, ne ho illustrato i vantaggi ed ho chiesto ai delatori come mai non avessero contestato anche il progetto per la “captazione della sorgente Tre Schicci”, nel quale, per imposizione del Parco dei Nebrodi, si era dovuto inserire il telecontrollo. Quest’ultimo, nel progetto della “rete idrica urbana”, era stato definito “inutile”. Doveva servire, secondo le voci fatte girare nel paese, solo a fare lievitare il finanziamento, dietro il quale ci sarebbero stati interessi occulti. Per quell’altro del “consolidamento a monte del paese”, che era un’eredità da me trovata, avevo il dovere morale di por-tarlo avanti sia per i pericoli incombenti su una zona a rischio del pae-se, sia per l’obbligo a me derivante, quale responsabile locale della “protezione civile”.

Tralascio di soffermarmi su altri argomenti trattati, importanti per quel periodo ma di minore entità: alcuni di questi tendevano a diffon-dere una cattiva luce sul mio comportamento in Comune. Erano pette-golezzi artatamente montati, che non meritano di essere ricordati. Così come non ritengo opportuno rammentare gli episodi, riferiti al com-portamento dell’allora Vice Sindaco nei miei confronti, che m’indussero a revocargli la nomina e che ho portato a conoscenza dei cittadini. Maggiori approfondimenti su quest’ultimo argomento, ai fini personalmente conoscitivi o di cultura storica, possono essere fatti at-traverso l’ascolto del nastro registrato del mio comizio.

Proseguendo nel discorso, misi in risalto che la crisi della Giunta non era imputabile alla mia persona e che la stessa andava risolta al più presto, altrimenti l’alternativa sarebbe stata la presenza di un Commis-sario e Longi sarebbe ripiombata nel buio attraverso l’azzeramento del lavoro fatto per risolvere i problemi che si erano affrontati. Lanciai, quindi, un appello a coloro che volessero costruire, escludendo i faci-norosi, i demolitori ad ogni costo, i portatori di interessi personali. Ap-pello, rivolto soprattutto all’unico partito strutturalmente esistente: il Partito Popolare Italiano. Col quale sarebbe stato possibile fare un ac-cordo preventivo sul programma da portare avanti e sull’ingresso in Giunta dei nuovi Assessori; un accordo che avrebbe potuto spostare l’asse della gestione politica longese al “Centro”.

Chiudendo il comizio, risposi, esponendo il mio convincimento, rela-tivo al ruolo ed alla personalità del Sindaco, invocati per il paese, alcu-ni giorni prima, da parte dell’ing. Z.: «se volete un Sindaco che non abbia il senso dello Stato, che non faccia rispettare e non rispetti doveri e diritti, che non dia dignità e prestigio a quella che è la carica di Ufficiale di Governo; che, anziché lavorare con proficuo impegno per il paese parecchie ore al giorno, passi il suo tempo in piazza a pettegolare o di fronte a qualche esercizio pubblico magari per essere verbalmente aggredito su fatti ed azioni compiuti o su problemi non potuti portare a soluzione; che non pretenda rispetto per il Gonfalone e per la bandiera italiana, che non metta in atto il cerimoniale, disciplinato dal buon senso o con atti scritti, nei rapporti tra istituzioni, nonché tra Stato e Chiesa e che, in rappresentanza della cittadinanza ed unitariamente ad essa, non partecipi col distintivo e con i segni identificativi d’uso in tali frangenti, a quelle cerimonie religiose, che rappresentano il momento di maggior giubilo ed importanza aggregativa in occasione di avveni-menti cittadini, nel rispetto dei diversi ruoli confluenti, quello civile che si affianca a quello religioso, per sottolineare l’unione della comunità attorno al particolare momento celebrativo. Se volete un Sindaco che abiti ogni giorno a Longi omettendo di poter utilizzare i tre giorni che sta a Palermo per il disbrigo delle pratiche correnti del Comune presso gli Assessorati ed Enti, laddove le porte mi si aprono senza il bisogno di essere accompagnato da qualche politico longese, che per me si vor-rebbe scomodare; che abbia soltanto competenza politica, e non anche conoscenza del mondo del lavoro e della pubblica amministrazione; che sappia dialogare con la gente che ha il solo interesse di far cortile, e non anche con i lavoratori, con gli artigiani, con i giovani, con le casa-linghe, con i rappresentanti delle istituzioni ai diversi livelli; ebbene, quel Sindaco non sono io!

Io ritengo che un uomo non possa abbandonare mai quella cultura che si è formata dopo trent’anni di esperienza sindacale. E fare sinda-cato significa vivere ogni giorno con i deboli e con i problemi del mon-do del lavoro: e lì non esistono né appartamenti reali, né troni, né esi-bizionismi oratori, ma il confronto-scontro con la dura realtà d’ogni giorno. Io, oggi, mi ritengo un ex dirigente sindacale prestato alla poli-tica per amministrare il suo paese d’origine, portandosi dietro il suo bagaglio di convinta democrazia, di giustizia sociale, di idee e di espe-rienze maturate nel difficile impatto con la complessità dei problemi dei lavoratori e con il duro confronto con la controparte. Solo che, es-sendo cambiato il ruolo ricoperto, debbo saper conciliare la disponibi-lità acquisita verso la gente con l’obbligo di assolvere i miei doveri di pubblico amministratore e di responsabile dell’Amministrazione co-munale. “C’è un modo nelle cose”, dicevano i latini, e questo detto va applicato anche a chiunque assolva il compito di Sindaco o di Ammini-stratore, per questo, di tanto in tanto, occorre sedersi in qualche sedia di rappresentanza o indossare la fascia tricolore. I “muri di Berlino” non fanno parte della mia cultura politica, così come non vi fanno par-te atteggiamenti di prosopopea: io, infatti, mi siedo a tavola di buon grado anche con gli allevatori e con i “mitateri”, come qualcuno li chiama, e con loro discuto volentieri su tutto, interessandomi anche ai loro problemi.
Se voi volete, invece, quel tipo di Sindaco che vi è stato descritto qualche settimana addietro, lo avete trovato: ha iniziato già la sua campagna elettorale da circa sei mesi, ma, purtroppo per lui, la legge ed il buon senso non ammettono che contemporaneamente ci siano due sindaci in carica. Dall’esterno dell’organismo istituzionale deve, pertanto, incominciare tutto daccapo per presentarsi a voi da semplice cittadino.

Amici, nell’autunno del ’93, mi sono presentato chiedendo un con-fronto politico serio e sereno. Così non è stato, mio malgrado. Odio le astiosità e le liti, ma a queste ultime vi sono stato costretto perché tra-scinato. Vorrei riprendere un dialogo di civiltà e di crescita sociale con tutti. Voglio mantenere l’impegno preso di mettere a disposizione del mio paese natio le mie modeste capacità e le mie energie. Per questo chiedo il vostro aiuto. Fate in modo che tutti quanti insieme superiamo la crisi amministrativa. Come sempre, viva Longi.»

Un comunicato del Partito Popolare Italiano di Longi, che è pubbli-cato in appendice, riassume il risultato dell’invito da me fatto di andare alla costituzione unitaria di un Esecutivo. Non dice, però, i motivi del mancato accordo. Non potevo stravolgere il mio programma politico, sul quale ero stato votato, né essere in minoranza in Giunta rinuncian-do ad uomini da me proposti e soprattutto a colui il quale mi era stato sempre vicino in tutte le traversie della gestione: Nino Carcione.

Dopo l’audizione presso il Co.Re.Co. di Messina sul ricorso da me presentato avverso la delibera del Consiglio Comunale d’indizione del referendum per la mia rimozione, in data 30 gennaio 1996, feci un co-municato alla cittadinanza, il cui testo potrà essere letto nell’appendice. Il Co.Re.Co. non solo m’impedì di esporre le mie ragioni e di confutare le tesi del Consiglio Comunale, ma, dopo la mia uscita dalla sala, l’audizione del Presidente del Consiglio, M., e del Capo gruppo, B., si limitò al tempo strettamente necessario perché io raggiungessi l’uscita sulla strada, in pratica pochissimi minuti. Ebbene, il testo del comunicato, poche copie affisse in paese, pervenne, nel giro di poco tempo, nelle mani del Presidente del Co.Re.Co, il quale, ritenendosi of-feso, conferì l’incarico ad un legale di procedere in via giudiziale. La vi-cenda si chiuse senza conseguenze, grazie all’intervento di un amico, ed alle scuse formali che ho dovuto inviare ai componenti dell’Organo di Controllo messinese.


A distanza di tempo, torno sull’argomento per riconfermare quanto da me scritto nel comunicato nella parte: “Tutto ciò dimostra chiara-mente che la decisione era già stata stabilita ancor prima di valutare la documentazione e di sentire le ragioni della parte offesa (il Sindaco)”. Dichiarazione, questa, che ovviamente non ero nelle condizioni di dimostrare, ma che trova riscontro però nel fatto che una copia del comunicato, affisso negli spazi comunali, fu divelta e recapitata all’Organo cui si riferiva. Da chi? Non certamente da me o dai miei As-sessori, bensì da chi aveva interesse a colpirmi ed era ben… accreditato presso il Co.Re.Co. Il quale, com’è noto, è composto da membri nomi-nati dai partiti. A buon intenditore, poche parole!
La sera del 4 febbraio del ’96 tenni in Piazza un comizio sui fatti in corso. Misi in risalto la mancata obiettività del Co.Re.Co. – con riferi-mento all’ingiusta e penalizzante decisione, non avendomi consentito di entrare nel merito delle motivazioni addotte nel mio ricorso, che re-spingevano come non vere le enunciazioni e le accuse del Consiglio Comunale – essendosi soffermato solo sulla legittimità della delibera consiliare.

«Occorre avere in mano documenti e prove» dichiarai «e non emette-re un giudizio sulla base di una dichiarazione non provata: falsa, quin-di, e bugiarda. … Stamperò alcune copie del mio ricorso con gli allegati di modo che tutti i cittadini le possano leggere per rendersi conto della verità.» Anticipando alcune smentite su determinati argomenti, esposi come, attraverso lo strumento del Piano Triennale delle Opere Pubbli-che 1994-96, sarebbe stato possibile dare quattro o cinque incarichi progettuali, mentre con quello del ’95-’97 il conferimento degli stessi si sarebbe limitato ad uno soltanto.

«Dopo la deliberazione del Co.Re.Co., la mia prima immediata rea-zione fu di dimettermi per mettere fine alla stagione di veleni, di insul-ti, di bugie, di insinuazioni ed alle intimidazioni ricevute e che voi tutti conoscete. A mente serena, però, spinto anche da mio figlio e da mia moglie, nonché da alcuni amici, che sono a conoscenza degli enormi sforzi e del notevole impegno profusi per affrontare e risolvere i pro-blemi del paese, è prevalso il “senso dello Stato”, come si suole dire, in pratica il senso del dovere nel continuare a servire il mio paese in que-sto momento delicatissimo di completamento degli atti, necessari per uscire dalla crisi in cui l’ho trovato. Un commissario pregiudicherebbe il risultato positivo, che s’intravede e che inseguo da due anni. Solo il Sindaco in carica, da longese, può essere l’interprete dell’interesse col-lettivo nel mandare avanti le pratiche intervenendo, laddove occorre, ai vari livelli, regionali, provinciali o anche nazionali. Mi sarei dimesso se il Consiglio Comunale fosse stato della mia stessa espressione politica. Ma gli otto consiglieri del C.D.U. (usciti dal P.P.I.) avevano preannun-ciato, dopo essersi insediati due anni addietro, che avrebbero chiesto il Referendum, ed in questi anni, tranne qualche isolato episodio d’interesse collettivo, non hanno fatto altro che ostacolare il mio lavoro e la mia gestione. Diversa è la posizione dei quattro consiglieri indipendenti che, seppure avversari, hanno avuto a cuore i problemi che interessavano il paese.
I Consiglieri del C.D.U., peraltro, hanno usato tutti i meccanismi del-la lotta politica, leciti e non, per farmi gettare la spugna, abusando an-che di apprezzamenti negativi e di parole pesanti sulla mia condotta politica. Mi hanno invitato pure a dimettermi dichiarando che anche loro lo avrebbero fatto. Le loro dimissioni non avrebbero arrecato al-cun danno al paese perché l’unico lavoro impegnato, che facevano e fanno, è quello di criticarmi in piazza ed attaccarmi nelle sedute consi-liari, laddove, talvolta, il Presidente del Consiglio non mi ha concesso la parola per intervenire, negandomi quindi un mio diritto-dovere, calpe-stando i principi della libertà e della democrazia; se mi fossi dimesso io, come poc’anzi ho detto, il paese avrebbe perduto i risultati da me conseguiti e quelli che sono in via di realizzazione. Restava loro, per-tanto, l’ultima arma, il Referendum, e l’hanno usata proditoriamente e vilmente costruendo un castello di menzogne. Se ne assumeranno le responsabilità, relativamente alle conseguenze che ne deriveranno, so-prattutto dal momento in cui sono stati usati da altri, ed ancora lo sa-ranno, quale “comodino” per mettere in piedi false accuse di “gravi inadempienze programmatiche del Sindaco”, da me sistematicamente e totalmente smontate punto per punto.


Potrei seguire un’altra strada. Quella di fare ricorso al T.A.R. e, se sa-rà il caso, al C.G.A. È una strada piena di incognite, che ci porterebbe ad avere la risposta non prima del mese di novembre, a meno di un an-no, quindi, dalla scadenza del mio mandato e di quello del Consiglio Comunale. Se, per quest’ultima data si dovessero fare le elezioni per il Referendum, potremmo correre il rischio che a sostituire me ed il Con-siglio verrebbe nominato, per quasi un anno, un Commissario. Fran-camente e responsabilmente non me la sento di far correre questo peri-colo al paese. Di conseguenza, consapevole della grande responsabilità che grava sulle mie spalle, ho deciso di non dimettermi, né di far ricor-so al T.A.R. Affronto, pertanto, l’incognita delle votazioni referendarie.»

Ho continuato con l’elencazione delle pratiche delicatissime, in corso di definizione, che, se abbandonate e non seguite, avrebbero fatto tor-nare indietro il paese di alcuni anni. Tra queste, il pagamento dei debiti per maggiore onere di espropri per un importo di circa un miliardo e mezzo (una volta fatta la transazione con i proprietari dei terreni, il Consiglio Comunale avrebbe dovuto adottare la delibera per il ricono-scimento dei debiti fuori bilancio ed autorizzare la contrazione del mu-tuo con la Cassa Depositi e Prestiti), l’appalto dei lavori per il progetto di captazione dell’acqua potabile dalla sorgente Tre Schicci, l’appalto dei lavori della rete fognante e del collettore, l’appalto per la Strada Vendipiano-Castaneto, il piano triennale delle Opere pubbliche ’96-’98 rapportato alle possibilità di finanziamento da parte dell’Europa con il progetto POP, il risanamento del bilancio per rientrare dei 260 milioni pagati per i contributi previdenziali arretrati, oggetto tra l’altro della ri-chiesta di dichiarazione di dissesto del 1994, com’è noto respinta; inol-tre, portare a finanziamento il progetto per la ristrutturazione del ser-batoio dell’acqua potabile alla S. Croce, della sorgente Filipelli e della relativa condotta, la rideterminazione della pianta organica alla luce delle esigenze odierne del Comune e dei carichi di lavoro, il bando per la costruzione e l’assegnazione delle case popolari. Tutte queste prati-che, per essere definite, avrebbero richiesto non meno di quattro, cin-que mesi di tempo. Dovevano essere definite, pertanto, entro il 30 giu-gno del ’96.

Dopo aver illustrato il meccanismo del voto e le determinazioni che lo avrebbero seguito, ho invitato i cittadini ad una profonda ed obietti-va riflessione giacché non era in gioco il destino politico o personale di ciascuno di noi amministratori, bensì quello più alto, più nobile e su-premo del paese di Longi.

Mi apprestavo, con animo sereno, ad attendere il Decreto Assessoria-le d’indizione delle votazioni, che prevedevo potessero essere razional-mente abbinate o alle elezioni politiche del 21 aprile o a quelle del 16 giugno per il rinnovo dell’Assemblea Regionale; e ciò, anche per un’economia, da parte del Comune, nell’organizzazione e nella relativa spesa se le due votazioni si fossero tenute in un’unica tornata elettorale. Ma non fu così. L’Assessore regionale agli Enti Locali firmò il suddetto decreto il 23 febbraio, fissando la consultazione per il successivo 31 marzo 1996.

Siffatta fretta, da me certamente non sollecitata, nello stabilire l’illogica data del 31 marzo poteva avere una sola chiave di lettura. Quella, vale a dire, che era stata ipotizzata la mia defenestrazione e, quindi, la possibilità di andare alle nuove votazioni nel giugno prossi-mo per gestire tutte quelle pratiche, che io avevo elencato nel comizio del 4 febbraio, e che sarebbero state servite su un piatto d’argento a chi ed a coloro che tanto avevano brigato per pervenire allo scontro refe-rendario. Ritenendo pilotati sia la decisione ingiusta del Co.Re.Co, i cui componenti, ripeto ancora, sono di nomina politica, sia l’affrettato provvedimento assessoriale, ed essendo spinto e sollecitato da parecchi cittadini di fare ricorso al TAR di Catania, ritenni più opportuno ri-mangiarmi la promessa fatta nel comizio e spiegare ai cittadini, tramite un comunicato, il motivo della mia decisione a resistere con l’adire la strada del TAR.


La notizia del mio ricorso frenò gli entusiasmi e l’arroganza degli av-versari, i quali reagirono con un volantino, ancora una volta anonimo, a firma di un sedicente “Comitato pro referendum”, consci che nessun intervento politico, questa volta, sarebbe stato possibile presso i giudici del Tribunale amministrativo, i quali avrebbero certamente emesso una sentenza con obiettività e con serena valutazione degli atti, rendendo giustizia a chi era nel giusto. Il TAR, infatti, accolse il mio ricorso ed emise una sentenza d’annullamento degli atti relativi alla proposta di mia rimozione.
Un mio comunicato, che si riproduce assieme agli altri precedente-mente citati, mise fine alla pretestuosa ed ingiusta montatura.

Le opere pubbliche ed interventi vari

Il Piano Triennale delle Opere Pubbliche è lo strumento principale, che consente all’Amministrazione Comunale in carica di attuare larga parte del proprio programma. La legge prevede un doppio passaggio per la sua esecutività: il primo, attraverso una delibera di Giunta Municipale, per proporre al Consiglio Comunale, in ordine cronologico e priorita-rio, l’elenco delle opere che s’intende realizzare; il secondo per l’approvazione definitiva del programma. La legge sottintende che ci sia una convergenza d’indirizzo politico tra Giunta e Consiglio. La qual cosa così non è stata nei quattro anni della mia gestione: infatti, come già detto, il Consiglio non era espressione politica della mia candidatu-ra – allora, come detto, la legge elettorale regionale lo consentiva – e per questo ci siamo trovati su posizioni contrapposte nella gestione del Comune. Guelfi e Ghibellini d’oggi, che si fronteggiavano ad armi im-pari, per cui a soccombere era sempre una parte: l’Esecutivo. In prati-ca, il legislatore – con miopia amministrativa e forse tecnico- giuridica – ebbe a prefigurare un Sindaco, cui la legge conferiva ampi poteri per una gestione monocratica, lasciando al Consiglio poteri di veto nel momento in cui bisognava passare sotto le sue forche caudine per ave-re i “soldini” ed il placet per realizzare i programmi.


Da quest’anomalia della legge regionale elettorale siciliana del 1993 è nata la stasi del Comune, nel settore delle opere pubbliche, e la feroce contrapposizione tra i due schieramenti avversi: Giunta e Consiglio.

Il tormentone ebbe inizio con la prima approvazione del Piano trien-nale delle Opere Pubbliche, nel maggio del 1994. Il documento, variato rispetto alle proposte deliberate dalla Giunta, a seguito di mio ricorso, fu bocciato dal Co.Re.Co. Centrale di Palermo. Successivamente, nell’ottobre dello stesso anno, fu approvato così come formulato dalla Giunta. La quale, nello stabilire le priorità delle opere da realizzare nei vari settori, tenne conto delle disponibilità economiche presenti nel bi-lancio della Regione, nonché dei programmi di finanziamento da parte della Comunità Europea: è stato un lavoro di paziente ricerca e di in-formazioni, da me portato avanti presso i vari Assessorati Regionali.
Considerato che l’esecutività della delibera di quel primo Piano in-tervenne solo verso la fine dell’anno, venne concordato con il Consiglio di riproporre, per il successivo anno, il medesimo documento di pro-grammazione. La Giunta, pertanto, provvide ad evadere la delibera per il Piano Triennale delle Opere Pubbliche ’95/’97 nella invariata formu-lazione precedente. Essa prevedeva al primo posto dei diversi settori: Acque e Fonti di energia: Acquedotto centro urbano con telecontrol-lo; Agricoltura: Rimboschimento a monte strada provinciale n. 157; Ambiente: Completamento rete fognante nelle frazioni e realizzazione collettore a valle del centro urbano; Difesa del suolo: Consolidamento versante nord centro urbano a protezione dell’abitato, della strada pro-vinciale e della strada comunale Longi-Cerimo – Mirzulera; Edilizia: Costruzione di n. 30 alloggi popolari; Impianti sportivi: Ampliamento campo sportivo; Viabilità: Arredo urbano di via Umberto I e Piazza degli Eroi.

L’ingresso in Giunta, però, dei nuovi Assessori, L. Z. e N. F., determinò quella crisi e quella rivoluzione di cui ho parlato precedentemente. Il Consiglio Comunale, fomentato da questi ultimi, rivide la propria posizione e, venendo meno ad un accordo in prece-denza intervenuto, dopo un sofferto e tormentato iter, evase il Piano ’95-’97 nel maggio del 1995. Queste le nuove priorità di settore. Acque e fonti d’energia: Manutenzione sorgente Filipelli e serbatoio S. Croce con condotta d’adduzione da sorgente a serbatoio; Agricoltura: Com-pletamento strada di p.a. Case Botti – Case Barillà42; Ambiente: rima-sto invariato rispetto alla proposta di G.M.; Difesa del suolo: Sistema-zione idraulica torrenti S.Croce – S. Maria43; Edilizia: Adeguamento edifici pubblici alle direttive CEE ecc.44; Impianti sportivi e ricreativi: Costruzione strada di accesso al Campo sportivo45; Viabilità: Costru-zione strada intercomunale Gazzana – S.Giorgio46.





  1. Doveva essere realizzata con i fondi del Comune in quanto non esisteva possibilità di avere finanziata la costruzione di strade (ndr).

  1. Non esisteva possibilità alcuna di finanziamento (ndr).

  1. Erano adempimenti di legge, che bisognava fare, senza poter chiedere finanziamenti, con i fondi propri dell’Ente (ndr).
  2. Era un pallino del Vice presidente del Consiglio, R. P.., in quanto portava in vita uno dei progetti del defunto cognato, ing. Calogero Sirna, già Assessore (ndr).
  3. Come detto, i Consiglieri erano a conoscenza che non esisteva la possibilità di ottene-re il finanziamento per la costruzione di nuove strade, pur tuttavia tolsero la proposta di Arredo della Via Umberto I e Piazza degli Eroi in quanto si era sparsa la voce che la Giunta intendeva affidare l’incarico progettuale all’Architetto B., ex mio Asses-sore. C’è da aggiungere che l’intervento sulle strade intercomunali era di competenza della Provincia Regionale, la quale, nel 1997, a seguito di mia richiesta, intervenne sulla strada indicata (ndr).
  4. Con la proposta della G.M., che rispecchiava il Piano Triennale del 1994, sarebbe esistita la possibilità di avere finanziate tutte e sette le opere, poste in posizione prioritaria. Naturalmente, sarebbero stati ne-cessari un consistente impegno e l’aiuto della fortuna. Finanziamenti che magari potevano intervenire nell’arco di due tre anni, se si fosse la-vorato bene. Con la delibera approvata, nel 1995, da parte del Consi-glio, le possibilità di finanziamento, invece, si riducevano a due soltan-to: all’intervento sulla sorgente di Filipelli e del serbatoio di S. Croce, nonché al completamento della rete fognante. Esiste in tutto questo stravolgimento di programma una minima logica politica d’opposizione al Sindaco, nel momento in cui sono stati calpestati gli interessi del paese, pur di fare, forse, gli interessi di altri? Proprio così: interessi di altri, dal momento che si pretendeva che io dessi gli incari-chi progettuali, col Fondo di Rotazione, ai tecnici locali, senza tenere conto della possibilità di finanziamento delle opere. S’intendeva, in pratica, gestire il detto Fondo con i metodi del passato utilizzandolo come cassa d’assistenza. Se lo avessi fatto, avrei tradito il principio del-la legge, che aveva istituito il Fondo di rotazione, oltre ad essere passi-bile di qualche denuncia penale per abuso o interesse privato o, addirit-tura, per peculato (chissà quali di questi si sarebbero inventati i miei cosiddetti “amici” alla luce del sole, ma “nemici” nell’ombra, pur di de-nunziarmi).


I motivi del contendere con l’ing. Z. e con l’avv. F., prima, e con i Consiglieri, poi, furono soprattutto per “l’acquedotto con telecon-trollo nel centro urbano” e per il “consolidamento del versante nord del centro urbano a protezione dell’abitato, della S.P. e della strada comu-nale Longi – Cerimo. Mirzulera” (per intenderci meglio, la strada è quella che va verso il Cimitero, laddove si sono verificate frequenti ca-dute di massi, che hanno sfiorato alcuni cittadini o causato incidenti).

Venendo al primo progetto, la rete idrica del paese era stracotta in quanto vecchia, tant’è che spesso aveva bisogno di interventi urgenti per guasti improvvisi, che non sempre si riuscivano ad individuare con immediatezza e con il pericolo, altresì, di inquinamento dell’acqua po-tabile, in quanto la rete è contigua a quella fognante, anch’essa oggetto di frequenti guasti. Il telecontrollo, poi, avrebbe consentito l’immediata individuazione di un possibile guasto, la razionale erogazione del liqui-do nei vari rioni, secondo le esigenze di stagione, la lettura del consu-mo effettivo dell’acqua di ciascun utente con immediata emissione del-la bolletta e con notevole risparmio di ore di lavoro da parte degli Uffici comunali. A ciò è da aggiungere che il Parco dei Nebrodi, per il proget-to dell’acquedotto esterno (tramite la captazione della sorgente Tre Schicci), aveva preteso l’installazione del telecontrollo: si sarebbe veri-ficata, cioè, la contraddizione che si sarebbe potuta controllare la conduttura esterna, mentre per quella interna le cose dovevano rimanere allo “statu quo ante”, cioè obsolete. Praticamente non si voleva accetta-re il progresso tecnologico, ad eccezione di quello imposto da organi esterni al Comune, ovviamente più lungimiranti. Tutta quest’impostazione era semplicemente balorda e fuori d’ogni logica, soprattutto quando siffatte indicazioni provengono da tecnici. Man-canza d’aggiornamento professionale e, quindi, arretratezza d’elaborazione progettuale. O semplice ostruzionismo? O, mi sia con-sentito, altri interessi nascosti?
Per il secondo progetto, invece, si è portata avanti la tesi che si trat-tava di un mega-progetto (oltre 4 miliardi di lire di finanziamento), im-possibile da realizzare. Inoltre, sostenevano i delatori, il paese abbiso-gnava di progetti di due, trecento milioni per far lavorare le imprese lo-cali. Anche questa è un’altra assurdità in quanto, di fronte alle effettive esigenze di opere al servizio del paese, viene meno qualsiasi diversa motivazione. E Longi aveva ed ha bisogno di quest’opera di protezione e di consolidamento poiché i rischi ed i pericoli, per il paese, sono no-tevoli. Tant’è che, dopo la bocciatura della proposta della Giunta, da parte del Consiglio Comunale, cercai di tutelarmi per non incorrere nelle responsabilità derivanti da un’eventuale omissione in presenza di un qualche evento disastroso per il paese. Non ci si dimentichi che il Sindaco pro-tempore è anche responsabile della protezione civile loca-le. Chiesi alla Provincia Regionale, e lo ottenni, un suo intervento tra-mite l’Assessorato Territorio ed Ambiente. Il geologo incaricato, dopo il sopralluogo, stese una relazione, laddove era messa in evidenza la peri-colosità di “alcune situazioni di dissesto e di latente instabilità”. Le zo-ne maggiormente interessate ai pericoli d’erosione e di frane sono quel-le del campo sportivo, del versante a monte del centro abitato, laddove, nel 1851, c’è stata la famosa e rovinosa frana, nonché del Rione Borgo. Il sopralluogo ha altresì evidenziato “la necessità di eseguire un attento studio geomorfologico e geognostico sulle condizioni di stabilità del versante sia a monte sia a valle del centro abitato, anche per valutare i diversi gradi di rischio, preventivare le tipologie d’intervento e stabilire il relativo ordine di priorità”. Ogni commento è superfluo! C’è altresì da aggiungere che una petizione, da parte di cittadini, per questa zona a rischio, era stata presentata, nel primo trimestre del ’95, e riproposta nel gennaio del ’97, con la quale venivano messi in risalto i danni e le lesioni già in corso e, consequenzialmente, si chiedeva al Sindaco di in-tervenire. Non c’è niente di peggio di coloro che fanno finta di non sen-tire e di non vedere quello che già, però, sanno, consapevoli di cono-scerlo.

Il detto documento venne da me inviato, per i relativi provvedimenti d’intervento, al Genio Civile di Messina, alla Protezione Civile di Roma, al Presidente della Regione, al Prefetto di Messina. La relazione è stata pubblicata su un opuscolo distribuito in paese e che qui in appresso viene riprodotto.
L’apice dell’assurdità e dell’incoerenza fu raggiunto, però, nel 1999, dall’Amministrazione che mi succedette, allorché nel Piano Triennale 1999-2001 fu inserito al primo posto del settore “difesa del suolo” il progetto “Consolidamento del centro urbano nella Via S. Croce, Piazza degli Eroi e contrada S. Maria”. Il quale non è altro che una parte di quello complessivo “Consolidamento versante nord centro urbano a protezione dell’abitato, della S.P e della strada comunale Longi-Cerimo-Mirzulera”, la cui priorità a me fu precedentemente negata dai Consiglieri di quella medesima espressione politica divenuta maggiori-taria, elaboratrice del Piano ’99-2001. L’incarico – mi è stato riferito – pare sia stato conferito al figlio (ingegnere) dell’Assessore ai LL.PP., ing. P., longese abitante a Messina; sarebbe stato corretto, a mio parere, affidarlo a quel progettista, a suo tempo contattato dal Sindaco, Franco Fabio, perché ne facesse uno stralcio dal “preliminare”, già in possesso del Comune.


Dopo l’approvazione del Piano 1995-’97, il Consiglio Comunale si astenne dall’adempiere, negli anni seguenti, a siffatto importantissimo dovere programmatico. L’Assessorato Regionale, da me opportunamen-te informato, non si peritò minimamente d’intervenire con la nomina di un commissario ad acta, che avesse, cioè, l’esclusivo compito di eva-dere i successivi Piani (’96 e ’97).

A conclusione dell’argomento, mi sia consentito mettere in risalto al-cune realizzazioni, che costituivano le annose aspirazioni dei longesi, perché conseguite tra le non indifferenti difficoltà frappostemi, sul pia-no politico e ricorrendo, nello stesso tempo, ad iniziative ostruzionisti-che: l’inizio dei lavori per la captazione dell’acqua potabile presso la lo-calità Tre Schicci ed il progetto per la strada di collegamento Case Bot-ti-Barillà, chiesta, quest’ultima, per circa trent’anni, dai braccianti fore-stali presso il cantiere di Barillà. Sono state delle opere che si sono do-vute scontrare con l’opposizione del Parco dei Nebrodi, ma che, alla fi-ne, è stata rimossa grazie alla mia tenacia ed a quella degli uomini del-la mia Amministrazione: un merito particolare, se non esclusivo, per la succitata strada, va al Vice Sindaco, Nino Carcione, che si è notevol-mente impegnato per dimostrare la fattibilità ai responsabili del Parco. Mi ha amareggiato, però, il fatto che la stessa non abbia potuto vedere la luce durante la mia gestione, la quale ne aveva completato tutti gli elaborati tecnici e le procedure amministrative. Anche qui mise lo zampino il Consiglio Comunale, che tardò ad approvare il Bilancio di previsione 1997, adempimento che dovette porre in essere a seguito della diffida da parte della Regione attraverso un Commissario ad acta. La strada, infatti, si sarebbe dovuta realizzare con i fondi comunali, che dovevano essere, pertanto, deliberati in bilancio.
La captazione dell’acqua potabile, il cui inizio lavori era stato da me annunziato, come data possibile, per i primi mesi del 1996 (dopo l’autorizzazione fattami rilasciare dal Genio Civile di Messina, in data 30/12/95, per l’anticipato inizio dei lavori), è stata rinviata a causa di iniziative ostruzionistiche poste in essere da vari soggetti, interessati acchè i lavori non fossero da me, bensì da loro, consegnati alla ditta aggiudicataria dell’appalto. Ultimo, in ordine cronologico, eclatante episodio fu quello del relativo annullamento del bando di gara d’appalto poiché il tecnico comunale, G. V., nella trascrizione del testo da pubblicare sulla Gazzetta Ufficiale della Regione, saltò, a piè pari, alcuni periodi o intere righe, che costituivano adempimenti cogenti per le ditte interessate ai lavori. La conseguenza fu che il Comune si dovet-te caricare di un onere diretto di circa 10 milioni per procedere alla rei-terazione della pubblicazione del bando, riveduto e corretto, sulla stampa regionale. Fu, questo, un errore voluto? Ritenni doveroso, in ogni caso, di inviare gli atti alla Procura della Corte dei Conti per il danno erariale procurato all’Ente.


Sarei incompleto nell’esposizione se non accennassi ad alcune opere che erano finanziate, sì, ma carenti in taluni aspetti.

La “piscina comunale”, il cui progettista era il geom. F., Sindaco a me subentrato, era priva, tra l’altro, di strada d’accesso. Per il suo in-serimento e costruzione, fu chiesto il relativo finanziamento di 50 mi-lioni al Comune, il quale, però, non poté reperire la somma necessaria, che peraltro doveva aggiungersi a quell’altra di oltre 30 milioni per la sua gestione annuale e manutenzione.

La strada “Vendipiano-Castaneto” stava per essere mandata in gara d’appalto, ma il Segretario Comunale scoprì che era senza visto di con-formità allo strumento urbanistico, che il tecnico comunale non rila-sciò, giacché il Piano regolatore aveva variato la zona del tratto d’inizio, da agricola ad insediamento urbanistico. Occorreva, quindi, procedere ad una variante del progetto, alla quale se ne aggiunse un’altra richiesta dalla Sopra Intendenza all’Ambiente. Altre difficoltà si assommarono tramite le pratiche del rinnovo del finanziamento da parte dell’ESA. Per completare il tutto, il progettista, malgrado sollecitato e diffidato, non si adoperò per la presentazione delle varianti. Ciò malgrado, comincia-vamo a prepararci a completare il tratto di strada, che dal Castaneto si sarebbe dovuta congiungere all’esistente strada S. Lorenzo-Iapichello, la quale, nel tempo, avrebbe potuto avere una sua naturale continua-zione verso il Passo della Stretta di Longi, per superarla ed allacciarsi allo scorrimento veloce che scende da Galati Mamertino verso il mare. Riuscimmo a realizzare quest’ultimo breve segmento di strada con i fondi del Comune.
Stessa sorte della precedente opera ebbe quella relativa al primo trat-to della “rete fognante e del collettore a valle del paese” – il cui finan-ziamento venne da me richiesto ed ottenuto nel luglio del 1995 – per-ché doveva essere apportata una variante al progetto a seguito di un ri-corso avanzato da alcuni cittadini relativamente all’occupazione di un terreno. Anche per quest’altra opera, le diffide ed i solleciti non sortiro-no alcun effetto nei confronti del progettista, che prendeva tempo, fa-cendone perdere di prezioso al Comune ed ai lavoratori disoccupati.

Il recupero delle “Case di Mangalavite” fu anch’esso per parecchio tempo bloccato dalla Sopra Intendenza ai beni ambientali e culturali, che non intendeva rilasciare un visto.

La costruzione di “30 alloggi popolari” non poté iniziare il proprio iter, al di fuori di un impegno di finanziamento da parte dell’Assessorato Regionale ai Lavori Pubblici, perché il Consiglio Co-munale non provvide mai – ogni volta trovava una scusante per rinviare ad altra seduta – ad approvare la delibera di assegnazione dell’area su cui sarebbero dovute sorgere le case.

Altri ostacoli si sono dovuti superare relativamente al finanziamento della “copertura del campo plurimo” e del “consolidamento delle Case Ferrante”; ma eravamo alla fine, quasi, della mia gestione, per cui fu la Giunta subentrante ad iniziare i lavori.

In previsione dell’arrivo dell’acqua potabile dalla sorgente Tre Schic-ci, cui si doveva collegare la rete idrica delle Contrade, realizzata nel 1995, affidammo l’incarico informale all’ing. M. L. per pre-disporre la progettazione di una vasca di decantazione (Imoff), in con-trada Liazzo, laddove scarica i liquami la rete fognante proveniente dal-le campagne. La quale, malgrado realizzata da diversi anni, non era stata collaudata poiché priva di vasca di decantazione; di conseguenza, i cittadini delle campagne non potevano allacciarsi alla rete idrica per-ché l’acqua utilizzata non poteva essere scaricata nella rete fognante. Ma i soliti problemi di bilancio – occorrevano circa 50 milioni dai fondi comunali – non ci consentirono di portare a compimento il progetto, anche perché eravamo già a fine mandato.

L’unico incarico che la Giunta fu in condizione di deliberare, certa di ottenere il finanziamento dell’opera, collocata al primo posto di settore nel Piano Triennale delle Opere Pubbliche ’95-’97, fu quello relativo alla “ristrutturazione del serbatoio d’acqua potabile alla S. Croce ed alla sorgente di Filipelli”. Ma fu respinto dal Co.Re.Co. di Messina in quan-to il tecnico comunale non rispose, entro i venti giorni previsti, alla ri-chiesta di chiarimenti sulla delibera della Giunta. La quale, non poten-do reiterare analogo atto deliberativo, decise di attendere l’approvazione del nuovo Piano ’96-’98; ma, come precedentemente det-to, il Consiglio non approvò mai i Piani Triennali, successivi a quello, per ultimo esitato ed esecutivo, del 1995. Analogo progetto, con qual-che aggiunta, fu deliberato dalla Giunta subentrante, ma con affida-mento d’incarico ad un tecnico diverso, che – per la cronaca – era an-che Sindaco d’Ucria. È il caso di chiosare: “dal collega di Longi, Sinda-co e Geometra, con amore… al più volte collega di Ucria, tecnico non longese…”.
Sul sopraddetto atto è d’obbligo una considerazione circa il relativo comportamento del tecnico comunale, durante la mia e sua presenza al Comune. Questi è stato oggetto di contestazioni, più di una volta, da parte degli Amministratori. Comportamento, considerati i due casi prima citati, che non fu certo di collaborazione con la Giunta in carica. Tutt’altro. Oltre tutto, non nascose mai la sua avversione politica nei miei confronti. Certo, un conto è dichiararsi avversario politico, un al-tro è quello di sostanziare siffatto ruolo all’interno dell’Amministrazione d’appartenenza, laddove occorre adempiere il proprio dovere, nolente o meno. Ho avuto, quindi, il fondato dubbio che questo dipendente lavorasse per “il re di Prussia” e che non fosse esente da iniziative ostruzionistiche, quale “longa manus” di coloro i quali avevano interessi perché l’Amministrazione, da me presieduta, fosse stoppata nel mandare avanti i propri programmi. Fui accusato di aver favorito la sua richiesta di distacco al Parco dei Nebrodi perché ebbi a privare il Comune di un’unità, “indispensabile” presso l’Ufficio Tecnico. Sono convinto, invece, di aver adottato un saggio provvedi-mento, evitando così al Comune ulteriori danni, considerata altresì l’inefficienza, la precarietà e l’accumularsi di pratiche inevase, in cui ebbi a trovare quell’Ufficio.


Un discorso a parte va fatto per la discarica dei rifiuti solidi urbani. Dopo pochi mesi dal mio insediamento, appresi che, assieme ad altri tredici Sindaci del comprensorio, ero stato denunziato perché la disca-rica dei rifiuti non era autorizzata dagli Organi preposti e, peraltro, in-quinava le acque del fiume Fitalia. Premetto che il sito era stato scelto dalle amministrazioni precedenti e che vi si conferiva la spazzatura del paese da un paio di decenni. Ma il WWF pensò che era venuto il mo-mento di incriminare i nuovi amministratori, da poco eletti. Diedi di-sposizione, quindi, al tecnico comunale di individuare un nuovo sito; mi fu risposto che non esisteva alcun posto dove si potesse realizzare la nuova discarica. Della situazione portai a conoscenza tutti gli organi possibili, dal Presidente della Repubblica al Ministro della Sanità, dal Presidente della Regione a quello della Provincia, nonché alla Procura della Repubblica. Nessuno si fece vivo. A questo punto, personalmente ed assieme all’Assessore Carcione, incominciammo a battere a tappeto tutto il territorio. Riuscimmo ad individuare una zona idonea, abban-donata, di circa due ettari in contrada Gazzana, laddove sarebbe stato possibile far sorgere un impianto di riciclaccio e di incenerimento dei rifiuti, che poteva servire addirittura i paesi dell’apposito nascituro Consorzio. L’impianto, a parere dei tecnici, non avrebbe inquinato la circostante area, considerate le più avanzate tecnologie che, a tal pro-posito, sarebbero state adottate ed insediate; nello stesso tempo, avreb-be offerto lavoro stabile a circa trenta persone. Ovviamente, fu messa in piedi un’azione di protesta attraverso la raccolta di firme tra cittadi-ni che si dichiaravano contrari alla creazione della mini-industria – a dir loro, inquinante – in quella zona adiacente al Parco dei Nebrodi. In-vitai, allora, i cittadini a segnalarmi un sito alternativo. Nessuno si fece avanti.

Dopo qualche periodo, la Guardia Forestale ebbe l’ordine di seque-strare la discarica esistente, con conseguente altra denuncia penale a mio carico. Costretti a scartare altri siti perché poco idonei o in area protetta da vincoli ambientali, arrivammo dopo tante traversie ad indi-viduare un’area, in contrada Gazzana, al confine con il territorio rica-dente all’interno del Parco dei Nebrodi, ma al di fuori dello stesso, di proprietà comunale. Fu merito del tecnico comunale Ottavio Pidalà, il quale, leggendo attentamente e con la lente d’ingrandimento la cartina topografica della zona, mi mise nella condizione di insistere che era-vamo fuori Parco. Il geometra Pidalà fu oggetto di un mio “encomio so-lenne” in una pubblica seduta di Consiglio Comunale. Superammo gli ulteriori, intuibili, ostacoli di natura ambientale, e demmo al paese la sua discarica dei r.s.u.. Ma non finì qui, poiché il solito cittadino “scon-tento” mi denunziò perché “avrei dato la possibilità ad alcuni di attiz-zare il fuoco alla discarica”, con conseguente inquinamento dell’aria. Altra denunzia penale per il sottoscritto.


Nel tema dei lavori pubblici, pur essendo opere d’arte, potrebbero rientrare i “Murales” presso la strada provinciale in contrada Castiglio-ne, anche se non fanno parte delle realizzazioni di pubblica utilità. So-no stati dipinti, con professionalità e con amore, da artisti longesi e non longesi. Essi costituiscono un patrimonio artistico che valorizza il paese anche dal punto di vista paesaggistico e, perché no, turistico. Sa-rebbe opportuno, quindi, un intervento per la loro conservazione giac-ché le intemperie ne stanno deteriorando la bellezza dei colori e dei soggetti ritratti.

Sarei incompleto se non riferissi di un mio intervento in occasione della riunione dei Sindaci per la formulazione del Piano Territoriale Provinciale, che tramutai in richiesta scritta alla stessa Provincia Re-gionale di Messina. Tra le opere prioritarie da realizzare, ebbi a segna-lare: la costruzione della strada di collegamento con lo scorrimento veloce Galati Mamertino – Rocca di Caprileone, con inizio dall’esistente strada di penetrazione agricola in Contrada Castiglione del Comune di Longi, cui si sarebbe dovuta allacciare quella costruenda, Vendipiano-Castaneto; gli scavi archeologici in Contrada S. Fantino, laddove esiste-va l’antica e nota Crasto (successivi studi ed approfondimenti dimo-strarono che trattatasi di Demenna e non di Crastos); l’acquisizione del Castello Ducale per destinarlo a Museo Etno-Antropologico, Galleria d’arte, Centro di cultura, nonché sede di rappresentanza dell’Amministrazione Comunale; la conservazione e la protezione dei Murales con rivestimento in pietra viva del circostante muro in cemen-to. Il Piano Territoriale Provinciale non vide la luce sino alla data della mia presenza presso il Comune; né seppi, in seguito, che fine abbia fat-to.

Per la strada di collegamento veloce “Monti-Mare”, segnalata al pri-mo posto alla Provincia, occorre dire che il relativo progetto, esistente presso il Comune, fu restituito al tecnico, dal Commissario Caiola, giacché era prevista una spesa di circa 70 miliardi: impossibile, per il nostro piccolo centro, potere ottenere un simile finanziamento. Ogni discorso, per la sua realizzazione, sarebbe stato inutile per una serie di motivi, tra i quali lo sbarramento al relativo finanziamento da parte della Regione, che, per le strade extraurbane, nel proprio bilancio ha messo zero lire, nonché l’opposizione che sarebbe stata messa in piedi dagli ambientalisti nel momento in cui si sarebbe dovuta attraversare la “Stretta di Longi”. Quest’ultimo ostacolo, forse, si sarebbe potuto ag-girare con l’attraversamento del sito in galleria, per il quale, però, sa-rebbe occorsa un’ingente somma, oppure con un ponte di legno sospe-so sulla Stretta, costruito in maniera e forme tali da poter creare il mi-nore impatto ambientale possibile. Un ponte, cioè, che diventasse un tutt’uno armonico con il paesaggio, su cui si sarebbe dovuto adagiare. Un’opera d’alta creatività e sicurezza strutturali. Oggi, anno 2000, l’unica possibilità per ottenere il finanziamento proviene dai program-mi europei (vedi Agenda 2000, inesistente sino al 1997), anche se l’inserimento in essi e l’istruzione della pratica presentano complesse difficoltà e notevolissimo impegno per seguirne l’iter, a livello regionale soprattutto.

La complessa vicenda delle opere pubbliche finanziate, che non han-no potuto vedere l’inizio dei lavori durante la mia gestione, è in larga parte acquisibile, sotto l’aspetto cognitivo, attraverso le varie note e pubblicazioni allegate a questo lavoro.

Il Piano Regolatore Generale, adottato dal Commissario, dr. Caiola, ma già redatto negli anni decorsi, per potere diventare operativo ha do-vuto affrontare un tragitto lungo quattro anni, in quanto il C.R.U. dell’Assessorato Regionale Territorio ed Ambiente fece decorrere i termini di 180 giorni, prolungati di altri 90, entro i quali l’avrebbe dovuto approvare. Proposi allora al Consiglio Comunale, alla luce delle norme in materia, di dichiarare operativo il Piano. I Consiglieri si convinsero ed approvarono la delibera. A questo punto, s’innestò un braccio di fer-ro con l’Assessorato con conseguenti diffide da parte dello stesso, ri-chiesta di pareri legali ed altre delibere del Consiglio, per cui i tempi si protrassero per altri due anni. Alla fine il P.R.G. fu approvato, in peggio mi è stato detto, e modificato in larga parte. Certo, una variante, che tenga conto delle esigenze edilizie e per lo sviluppo economico del pae-se, tra un paio d’anni, andrà fatta, in maniera razionale ed organica.
Sogni rimasti nel cassetto? Sì, tanti. Tra questi, la realizzazione di una vera Villa Comunale, fruibile da tutti, in contrada Giardino, il re-cupero del centro storico adiacente al Castello Medioevale, l’arredo ur-bano di Piazza degli Eroi, comprensivo del restauro del Monumento ai Caduti, il cui incarico progettuale avevo già affidato ad un architetto longese, l’arredo urbano della Piazza e della Via Umberto I con rifaci-mento della pavimentazione e revisione delle opere di urbanizzazione sottostanti (progetto ripreso, in dimensioni ridotte, dalla successiva Amministrazione e realizzato attraverso un mutuo con la Cassa Deposi-ti e Prestiti, pur rientrando tra i pochi progetti che la Regione finanzia-va), l’ampliamento organico e definitivo del Cimitero verso Cerimo, at-tuabile per mezzo di un mutuo di un miliardo e duecento milioni di lire da me richiesto ed avuto dalla Cassa Depositi e Prestiti (l’importo dalla subentrante Amministrazione fu parcellizzato in diversi interventi a di-scapito dell’area cimiteriale da allargare), la rete di distribuzione del gas metano, il cui programma non decollò in quanto sarebbe occorsa una delibera del C.C. per la stesura del contratto con l’Agip-gas (consi-derati i rapporti esistenti, non mi sono sognato ad accennarne per non andare incontro ad un ulteriore rifiuto), la ristrutturazione della Chiesa del Cimitero, il Monumento agli Emigranti longesi, il Museo Etno-Antropologico, l’acquisto del Castello, il recupero del Centro storico, adiacente il Castello medioevale.


Un’altra grossa iniziativa che intrapresi fu quella della costituzione di un consorzio della Valle del Fitalia, che potesse sfruttare le possibilità di finanziamenti previsti dal Leader II della Comunità Europea: la riu-nione si tenne il 24 settembre del 1994, presso l’aula consiliare del Co-mune di Longi, e vide la partecipazione dei Sindaci, o loro rappresen-tanti, di Galati Mamertino, Frazzanò, Mirto, Caprileone, Capo d’Orlando, San Salvatore di Fitalia, Castell’Umberto. All’incontro ebbe a partecipare il Presidente del Centro di Ricerche Economiche e Sociali per il Mezzogiorno, che doveva seguirci, consigliarci, mettere in piedi quei programmi che potessero avere la possibilità di essere finanziati. Il documento, qui pubblicato, ne illustra l’importanza di quell’Organismo consortile. L’iniziativa, purtroppo, non poté andare avanti perché il Parco dei Nebrodi ne prese una analoga, coinvolgendo tutti i Comuni facentivi parte, i quali, non sborsando una lira, ovvia-mente, confluirono verso quest’ultima. Seppi, poi, che il Leader II del Parco dei Nebrodi non fu prescelto tra quei progetti ammessi al finan-ziamento.
L’estate longese del 1995 fu tra le più interessanti e ricche di manife-stazioni. Vi parteciparono tre associazioni locali, le quali misero in pie-di iniziative, che ebbero un convinto accoglimento da parte dei longesi e degli ospiti estivi. Fu in quell’occasione che si poterono realizzare, tra l’altro, i Murales sulla S.S. 157, una mostra fotografica su aspetti pae-saggistici del paese ed una di fossili. In quello stesso anno, feci richie-sta all’Assessorato Regionale del Turismo di finanziamento della mani-festazione per l’ “Elezione della Lady del Parco dei Nebrodi”, da tenere presso il Belvedere Serro. Mi fu risposto che “a causa di difficoltà d’ordine procedurale e contabile insorte nell’esercizio finanziario 1995”, l’Assessorato “non ha potuto dare esecuzione ad alcuno dei provvedimenti previsti nel settore delle manifestazioni turistiche”. Con buona pace del Comune di Longi, per allora e per gli anni futuri.

Nella mia agenda della programmazione sono rimasti, quali sognanti appunti, alcune iniziative, che avevo in animo di proporre e cercare di realizzare.

Continuando nell’amara enumerazione di cose non potute conferire al paese, non posso non mettere in risalto il fatto che non esiste, tra i cittadini, il senso della memoria storica rivolto a coloro i quali hanno dato lustro al paese. Per fortuna, qualche pubblicazione, opera di cul-tori locali della storiografia longese, ne ricorda le gesta. Alcuni tra que-sti meriterebbero, però, un’evocazione tangibile e, direi, eterna, attra-verso l’intestazione di strade e piazze alla loro memoria. Senza scende-re nei particolari, in quanto i loro meriti sono noti ai più, voglio qui ri-cordare: la Duchessa D’Ossada Zumbo, donatrice di gran parte dei suoi beni al Comune, anche se quest’ultimo non si adoperò per rispettare la sua volontà, il Prof. Antonino Ciminata, Chirurgo di fama nazionale ed autore di trattati di Chirurgia, il generale Francesco ed il colonnello Franz Zingales, pluridecorati al Valore Militare, l’imprenditore Antoni-no Scurria, il più noto tra gli emigranti longesi, ed infine, ma primo per le sue doti di santità, di capacità intellettive e culturali, il padre dome-nicano Tommaso Landi, cui andrebbe dedicata la piazza principale.

Altre annotazioni erano quelle di ristrutturare il Casolare di Ferrante, donato dal Duca d’Ossada, per realizzarne un Ostello della Gioventù, e di recuperare le Case di Mangalavite per farne un posto di ristoro da af-fidare in gestione ad una cooperativa di giovani. Alla quale si sarebbe potuta conferire anche la gestione del Bosco Soprano, cui affiancare il rimboschimento dei terreni comunali di Petrusa, per la coltivazione in-tensiva, attraverso impianti d’irrigazione, di funghi porcini ed ovoli da conferire ad un’abbinata industria conserviera, realizzata in loco e ge-stita dai giovani longesi.
Impresa titanica, perché non priva di veti e di resistenze, sarebbe sta-ta quella di acquisire al patrimonio comunale sia il Castello Ducale, sia la Chiesa di S. Salvatore. Quest’ultima, mal ridotta e destinata, dal Par-roco, ad essere ristrutturata con copertura fissa del tetto, perdendo quindi tutta la sua bellezza ed interesse architettonico durante le rap-presentazioni estive, avrebbe dovuto conservare intatta la sua attuale struttura, dotandola di una copertura mobile e di una serie di soppalchi armonizzati con l’ambiente, in modo di allargare la capienza degli spet-tatori. Una struttura, di cui si sente la mancanza, da utilizzare in estate ed in inverno per tutte le manifestazioni e gli incontri collettivi cittadi-ni.


Ultimo rammarico è quello di non avere potuto realizzare un Monu-mento all’Emigrante Longese, il cui desiderio era stato espresso dagli americani, venuti in visita al loro paese d’origine.

Le inadempienze del Consiglio Comunale ed i rapporti con l’esecutivo

Non furono certamente idilliaci i rapporti tra l’Esecutivo ed il Consiglio Comunale, com’è chiaramente desumibile dalla narrazione dei fatti precedentemente descritti.

Interrogazioni, interpellanze, bocciatura delle proposte di Giunta al Consiglio, scontri in aula, cattiverie, diniego di concessione della parola al sottoscritto durante il dibattito propedeutico all’approvazione di de-libere, la guerra del referendum costellarono il cammino politico di quattro anni di non pacifica convivenza amministrativa.

Nonostante gli appelli, gli inviti alla collaborazione – ne sono prove alcune mie relazioni semestrali, un mio comizio e la lettera di risposta, qui pubblicata, a quella inviatami dal segretario della locale sezione del P.P.I., Fabio Antonino – i tentativi non sortirono alcunché di positivo. Subito dopo questa lettera, anzi, furono avviati i preparativi per la mia rimozione attraverso il referendum.

Il dopo referendum continuò nel clima di ostilità, del quale sono uno spaccato alcuni documenti del 1996, riprodotti in seguito, cui aggiungo la mia relazione semestrale al Consiglio Comunale del 30-7-96, che pe-rò non presentai per una sorta di opportunità politica, ma che è neces-sario far conoscere adesso per inquadrare meglio l’aria che allora si re-spirava.

In quell’atmosfera di veleni e di pesantezza, che si era venuta a crea-re, innanzi al comportamento del Consiglio, il sottoscritto fu spesso costretto a protestare abbandonando talvolta le sedute dello stesso o ad-dirittura non partecipando a parecchie di loro.
L’anno 1997 vede un disimpegno quasi totale, manifestato attraverso azioni e comportamenti ostruzionistici, da parte del Consiglio, il quale, con la scusante del rinvio dell’argomento, non provvide ad adempiere i suoi doveri di approvazione degli atti più importanti della vita ammini-strativa dell’Ente, così come è possibile acquisire attraverso la lettura dei documenti pubblicati in calce.

Il conflitto permanente e continuo tra la Giunta o, meglio, tra il sot-toscritto ed il Consiglio ha paralizzato, di fatto, l’attività dell’Esecutivo nell’azione propositiva e nel settore dei lavori pubblici. Sembrava tro-varsi in un campo di battaglia, in cui gli opposti schieramenti si logo-ravano a vicenda con azioni di guerriglia e di decimazione delle scorte per la sussistenza, mentre il paese restava ostaggio e vittima di truppe mercenarie al servizio dell’opportunismo e del tornaconto politico. Per costoro, prima veniva l’interesse dello schieramento politico, del quale facevano parte, e poi quello della comunità, malgrado si riempissero la bocca nel professare amore verso il paese ed i suoi cittadini: stucchevo-le retorica accompagnata da affettata riverenza verso il popolo sovrano. Il quale, però, non sapeva e, pur non sapendo, ha dovuto o voluto giu-dicare incappando in un grosso incidente di percorso o, direi meglio, in un’imboscata con tutte le conseguenze nefaste che questa si porta die-tro.


Il compito degli Amministratori, purtroppo, è stato quello di difen-dersi per respingere gli assalti senza potersi dedicare, quindi, al lavoro che un’Amministrazione “normale” avrebbe dovuto portare avanti. Quella di Longi, del periodo ’93-’97, è stata un’Amministrazione ano-mala, a causa di una sbagliata legge elettorale regionale, e nulla è stato fatto, da chi aveva il coltello dalla parte del manico, per attutirne gli ef-fetti. Tutt’altro, è stato tutto ingigantito ricorrendo alle menzogne, alle delazioni, all’ostruzionismo, alla violenza di atti e di comportamenti. C’era chi costruiva e chi, contemporaneamente, demoliva; chi predica-va la pace e l’unità di intenti, perché vi credeva, forse ingenuamente, per far uscire il paese dai danni itineranti, e chi, invece, la notte studia-va i piani per il conflitto dell’indomani.

I risultati positivi – e sono consistenti – la Giunta li ha potuti conse-guire quando non doveva passare dalle forche caudine del Consiglio, ma nel momento in cui si è trattato di programmare il futuro, che do-veva essere deciso, “ope legis”, dal Consiglio Comunale, le speranze del paese sono cadute sul terreno del fuoco incrociato, alimentato dalle armi ostruzionistiche, di diniego e demolitrici, dei Consiglieri.

Chissà se il rimorso della coscienza è un sentimento conflittuale che investe gli uomini onesti e retti oppure riesce a scalfire anche quelli diseducati a quei principi, in cui credono gli uomini giusti. A ciascuno il proprio esame di coscienza!
Il lavoro che non c’è

Per favore, tolga i nostri figli dai bar”.

Così stava scritto in una scheda dell’indagine conoscitiva, finalizzata a “sviluppo e occupazione”, da me proposta durante la campagna elet-torale del 1993, e che mi fu restituita assieme ad altre, che ho conserva-to. Mi piace rammentare alcune indicazioni, le più espressive, avanzate spontaneamente da semplici cittadini. Eccole: “Costruzione di par-cheggi, di case popolari, della strada mare-monti, della strada Portella Gazzana-Alcara li Fusi, della palestra e della piscina, approvazione del Piano Regolatore che ‘da vent’anni si tiene sotto il banco’, valorizzazio-ne delle frazioni invogliando a ristrutturare le case per abitarle, indivi-duazione di una zona per costruire 20, 30 villette per fare arrivare gen-te forestiera”.

Le proposte continuavano con la realizzazione di una “fabbrica di ve-tro soffiato, di ceramica e di oggetti di artigianato locale, quali ‘cestini e panieri, sgabelli di felle, cioè i fillizzi; inoltre, coltivazione, raccolta e conservazione di funghi, di castagne e nocciole, nonché istruire i gio-vani alla ricerca di erbe medicinali e di spezie da immettere sul merca-to”. Ed ancora, fu proposta la creazione di un “museo Etno-Antropologico laddove esiste l’asilo nido abbandonato, la creazione di centri socio-culturali e sportivi, per i ragazzi, e sociali, per gli anziani; lo sfruttamento del sughero del bosco a fini commerciali; favorire la produzione casearia e la coltura del fico d’India attraverso la costitu-zione di una cooperativa gestita dal Comune”. Parecchi, poi, si sono soffermati sulla disfunzione dei servizi e degli uffici comunali; altri an-cora si sono espressi con un richiamo alla “trasparenza ed all’onestà”. Tutti concordavano con la proposta della realizzazione di un polo turi-stico, dell’insediamento di strutture per la valorizzazione e la commer-cializzazione dei nostri prodotti tipici, agricoli e zootecnici e sul pro-getto per la nascita di un artigianato locale, che producesse oggetti per il turismo o l’esportazione.


Infine, una lettera, inviatami dagli alunni della 2° A per l’ambiente, della locale Scuola Media, diceva, tra l’altro, “speriamo che i suoi pro-getti non siano falsi come quelli degli ex Sindaci che hanno ammini-strato (per modo di dire) Longi, che ora economicamente è a terra. A noi è piaciuto molto il suo programma riguardante e l’ambiente e l’agriturismo…”.

Alcune schede – non so quante – vennero sottratte da ragazzi, ovvia-mente mandati, nella scatola che le conteneva e laddove i proponenti le avevano immesse per essere da me ritirate. Peccato!
Ebbene, alcune delle suddette proposte attengono all’iniziativa priva-ta, quindi l’Ente comunale poco può e poteva fare, se non proporle; al-tre, invece, erano di pertinenza dell’Amministrazione comunale. La quale, come già detto, purtroppo, è stata indotta ad impegnarsi nelle “liti” con gli avversari ed è stata bloccata dall’opposizione perseguita dal Consiglio Comunale. Quest’ultimo, infatti, come già illustrato, boc-ciava sistematicamente tutte le proposte innovative della Giunta, come, ad esempio, l’istituzione del premio “La Spiga d’oro”, proposto per onorare i cittadini più meritevoli o che avessero arrecato lustro al pae-se.

Pur tuttavia, nei quattro anni di gestione, dal ’94 al ’97, sono stati spesi, dal bilancio comunale, per lavori vari nel paese, ben 2.547.332.945 di lire, che, in larga parte, sono andate nelle tasche dei lavoratori e delle ditte artigiane. Somma, questa, che, aggiunta a quell’altra derivante dalle giornate fatte da alcuni manovali alle dipen-denze delle ditte, che hanno eseguito i lavori pubblici in appalto, va a formare un discreto gruzzolo che è entrato nelle famiglie dei longesi. Posso anche affermare che si è raggiunta la piena occupazione, se così è possibile definire le prestazioni a tempo determinato, tramite l’avviamento, ai bacini di lavoro della forestale, di tutti i braccianti iscritti nei relativi elenchi al Collocamento. In quest’ultimo settore, massimo è stato il mio impegno, a me congeniale alla luce della tren-tennale esperienza di sindacalista. Diversi e reiterati sono stati i miei interventi presso gli Ispettorati della Forestale di Messina e di Catania, nonché presso l’Assessorato Regionale all’Agricoltura e Foreste, innu-merevoli i miei messaggi scritti inviati a questi Organi, gli incontri con i responsabili dei suddetti uffici, alla presenza anche di rappresentanti dei lavoratori, con relative liti e minacce di denunce da parte mia. Compiti, tutti, che non mi spettavano istituzionalmente, ma che, solle-citato da parte dei lavoratori, poiché non si sentivano tutelati dalle Or-ganizzazioni Sindacali, ben volentieri e per solidarietà con loro mi de-cisi ad assolvere: erano, d’altronde, un ruolo ed un lavoro che conosce-vo abbastanza bene.

La protesta del 1997, da parte dei forestali longesi, fu la più lunga, la più accesa e la più drammatica, sino a sfociare nello sciopero del 18 lu-glio. Sciopero, che fu da me stesso sollecitato e consigliato, durante il quale si pervenne all’occupazione della Sala consiliare ed al blocco stradale, che però fu tolto a seguito dell’intervento delle forze dell’ordine. Le quali, in verità, si dimostrarono, nel frangente, abba-stanza comprensive evitando di procedere a denunce contro i lavorato-ri, a seguito dell’impegno da me assunto di dissuaderli dal porre in es-sere talune iniziative illegali. La ferma protesta ci portò ad un incontro con l’Assessore regionale all’Agricoltura e Foreste, il quale, dopo aver ascoltato la mia illustrazione della vicenda e le richieste consequenzia-li, ebbe ad assicurare il suo personale interessamento. L’incontro, per la verità, vide presente anche il geom. N. F., essendone stato il promotore tramite i suoi riferimenti politici. Alla fine della riunione, fu concordato il testo di un fonogramma, indirizzato al sindaco di Longi, per la stesura del quale venni io stesso incaricato dall’Assessore; l’originale, però, che pervenne al Comune, vedeva in indirizzo non più il Sindaco, ma il Consiglio Comunale, dello stesso colore politico del geom. F. e dell’Assessore mittente. Il Consiglio, in tutta la vicenda, non c’entrava alcunché. Si cominciavano a delineare gli scontri per le imminenti elezioni amministrative. Tant’è che il geom. F. si arrogò tutto il vanto di avere sbloccato la situazione. Il lavoro intenso, da me svolto, e la dedizione totale al servizio dei braccianti agricoli furono bruciati da quel fonogramma, malgrado gli stessi interessati fossero a conoscenza di tutto quanto era stato fatto da me personalmente e dal Vicesindaco Carcione, e da un successivo comizio, da parte del suddet-to Assessore Regionale, a chiusura della campagna elettorale. Lavora-rono tutti, quell’anno, alla Forestale, come gli altri anni passati, ma, sconsideratamente e misconoscendo le tante cose per loro portate avanti – mi permetto rammentare la Strada Botti-Barrilà, che avrebbe consentito loro di rientrare ogni sera a casa e di non fare il lungo giro, attraverso la strada per Catania, per raggiungere il cantiere di Barillà – mi voltarono le spalle dal punto di vista del consenso elettorale. Ingra-ti? Forse è un modo di comportarsi, tipico di alcuni longesi: i diversi casi di ingratitudine, in cui sono incappato, a seguito di grossi benefici da alcuni soggetti ricevuti, per il mio tramite, mi consentono siffatta dichiarazione. Dolorosa ed amara per chi ama il proprio paese natio!
Qui appresso è possibile venire a conoscenza di alcuni documenti, che fanno parte della numerosa produzione di atti in questo settore, durante la mia gestione.

Da queste annotazioni sull’argomento, emerge quanto è stato possi-bile fare in favore dei lavoratori longesi. Le possibilità occupazionali dei Comuni sono limitate; la piena occupazione dipende da fattori che trascendono il ruolo dell’Ente comunale e che attiene ad una moltepli-cità di convergenze economiche, che riguardano l’azione della Regione, dello Stato ed anche dei privati industriali, che devono essere messi, però, nelle condizioni ottimali di produrre e, quindi, di erogare lavoro.

Per la prima volta, a Longi, ebbi a stabilire un metodo di trasparenza e di rotazione nell’affidamento dei lavori: non più solo agli amici del Sindaco, come s’usava per il passato, ma a rotazione tra tutti gli arti-giani. Sorteggio dei nominativi per l’incarico di direzione dei lavori dei cantieri, sorteggio anche per la raccolta della legna presso il bosco co-munale, rispetto dell’entrata in protocollo delle richieste, e così via.
Tutto ciò significava applicare principi di giustizia sociale, concetto prima sconosciuto a taluni longesi. Ma, da quanto ebbi ad apprendere, questo metodo non sempre e non da tutti è stato bene accetto. E sarà vero. Perché le molteplici promesse fatte da qualche mio avversario po-litico, durante la campagna elettorale, portarono parecchia gente sulle sponde della vecchia “ingiustizia sociale” e della discriminazione tra pari concorrenti o aventi diritto: allocchi che caddero nella trappola te-sa perché molte promesse non potevano essere mantenute. Infatti, non furono onorate!





La (mancata) riforma del comune

Com’ebbi a dire prima, alcune richieste, che mi pervennero, riguarda-vano il funzionamento degli uffici comunali. Misi in piedi, pertanto, al-cune iniziative arrivando a minacciare anche provvedimenti disciplina-ri nei confronti dei renitenti; talvolta, gli ordini di servizio e le disposi-zioni arrivarono a buon fine, tal altra no. Troppe incrostazioni mentali e mancanza di strumenti amministrativi m’impedivano di andare avan-ti. Dopo le notevoli difficoltà incontrate nel fare funzionare la macchi-na burocratica e dopo aver studiato a fondo il relativo meccanismo, configurai un’ipotesi di riforma della pianta organica del Comune, che avrebbe rivoluzionato l’esistente, ma che non potei presentare, per l’approvazione, al Consiglio Comunale perché, “more solito”, l’avrebbe bocciata. La consegnai in Segreteria, una volta esaurito il mio manda-to. Ma seppi che l’Amministrazione a me subentrata non ne tenne al-cun conto. La mia proposta di nuova Pianta Organica prevedeva la soppressione dei sei settori su cui si articolava la struttura municipale (al coordinamento dei quali, talora, c’era un capo che comandava se stesso) e la contemporanea ristrutturazione in tre soli settori: ammini-strativo, tecnico e finanziario-contabile. A capo di ciascuno di questi sarebbe dovuto esserci un responsabile in possesso di laurea, il cui cor-so di studi doveva essere attinente al settore da gestire. Inoltre, il setto-re finanziario-contabile sarebbe dovuto essere potenziato e meglio arti-colato nella suddivisione dei diversi incarichi. Ritenni e ritengo tuttora una necessità quella che l’amministrazione comunale si debba attrez-zare in tal senso, giacché la molteplicità di leggi che disciplinano la ma-teria degli enti locali, nonché l’aggiornamento continuo delle stesse, ri-chiede un’adeguata preparazione culturale che consenta una certa di-mestichezza con la normativa in continua evoluzione. Questa trasfor-mazione è tanto più indispensabile dal momento in cui il pubblico Amministratore, con la riforma dell’Ente Locale, dà l’indirizzo politico alla gestione, mentre la conduzione vera e propria della problematica che ne consegue attiene al funzionario responsabile del settore, il qua-le, quindi, per salvaguardarsi, non si può esimere dal sapersi districare nel ginepraio delle specifiche leggi e disposizioni. Inoltre, il Funziona-rio responsabile del settore Amministrativo avrebbe assommato anche l’incarico di Vice Segretario Comunale. Tale figura, per il Comune di Longi, con i problemi che i vari Segretari succedutisi hanno procurato, per il loro assenteismo o per lo scavalco, sarebbe stata oltremodo utile, per non dire indispensabile. Il Comune era carente, come da più parti lamentato, di Vigili Urbani. Su tre in organico, uno era deceduto e l’altro era stato trasferito al Parco dei Nebrodi. Avevo preparato la deli-bera per il bando di concorso pubblico per l’assunzione di un Vigile, ma occorreva procedere alla variazione di bilancio per recuperare circa due milioni per la pubblicazione del bando sui giornali. Cosa che il Consiglio Comunale si astenne dall’adempiere. Ancora oggi i due posti sono liberi, con le note conseguenze sul piano della funzionalità del servizio.

Il Comune, certamente, si ritrova ad avere dei problemi, legati alle proprie entrate, per l’assunzione di personale nuovo, del quale ha biso-gno. Ma, in quest’ultimo periodo, si è “liberato” di alcune unità, per pensionamenti o trasferimenti ad altre amministrazioni: quindi, il cari-co del pagamento degli stipendi da corrispondere ai possibili assumen-di sarebbe reperibile da queste economie realizzate di recente; a ciò po-trebbe aggiungersi la possibilità di costituire un Consorzio di servizi con i paesi vicini, con i quali ripartire l’onere stipendiale e previdenziale. Ma, forse, per queste trasformazioni avanzate occorrerà attendere ancora qualche …“anta” di anni… per farle maturare tra la coscienza della gente del luogo. Per intanto, sono convinto che il Comune di Lon-gi ha perso un appuntamento con la possibilità di una vera riforma amministrativa che potesse incidere per una maggiore funzionalità del suo ente pubblico.

Vengono consegnati a queste pagine alcuni degli articoli, di cui sono venuto in possesso, anche quelli a me non favorevoli, nonché taluni vo-lantini, tra i quali quelli anonimi, perché chi leggerà queste note potrà avere maggiori elementi di giudizio e perché, ancora, una storia scritta, affinché possa essere credibile, deve necessariamente essere stesa at-traverso fatti obiettivi ed una documentazione non solo di parte. Ov-viamente, chi ne avesse interesse culturale o storico potrà approfondire le questioni attraverso la lettura di documenti esistenti negli archivi. Il mio è soltanto un intendimento di consegnare alla storia del paese quattro anni di gestione amministrativa del Comune, tra luci ed ombre, se volete. Più luci che ombre, però, considerati i risultati conseguiti, re-lativamente ai problemi da anni stagnanti, tra i quali alcuni, come più volte affermato, che minacciavano la sopravvivenza finanziaria dell’Ente. Quattro anni di gestione, vissuti certamente al massimo dell’impegno civico e delle forze psicofisiche, della correttezza e della giustizia sociale, del rinnovamento, della trasparenza e dell’imparzialità, pur tra le notevoli difficoltà di non potere portare avanti un programma, soprattutto quello delle opere pubbliche, perché osteggiato da un Consiglio Comunale che mi era ostile e che ha frenato quasi tutte le mie iniziative, che dovevano essere sottoposte alla sua approvazione. Difficoltà divenute ancor più onerose considerato che si è tentato di fare terra bruciata attorno alla mia persona, nonché avver-so alle proposte politiche che provenivano dalla Giunta.


Assemblee, comizi, comunicati, bollettini sono, però, postume testi-monianze di fatti, di azioni, d’informazione continua, attraverso i cui atti la mia amministrazione ha voluto caratterizzare la vita politica ed amministrativa del paese durante quella legislatura. Un’impronta che sarà difficile cancellare.


Scomparso il P.S.I.
In tantissimi, centinaia di migliaia di italiani, rimanemmo orfani del partito dopo la dissoluzione del P.S.I. E, come tali, sbandati politica-mente. Ritenni, allora, di dovere continuare a militare nelle fila di un partito della sinistra, che aveva occupato il posto del mio defunto pun-to di riferimento ideale. Conoscevo un Consigliere provinciale del P.D.S., al quale mi rivolsi chiedendo l’appoggio politico alla risoluzione dei problemi dell’Amministrazione Comunale. Per i problemi a livello regionale, questi mi presentò al referente messinese in seno all’Assemblea Regionale Siciliana: ebbe, così, inizio la mia breve per-manenza all’interno dei cosiddetti Progressisti. Essa, infatti, fu breve sia perché nessun riscontro ebbi mai, in termini di risposte, rispetto al-le necessità del Comune – e Dio solo sa quante e quali esse erano – sia perché cominciava a trasparire la verità sul diabolico progetto, messo in piedi dall’ex P.C.I. per l’annientamento del P.S.I. e dei partiti ad esso alleati, con lo scopo di carpirne, evidentemente, i consensi elettorali degli stessi, o quanto meno di quelli della sinistra.


Come è stato denunciato da autorevoli esponenti della politica e della cultura, alcuni giudici, ideologicamente vicini al comunismo, si assun-sero l’incarico di operare una distruzione politica, cui fece seguito an-che quella fisica di alcuni uomini, che avevano costituito un grosso ostacolo alla presa del potere da parte del P.C.I. Una rivoluzione che eludeva lo strumento democratico del consenso elettorale, ma che pas-sava attraverso l’azione di alcuni rappresentanti del potere giudiziario. Qualcuno di questi, pur non etichettato politicamente, vide, nell’operazione di repulisti politico, un’opportunità di protagonismo e di una susseguente sua proiezione nella scena politica nazionale. Sia chiaro che non intendo schierarmi a fianco dei corrotti che furono in-criminati, ma, considerato che tutti partiti partecipavano al banchetto del finanziamento illecito – come fu denunciato, non smentito, da Bet-tino Craxi – perché il P.D.S. non fu coinvolto nello scandalo giudiziario, mentre solo taluni partiti pagarono per tutti? Ma qui non voglio adden-trarmi in una dissertazione su tangentopoli e sulle polemiche ancora non spente. Intendo far emergere come, al pari di moltissimi italiani, anch’io trassi la convinzione che il mio partito era scomparso perché altri – gli ex comunisti – lo avevano deciso e pervicacemente attuato, applicando la sottile strategia dell’infausto giustizialismo bolscevico nell’eliminazione cruenta, e non attraverso un percorso democratico, dell’avversario politico. Il quale, considerati i metodi applicati e gli ef-fetti indotti sul piano fisico, è stato considerato un nemico da eliminare dandolo in pasto ai “media” ed ai sistemi di tortura psicologica giudi-ziaria. Lasciai, quindi, le sponde del P.D.S. cercando di sopravvivere attra-verso le conoscenze politiche che avevo maturato nel Sindacato; ma non erano sufficientemente idonee per muoversi nella giungla degli or-ganismi di decisione politica, a livello regionale, nonché provinciale.
Dopo alcuni mesi, mi fu presentato il Segretario Regionale del P.P.I., il quale m’invitò a partecipare alla vita del nascente partito, venendone in contatto, anche, col Segretario Provinciale di Messina: e, poiché le necessità del paese erano sempre nei miei pensieri, cominciai ad inve-stirli per gli opportuni interventi. Anche qui subii una delusione. Il se-condo si defilava regolarmente lasciandomi senza risposte, mentre il suo Segretario Regionale, deputato europeo ed ex Assessore regionale, mi disse chiaramente che non aveva la possibilità di aiutarmi nella ri-soluzione dei problemi che l’Amministrazione longese aveva in piedi con la Regione. Rimasi di stucco ed ancora una volta in mezzo alla strada, come si suole dire. A questo punto, decisi di non aderire ad al-cun partito, ma di muovermi da indipendente. E tale rimasi per lungo periodo, sin tanto che il Presidente della Provincia Regionale di Messi-na, da me invitato per una visita ufficiale al Comune, durante la cena, dopo l’ufficialità dell’incontro, cercò di illustrarmi le motivazioni per le quali un Sindaco non poteva rimanere senza un qualsiasi riferimento politico, qualunque esso fosse; non soltanto per il ruolo che doveva svolgere, ma anche perché la stessa amministrazione comunale ne av-vertiva l’esigenza nel momento in cui doveva rapportarsi agli organismi politici ed amministrativi ai vari livelli. In sintesi – mi disse il Presiden-te – uno che fa politica non può non schierarsi, se fare politica significa anche tentare di coglierne i frutti a vantaggio della gente o, comunque, della comunità che si rappresenta. Il suo ragionamento mi convinse, ma non mi fece decidere.


La diaspora socialista, cui seguì la parcellizzazione dei suoi rappre-sentanti in diversi partitini, l’inesistente incisività degli stessi all’interno delle varie istanze politiche ed amministrative, m’indussero a scartare immediatamente, soprattutto ed anche in termini opportunistici e stra-tegici nei confronti della politica amministrativa che dovevo portare avanti presso il Comune di Longi, l’idea di un possibile ritorno in uno dei tre o quattro schieramenti socialisti nati dal disfacimento del glo-rioso P.S.I.

Fece seguito, quindi, una disamina delle forze politiche in campo, che fossero una sintesi dei principi in me radicati. L’analisi m’indusse a guardare con attenzione al Movimento di Forza Italia, laddove avevano trovato convergenza e possibilità di convivere pensieri politici diversi: dai cattolici ai laici, dai socialisti agli ex democristiani, dai socialdemo-cratici agli ex liberali ed ex repubblicani.
Il fallimento del socialismo reale, la manipolazione e la deviazione, talora, dell’ideologia marxista, l’evoluzione delle forme di socialismo nei diversi stati, laddove attraverso una politica riformistica, abbiamo assistito, in termini antitetici e contraddittori, prima, alla creazione dello stato assistenziale, poi, al suo progressivo smantellamento, ac-compagnato dal ridimensionamento del peso dello Stato nell’economia; realtà geografiche in cui il socialismo venne orientato verso forme di lavoro ispirate dal mercato e, quindi, oggetto di flessibilità; altre ancora laddove è stato dato corso al suo opposto, indirizzando l’attenzione del-lo Stato a regolare il mercato ed a proteggere il “welfare state” sono va-riegate espressioni, tutte quante e ciascuna, dell’ideologia marxista, che portano a considerare le diverse interpretazioni del pensiero socialista nei diversi angoli del continente europeo, se non addirittura a livello mondiale, applicate in maniera disomogenea, travisando spesso l’ispirazione originaria; interpretazioni che hanno ingenerato una con-fusione ideologica in molti socialisti, e tra questi il sottoscritto, indu-cendoli ad un revisionismo evolutivo, ispirato da nuove realtà: quelle economiche, che vanno verso la globalizzazione, e che condizioneran-no quindi il futuro europeo e mondiale, quelle politiche, che sono de-terminate dalla linea e dalle direttive della Comunità Europea.

Anche se il percorso è ancor oggi tutto da sperimentare, la presenza, invece, in Forza Italia, di pensieri politici eterogenei, che presuppone dialettica e sintesi propositiva, ovviamente all’interno di un cemento ispiratore e programmatico di fondo, unificante quindi, nonché di di-versi ex dirigenti socialisti; la lettura attenta del progetto del movimen-to, che si prefiggeva e si prefigge di raggiungere obiettivi per un “futuro moderno e progredito, tecnologicamente avanzato e insieme umano”, che dava e dà primaria collocazione alla libertà ed alla democrazia, che propugnava un liberismo morbido ma che faceva intravedere ai libe-raldemocratici, e quindi ai socialisti democratici e riformisti, la possibi-lità di coniugare assieme libertà e giustizia sociale, garantendo, attra-verso quest’ultima, gli individui deboli; nonché la più volte dichiarata identità del movimento di considerarsi erede delle forze democratiche che avevano governato l’Italia negli ultimi cinquanta anni con richiami netti e chiari all’azione politica di De Gasperi, di Saragat, di Nenni, di La Malfa e di Einaudi, mi fecero decidere di avvicinarmi a questa nuo-va presenza politica.

Decisivo, per me, fu l’esposizione di un piano economico per il recu-pero del deficit del Paese e per l’occupazione, ispirato ad una liberaliz-zazione morbida dell’economia e ad una politica fiscale che punti sullo sviluppo anziché sull’oppressione dei contribuenti. È da aggiungere, inoltre, il merito che va dato a Forza Italia ed al suo fondatore di avere riequilibrato, nel 1994, un sistema politico che appariva pericolosamente sbilanciato verso una decisa egemonia del più grande partito comunista dell’Occidente, dando così rappresentanza democratica a quasi un terzo degli italiani.
Sul piano del lavoro, a seguito di una maturazione concettuale dell’ex sindacalista, che sono stato, arroccato sulla difesa ad oltranza del lavo-ratore occupato, mi sono convinto, osservando attentamente la realtà meridionale, che la vecchia strategia del Sindacato era da superare per dare spazio alla creazione di condizioni favorevoli per tutti i lavoratori presenti sul mercato. La politica, quindi, dell’appiattimento salariale, che favorisce le zone già industrializzate riducendo la convenienza a nuovi insediamenti in quelle più povere, andava sostituita, a mio pare-re, con la possibilità di applicazione di differenti livelli retributivi nei diversi territori e con l’aggiunta contestuale, per il Meridione, di pac-chetti di agevolazioni, nei confronti degli imprenditori, attraverso pre-senze infrastrutturali sul territorio interessato, nonché di sgravi fiscali, tenendo presente che lo stato sociale dei lavoratori, vecchi e nuovi, an-dava comunque salvaguardato. Questa progettualità avrebbe sospinto e sospingerebbe i grandi capitali di rischio ad investire nel Sud per pro-durre ricchezza collettiva e nuovi posti di lavoro.


Con quest’ottica ho guardato a Forza Italia, un movimento che so-stiene di voler rompere con le consuete ideologie, con i vecchi sistemi e con alcune fallimentari strategie politico-sindacali per l’occupazione, e che vede nel futuro del Paese, in particolare del Meridione, l’esclusione di forme di assistenzialismo e di clientelismo, erogatrici di povertà, di ricatti civili e morali e di subordinazione al volere del “feudatario poli-tico” di turno. Pragmatismo economico coniugato a giustizia sociale, principi portati avanti da questo neo-partito, ove avesse la ventura di governare l’Italia, potrebbero portare il nostro al livello di quei Paesi dove le socialdemocrazie liberali hanno sconfitto le piaghe della mega-disoccupazione e del bisogno.

Ma non v’è dubbio che la storia del nostro Paese – sostiene Ferdi-nando Adornato – avrebbe ora bisogno di un grande ‘patto liberale’ sti-pulato tra soggetti diversi dell’area laica democratico-socialista e dell’area cattolica, del Nord e del Sud. Un ‘patto liberale’ che riprenda il filo storico delle tradizioni di De Gasperi, di Einaudi e del socialismo liberale per gettare le basi di una nuova modernizzazione del Paese”. Io ritengo che, per la presenza di soggetti in Forza Italia, che s’ispirano a quelle tradizioni, questo movimento o partito, che sia, potrebbe dare impulso al “patto liberale”, cui si richiama il liberista Adornato.

Oltre alle su menzionate valutazioni, considerazioni anche di oppor-tunismo politico finalizzato a poter servire meglio il mio paese, avendo presente la posizione di preminenza amministrativa del Polo delle Li-bertà a livello provinciale e regionale, mi indussero ad operare la scelta dell’adesione a Forza Italia. D’altronde, nel mio microcosmo longese, l’importante era continuare a gestire applicando i miei principi radicati di socialista democratico e riformista, con il pensiero rivolto alle so-cialdemocrazie europee, che avevano fatto storia ed avevano avuto lun-ga vita politica. Decisione di cui non ebbi a pentirmene mentre rivesti-vo la carica di Sindaco.

OMISSIS...

Le denunce
Nella mia vita non avevo avuto a che fare con i giudici. Ebbene, tra gli altri regali non graditi, avuti in dono da parte di alcuni miei concitta-dini, posso anche annoverare alcune denunce.

La discarica dei rifiuti solidi urbani mi vide fortemente impegnato nel risolvere il problema del sito, idoneo alla bisogna, dopo che tutti gli altri Sindaci precedenti vi avevano avuto vita comoda, benché il D.P.R., con il quale ero stato incriminato, risalisse al 1982. Si vede che il “pre-destinato” a sanare l’illegale situazione ero io. Ma non ho potuto capire come mai il Sindaco di Galati Mamertino, che gestiva la discarica del suo paese, di rimpetto a quella nostra, spesso bruciando i rifiuti, abbia potuto continuare a mantenerla nel medesimo posto, mentre noi siamo stati costretti a sloggiare. Fui obbligato a ricercare spasmodicamente e per lungo periodo un luogo che potesse essere regolarmente autorizza-to, perché la Guardia Forestale venne a sequestrare la vecchia discarica a seguito della denunzia del WWF di Tortorici. Sequestro che mi costò un rinvio a giudizio per connesso reato penale, cui si aggiunse altra de-nuncia, ritengo verbale, di un concittadino, ma cui aveva fatto seguito una circostanziata relazione da parte della locale stazione dei Carabi-nieri, perché altri avevano appiccato il fuoco alla nuova discarica. Ci mancava pure che io mi mettessi di guardia alla pattumiera del paese o che incaricassi, notte e giorno, un vigilante a sostituirmi nella garitta.


Nelle argomentazioni a discarico citavo, tra le altre, la bocciatura, sia da parte della Forestale di Galati Mamertino, sia da parte della Sovrin-tendenza B.C. ed Ambientali, sia da parte del Parco dei Nebrodi, sia da parte dei cittadini, di alcuni siti proposti. E che le insormontabili diffi-coltà riscontrate sono state superate grazie all’intuito ed alla prepara-zione professionale del tecnico comunale Pidalà, il quale, sfidando il Parco dei Nebrodi, riuscì a dimostrare che, grazie a qualche millimetro di differenza nella lettura della carta topografica, il nuovo insediamen-to era fuori, anche se al confine, del Parco. Inoltre, il decreto di seque-stro della vecchia discarica fu emesso dopo che da circa due mesi il Comune conferiva i rifiuti a quella nuova di Contrada Tre Aree.

Per quanto riguarda l’incendio, procurato da ignoti e per il quale eb-bi a presentare regolare denuncia, nessuna responsabilità poteva es-sermi addossata perché, in quei giorni, non mi trovavo in paese. In ag-giunta, feci notare che i fumi emessi dall’incendio, considerato che la zona è deserta, soprattutto a novembre, nessuna molestia hanno potuto arrecare alle persone, mentre le uniche abitazioni – due trattorie – di-stano dal luogo in questione qualche migliaio di metri. Peraltro, essen-do la discarica più in alto rispetto alle due trattorie, i fumi, a quella di-stanza sono già rarefatti e dispersi nell’aria. Eccesso di zelo, da parte di “chi” ha effettuato l’accertamento, o ignoranza delle leggi di Fisica, secondo le quali il fumo sale verso l’alto e non si dirige, invece, verso le zone sottostanti?
Per questi due processi venne emesso, da parte del G.I.P., su richiesta del P.M., un decreto che, in sostituzione di mesi uno e giorni dieci di arresto, mi condannava al pagamento di lire 12.000.000 per la discarica di Filidone, cui fece seguito un ulteriore decreto che mi ingiungeva a pagare la somma di £ 2.800.000 circa. Chiesi il rinvio a giudizio e, nella prima udienza, il mio avvocato, Elio Aquino, riuscì a fare unificare i due procedimenti penali. Grazie alla bravura del mio difensore, dopo due anni di rinvio delle udienze e di patemi d’animo, fu emessa la sen-tenza di assoluzione con formula piena.

OMISSIS..


La convivenza con le altre autorità locali

Cercai di dare un certo assetto alle manifestazioni religiose e ad un controllo del territorio più assiduo.

Per quanto riguarda il primo aspetto, proposi al Parroco di rendere maggiormente solenne la festa del S.S. Crocefisso, nel mese di agosto, attraverso l’attuazione di alcune iniziative. Nel rispetto di un certo pro-tocollo e di un cerimoniale, considerato che esiste quello tra Stato e Chiesa, chiesi che il Gonfalone del Comune, la bandiera nazionale ed il Sindaco, cinto della Fascia, rappresentante, quindi, di un’istituzione, nonché la Giunta e le Autorità Comunali, potessero essere accompa-gnati, nel tragitto tra il Comune e la Chiesa Madre, dalla banda musica-le del paese e che, durante la messa solenne nella Chiesa, potessero se-dere negli scanni lignei dell’antico Coro. A tal proposito, scrivevo all’Arciprete: la “proposta non può essere intesa come atto di protervia nei confronti di chicchessia. È atto di superbia, da parte del Clero, se-dere su appositi scanni anziché su sedie o panche? Certamente no, per-ché fa parte di un cerimoniale. Il quale, com’ è noto, va posto in essere, attraverso un apposito protocollo già esistente, anche nel momento in cui avviene la partecipazione contestuale a cerimonie pubbliche, in qualsiasi luogo, da parte dei rappresentanti delle istituzioni siano esse religiose, civili o militari. Non è, questo, un formalismo, ma un atto pubblico dovuto che serve a dare autorevolezza – non autoritarismo – agli Organi istituzionali”. La richiesta fu bocciata.


Inoltre proposi, così come avviene in parecchi centri dell’Isola, di far partecipare, alla Messa ed alla processione, la rappresentanza militare dei Carabinieri in alta uniforme ed invitare anche il Comando territo-riale della Guardia di Finanza, della Pubblica Sicurezza e della Guardia Forestale. Non ebbi ascolto. Come non ebbi ascolto per disciplinare meglio la relativa processione. Chiesi, infatti, che la stessa si svolgesse, in un’unica tornata, nel pomeriggio; al limite, a mezzogiorno, le statue del Crocifisso e di S. Leone sarebbero potute uscire dalla Chiesa Madre per andare a quella della S.S. Annunziata, per poi, nel tardo pomerig-gio, fare il giro di tutto il paese. Si sarebbero raggiunti due obiettivi: primo, evitare la calura agostana del mezzogiorno; secondo, dare la possibilità a tutti i cittadini di festeggiare con un sereno pranzo, magari assieme ai parenti o agli ospiti, l’importante festività. La processione, forse, si sarebbe anche accorciata come durata. Proposi anche di dona-re, come Comune, un carro meccanico per il trasporto della pesante Vara di S. Leone, considerate le scarse disponibilità di uomini a met-tersi sotto. In tutti questi tentativi di ordinata e di più fastosa celebra-zione della più importante festa dei longesi, non ebbi la fortuna spera-ta.

Il rapporto con il Comandante della Stazione dei Carabinieri, mare-sciallo B., fu altalenante. Da quello iniziale di collaborazione, il rappresentante dell’Arma passò, prima, a quello d’indifferenza, all’abolizione del saluto una volta non più Amministratore. Come si sa, il Sindaco, nell’esercizio delle sue funzioni, riguardanti l’ordine pubbli-co, è anche Ufficiale di P.S. e, quindi, superiore in grado al Maresciallo. In tale veste, pertanto, ebbi ad invitarlo, senza fargli pesare l’autorità della persona, ad una maggiore presenza sul territorio e durante le ma-nifestazioni. Come quella volta che, durante la processione del Croce-fisso, sono successe delle liti tra i portatori della Vara di S.S. Leone, che arrivarono ad aggredire verbalmente l’Arciprete, per cui sono dovu-to intervenire. I Carabinieri non erano presenti; fui costretto, pertanto, ad inviare il Vigile Urbano per cercare il Maresciallo. Erano già le ore quattordici circa ed egli forse stava pranzando serenamente con la fa-miglia: fu, quindi, disturbato… Mi raggiunse alla fine della Via Libertà, ma non si presentò a me per chiedermi cosa volessi, bensì all’Arciprete, che non gli diede, però, retta. Erano entrambi incavolati.


Per questa scarsa presenza dei Carabinieri in paese, ricordandomi peraltro che, sino ad alcuni anni addietro, la loro camionetta girava si-no a notte tarda, fui costretto a scrivere una lettera al Prefetto, il cui te-nore era il seguente: “mi corre l’obbligo di chiedere il Suo intervento, presso il Comandante Provinciale dei Carabinieri, affinché l’organico della Stazione dei C.C. di Longi possa essere ripristinato, a seguito di trasferimento di uomini in altre sedi, e perché i carabinieri, qui asse-gnati, possano essere esentati dal servizio di scorta”. Ciò al fine di pre-venire eventuali turbative dell’ordine pubblico. “Cito qualche caso: atti di teppismo in occasione di un concerto bandistico, in luogo aperto al pubblico, consistenti in lanci di palloncini colmi di acqua sporca47, laddove inutilmente ebbi a cercare la presenza di un Carabiniere, sul po-sto, perché potesse immediatamente intervenire; la saltuarietà e di-scontinuità, durante le manifestazioni pubbliche estive ed in occasione della processione del g. 23 agosto u.s.48 del servizio d’ordine dell’Arma dei Carabinieri; la possibilità che gli anonimi dei due allegati volantini49 hanno avuto ed hanno di gettare indisturbati, lungo le strade del paese, alcune centinaia di fogli, avvelenando quindi l’ambiente, politico e delle relazioni sociali, di Longi. Inoltre, nel recente passato, si sono verifica-ti: tagli ai copertoni delle macchine comunali, danni consistenti all’arredo ed all’impianto elettrico del Belvedere Serro, asportazione di suppellettili con rottura dei vetri esterni presso la scuola materna della Contrada Crocetta, furti presso la scuola Media. Per gli anzidetti moti-vi, La prego, Eccellenza, di volersi adoperare per una maggiore presen-za dei Carabinieri all’interno del Centro abitato e delle Frazioni del Comune di Longi”.

47 Fallirono il bersaglio, che era il sottoscritto (ndr).

Il risultato fu quello che venne al Comune il Capitano, comandante la Compagnia di S. Agata Militello, per discutere il problema. Qualche uomo in più si vide, ma il Maresciallo irrigidì i nostri rapporti. Inoltre, il giorno delle elezioni amministrative del 1997, invitato per iscritto ad intervenire presso il seggio elettorale n.1 per le irregolarità verificatisi durante le operazioni di voto presso altri seggi, non mosse dito. Un paio di anni dopo fu trasferito, si dice su sua ri-chiesta, così come si vocifera che nemmeno con il successivo Sindaco i rapporti si fossero mantenuti idilliaci.



La magnifica campagna elettorale del 1997

La mia campagna elettorale per il rinnovo dell’Amministrazione comu-nale ebbe inizio con la distribuzione del bollettino, che sintetizzava tut-ta l’attività svolta nel quadriennio ’93-’97. Continuò con la formazione della lista dei candidati al Consiglio Comunale, impresa che si dimostrò più ardua delle previsioni.

Premetto che, nel mese di giugno del ’97, avevo esternato ad alcuni amici la decisione di non ricandidarmi, tant’è che avevo già pronto il messaggio di saluto ai cittadini. Da queste stesse persone fui dissuaso dal farlo perché, mi dissero, la maggioranza della gente, nel chiuso del-le case, era a me favorevole e, quindi, sarebbe stato un errore non ri-presentarsi, perché avrei senz’altro bissato il risultato, o quasi, della precedente vittoria. A questo dato cognitivo aggiunsi quell’altro, riferito all’esaltante battaglia condotta nei mesi successivi, sostituendomi al sindacato, pur non avendone più il ruolo di rappresentante, in favore dei “forestali”. Battaglia che si chiuse positivamente per tutti i brac-cianti e che mi fece decidere, ricordandomi di quanto qualche mese prima mi era stato detto e sollecitato, a tentare la formazione della lista per i candidati al Consiglio Comunale e la ripresentazione della mia candidatura a Sindaco. I risultati, però, furono ben lontani dalle aspet-tative e dalle originarie previsioni.
Perché?

Le persone, per intanto, che mi avevano indotto e convinto a rican-didarmi, non mi diedero la loro disponibilità a fare parte della mia squadra, né mi aiutarono nella ricerca di candidati.

Parecchie altre persone, e tra questi alcuni lavoratori dei forestali, tra i più rappresentativi, si tirarono indietro: non esagero, ma furono una cinquantina gli invitati a candidarsi con me. Alla fine, riuscii ad ottene-re la disponibilità da parte di alcuni cittadini – qualcuno conosciuto per la prima volta in quell’occasione – ma, per completare la lista dei dodici candidati al Consiglio Comunale, fui costretto a scendere in campo anch’io come capolista.

In un piovoso mese di novembre, cominciai a “tormentare” i cittadini con una serie di comizi, di messaggi, di copie del mio programma poli-tico-amministrativo, di visite porta a porta nel tentativo, da me non condiviso come metodo, ma purtroppo in uso al paese, di convincere gli elettori.

Alcuni comizi

Conservo ancora alcune delle cassette, che sono state registrate, dei comi-zi che, nei quattro anni, ho tenuto nella Piazza Umberto I di Longi. Non è un lavoro agevole trascriverle tutte quante e per intero; se si conserveran-no nel tempo sarà possibile consultarle da chi ne avrà interesse o curiosi-tà, soprattutto dal punto di vista storico. Riporto, però, la sintesi di alcu-ni problematici passaggi, esternati soprattutto in occasione delle due campagne elettorali, del ’93 e del ’97.


  1. 1995 (ndr).

  1. Erano quelli che contenevano frasi ingiuriose e diffamatorie nei miei confronti (n.d.a.).

1993

Comizio del 7 novembre

La presentazione di Ciccio Frusteri

Tanino Zingales non è un forestiero, ma un longese come tutti noi.

In questo momento di crisi profonda per Longi non si può fare a meno della grande esperienza di Tanino Zingales, acquisita come Se-gretario Regionale e componente la Direzione Nazionale dell’UILPOST. Il fatto di stare a Longi ed a Palermo è un bene: può seguire comple-tamente le pratiche amministrative e risolvere più celermente i pro-blemi del nostro paese, che sono tanti.
Sono contento che per la prima volta c’è un clima elettorale disteso, che mi auguro duri anche dopo, perché ci siamo resi conto che le con-trapposizioni muro contro muro hanno portato danni a Longi.

È un atto di stima e di solidarietà, la mia introduzione, nei confronti di Tanino Zingales.

Il mio intervento

Sono nato a Longi nella Via S.Spirito n.2 e credo, quindi, di avere di-ritto alla cittadinanza longese, come quei vostri padri, quei vostri non-ni, che, negli anni decorsi, loro malgrado, sono stati costretti a lasciare la loro casa, la loro famiglia per emigrare in cerca di lavoro. Anch’io mi considero un emigrante.

Ieri ho fatto richiesta al Comune di avere trasferita qui la mia resi-denza, anche perché voglio trascorrere parecchio tempo a Longi, che amo profondamente.

La mia candidatura a Sindaco nasce da una proposta fattami all’unanimità da parte dei componenti il direttivo della Sezione del P.S.I. di Longi, del cui partito faccio parte e che, sempre all’unanimità, ha accolto la mia decisione di candidarmi da indipendente. In tale ruo-lo ho proposto la formazione di una lista civica ai rappresentanti poli-tici locali, ma la proposta non è stata accettata.

Sono socialista e sono fiero di esserlo nel momento in cui il mio ri-chiamo ideologico è all’Internazionale Socialista, libertaria, democrati-ca e riformista. Quell’Internazionale Socialista che si richiama ai valori di giustizia sociale, di democrazia, di libertà in nome dei quali la classe lavoratrice è stata guidata per il proprio riscatto conquistando mete di avanzamento democratico ed economico.

In questa crisi ideologica dei partiti e della società io affermo di esse-re un socialista sganciato dalle varie correnti del Partito; sono un socia-lista puro e, come tale, quindi, ho partecipato alle riunioni del P.S.I. di Longi puntualizzando in quella sede che avrei accettato, come ho af-fermato, la candidatura a Sindaco come indipendente, senza l’imprimatur del Partito.

Ho tentato, dicevo, la formazione di una lista unitaria, convinto, co-me sono, che soltanto attraverso l’unità delle forze politiche è possibile fare uscire il paese dalla pesante crisi economica, amministrativa ed occupazionale in cui si trova. Constatando, però, l’impossibilità di met-tere in piedi una lista unitaria, aperta a tutte le forze sociali e di pro-gresso, e nel momento in cui nel corso di questo tentativo per la forma-zione della lista di candidati al Consiglio Comunale ebbi ad accorgermi che c’era un disimpegno da parte di alcuni miei amici (leggi socialisti, n.d.r.), decisi di candidarmi comunque da solo, senza una lista di sup-porto, alla carica di Sindaco. Questo perché io avevo assunto l’impegno con i cittadini di mettere a disposizione di questo paese la mia trenten-nale esperienza nel Sindacato per cercare di tentare di risolverne i pro-blemi dichiarando, nel contempo, ad una cerchia di amici di essere co-sciente di essere un incosciente a presentarmi quale candidato a Sinda-co sapendo della pesantissima situazione che c’è al Comune.
Devo ringraziare gli amici del Movimento Democratico Longese (la lista di Fabio, n.d.r..) per aver presentato una lista. Questo fatto evita il ritorno di un Commissario e consente la presenza di un longese a capo dell’Amministrazione Comunale. Aggiungo che questa lista sarà la mia se io dovessi essere eletto ed inviterò i miei sostenitori a votarla dissua-dendo coloro i quali pensano di presentare scheda bianca.

Io sono sempre dello stesso avviso che se Longi vuole uscire dalla crisi, deve essere gestito, con un programma di rilancio economico, da tutte le forze politiche insieme, dagli stessi cittadini che si riconoscono nelle varie anime e movimenti politici….. In caso di mia elezione, con-sidero una fortuna non avere una lista di supporto in quanto, presen-tandomi da indipendente, senza vincoli di lista e di partito quindi, pos-so realizzare quel progetto di gestione unitaria scegliendo gli Assessori tra le varie componenti politiche, le aree politiche, gli indipendenti. Co-storo devono essere nelle condizioni di portare avanti e realizzare il programma delineato ed avere i requisiti che io vi ho fissato e che van-no dalla capacità all’impegno nel lavoro, dalla tendenza al lavoro di gruppo alla predisposizione ad una gestione trasparente, dall’innato senso della giustizia all’imparzialità ed all’obiettività, nonché alla di-chiarata volontà di servire con spirito d’umiltà la collettività longese.

Il programma politico-amministrativo, che ho presentato assieme al-la mia candidatura, costituisce, per me, un Vangelo e sottoscrivo qui l’impegno pubblico a portarlo a compimento, almeno in buona parte, ove mi sarà consentito dagli avvenimenti e dai procedimenti burocrati-ci.

Ho scritto su un messaggio: “Gestire Longi, dal punto di vista ammi-nistrativo, è un’impresa non facile, forse drammatica, certamente non improvvisabile; ma lo sarà possibile se saranno messi al bando patriot-tismi di bandiera, egoismi, ambizioni al servizio di interessi personali e di gruppo. Occorre, pertanto, un forte cemento unitario tra le forze po-litiche e sociali longesi”. Questo stesso appello è stato anche lanciato dal prof. Francesco Lazzara in un suo articolo sul nostro giornale “Il Serro”. Né l’uno, né l’altro, purtroppo, sinora sono stati accolti. Ma in me, ancor oggi, non è cambiato nulla pur avendo vissuto già le notevoli difficoltà emerse nella specificità politica longese Il mio programma politico è articolato e corposo. Sinteticamente è stato pubblicato sui manifesti del Comune; per intero, sarà recapitato a tutte le famiglie. Per sommi capi, vi comunico i punti più salienti: emergenza amministrativa derivante dal pagamento dei rilevanti debiti; realizzazione delle opere pubbliche, già finanziate, ma bloccate; ristrut-turazione della rete idrica del centro urbano e realizzazione di quella delle contrade; parcheggio urbano; strada a scorrimento veloce “Monti-Mare”; alloggi popolari; attivazione della rete fognante nelle contrade e realizzazione del depuratore comunale; cura e particolare attenzione all’ambiente; assecondare il turismo e l’agriturismo. Nel settore dei Servizi, oltre quelli ordinari e correnti, incentivare quelli culturali e ri-creativi, tra cui la possibilità di apertura di un centro socio-culturale al Castello Ducale, la promozione della copertura mobile della Chiesa di S.Salvatore, l’Estate longese, quale momento, oltre che di manifesta-zioni locali, di altre, più grosse, a dimensione provinciale e comprenso-riale. Nel settore dell’Agricoltura, va privilegiata l’incentivazione della forestazione quale principale fonte di reddito per i braccianti longesi, va assecondata la creazione di strutture per la raccolta e trasformazio-ne delle nocciole e dei prodotti tipici locali, chiedendo il rilascio del marchio di qualità quali prodotti del Parco dei Nebrodi.

Per quanto riguarda il neo Parco dei Nebrodi occorre aprire un cana-le di comunicazione e di contrattazione per inserirsi nella mano d’opera che l’Ente utilizzerà per i suoi fini istituzionali; è necessario chiedere la rimozione dei divieti e dei vincoli che ostano con le esigen-ze oggettive di natura socio-lavorativa, vedi ad esempio la realizzazione della strada Botti-Barillà; è importante restaurare le Case di Mangalavi-te per crearne una struttura agrituristica. Nei settori dell’Associazionismo e dello Sport va dato ampio spazio a quelle che sono le iniziative e le esigenze dei giovani.

È importantissimo riuscire a promuovere e costituire un Consorzio tra i Comuni della Vallata del Fitalia per gestire insieme servizi ed ini-ziative economiche, quali il turismo, la commercializzazione dei pro-dotti tipici locali. Una forma di “gemellaggio”, poi, tra paesi viciniori potrà sviluppare scambi culturali, artistici e ricreativi, nonché comuni iniziative sul piano economico.

Una priorità assoluta è data dalla realizzazione della strada Monti-Mare, per far uscire il nostro paese dall’isolamento e per consentire ai lavoratori, agli studenti, a noi tutti di raggiungere celermente i posti delle varie attività che risiedono nei comuni della vicina riviera.

È, quello che io presento, un programma abbastanza ampio, impe-gnativo, che non potrà realizzarsi nell’arco di uno o due anni. Alcune cose sono fattibili a breve, altre a medio, altre ancora a lungo termine. L’importante è iniziare il cammino per la loro realizzazione.

Ho scelto come simbolo della mia lista lo scudo dello stemma del Comune di Longi, in cui sono contenuti il campanile della chiesa ma-dre ed il pizzo di S.Nicola, che caratterizzano il paese. Ho scelto, quin-di, di dedicarmi a Longi, cui intendo dare il massimo del mio “Impegno Sociale” e della mia tenacia nella ricerca del “Lavoro” per i nostri lavo-ratori, per i nostri giovani, che sono, quest’ultimi, il futuro del nostro paese. Ai giovani chiedo il massimo dell’apertura mentale per un nuovo modo di fare politica, che ci consentirà di andare verso il progresso so-ciale ed economico.
Alla cerimonia di oggi al Monumento ai Caduti, il Presidente della sezione Combattenti ha lanciato un messaggio, quello che i nostri padri sono caduti per difendere e rendere unita la nostra patria. Era indiriz-zato soprattutto ai giovani. L’altro messaggio è stato quello del Com-missario che ha affermato che bisogna credere nello Stato e realizzare lo Stato qui a Longi.

Io ho cercato e sto ancora cercando un modo nuovo di fare politica qui al nostro paese: occorre superare quelli che erano certi schemati-smi del passato, laddove esisteva lo scontro tra i partiti, laddove l’astio e l’odio, anche tra famiglie, erano imperanti. No, non è questo il modo con cui si fa politica. La politica si fa confrontandosi sulle idee, sui programmi per cercare di realizzare qualcosa di nuovo e di buono per il paese. Poi, bisogna tutti quanti insieme portare avanti il programma comunemente stabilito senza che ci siano frontismi, senza che ci siano divaricazioni, senza che ci siano spaccature, asti e odi tra le famiglie. Questo è il messaggio che soprattutto a voi giovani voglio indirizzare. Cerchiamo di attuare un nuovo modo di far politica, cerchiamo di esse-re uniti perché il nostro è un piccolo centro, che ha bisogno dell’aiuto, del supporto di tutti noialtri; né ci possiamo permettere il lusso di divi-dere le intelligenze che sono presenti, delle quali la nostra Longi ha ne-cessità. Di conseguenza, dobbiamo andare avanti verso il progresso at-traverso questa nuova formula politica, con un’apertura mentale che oggi viene sospinta dallo stato di necessità che scaturisce dalla crisi del sistema politico, la quale peraltro incentiva la nascita di nuovi movi-menti, che sfuggono alla logica ed al controllo dei partiti. Il nuovo va avanti laddove un diverso ed innovativo modo di vivere socialmente, nel progresso, fa da guida. Dobbiamo, pertanto, se vogliamo il nuovo, insieme avanzare per una gestione trasparente della nostra Ammini-strazione Comunale, imparziale ed obiettiva, nonché per il progresso economico di questo nostro centro.
A tutti quanti dico:
Avanti insieme per:

Il rinnovamento politico

La trasparenza amministrativa

L’imparzialita’

Il progresso economico

Viva Longi!



Comizio del 18 novembre

È stato un mese di difficoltà e di tensione, dovute alla ricerca certosina di uomini che potessero ricoprire l’incarico assessoriale e che corri-spondessero, pertanto, alle caratteristiche che ho in precedenza deli-neate. Ci sono stati veti incrociati, che hanno fatto saltare una probabi-le formazione di Giunta, tentativi anche di sabotaggio e di insabbia-mento perché io non andassi avanti nelle consultazioni. La caparbietà, però, e la tenacia hanno vinto.

Non c’è accordo con i partiti o gruppi politici; valuteremo la possibi-lità, quindi, dopo le elezioni, a dar vita ad un movimento politico for-mato da uomini che sono sganciati dai vincoli politici nei confronti dei partiti tradizionali. Per il momento andremo avanti così.

È mio intendimento lavorare con un Comitato Consultivo permanen-te a latere del Sindaco: servirà alla Giunta nel momento in cui si vorrà mettere in piedi o portare avanti una qualunque iniziativa, che riguardi il bene e l’interesse del paese.

Avevo detto all’inizio che dovevano essere lasciati alle spalle certi comportamenti del passato, che vedevano la lotta tra le famiglie divi-dendole. Io credo all’unità ed alla sensibilità del popolo e non raccolgo, pertanto, determinate polemiche, determinate insinuazioni, determina-te illazioni che sono state fatte. In tal senso, pertanto, poiché lobby è uguale a centro di potere economico, finanziario o politico, non mi ri-sulta che dietro di me o accanto a me ci siano centri di potere finanzia-ri, economici o politici, ma ci sono invece un gruppo di lavoratori, di braccianti agricoli, un gruppo di professionisti che, assieme a me, vo-gliono portare avanti un discorso di rinnovamento e di gestione sana e pulita del nostro paese. Nessun partito, lo ripeto, o gruppo politico è al-le mie o alle nostre spalle. Alle insinuazioni, alle maldicenze, che arta-tamente vengono fatte girare sul mio conto, io rispondo con le parole del divino poeta: “Non ti curar di loro, ma guarda e passa”. Ne sentirete dire ancora altre sul mio conto e sul conto degli Assessori, ma noi non rispondiamo e proseguiremo per la nostra strada. Ma una cosa voglio puntualizzare: lasciate stare in pace i morti, i morti della mia famiglia. Su questo non transigo. Alcuni di voi, quelli della mia età e quelli anco-ra più grandi sanno che la mia famiglia ha dato al paese dei Sindaci. Ritengo siano stati dei Sindaci onesti e che abbiano fatto il bene di questo paese. C’è una storia scritta e non scritta, tramandata, che è alla portata di tutti. Non scherziamo con queste cose, non tocchiamo la pa-ce dei nostri defunti.
Questo quadro che è sotto di me, laddove è raffigurato il simbolo che accompagna la mia candidatura e che io ho prescelto dandogli un par-ticolare ed emblematico significato, assieme al motto che vuole caratte-rizzare questo quadro, se voialtri lo vorrete, andrà nella stanza del Sin-daco eletto perché il Sindaco, che sarà di tutti i cittadini, si possa rammentare quali sono gli impegni assunti col suo programma, che co-stituirà il suo vangelo.

Uniamoci veramente, cittadini, nel portare avanti gli interessi di que-sto paese, per fare più bella la nostra Longi, per renderla economica-mente solida e perché possa diventare ancora più avanzata socialmente in tutta la vallata del Fitalia. Oggi è tra le prime cittadine di questa val-lata. La è stata sempre, me lo ricordo da ragazzo, avendo espresso delle intelligenze che si sono contraddistinte nel portare avanti iniziative sul piano culturale, sociale e sportivo. Ma questa Longi può ancor più avanzare ed essere sempre più rispettata in questa nostra bellissima Vallata del Fitalia.


1997

I comizi, nonostante la pioggia sempre presente in quei giorni, so-no serviti a puntualizzare alcuni aspetti delle dichiarazioni pro-grammatiche enunciate, delle opere fatte, nonché a dare una ri-sposta ad alcune critiche portate avanti dagli avversari politici. Ne do una sintesi dei passaggi salienti.


Comizio del 19 novembre (sotto la pioggia)

Mi ha preceduto l’Inno dei Lavoratori, come quattro anni addietro, ed è presente quello stesso simbolo di allora, che oggi rappresenta la lista n. 2. Ciò per una questione di fedeltà al passato, per dimostrare che quello che io ero quattro anni addietro lo sono tuttora: uno che proviene dall’impegno nel mondo del lavoro. È, quindi, giusto che mi preceda quell’inno che accompagna i lavoratori durante le manifestazioni. Nei quattro anni di sindacatura ho fatto il Sindaco ed ho fatto anche, certe volte, il Sindacalista.

Ritengo che moltissimi dei problemi che ho trovato al Comune siano stati risolti. Se vi ricordate, in questa stessa piazza ho promesso che avrei risolto la crisi economica del Comune: è un impegno che ho man-tenuto. Oggi il Comune non ha più quei grossi debiti che aveva quattro anni addietro e che ammontavano a circa due miliardi di lire. La ge-stione che verrà troverà, quindi, una strada in pianura.
Con modestia, ma lo devo pur dire, sono riuscito a risolvere un altro problema che il Comune aveva: un vecchio progetto, del 1986, per la captazione dell’acqua potabile, che restava nei cassetti. Nonostante le difficoltà frapposte dal Parco dei Nebrodi e da taluni uffici, sono riusci-to a portarlo a definizione: i lavori sono già iniziati e l’acqua di Manga-lavite, fra qualche anno, sarà una realtà per il nostro paese. Altro dato di fatto, fra alcuni mesi, sarà quello della pista di servizio Botti-Barrilà, cui da decenni i nostri lavoratori della forestale aspiravano. Il Comitato Tecnico Scientifico del Parco ci ha dato l’assenso, a seguito delle nostre insistenze supportate da dati tecnici e da proposte valide, e noi abbia-mo messo in piedi il progetto, che già è depositato al Comune, quindi prevediamo che, per la primavera prossima, sarà possibile iniziare i la-vori, la cui ultimazione consentirà ai nostri lavoratori di raggiungere i cantieri di Barrirà con la propria macchina.


Tutto quello che è stato competenza della Giunta Municipale è stato realizzato, così com’è stato realizzato un buon 60, 70 per cento del mio programma, presentato quattro anni addietro. Devo anche ammettere che un programma politico non può essere un libro dei sogni e nel 1993 ho presentato un programma che poteva esserlo. Oggi, dopo aver acquisito un’esperienza non indifferente, conoscendo bene i meccani-smi di finanziamento ed il bilancio della Regione, ho cercato di focaliz-zare l’impianto di un programma attendibile, delle cose che sono rea-lizzabili alla luce delle disponibilità regionali, statali e della Comunità Europea, opere che rientrano nei settori delle reti idriche, delle reti fo-gnanti, dell’ambiente, dell’arredo urbano. Ma di queste cose parleremo nel prossimo comizio poiché la pioggia insistente non ci consente di proseguire oltre.



Comizio del 23 novembre

Oltre tre anni addietro promisi, qui, in questa piazza, di salvare Longi. La promessa è stata mantenuta. I tre grandi obiettivi raggiunti, di diffi-cile realizzazione, possono così essere sintetizzati:

  • la gran massa di debiti risalenti a circa due miliardi di lire non esi-ste più. Il dissesto è stato evitato. Di conseguenza, si è scongiurata la presenza del Commissario ad acta per la gestione dell’improvvido provvedimento comprendente la vendita dei terreni comunali, l’aumento delle tasse locali al massimo dei parametri, il trasferimento ad altra sede del personale in esubero tra i dipenden-ti del Comune;

  • l’aggiudicazione della gara per la captazione dell’acqua potabile presso la sorgente Tre Schicci è un atto compiuto. Rammento che mi sono trovato dinnanzi ad un progetto del 1986, bloccato, con il finanziamento che era perduto per cui ho dovuto chiedere un nuo-vo decreto assessoriale per fare tornare in vita le precedenti somme stanziate; mi sono trovato a dover superare i veti del Parco dei Ne-brodi, subendone pur tuttavia i vincoli e le prescrizioni nella fase lavorativa e di realizzazione dell’opera; ho dovuto affrontare persi-no gli ostruzionismi locali, che hanno comunque frenato i proce-dimenti;
  • la strada Botti-Barrilà, chiesta da sempre dai lavoratori della fore-stazione e mai realizzata, ha pronto il progetto essendo riusciti a strappare l’assenso al Parco dei Nebrodi. La strada potrà diventare presto una realtà.

Abbiamo portato avanti, inoltre:

  • l’inserimento nel piano regionale del finanziamento di numero trenta alloggi popolari, la cui procedura attuativa non è stata pos-sibile avviare poiché il Consiglio Comunale non ha voluto assegna-re l’area su cui sarebbero dovuti sorgere gli alloggi;

  • la rete idrica nelle Contrade è stata completata, ma non si è potuta attivare perché la preesistente rete fognante non è stata ancora col-laudata pur essendo stata realizzata qualche decennio addietro. Per procedere in tal senso, abbiamo dato incarico, per un progetto pre-liminare, ad un tecnico al fine di collegare quest’ultima ad una va-sca di decantazione (Imoff) del relativo materiale di scarico;

  • pur avendo pronto un progetto per un piccolo allargamento del Cimitero, il quale peraltro è stato dotato di un nuovo impianto elet-trico, nel contempo è stata avviata la pratica con la Cassa Depositi e Prestiti per un mutuo di un miliardo e mezzo finalizzato ad un più vasto e definitivo suo allargamento verso Cerimo;

  • sono state sistemate parecchie strade nelle campagne ed abbiamo portato a gara d’appalto, definita, il progetto per la costruzione dell’anfiteatro al Campo Plurimo.;

  • tante altre opere realizzate, per un importo di due miliardi e 600 milioni di lire, sono state elencate nel bollettino della Giunta Mu-nicipale, distribuito il mese scorso.

Infine, un’altra cosa importantissima: per quattro anni ho tenuto du-ro, nonostante l’isolamento politico, la richiesta di referendum, i volan-tini oltraggiosi, la richiesta di dimissioni da parte del Consiglio Comu-nale, impedendo così che venisse un Commissario Regionale.

Vi sembra poco tutto questo? Pur tra le notevoli difficoltà di gestione amministrativa, di situazioni e attacchi che ho dovuto subire, di veti ed ostruzionismi vari, cose che tutti voi conoscete, gli obiettivi di compe-tenza della Giunta sono stati raggiunti. Tutti. Giudicate voi, quindi, se ho lavorato bene, se ho mantenuto, almeno per la gran parte, le pro-messe e gli impegni presi con voi, concittadini.
Oggi fare il Sindaco non può essere frutto dell’improvvisazione. Ri-tengo doveroso, quindi, mettere ancora al servizio del mio paese quest’altra esperienza maturata, dopo quella, notevole, negli anni di impegno sindacale ai più alti livelli, assieme alle mie modeste capacità, nonché la conoscenza delle leggi, acquisita durante i quattro anni, per potere amministrare un Comune. Certo, qualche pecca c’è stata, qual-che mancanza pure, ma non certamente in malafede. Ho cercato di amministrare in maniera imparziale, trasparente, trattando tutti i cit-tadini sullo stesso piano: non ci sono stati né avversari politici, né ami-ci, che sono stati rispettivamente discriminati o privilegiati, ma chi aveva un diritto gli è stato assicurato o riconosciuto. Se ho potuto arre-care involontariamente danno a qualche cittadino oppure se non ho potuto accogliere la sua richiesta, gli chiedo scusa: non sempre è possi-bile fare tutto quando non c’è disponibilità di soldi nelle casse comuna-li.


Per realizzare un programma non bastano quattro anni di ammini-strazione; io, in questo periodo, ho dovuto dedicare gran parte delle mie energie e del mio tempo a risolvere i grossi problemi che ho trova-to. Ora è venuto il tempo di programmare il futuro e fare quello che non mi è stato consentito di fare. Alcune cose sono avviate, altre con-trastano con gli ostacoli incredibili della burocrazia, altre ancora han-no trovato difficoltà tecniche, che però sono in fase di superamento. Le nuove bisogna metterle in piedi, facendo parte del mio programma, che necessariamente può essere riassunto per grandi linee in quanto la sua realizzazione dipende dai finanziamenti disponibili nei vari comparti e settori. Le cose che indicherò sono frutto dell’esperienza dei quattro anni e non faranno parte quindi del libro dei sogni50.

Revisione e razionalizzazione del P.R.G.; consolidamento a monte del paese e del rione Borgo, secondo quanto indicato dall’apposita rela-zione geologica; collegamento veloce con la S.S.113; case popolari nelle Contrade per la loro rinascita; allargamento verso Cerimo del Cimitero e ristrutturazione della sua chiesetta; arredo urbano del Corso Umberto I e delle viuzze attorno al Castello (centro storico); incremento del ver-de pubblico con Villa comunale in zona “Giardino” – Serro; rete idrica interna e serbatoio Filipelli, rete fognante e depuratore.

Il turismo, l’agriturismo e l’agricoltura sono settori che attengono al privato imprenditore. Il Comune può realizzare dei percorsi per escur-sioni, come ad esempio alla Stretta di Longi, anche in collaborazione col Parco; una volta recuperate le case di Mangalavite e quella di Ferrante, la loro gestione deve essere affidata ad una cooperativa di giova-ni. Nei servizi, affidamento ad una cooperativa specializzata della rac-colta differenziata dei rifiuti solidi urbani con possibilità di diminuzio-ne della relativa tassa. Per quanto riguarda la forestazione, il settore dipende dai finanziamenti regionali, quindi il Sindaco può solo assiste-re i lavoratori.
Mi soffermerò adesso sul problema della forestazione e su quanto è accaduto giacché attorno alla vicenda si sta facendo populismo, bassa speculazione elettorale col vantare credito presso gli appositi organismi regionali. C’è una legge nuova (la L.R. 16/96) che stabilisce i criteri di avviamento al lavoro tenendo conto della copertura economica annua-le. Ci sono poi dei parametri che stabiliscono la ripartizione delle somme tra i vari distretti; all’interno dei quali vengono messi in piedi i progetti in base alle esigenze esistenti presso i boschi e le superfici da “boscare”. Non sarà, pertanto, l’intervento di qualche onorevole regio-nale a stravolgere ciò che è stabilito per legge. Si tratta solo di vigilare perché non siano penalizzati alcuni paesi del distretto a beneficio di al-tri. E per questo compito esistono le organizzazioni sindacali. Di con-seguenza, è importante essere presenti all’interno dei Sindacati ed in-calzarli. Un Sindaco, in assenza dei Sindacati, in occasioni di situazioni come quella che di recente si è creata, se ne ha la capacità, può inter-venire presso gli organismi preposti per portare la voce dei lavoratori e cercare di ottenere il rispetto della legge. I braccianti agricoli longesi, non avendo una guida sindacale, si sono rivolti al loro Sindaco quando ne hanno avuto bisogno. Ed il loro Sindaco, ricordandosi di avere fatto il Sindacalista nel passato, ha cercato di aiutarli intervenendo a Paler-mo, a Messina ed a Catania. Oggi, tutti i braccianti agricoli hanno lavo-rato presso la Forestale. Merito del Sindaco o di qualche altro? Di nes-suno dei due; il merito è solo ed esclusivo dei lavoratori, che hanno protestato, sono scesi in lotta trovando un loro portavoce, che si è sosti-tuito

50 Sono passato indi all’illustrazione dei punti programmatici, che sinteticamente ri-chiamerò (nda.)

al ruolo istituzionale dei Sindacati. Questo Sindaco, infatti, è in-tervenuto presso il Prefetto di Messina, presso l’Assessorato Regionale all’Agricoltura e Foreste, presso l’Ispettorato della Forestale di Catania, laddove, in data 3 settembre ’97, è riuscito a strappare due progetti per complessive 35 unità circa, tant’è vero che l’Assessore Regionale Cuffa-ro, nell’incontro avuto in data 18 settembre scorso, annunciò che in da-ta 16 settembre il Comitato tecnico dell’Azienda Forestale aveva appro-vato due progetti per dieci più trenta unità presso il bosco di Barillà: erano quindi i due progetti di cui si era discusso a Catania il 3 settem-bre. Se, poi, il fax, che peraltro il sottoscritto scrisse di proprio pugno, per incarico dell’Assessore Regionale, arrivò al Comune con l’indirizzo cambiato, “al Consiglio Comunale anziché al Sindaco”, fa parte di quel-le furbizie di bassa lega politica.
Esistono documenti in mio possesso e testimoni, venuti con me sia a Catania, sia a Palermo, che possono testimoniare quanto ho asserito. Nella mia lunga carriera di sindacalista ho imparato che i lavoratori non si devono prendere in giro. Se qualcuno, pertanto, vuole fare oltre che il Sindaco anche il Sindacalista, incominci ad imparare a non rac-contare bugie.
Sull’argomento dell’indennità agli Amministratori, se volete un Sin-daco e degli Assessori che siano presenti al Comune quando sono liberi dai loro impegni di lavoro, votate per chi rinuncia all’indennità. Se, in-vece, volete un Sindaco e degli Assessori che siano ogni giorno presenti in Comune, anche, talvolta, per 12 ore il giorno, e che amministrino con professionalità, con testardaggine nel seguire le pratiche e per ri-solvere i problemi, allora votate per chi ha bisogno dell’indennità, quale rimborso spese e per affrontare eventuali incidenti amministrativi e giudiziari, in alternativa ad altri sistemi illeciti, che rifiuto e condanno. Vorrei saper chi è quel fesso che dedica quattro anni del suo tempo, li-bero dal lavoro, a gestire un Comune, togliendo soldi alla propria fami-glia: fare l’Amministratore, infatti, costa denaro sonante. Vorrei sapere chi è quel fesso che, per la gloria o per riempirsi la bocca dicendo di farlo per il bene del proprio paese, chi è quel fesso – dicevo – che svolge gratis un lavoro, perché di un lavoro faticoso e pesante si tratta, anzi rimettendoci quattrini per ben quattro anni. Oggi, tutti i Sindaci, i De-putati, gli Amministratori degli Enti Pubblici, i Ministri percepiscono un’indennità. Perché proprio il più fesso tra tutti deve essere il Sindaco di Longi? Chi dichiara di rinunciare all’indennità bara, sapendo di in-gannare la gente. L’importo dell’indennità del Sindaco di un paese pic-colo come il nostro (un milione di lire nette circa) è notevolmente infe-riore allo stipendio del grado più basso di un dipendente comunale e, pertanto, offende l’intelligenza, l’assunzione di responsabilità ed il gra-do rivestito da un Sindaco, che è anche il Capo di tutti i dipendenti comunali. Ed allora, siamo seri, diciamo come stanno veramente le co-se e lasciamo che gli Amministratori possano ricoprire dignitosamente il loro incarico senza ricorrere ad alternative strade illecite, che tutta la società civile rifiuta e che chiede di perseguire per legge. Se, poi, le ele-zioni si debbano giocare sulla rinuncia all’indennità o meno, allora siamo caduti veramente in basso perché non si hanno altri argomenti su cui confrontarsi e perché si vorrebbe calpestare, qui a Longi, quel principio sociale che ogni lavoro onesto, reso alla società – e fare l’Amministratore, ripeto, è un lavoro – deve essere regolarmente retri-buito. Lo dice la legge. Oltretutto, il bilancio del Comune non è più de-ficitario.


Ho sempre portato avanti un discorso di pace e di civiltà, un discorso di unità del paese. Purtroppo, però, il paese è diviso in tre parti o fazioni. Mi auguro che ci sia una competizione civile e democratica e che, dopo, ci sarà una riappacificazione politica perché sarebbe veramente grave che il Sindaco eletto debba gestire con circa i 2/3 della popola-zione contraria. Io sono venuto in pace e voglio continuare su questa strada. Se avrò, quindi, la vostra fiducia mi adopererò per la pacifica-zione del paese, sia in termini di gestione unitaria, sia nei rapporti con i cittadini, che continuerò a considerare tutti sullo stesso piano, senza che vi sia discriminazione tra avversari e amici, ma assicurando solida-rietà, rapporto umano, amicizia, giustizia sociale.
Contrariamente a quanto faranno altri, io personalmente non verrò a chiedervi il voto nelle vostre case, ma passerò per stringervi la mano e salutarvi.

Concludo questo mio discorso presentandovi la lista dei candidati al Consiglio Comunale, cui sono collegato. Sono, in maggioranza, giovani, che vogliono imparare a fare politica per gestire in maniera “pulita” e giusta il nostro paese. L’avvenire del paese è nelle mani dei giovani: in-coraggiateli.

Avanti, allora, tutti quanti insieme per costruire il futuro di Longi in-camminandoci verso il terzo millennio”.

Comizio del 27 novembre

Il paese, ogni paese, per andare avanti ha bisogno di stabilità politica e, quindi, di continuità nella gestione amministrativa. Un Sindaco, che ha operato bene, dovrebbe essere riconfermato per due legislature conse-cutive per non bruciare l’esperienza acquisita, per portare a conclusio-ne il programma presentato giacché non bastano quattro anni. Il paese vicino, Galati Mamertino, è andato avanti perché ha avuto una conti-nuità di gestione amministrativa per diverse legislature. Questo non è un consiglio interessato, per il tempo presente, ma lo è per sempre, an-che per gli anni avvenire, beninteso se un Sindaco ha bene amministra-to.


È stato affermato che ho disatteso il mio programma. Ho illustrato già gli obiettivi centrati: quello che è dipeso dalla Giunta o da me è sta-to realizzato, quello che doveva essere sottoposto all’approvazione di altri, vedi Consiglio Comunale, mi è stato impedito. Ho presentato, a suo tempo, alla Giunta di “prima nomina” un progetto con le proposte avanzate dai cittadini attraverso quell’indagine conoscitiva, fatta prima della mia elezione del ’93: non ho avuto alcun riscontro in termini ope-rativi. Puntualizzo, però, che alcune proposte potevano essere attuate attraverso l’iniziativa privata, mentre altre dovevano passare dall’approvazione del Consiglio Comunale. Così come sono stato co-stretto a non convocare oltre il “Comitato di consultazione permanente a latere del Sindaco” perché, anziché fare delle proposte concrete e dare pareri, l’organismo si era trasformato in una sorta di alternativa al Consiglio Comunale, dove tutti litigavano tra loro, rinfacciandosi atteg-giamenti ed atti del passato politico, senza produrre alcunché di positi-vo.
Mi hanno imputato l’assenza di ogni forma di progettazione futura e la mancata richiesta di finanziamenti utilizzando le opportunità offerte dalla Comunità Europea. Mi hanno forse approvato i Consiglieri Co-munali le opere finanziabili che ho proposto nell’annuale Piano Trien-nale delle Opere Pubbliche? L’ultimo Piano, del 1995, è stato approvato con opere non finanziabili.

È stato mosso un rilievo perché non ho realizzato nuove strade in-terne o esterne. Ho già risposto che, nel bilancio economico della Re-gione siciliana, nessun capitolo ha avuto imputata una lira, ad eccezio-ne dei finanziamenti destinati in maniera esplicita al completamento dell’autostrada Palermo-Messina e della Palermo-Sciacca.

Qualcuno si è lamentato del divario esistente tra l’istituzione comu-nale e i cittadini. Se per divario s’intende la mancata presenza in piazza del Sindaco, ebbene solo lavorando sodo, talvolta per 12 ore giornalie-re, all’interno del Municipio, sono stati possibili l’opera di risanamento economico, il recupero di ciò che era bloccato o stava per perdersi, l’allontanamento del pericolo di un Commissario e del referendum di rimozione del Sindaco.

Sono stato tacciato di essermi arrogato il diritto di amministrare da solo il Comune. Ebbene, collaborato solamente dai miei Assessori, ho risolto il 60-70% dei gravi ed annosi problemi del Comune; figuriamoci cosa sarebbe stato possibile fare se fossi stato collaborato, da chi di do-vere, come sarebbe stato giusto fare per il bene della collettività. Devo assicurare che oggi non sono più solo, ma ho una volenterosa squadra di giovani, candidati al Consiglio, che vogliono imparare ad ammini-strare il Comune con nuovi metodi.

Per quanto riguarda le iniziative a favore dell’occupazione, soprattut-to giovanile, devo rammentare che il Comune ha speso due miliardi circa per cantieri, per giovani avviati ai lavori socialmente utili, per la-vori affidati alle imprese locali. Quello della disoccupazione giovanile è un fenomeno che riguarda tutta la Sicilia, se non anche l’Italia intera, ed un Comune, da solo, fa quel che può alla luce del proprio bilancio.

Relativamente alla meccanizzazione dell’Ufficio Tecnico e dell’Anagrafe ho chiesto al Consiglio Comunale la destinazione della somma occorrente, prelevandola dai residui attivi di bilancio, ma il problema è stato rinviato alla futura amministrazione comunale; pur tuttavia, gli uffici di Ragioneria, Segreteria e Biblioteca sono stati già dotati di computer.



Tanto è stato fatto, ma ancora tanto rimane da fare. Il paese, però, è uscito dalla notte buia pur non godendo ancora appieno della luce del sole. Per un’alba limpida e serena che illumini il tuo “campanile e le tue montagne”, vota semplicemente siffatto simbolo, che è il simbolo della lista n. 2.

Comizio del 28 novembre

È stato detto: no alle opere faraoniche, no alle cattedrali nel deserto; sì ai piccoli lavori per gli artigiani. Questo ritornello lo sento da tre anni. Ebbene, ho invitato chi ha fatto questa proposta, assieme ad artigiani locali e tecnici, a suggerirci queste piccole opere da fare. Ancora atten-do risposte. Assieme ai piccoli interventi da fare con la L. R. 1/79, van-no fatte anche le grandi opere, le uniche finanziate, per migliorare le strutture ed i servizi del paese. L’anzidetta asserzione è una strumenta-lizzazione bella e buona dei nostri artigiani, i quali peraltro hanno tutti lavorato per il Comune, ai fini propagandistici ed elettorali.

Sono state fatte, da alcuni, promesse di assunzione al Comune, non-ché sconcertanti pressioni, che rasentano il ricatto. L’unica assunzione che sarà possibile fare, ma per pubblico concorso, è quella per Vigile urbano. A tal proposito, devo dire che ho chiesto al Consiglio Comuna-le di stanziare la somma di £ 2 milioni per procedere al relativo bando di concorso: mi è stata negata.

Sono state effettuate telefonate ai nostri attivisti per abbandonarci, a nostri candidati al Consiglio per dividerci seminando zizzania tra noi.
Il paese è diviso e forse è anche disorientata quella parte di cittadini che abbisogna di un lavoro.

Noi abbiamo dichiarato il nostro impegno ad unire, a pacificare il paese non tenendo conto più degli schieramenti politici attuali. In que-sto nostro progetto unificante s’inserisce la dichiarazione fatta di no-minare gli altri due Assessori dopo che avremo avuto il consenso dei cittadini. Lo potremmo fare adesso – abbiamo gli elementi –, ma il no-stro intuito politico ci porta a rinviare la loro designazione nel momen-to in cui avremo chiara la composizione del nuovo Consiglio Comuna-le.

Abbiamo sentito anche urlare, in questa piazza, per dimostrare cose che non esistono: urla chi ha scheletri nell’armadio. Noi non abbiamo bisogno di urlare per fare valere le nostre ragioni poiché facciamo poli-tica dicendo come stanno le cose, dichiarando la verità, che è sempre verificabile, perché non ci permetteremmo mai di offendere l’intelligenza dei longesi e la loro capacità di giudizio. Urla chi ha torto, dialoga chi ha ragione. L’“urlatore”51 ha detto di avere inviato molti fax che annunciavano interventi a favore del paese. Ne avete mai visto uno, a sua firma? Ha anche asserito che l’Amministrazione deve avere la ca-pacità di progettare una forestazione produttiva. Il Comune, al di fuori del piccolo bosco Soprano, è proprietario di vaste estensioni di boschi?

51 Leggesi, on. Cuffaro: negli anni seguenti, condannato ed incarcerato (nda).
I progetti sono di esclusiva competenza degli Ispettorati della Forestale, nemmeno dell’Assessorato Regionale Agricoltura e Foreste, ed il con-fronto su questi progetti e sulla ripartizione delle giornate lavorative avviene solo ed esclusivamente con le Organizzazioni Sindacali. L’Amministrazione Comunale può solo fare da sprone per ottenere il massimo. Quello che noi abbiamo fatto è stato messo in atto soltanto in un momento di emergenza, nella fase transitoria di prima applicazione della L.R. 16/96, sostituendoci ai Sindacati perché sappiamo fare anco-ra ed anche quello che istituzionalmente appartiene al Sindacato.
È stato scritto nel programma del geom. Fabio che bisogna “amplia-re le zone di forestazione già esistenti, ed individuarne delle nuove, il tutto per incrementare le possibilità lavorative nel settore”. Giustissi-mo. Ma il Comune ha i soldi per acquistare terreni da rimboschire? Oppure si vogliono rimboschire quelli comunali, in contrada Petrusa? Gli allevatori e gli affittuari dei terreni della Petrusa cosa ne pensano? O si vuole invitare l’ESA a rimboschire i terreni a pascolo di Botti? È stato chiesto alla Cooperativa di allevatori cosa ne pensa? Queste mie considerazioni nascono dal fatto che ho conoscenza di siffatti problemi avendoli dovuti affrontare in diverse occasioni.

Vorrei ricordarvi che stiamo votando per il Sindaco del Comune di Longi e non per i deputati dell’Assemblea Regionale siciliana o della Camera. Stiamo decidendo sui programmi presentati e sulle potenziali capacità ad amministrare il Comune da parte dei relativi candidati. Sono convinto, pertanto, che esiste una maggioranza silenziosa che ha già deciso, una maggioranza formata da gente saggia e che vuole la stabilità e la pace.

Sono i principi della pace, della giustizia, dell’eguaglianza, della soli-darietà, che voglio portare ancora avanti. La pace, che si fonda sulla ve-rità, sul ragionamento. La giustizia sociale, che si amministra rispet-tando le leggi e riconoscendo il diritto a coloro che ne abbiano i requi-siti. L’eguaglianza, che si attua nel non discriminare i cittadini. La soli-darietà, che trova riscontro nell’amare i propri simili, nell’aiutarli quando hanno bisogno, nello stare loro accanto quando sono ammalati o sono nel dolore, nel rispettare tutti coloro che ci stanno attorno trat-tandoli con dignità e con spirito di amicizia. So che questi principi so-no radicati in grandissima parte della gente di Longi: dobbiamo solo alimentarli e coltivarli perché praticandoli andremo incontro a quella necessaria collaborazione affinché il paese possa andare avanti con rinnovata speranza verso il futuro, quel futuro che ci proietta già verso il terzo millennio. Sta a noi iniziare bene il cammino verso il nuovo se-colo, verso la nuova era.
Concludo con il famoso detto di Pericle: “sapere quello che va fatto ed essere capace di spiegarlo, amare il proprio paese ed essere incorrut-tibile sono le qualità necessarie ad un uomo che vuole governare la propria città”.
Io amo Longi come si può amare una donna dalla quale si è stati a lungo lontani, che si è sempre amata e che finalmente si è ritrovata.
W i longesi, W i Lavoratori, W Longi.

Perchè ho perso (le elezioni ed il “rinnovamento”)

Così Giorgio Bocca sulla Sicilia: “Il peso di eredità culturali e civili seco-lari è duro da portare, difficile da eliminare; i pregiudizi, i privilegi, le abi-tudini, le chiusure di un sistema feudale che ha ignorato per secoli le li-bertà comunali e la democrazia corporativa non si cancellano in pochi decenni”. Io, invece, volevo rivoluzionare il sistema locale in pochi anni. Figuriamoci!

Secondo alcune voci, ho perso la mia battaglia, e quindi la carica, con le elezioni amministrative del 30 novembre 1997, perché:

  1. ho cacciato dalla Giunta l’assessore R. M. M., il quale atto sarebbe passato in secondo piano se avessi realizzato grandi cose;

  1. ho detto, nell’apposito comizio, che non avrei fatto ricorso al T.A.R. contro il Referendum per la rimozione del Sindaco ed invece l’ho fatto;
  2. mi prendevo l’indennità di carica;

  1. ho fatto il comizio sulla perduta eredità, da parte del Comune, del-la Duchessa D’Ossada, con le implicazioni future che ne sono deri-vate.


Credo di aver fornito le più ampie delucidazioni a tutte queste osser-vazioni nelle pagine precedenti.

Chissà perché la gente vuole ricordare le cose che ad essa non piac-ciono e dimentica, invece, quelle buone, le quali, peraltro, secondo un’ambigua e non corretta consuetudine, vengono azzerate nei con-fronti di chi viene bocciato alle urne. Ed allora, poiché “repetita iuvant”, in aggiunta alle motivazioni, già esposte, che mi hanno indotto al com-portamento riferito alle accuse sopra elencate, per quanti fingono di avere la memoria corta, mi permetto di ripetermi.

Per le “grandi cose”: 1°) sono stati da me azzerati i decennali debiti miliardari del Comune; 2°) il progetto per fare arrivare l’acqua potabile al paese era bloccato ed io ho sormontato tutti gli ostacoli tecnico burocratici e gli atti di ostruzionismo, riuscendo a fare iniziare i lavori allo scadere del mio mandato; 3°) il sogno trentennale dei braccianti forestali per la strada Botti-Barrilà è diventato una realtà; 4°) sono riu-scito a far finanziare il primo tratto del Collettore della rete fognante per un importo di due miliardi; 5°) è stata costruita la rete idrica nelle Contrade, che si doveva collegare all’acquedotto proveniente dalla sor-gente Tre Schicci; 6°) è stato inserito nel programma regionale l’importo necessario alla costruzione di n. trenta alloggi popolari.
Queste sono soltanto le realizzazioni più importanti. Sono poche? Sono piccole cose? Non bisogna dimenticare il fuoco di sbarramento che ho dovuto subire da parte dei “panzer”, avversari, o meglio nemici.

Tenterò, quindi, di fare una personale e cruda analisi politica e socia-le, necessariamente impietosa, ma reale ed obiettiva, per capire io stes-so, ancor di più, l’ambiente, quello al quale anch’io mi onoro di appar-tenere, essendo figlio di questa terra.

Tre giorni prima delle votazioni, esattamente giovedì 27 novembre 1997, misi insieme alcuni tasselli in mio possesso, provenienti da co-gnizioni contingenti e da intuizioni, i quali mi portarono a prevedere che avrei perso le elezioni e che vincente sarebbe stato il candidato Ni-no Fabio.

Il comportamento freddo e distaccato della gente ai miei comizi, la paura di avvicinarsi a me anche per un saluto, l’accoglienza ambigua in alcune case, la frantumazione dei voti tra più liste in talune famiglie, il disimpegno di alcuni amici, nonché il voltafaccia o addirittura il tradi-mento da parte di persone che avevo aiutato, mi delinearono nettamen-te il quadro della situazione in divenire. Tra queste persone, una, prima a me vicina e da me sempre favorita nelle cose possibili, ebbe a candi-darsi, senza darmi alcuna spiegazione, con Fabio, togliendomi all’incirca qualche centinaio di voti.

Ho affermato, a ragion veduta, che c’è stato anche un disimpegno da parte di alcuni amici, se non addirittura il loro voto o una sommessa propaganda contrari. Infatti, per quanto riguarda il disimpegno, debbo riferire che, a distanza di un paio di anni dalle avvenute votazioni, ven-ne a trovarmi una persona per pregarmi di un grosso favore. Candida-mente ebbe a dichiararmi che nel 1993 aveva votato per me perché il suo medico l’ebbe ad invitare in tal senso; invece, nel 1997, non essen-do stata nuovamente dallo stesso contattata, diede il proprio voto e quello della sua famiglia al candidato F.. Questa notizia confermò il fondato dubbio, non solo mio, ma anche di altri miei compagni di cor-data, che nel 1997 il predetto mio amico – ed amiche erano anche le nostre rispettive consorti – non si prodigò ad assicurarmi il centinaio di voti, e forse anche più, della prima volta. E dire che quel professionista era stato preferito e privilegiato quale persona cui affidare incarichi particolari e di prestigio. Che cosa era avvenuto? Credo di potere incastonare un tassello in questo quadro di disimpegno politico da parte del medico. Alcuni mesi dopo le votazioni amministrative, in occasione del rinnovo delle cariche sociali all’interno della Banca locale, quell’uomo fu eletto Vice Presidente, mentre l’ing. Z. ne divenne il Presidente. Quest’avvenimento la-sciò perplesse, oltre che me, parecchie persone, in quanto era notorio che tra loro non correva buon sangue, anzi, incontrandosi, non si salu-tavano nemmeno a causa di una vecchia lite tra i due. Ebbene, cono-scendo la predisposizione a mettere in piedi fantasiose strategie politi-che da parte di L. Z., è possibile ipotizzare un accordo segre-to, intervenuto per il tramite di un loro noto comune amico, secondo il quale i due, mettendo insieme le proprie forze, avrebbero osteggiato la riconferma del Presidente uscente, dr. C., il quale era forte dell’ottimo lavoro svolto al servizio della Banca. La condizione cape-stro, però, sarebbe stata quella che il medico si sarebbe dovuto disim-pegnare dall’appoggiare elettoralmente la mia persona, in quanto Z. sapeva perfettamente cosa ciò significava per me e per egli stesso; questi fu candidato peraltro quale Assessore nella lista di F. Non è fantapolitica la mia supposizione, bensì real-politica, ispirata da fatti e supportata dalla conoscenza dei contorni e degli scenari in cui, al suo interno, si muovono, in maniera spregiudicata, taluni soggetti. I fatti sono chiaramente visibili ed “hanno la testa dura”, diceva Max.

Tornando di nuovo alla competizione elettorale, la situazione stri-sciante si acclarò ancora più distintamente quando mi comunicarono che l’anzidetto Assessore in “pectore”, della lista n. 3 (Insieme per Lon-gi), andava ricontattando alcune persone dicendo loro che avevo perso le elezioni e che bastavano pochi voti al suo candidato a Sindaco per potere vincere: questa astuzia fu sufficiente a far spostare parecchi voti dalla mia persona a quella di C. F.. Il richiamato comporta-mento delle persone su riferite spiega il basso numero di consensi da me riportato.

Nel contempo, rispetto alle previsioni di qualche mese prima, N. F., che era dato per perdente, recuperò in effetti terreno attraverso fortunose operazioni politiche ed organizzative. Pur tuttavia, sino ad una decina di giorni prima della data delle votazioni, veniva prefigurato un duello all’ultimo voto tra me e F.. Ma per noi due la torta da spartire era quasi la stessa di quattro anni addietro, quella che mi aveva portato alla clamorosa vittoria, con l’aggiunta degli astenuti di allora. Mancava qualche fragola che N. F. era riuscito a mettere nel suo panierino..
La considerazione su questi ultimi fatti m’indusse ad incontrarmi se-gretamente con una persona molto riservata, L. L., candidato nella lista di Frusteri, per affidargli un messaggio circa la necessità di trovare “in extremis” una soluzione politica se non si voleva consegnare il paese nelle mani della parte più retriva degli ex democristiani, nonché di op-portunisti, che a loro si erano aggregati, candidandosi, per conseguire, come poi lo conseguirono, un interesse personale. La risposta da parte di F. fu negativa, perché era certissimo di vincere. Il risultato confermò la mia intuizione politica e C, F., ubriacato per la vittoria che gli facevano intravedere come sicura, ma certamente in buona fede, fece arretrare il Comune di Longi su posizioni da “prima repubblica”. Alcuni suoi amici, però, non se ne fecero uno scrupolo né si dolsero per la perdita, giacché avevano raggiunto in ogni caso un obiettivo, che era quello di scalzarmi dal Comune. Infatti, quando ebbi a proporre al dr. F. di avanzare, insieme, ricorso al T.A.R. per chiedere l’annullamento delle votazioni in quanto esistevano delle te-stimonianze che due Presidenti di Seggio elettorale, nel corso delle operazioni di voto, avevano aperto l’urna, contenente le schede votate, mettendovi dentro le mani, la risposta, da parte del mio avversario, fu negativa, sebbene il pensiero contrario di alcuni suoi candidati al Con-siglio Comunale.

Il post-comunista F., il quale aveva assunto la funzione, nei miei confronti, di giustizialista politico, al grido di alcuni suoi accoliti “fuori Zingales”, tentò in un primo momento di mettere insieme, con-tro di me, il diavolo e l’acqua santa offrendo ad un ex Sindaco – non longese – uno degli artefici della nota eredità amministrativa pervenu-tami, di capeggiare “la sua lista”. Non vi riuscì, il diavolo e l’acqua san-ta presero ognuno la loro strada, ma egli ebbe la capacità di compatta-re personaggi, da me rifiutati sul piano politico e tra loro divergenti sia politicamente, sia sul piano del raggiungimento degli obiettivi non coincidenti; in quest’operazione, coinvolse anche alcuni spiriti liberi, che precedentemente avevano dichiarato di volersi schierare con me, sol perché suoi parenti o affini dal punto di vista ideologico.

Considerata la quota, quasi fissa, attribuibile agli ex democristiani (circa 450 voti), più quelli convergenti, attraverso altri accordi politici, verso la lista di F., i restanti 750 voti circa (imputabili ai cosiddetti progressisti nel bipolarismo comunale di Longi), su quasi 1300 votanti, dovevano essere ripartiti tra me e F.. La sua poca lungimiranza ed arroganza politica, però, nel pretendere di attribuirsi un numero di voti superiore a quelli che avrebbe ottenuto N. F., preconizzando per me meno di duecento voti, portarono al risultato che la maggioran-za dei longesi (progressista) ha dovuto subire lo smacco di essere amministrata da una minoranza politica (conservatrice, per volere usare un eufemismo).
Due errori politici sono troppi

A proposito di questo personaggio c’è da dire che, nel mese di agosto del 2001, in occasione di un lungo colloquio che ho avuto, presso la se-zione locale del CAI, alla presenza di altre persone, con lo stesso F., leader, peraltro, della coalizione politicamente minoritaria in se-no al Consiglio Comunale, si condivise, da entrambe le parti, di perve-nire ad un incontro collegiale dei due gruppi, sconfitti alle scorse ele-zioni amministrative, laddove, alla pari, si sarebbe discusso innanzi-tutto sulla stesura di un progetto per il rilancio ed il recupero economi-co del paese, mentre, successivamente, si sarebbe affrontato il discorso sui nominativi di coloro che avrebbero dovuto gestire siffatto progetto. Non doveva esserci, quindi, in partenza, alcun candidato designato a qualsiasi carica, nemmeno a quella di Sindaco.

A distanza di un paio di mesi, seppi che il raggruppamento politico minoritario in Consiglio Comunale aveva deciso, per conto suo, la stra-da da seguire indicando anche il proprio candidato a Sindaco: S. L.. Fui, indi, contattato per un’aggregazione formale, che si sa-rebbe dovuta sostanziare in termini di segnalazione di qualche mio amico da candidare (sic!).

Risposi di appartenere a quei pochi che credono in taluni principi, tra i quali quello dell’esistenza di un’etica politica che prevede anche “un modo nelle cose” ed il rispetto degli impegni che si assumono.

F. vinse nuovamente le elezioni, riportando 671 voti, contro i 540 di L..

Non si può far altro che desumere, alla luce dei fatti avvenuti in que-sti ultimi cinque anni, che questa seconda vittoria, assieme alla prece-dente, sia da imputare ai due errori politici di C. F. o, se vo-gliamo, del suo gruppo per l’acredine nei miei confronti. Il primo fu commesso nel 1997, quando insistette nella formazione di una terza li-sta per sconfiggere me, Sindaco uscente, e non F. e me; il secondo venne consumato in quest’ultima tornata elettorale del 2002, nel mo-mento in cui F. venne meno all’impegno assunto con me, nell’agosto dello scorso anno, e volle forzare la mano designando o fa-cendo designare, unilateralmente, il candidato a Sindaco senza la mia compartecipazione e del mio gruppo politico.

Errori le cui conseguenze sono ricadute e continueranno a ricadere sul paese e sui longesi che vogliono guardare al futuro, in quanto circa duecento persone hanno dimostrato di avere una memoria… lunga dei fatti accaduti, negli anni, nel paese di Longi.

***
A distanza di alcuni mesi dall’esito elettorale del 1997, una persona mi ha detto: «Sindaco, lei non è stato rieletto perché dava fastidio. È stato un bene per lei.»

Questa spontanea confessione mi ha sconvolto perché il “fastidio”, nel gergo dell’estremismo politico, prelude, in genere, ad iniziative cruente. Mi sono posto, quindi, alcune domande.

Forse ho dato “fastidio” perché ho denunciato, nel famoso comizio del 23 marzo 1994, il motivo per cui il Comune ha accumulato la mon-tagna dei debiti miliardari con la perdita del patrimonio testamentario, che avrebbe dovuto ereditare dalla Duchessa d’Ossada? Oppure perché ho revocato la nomina ad Assessore a due persone, all’una per scarso rendimento ed assenteismo, all’altra per non aver voluto tenere conto del mio programma mettendomi in minoranza all’interno della Giunta? Oppure perché ho revocato la delega di Vice Sindaco ad un Assessore che lavorava in maniera del tutto opposta a quelli che erano l’indirizzo politico ed il metodo di gestione assunti dalla Giunta? O, ancora, per-ché ho fatto ruotare tutti gli artigiani locali nei lavori che il Comune doveva effettuare e non ho fatto lavorare, invece, solo pochi amici, co-me d’uso per il passato? Perché ho stabilito, attraverso un sorteggio, i turni rotativi di tutti coloro che erano iscritti al Comune quali Direttori ed Istruttori di Cantiere? Perché ho fatto pagare le tasse anche a quei cittadini che avevano procurato un buco debitorio per il consumo dell’acqua potabile ed avevo dato incarico ad un tributarista di effettua-re controlli per il pagamento dell’ICI, dalle cui voci d’entrata risultava un’alta evasione fiscale rispetto alle previsioni? Perché ho trattato con equità e giustizia tutti i cittadini, senza discriminazione alcuna? Perché ho cercato di riorganizzare gli Uffici comunali, sia attraverso la pretesa del dovere quotidiano nell’ambito del proprio lavoro, sia presentando una moderna ed innovativa ipotesi di pianta organica del personale? Ed infine, perché non ho accettato imposizioni e condizionamenti da parte del gruppo politico che originariamente mi sostenne, nel momen-to in cui mi si volevano imporre alcuni nomi di Assessori, da me non graditi, ponendomi nel contempo il veto su altri (da me prescelti, ma poi dimessisi), i quali, al colmo dell’incoerenza, furono accolti nella lo-ro lista quando lo stesso gruppo scese in campo contro di me?

Se questo “fastidio” era percepito da quasi tutti i longesi, hanno fatto bene a non votarmi. Se questa sensazione, invece, era avvertita solo da alcuni perché non li ho lasciati fare ciò che avrebbero voluto, impo-nendomi cioè una gestione dalle scelte non obiettive, o avere essi le mani libere nella politica amministrativa, allora la cosa assume aspetto ben più grave ed allarmante, dal momento in cui ho preteso
l’applicazione di metodi e norme ispirate a principi di giustizia, di equi-tà, di obiettività, di trasparenza e di pulizia morale. La cosa è veramen-te drammatica in quanto, in presenza di questi motivi, sono stati ascol-tati ed assecondati da una consistente fetta di elettori. In entrambi i ca-si, pur tuttavia, in una valutazione non certamente serena ed oggettiva, in riferimento alle negatività, che mi sono state imputate, la gente ha ritenuto più gravi quelle di cui sono stato accusato, mentre non ha te-nuto in alcun conto la positività dei difficilissimi obiettivi da me rag-giunti, che sono stati, mi sia consentito ribadirlo, più consistenti e più ragguardevoli rispetto alle medesime negatività, considerata la situa-zione di inagibilità politico-amministrativa per l’avversione preconcetta e pregiudiziale nei miei confronti.
Il mio sconvolgimento deriva da una riflessione sulla storia moderna, piena di gente che dava “fastidio” alle forze reazionarie, ai malavitosi, ai regimi autoritari, i quali non seppero fare di meglio se non di elimi-narli fisicamente. Matteotti, Moro, Dalla Chiesa, Falcone, Borsellino, Kennedy, Martin Luther King, Gandhi furono barbaramente trucidati perché portavano avanti principi di democrazia, di avanzamento e di giustizia sociale, di rettitudine morale. Lungi da me il benché minimo intendimento di voler effettuare una trasposizione ideale di questi Grandi della storia nazionale e mondiale nel microcosmo longese e di volermi accostare ad Essi nel momento in cui ho cercato di applicare i loro stessi principi, che avevo raccolto nei campi seminati dalle forze sane del progresso e del lavoro. Ma, nel mio cogitare, mi è venuto alla mente il metodo che viene assunto dalle forze oscure ed inquietanti del-la reazione nel momento in cui hanno un qualche “fastidio” da parte di qualcuno. Tutto sommato, quindi, a me è andata bene avendo avuto a che fare con “infastiditi”, che vivono in un ambiente in cui certe inizia-tive cruente non sono percorribili.

Ho ripercorso, però, tutti gli atti intimidatori nei miei confronti, po-sti in essere dal 1995 in poi. Prima una serie di volantini anonimi, avve-lenati, pieni di falsità ed offensivi per me e per alcuni membri della mia famiglia; poi, il taglio delle gomme della mia macchina ed il tentativo di distruzione degli alberelli, da poco piantati, nella Via Roma, laddove è ubicato il Municipio e, quindi, l’Ufficio del Sindaco. Opere di balordi oppure messaggi d’intimidazione politica, che hanno preferito stoppare momentaneamente per attendere la giusta scadenza “per farmi fuori” democraticamente?

Bisogna far fuori il Sindaco Zingales; non importa chi dovrà essere il prossimo Sindaco”, erano parole che circolavano prima e durante la campagna elettorale del novembre ’97.

A Palermo ci si ricorda, negli ambienti culturali, di una definizione della città data da Fausto Flaccovio: “È una città che dedica tutta la sua passione ai pensieri, più o meno profondi, sulle cose che non accadono; ma appena qualcosa di vitale accade, gli stessi filosofi della malinconia del fare diventano cani idrofobi, miserabili diffamatori, invidiosissimi dissacratori”. Ritengo che questa massima, per l’occasione, possa esse-re calata, pari pari, nel nostro paese.
È indubbio che non un programma politico alternativo al mio, ma le critiche distruttive, le basse insinuazioni, le bugie e le denigrazioni, che, messe insieme, hanno dato corpo ad un disegno strategico ben preciso ed hanno contribuito a convincere quelle persone che non ave-vano seguito la mia attività al servizio del paese, che non avevano ascoltato i miei non pochi comizi o non avevano creduto, pregiudi-zialmente, a ciò che avevo detto. Infatti, circa 400 persone hanno volta-to le spalle a chi, quattro anni addietro, avevano eletto, in maniera ple-biscitaria quasi, a loro Sindaco. È stato un fenomeno che non trova ri-scontri, né precedenti, in altre comunità; nemmeno nel nostro paese era mai accaduto che un Sindaco uscente fosse sconfitto con tale di-stacco di voti. Si spiegano, a questo punto, taluni comportamenti di al-cuni longesi. Dagli applausi ai miei primi comizi si passò tutto di un tratto al silenzio più assoluto in quelli successivi ed in quelli finali; pa-recchie persone, interpellate ed invitate a far parte della mia lista, nel rifiutare, addussero le scuse più banali ed inconsistenti motivazioni. Tutto ciò significava che taluni personaggi erano riusciti a fare attorno a me terra bruciata.


Sarei fazioso, però, ed incompleto nell’analisi se dessi tutte le colpe della mia sconfitta ai sunnominati elettori, ai quattrocento, cioè, che mi hanno voltato le spalle.

Le facili promesse riescono a trovare terreno fertile, anche se l’assunzione d’impegno nel mantenerle dipende in larga parte da diver-se circostanze, estranee alla volontà di chi promette, e sono in ogni ca-so condizionate da molteplici fattori, talvolta esterni all’ambiente in cui si opera. Mi riferisco a qualche candidato, mio avversario, che ha men-tito, sapendo di mentire, ed ha così carpito il voto ad alcuni elettori mortificando, nel medesimo tempo, la loro libera volontà individuale. Essi sono caduti in una trappola, consci, però, di sbagliare la loro espressione di voto dal momento in cui erano a conoscenza che erano state mantenute le promesse fatte in pubblico comizio da parte di chi aveva sempre parlato chiaro e senza infingimenti di sorta, da chi aveva trattato paritariamente tutti i cittadini, avversari ed amici, da chi si era impegnato nella difesa del loro diritto al lavoro. È stato un incontro, in acque torbide, tra un pescatore malizioso, furbo, ma bugiardo, ed i pe-sci in cerca di… cibo, i quali hanno abboccato all’esca di bugie drogate, essendo, tra gli animali, quelli più stupidi.

Altra componente che ha giocato un suo ruolo è quella caratteriale insita in alcuni spiriti amanti dell’avventura. Costoro hanno rifiutato la strada giusta e certa, che già conoscevano, per incamminarsi in quella ignota, desiderando forse… la luna. A costoro è andata a finire, però, come quel noto Brancaleone… L’avventura, infatti, si è rivelata un “boomerang”, in quanto la continua ricerca del nuovo e l’irrequietezza, che consegue al desiderio di avere sempre di più, ha determinato, nel paese, una situazione statica, se non involutiva. Questi spiriti avventu-rosi, che ieri hanno votato per chi non conoscevano sul piano politico ed amministrativo, domani voteranno per un altro candidato, magari di uno schieramento opposto a quello di prima, per il semplice gusto di cambiare.

In aggiunta alle anzidette considerazioni, un altro dato importante ritengo che abbia determinato la mia sconfitta. Eravamo in campo ol-tre 40 persone divise nelle tre liste: era la prima volta che ciò succedeva nel nostro paese. Ognuno dei candidati poteva contare sull’appoggio di parenti ed amici sinceri e si è assistito, pertanto, ad una frantumazione del voto anche all’interno di un medesimo nucleo familiare, che si è trovato ad avere candidati in più liste. Non si è votato, quindi, in ma-niera omogenea ed obiettiva, per il programma e per l’uomo politico che desse maggiori garanzie, ma per il parente o l’amico, non importa se capace o incapace, buono o cattivo, colto o ignorante. Ed io, a Longi, non ho cordate di parenti; ho potuto constatare, però, con vero piacere, di avere circa 60 persone, tra amici ed estimatori, che hanno dato il vo-to solo a me, ma non alla mia lista. Alcuni di questi sono amici di vec-chia data, altri nuovi, che mi hanno voluto onorare della loro stima e della loro obiettività di giudizio.



A chiusura dell’ “excursus” sull’argomento, non posso non ricordare una frase pronunciata e scritta da un mio avversario politico, quando vo-leva indurmi alle dimissioni: “Longi non le appartiene, se ne torni nella sua Palermo”. È ammissibile così tanto razzismo verso chi non può esse-re considerato un estraneo a questa terra, essendovi nato, e laddove da se-coli esiste la propria famiglia, che ha dato due Sindaci al paese, oltre il sottoscritto? Sono stato considerato un corpo estraneo all’ambiente per-ché non si è capita o non si è voluta accettare la “nuova impronta” della gestione amministrativa, che rompeva con i crismi del passato. “U paler-mitanu” mi chiamavano, perché alcuni longesi hanno ancora una conce-zione tribale del loro nucleo sociale. Mi spiego meglio. Estremizzando l’assurdità dell’ipotesi, se si fosse candidato a Sindaco di Longi, da vivo, il defunto Presidente Pertini, non sarebbe stato votato perché esiste il con-vincimento, in taluni, che tutto ciò che è al di fuori del loro microcosmo è solo tollerato ma non gradito. E ciò per costoro è già una grande concessione! Di conseguenza, preferiscono i loro capi autoctoni senza andare a sottilizzare sulle capacità o sul programma presentato o sui fatti visibili. Qualcuno potrebbe obiettarmi che ciò è falso poiché, nel 1993, sono stato votato ed eletto a stragrande maggioranza. È vero, ma il paese allora era nella condizione politico-amministrativa che ho descritto ad inizio della pubblicazione, ed aveva bisogno di un uomo che gli togliesse le castagne dal fuoco. E poiché la gente longese non è per niente “babba”, capì che bi-sognava cogliere al volo la nuova opportunità che si presentava. Una vol-ta, però, conseguito il risultato fondamentale, una parte di questa – l’altra aveva fatto la propria scelta di campo già nel 1993 – preferì ricondursi al-la tipicità locale di concepire un certo tipo di gestione del “suo “paese, laddove gli “amici” del Sindaco e “gli amici degli amici” possono dettare condizioni nel corso della gestione stessa. Mi si potrà obiettare che nem-meno questo è vero, giacché esiste il precedente di un Sindaco non indi-geno e non nativo di Longi. Allora, come nel 1993, i longesi avevano biso-gno, anche se in termini assistenziali, di quella persona. Io, invece, non potevo, né sarei stato disponibile, se avessi potuto, a garantire forme di clientelismo.

Per completare il quadro socio -caratteriale dello spaccato locale, non posso sottacere quanto ho avuto modo di toccare con mano rispetto ad un fenomeno che è, sì, una caratteristica siciliana – per fortuna di non tutti i siciliani – e che investe, purtroppo, alcuni longesi. In diverse oc-casioni sono rimasto impietrito di fronte ad atteggiamenti di omertà, pur non trovandoci, grazie a Dio, alla presenza di una realtà locale ma-fiosa.

A mò di appendice didascalica, per non ingenerare equivoche inter-pretazioni, rammento che la mafia ha potuto allignare, in Sicilia, grazie a questa tipicità siciliana, l’omertà; la quale è nata ed è cresciuta tra un popolo vissuto all’ombra dei feudi e del vassallaggio. Un popolo, vale a dire, che è stato “schiavo del bisogno” perché vessato, sfruttato, ricatta-to: ieri, quindi, invocava le “grazie” del barone e ne subiva spesso le an-gherie abbassando il capo, nudato della coppola; poi, ha chiesto prote-zione e favori al padrone del latifondo o dell’azienda o al padrino poli-tico continuando, però, a subire. Questo silenzio di fronte alle prepo-tenze, ai torti ricevuti ed ai ricatti ha dato la stura a quella caratteristi-ca siciliana del tacere, in presenza di situazioni “a rischio”, per paura di ritorsioni verso coloro che “parlano troppo”, ma sarebbe più esatto dire che “parlerebbero a ragione asserendo il vero e l’obiettivamente giusto”. Dal tacere, innanzi alle ingiustizie e, peggio ancora, a fatti illegali, di-scende il comportamento omertoso.


Esempi di omertà a Longi? Tanti. Accennerò ad alcuni. La gente sa che taluni provvedimenti, iniziative o comportamenti (basta fare mente locale a quello che accade o è accaduto) non sono giusti, ma li subisce sottacendo; viene violata la legge, in occasione delle elezioni ammini-strative del 1997, con l’apertura delle urne da parte di alcuni presidenti di seggio durante le operazioni di voto, ebbene, cala il silenzio: non si denuncia, né si ricorre all’autorità giudiziaria; si evadono le tasse, e nessuno si attiva perché si ha paura di fare dei nominativi, soprattutto quando tra questi c’è qualche “pezzo grosso”; non si rispettano i rego-lamenti e le leggi, ed ancora le bocche si chiudono: e se qualcuno pro-testa, quello è uno che dà fastidio. Praticamente, è tuttora presente quella paura connaturata del “padrone” che, “sic stantibus rebus”, lo si sublima inducendolo ad innalzarsi al rango di “padrino”, di nome ma non di fatto, ed in un contesto sociale laddove la mafia non esiste.
Io sono del parere che quando ad un uomo si nega, o egli nega a se stesso, di compiere quelle azioni, quegli atti o l’esternazione del proprio pensiero, che egli ritiene siano giusti, legittimi ed a ragion veduta, si nega anche, ed egli toglie a se stesso, la libertà di vivere la sua vita qua-le normale essere umano, divenendo egli, così, un parassita o un ani-male che vive in cattività. Di conseguenza, quell’uomo muore quale soggetto attivo dell’odierna società civile.


Per non dilungarmi ulteriormente, la mia sconfitta, in conclu-sione, ritengo che sia da imputare ragionevolmente alla conver-genza della complessità dei fattori analizzati e non, invece, deter-minata da una sola di queste cause: concause, quindi, sociali, per-sonali, ambientali, riferite al “modus cogitandi et se gerendi”.

Oggi, col senno del poi ed avendo avuto contezza di come vengono considerati ed interpretati i fatti, da parte dei miei concittadini, se do-vessi rifare alcune delle medesime cose che ho fatto e che, secondo ta-luni, erano oggetto di penalizzazione, distinguerei due aspetti. Se fossi chiamato a “risanare”, in un certo arco di tempo, l’Amministrazione – dopo di che, a casa – adotterei gli identici provvedimenti ed intrapren-derei le medesime azioni, ritenendole tuttora opportune ed ineludibili. Se, invece, volessi candidarmi – cosa alquanto remota e non considera-ta – per gestire nel tempo e con possibilità di rinnovo dell’incarico, con-siderata la refrattarietà dell’ambiente a recepire soluzioni drastiche, al-cune di queste non le dovrei rifare. Ciò significherebbe una rinuncia, ovviamente, a taluni miei sacrosanti principi, pur conscio di sbagliare sul piano morale. E questo è drammatico per chi quei principi ha ac-quisito, come si acquisiscono, attraverso “conoscenze” umane, sociali, culturali e presenze in taluni organismi di democrazia partecipativa. A questo punto, è preferibile la rinuncia alla candidatura.

Tornando a ripercorrere alcuni fotogrammi dei quattro anni di Sin-daco, mi torna la visione di alcune persone che mi hanno osteggiato, le quali, pur peccando nei giorni feriali, attraverso un comportamento, nei miei confronti, costruito su continue scorrettezze e bugie, la Dome-nica andavano in chiesa a farsi la Comunione. Siffatto modo d’essere cattolico non viene né accettato, né consentito dall’etica cristiana, dai principi attraverso i quali essa opera ed è presente tra gli uomini. Io, da laico, ma con una solida educazione cattolica alle spalle, impartitami dai salesiani del collegio Don Bosco di Palermo, allora uno dei migliori della Sicilia, non mi sarei mai sognato di operare in quel modo, sleale nei confronti di Dio, prima, e degli uomini, poi. E la regola vale pure in politica, quella fatta con onestà e correttezza, che collide, però, con quell’altra massima, “il fine giustifica i mezzi”, ispirata da una certa etica rinascimentale, che dai politici dotati di dirittura morale non può essere accettata, né praticata.



A conclusione della discettazione sull’argomento – poco culturale, ma forse alquanto confusamente sociologica – non posso sottacere l’irrazionalità e l’assurdità di questa vicenda, nel suo insieme, che ha visto premiato chi, durante i quattro anni di legislatura, prodigandosi a ingessare l’Amministrazione in carica, è andato contro gli interessi del-la comunità attraverso un continuo ed esasperato ostruzionismo; il quale gli ha consentito di governare il paese, anche se col 40% circa dei consensi elettorali, mentre chi ha mantenuto gli impegni assunti, nella risoluzione dei gravosi problemi, è stato bocciato, ed in malo modo. Inoltre, altra pesante ed inaccettabile constatazione è quella relativa al-la leggerezza con cui 500 elettori abbiano votato una lista che com-prendeva candidati che, direttamente o indirettamente, avevano procu-rato danni alla vita economica e politica del paese.

Sono stati dei coraggiosi, pertanto, quei candidati della mia lista e quei 260 elettori circa, parte dei quali apertamente si sono schierati con me sapendo che sarebbe stata una battaglia aspra, ispirata, però, da traguardi riformistici e d’impegno sociale, morale, economico, per il la-voro e per la giustizia sociale. A costoro, la Storia del paese non potrà non riconoscere un suo spazio per aver tentato democraticamente la rivoluzione sociale.

A me rimane la grande soddisfazione di essere riuscito laddove altri non hanno neppure tentato: i pesanti problemi economici, e non, del paese sono stati eliminati. Ma, assieme a questi dati, sono riuscito ad imprimere una svolta nei rapporti tra avversari politici. Prima, tra costoro, c’era l’odio, che coinvolgeva anche i rapporti tra le rispettive fa-miglie. Oggi, tranne casi isolati che non vogliono riconoscere la tolle-ranza come un principio della democrazia avanzata, c’è dialogo e senso di rispetto civico tra avversari, anche a seguito di un confronto, talvolta duro ed aspro, e sono vive, soprattutto, unità ed armonia tra le fami-glie, legate da vincoli di parentela e di amicizia. Anche questo è pro-gresso! Tutto ciò mi ripaga della pesantezza dei quattro anni di gestio-ne amministrativa, condivisa unicamente con qualche amico, tra cui principalmente Nino Carcione, e lenisce l’amarezza delle incompren-sioni, il peso delle denunce per opera di alcuni concittadini che mi hanno portato ad avere a che fare con la Magistratura, cosa mai acca-dutami prima. Sono ferite profonde che hanno segnato la mia vita, an-che sul piano fisico.

Mi auguro che il testimone che lascio possa essere raccolto da altri, che abbiano la mia stessa volontà di operare avendo come obiettivo il progredire del paese ed i principi morali e sociali, cui mi sono ispirato durante la mia presenza al Municipio di Longi. Edificio voluto, escluso il primo piano, postumo, da un mio antenato Sindaco, il quale fece do-no del legname, occorrente per la sua costruzione, ricorrendo al taglio dei castagni esistenti nella nostra proprietà di Crocetta. Io, non avendo beni materiali da donare al Comune, offro al paese i miei sacrifici fisici e morali, affrontati per quattro anni, le umiliazioni e le carognate subi-te quale pena per le mie possibili manchevolezze. Perdono coloro che mi hanno offeso o che sono stati artefici di azioni violente o incivili o comunque non corrette, sia sul piano etico sia su quello politico.


La non violenza e la verità sono inseparabili e si presuppongono l’un’altra. Non c’è alcun dio al di sopra della verità”.

Gandhi

Nota. La stesura di questo scritto, relativo alla descrizione della mia gestione del Comune, ha avuto inizio qualche anno dopo la fi-ne della stessa ed è terminata un paio di anni dopo: per questo motivo alcuni verbi non sono stati usati al passato remoto.

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