DAL
MIO LIBRO “QUEL BORGO BACIATO DALLE ACQUE
DEL MYLE'”, DAL RELATIVO CAPITOLO HO ESTRAPOLATO LA
VICENDA VISSUTA DURANTE LA MIA GESTIONE DEL COMUNE DI LONGI. LA
PUBBLICO QUI , DEDICANDOLA AI GIOVANI CHE IN QUEGLI ANNI ERANO ANCORA
FANCIULLI, AFFINCHE' POSSA ESSERE DI INSEGNAMENTO, QUALE STORIA DEL
PASSATO DI LONGI. HO TOLTO I NOMI E COGNOMI DEI PROTAGOSTI PERCHE' HO
VOLUTO METTERE IN RISALTO I FATTI ACCADUTI E NON LE PERSONE. QUESTE
ULTIME PASSANO MENTRE GLI EVENTI RIMANGONO E DIVENTANO STORIA.
QUESTA
NOTA NON DEVE ESSERE INTESA,QUINDI, QUALE ATTO DI PROTAGONISMO
PERSONALE BENSI' COME CONTRIBUTO DA ASCRIVERE NEGLI ANNALI DEL NOSTRO
PAESE IN CUI , MIO MALGRADO, SONO STATO COINVOLTO.
Nota.
Il testo è stato copiato dalla bozza con cui è stato stampato il
libro per cui non ho eliminato lineette di congiunzione nell'a capo
delle parole
gaetano.zingales@gmail.com
Ebbi l’onore di nascere nella via, a gradoni, percorsa ogni
domenica di Pasqua, da Maria ammantata con un drappo nero, per
perpetuare “U scontru” con Suo Figlio Risorto: una tra le più
toccanti, e cariche di significato umano, manifestazioni religiose
della Sicilia. L’evento avvenne una domenica di dicembre del 1938
nel paesino che, nei 700/800 anni del suo attuale insediamento, ha
avuto attribuiti diversi toponimi per, poi, vedersi aggiudicato
quello finale di “Longi”. Il fratello di mio padre, per
festeggiare l’avvenimento con gli amici presso “a putia di vinu
du Lallà”, dirimpetto a casa sua, impegnò una consistenza fetta
delle entrate mensile del suo genitore.
Mio padre, che aveva conseguito la laurea in filosofia e pedagogia
“magna cum laude” e diritto alla pubblicazione della tesi, fece
pervenire quest’ultima all’eminente endocrinologo, prof. Nicola
Pende , accompagnandola con una domanda di insegnamento presso uno
dei suoi esclusivi istituti magistrali per ragazzi portatori di
handicap. Pende, nell’accogliere l’istanza, lo destinò ad una
sua scuola di Nicastro, in Calabria. Ma, il “cavaliere Benito”
interruppe questo rapporto di lavoro chiamandolo a servire la Patria
nella “sua guerra” a fianco dei nazisti. Me lo restituì in una
bara avvolto nel tricolore. A poco meno di tre anni ero “figlio
della lupa“, da me… non richiesto, ed orfano di guerra.
Omissis...
Appresi le aste e le vocali dalla nonna, la dolcissima maestra
Caterina Mondì, la quale mi avviò agli studi presso il prestigioso
Collegio Salesiano Don Bosco di Palermo. Alle elementari ebbi, come
educatore, il buon ed ottimo Maestro Leone Carcione. Del quale non
dimentico, tra le altre cose, un “10” in un tema che scrissi in
memoria del mio più caro amico di giochi, Gianni, figlio di Elena
Fabio, morto a soli 9 anni a seguito di una grave malattia.
Al paese giocavo a football con i compagni, allenandomi, presso la ex
chiesa di San Salvatore oppure al “chiano da Nunziata”. A 16 anni
sfuggii al controllo rigido di mia madre e, con i compagni, a piedi,
attraversando il fiume Fitalia, raggiunsi Galati Mamertino per
l’annuale sfida calcistica. Per la prima volta, vincemmo l’incontro
grazie a qualche goal da me segnato. Sotto la “Santuzza”
sfuggimmo al solito lancio di pietre, da parte dei perdenti,
affidandoci alle nostre buone gambe. Rientrato a casa, venni
castigato e legato ai piedi del robusto tavolo da pranzo. Ma, la
nonna, la mia buona nonna Caterina, corse a liberarmi.
Ritentai questa mia evasione dal paese, per rincontrare la squadra di
Galati Mamertino, l’anno appresso. Eravamo in piazza con la squadra
pronti a partire quando, a distanza, vidi mia madre che, con fare
minaccioso, mi veniva incontro. Non certo per farmi carezze. Capii le
sue intenzioni e fuggii dalle sue grinfie per rintanarmi a casa di
mia nonna Caterina, dove mi barricai in una stanza. Mia nonna,
ovviamente, difese l’ingresso: per due giorni dormii presso i miei
nonni e rientrai a casa dopo i vari tentativi di mia nonna per farmi
perdonare da mia madre. Che nei miei confronti adoperava un pugno di
ferro dal punto di vista educativo. Ah, se avessimo insegnato
un’educazione rigida ai nostri figli!
Per questa mia passione del calcio, in V ginnasio, con la squadra in
cui giocavo vinsi il campionato di serie B, interno al collegio Don
Bosco. Dal quale me ne uscii perché non sopportavo i troppi
castighi, cui ero sottoposto, per la mia condotta per niente
irreprensibile. Ma, oggi, ringrazio quei colti e rigidi sacerdoti che
mi trasmisero ottimi insegnamenti religiosi ed una buona educazione,
nonché una solida formazione culturale. Ricordo con piacere il mio
rigoroso professore di latino e greco, don Visalli, che tanti
castighi mi inflisse – quanti giri del grande cortile oppure di
guardia ad un albero (detto palo) o, altrimenti, di un serrato
interrogatorio per qualche mia malefatta mentre mi stritolava tra le
sue dita del pollice ed indice la tenera pelle sotto la gola (che
dolore!)- ma che, già vecchio, dopo quaranta anni, mi rintracciò
per dirmi che il mio assistente, don Lo Paro, originario di Cesarò,
del quale ero il discepolo prediletto, era morto. Don Visalli era un
ciclista ed un bravo calciatore. Rammento anche il magnifico don
Rizzo, eroe della Resistenza, insignito con medaglia d’oro, mio
professore di italiano, che era talmente legato a me da perdonarmi un
brutto scherzo che gli tirai nella nostra sala cinematografica: gli
tolsi la sedia di sotto mentre stava per sedersi. Mi pentii subito
del gesto, ma era troppo tardi. Mi tolse la parola per circa una
settimana; ero tormentato dal rimorso, gli chiesi di confessarmi e
tutto tornò come prima: d’altronde era un sacerdote!
In quel periodo imparai a servire messa come chierico, pregavo
parecchio, anzi ci furono degli spazi di crisi mistica che
attraversarono le mie giornate sino all’isolamento da ciò che mi
circondava e ad essere trasportato in una sensazione di levitazione
pregando dinnanzi all'altare maggiore, dietro il quale c'era (e c'è)
un grande e bellissimo dipinto coinvolgente sul piano spirituale. La
chiesa del Collegio di via Sampolo era stata costruita di recente,
con il contributo anche dei fedeli; io la sentivo, in piccola parte
mia, perchè mia nonna Caterina aveva donata la somma necessaria per
la realizzazione dell'altare dedicato a San Giuseppe, che era stato
raffigurato con un quadro in mosaico.
Omissis..
Da cattolico sono passato ad agnostico, che è la porta
dell’ateismo.
Riuscii a trasformare i magazzini della casa dei miei nonni paterni
in una sala di rappresentazioni teatrali, la cui trama era inventata
da me, ed assieme ai miei compagni recitavamo dei drammi invitando,
con un vecchio megafono di grammofono, i compaesani ad assistervi. I
quali ben volentieri, alla fine, ci regalavano 5 o 10 lire, con la
cui somma – al massimo 50 lire raccolte - organizzavamo
scorpacciate di genuine stigghiole.
….............................................
Passarono gli anni e , dopo circa cinquant'anni....
…..omissis......
Sindaco,
e dopo Sindaco
Nel
1993, venni eletto Sindaco del mio paese, Longi. Ne parlerò in
ap-presso.
Finito
il mandato politico- aministrativo, dopo pochi mesi, chiesi di essere
collocato in pensione. Di fronte allo spettro di vegetare non
de-dicandomi ad alcunché, mi misi a coltivare la mia passione per la
scrit-tura. Mi venne regalato da mia moglie Lory un computer in
sostituzio-ne della vecchia macchina per scrivere. Odiavo
quell’aggeggio infernale, ma fui costretto ad impararlo ad usare:
nel giro di qualche anno lo di-strussi e dovetti comperarne un altro.
Occupavo
il tempo della mia inattività lavorativa componendo poe-sie,
scrivendo romanzi e facendo ricerche storico-archeologiche
sull’antica città di Demenna. I relativi scritti ne sono una
testimonianza libraria.
Fondai,
a Longi, il Centro Studi “Castrum Longum” ed organizzai al-cune
manifestazioni culturali e ricreative, che sono descritte nel seguito
di questo manoscritto e nel mio libro di “Antologia longese”.
Trascorsi
alcuni anni, in cui Lory mi venne dietro, per pochi giorni, durante
la mia permanenza estiva a Longi; ma successivamente decise di non
seguirmi e dovetti trascorrere due estati consecutive, a Crocetta, da
solo. I miei unici compagni furono un cane e le bottiglie di vino.
Di-vagavo scrivendo, appunto, poesie e romanzi.
Agosto
2008
Il
“Galà a Castelmalè” fu un successo. La kermesse vide la
proiezione del documentario “Cercando Demenna…” della RAI, la
consegna del “Trofeo al Popolo Longese” per il primo millennio di
vita del paese, il commento della professoressa M.G. Militi al mio
romanzo, “I Castel-malè”, la elezione della Lady Castelmalè.
Bissai
la manifestazione nell’anno successivo, ma conobbe un calo di tono
in quanto non si presentarono signore concorrenti al titolo di La-dy
Castelmalè, per cui fui costretto ad abbandonare definitivamente le
successive edizioni.
L’incompiuta
riforma del comune di Longi, ovvero io sindaco a metà
“Scrivere
in Sicilia” ha detto Sciascia “è stata sempre un’eresia,
un’attività mal considerata, una specie di spia, un compatriota
che di-vulgava cose che andavano taciute”.
Ciò
malgrado, poiché, peraltro, ho sempre manifestato il mio pensie-ro
attraverso la stampa del Sindacato, denunciando senza mezzi termi-ni
le ingiustizie, ho voluto scrivere queste pagine perché ho inteso
indirizzarle soprattutto ai giovani, che si vogliono impegnare nella
politica di gestione del paese e che sono la speranza del
cambiamento.
Le
mie esperienze, vissute alla guida del mio paese e qui narrate in
maniera obiettiva, senza risentimenti o pregiudizi e senza fini di
rivalsa postuma, rispecchiano le sensazioni provate, i torti subiti
e, in ogni ca-so, la verità dei fatti: il mio umile desiderio è
quello che i contenuti di queste pagine possano essere una guida ed
una fonte d’ispirazione poli-tica per i futuri amministratori.
La
nostra Longi, per rinascere, ha bisogno di giovani coraggiosi, che
non si facciano condizionare dagli opportunisti; capaci ed onesti,
ricchi di idee ed innamorati del paese, loro e dei loro padri; scevri
da ambi-zioni di potere per il potere, le quali distruggono e spesso
frustrano l’individuo; disponibili a servire la comunità con
spirito di servizio, con umiltà e con senso dello Stato; che
considerino un onore l’inchinarsi dinanzi alla bandiera tricolore,
simbolo dell’unità e dell’amore verso la Patria; consci, però,
di appartenere ad una grande comunità in diveni-re, l’Europa
unita, e predisposti, quindi, a ragionare e comportarsi co-me
cittadini europei, pur non dimenticando di essere longesi, siciliani,
italiani. Valori, alcuni di questi ultimi, forse desueti, ma che, se
convi-vono assieme a quelli della solidarietà, della tolleranza,
della giustizia sociale, dell’onestà, dell’eguaglianza, della
democrazia e della libertà, fanno dell’individuo un uomo che è
pronto a governare.
Nella
mia stanza, al Comune, avevo messo in cornice la nota frase di
Pericle, famoso stratega ed “amministratore democratico”
dell’antica Atene: “Sapere
quello che va fatto ed essere capace di spiegarlo,
amare
il proprio paese ed essere incorruttibile sono le qualità
neces-sarie ad un uomo che vuole governare la propria città”.
Sarebbe
bello, oltre che educativo, se queste parole potessero essere incise
su una targa collocata all’ingresso del Municipio.
La
situazione amministrativa
Nel
settembre del 1993, il Comune di Longi era sotto gestione
commis-sariale e, ad ottobre, si dovevano presentare le liste per
l’elezione del Consiglio Comunale e del Sindaco. Il primo
appuntamento del mese di maggio era andato a vuoto nonostante
l’iniziativa del Comitato unita-rio, definito, alquanto
impropriamente, Comitato di salute pubblica.
Il
Partito Socialista Italiano locale, avversario tradizionale della
De-mocrazia Cristiana, si trovava in grave crisi per una
contrapposizione politica, al suo interno, tra due gruppi. Mi offrii,
quale mediatore, per ricompattare il partito e, quindi, per tentare
di mettere in piedi una li-sta di candidati assieme ad altri
rappresentanti della sinistra o, addirit-tura unitaria, ove
possibile, rappresentativa pertanto di tutti i partiti.
La
mia mediazione, accolta da tutto il direttivo della sezione, in un
primo momento riuscì a mettere d’accordo le due diverse anime del
partito per una sua gestione concordata, ma saltò immediatamente
do-po per il ripresentarsi delle divergenze, mai sepolte, e che si
sostanzia-rono, questa volta, nel rimangiarsi i termini dell’accordo
medesimo, da parte di chi doveva gestirli, al di sopra delle fazioni.
Gelosie personali? Vecchia ruggine, mai abrasa?
Fu,
in una di quelle riunioni, che il capo della corrente socialista
minoritaria propose la mia candidatura a Sindaco di Longi, accol-ta e
supportata da tutto il direttivo del Partito.
Era
il 19 di settembre e rimaneva solo poco più di un mese per riu-scire
laddove altri, conoscitori di uomini e di situazioni locali, avevano
fallito: mettere in piedi una lista di candidati.
Nato
e cresciuto a Longi, vi mancavo, però, da quasi quarant’anni,
fatta eccezione per quei periodi di ferie estive, che vi trascorrevo
an-nualmente, più che altro in campagna. Luogo, mai dimenticato,
anzi sognato quale mia residenza abituale, perché terra dei miei
antenati e ad esso legato dai tanti ricordi giovanili.
Ero
venuto a conoscenza, nello stesso tempo, delle difficoltà
ammi-nistrative ed economiche in cui versava il Comune: ritenni
giusto che chiunque avesse esperienza politico- amministrativa e
capacità di ge-stione manageriale dovesse metterle, in quel
frangente, al servizio del proprio paese natio nel tentativo di poter
sanare la situazione. Impresa ardua, da far tremare il polso, ma che
doveva essere tentata ed affron-tata. Spirito d’avventura?
Incoscienza? Né l’uno, né l’altra. Semplice-mente,
consapevolezza di un “dovere natio”, al cui adempimento ero
chiamato nell’età matura, arricchita da una trentennale
esperienza, conseguita nel Sindacato, attraverso la gestione di
problematiche com-plesse, la rappresentanza primaria e diretta di
Organismi regionali e la partecipazione a quelli nazionali.
A
quel tempo ero libero da ogni impegno politico e sindacale, dopo aver
fatto per quindici anni il Segretario Regionale dell’UIL-Post
Sici-lia; accettai, pertanto, l’invito socialista a presentarmi
candidato a Sin-daco a condizione di poter formare una lista civica,
che rappresentasse la sintesi delle varie estrazioni politiche
presenti nel paese.
Mi
misi subito al lavoro iniziando un giro di consultazioni con i
rap-presentanti dei vari partiti, delle Organizzazioni Sindacali e
delle Asso-ciazioni rappresentative di alcune fasce di cittadini
sottoponendo loro anche la bozza di un mio programma politico-
amministrativo, da ar-ricchire eventualmente con il contributo di
tutti.
Il
tentativo di una lista unitaria abortì, anche se il mio programma
era condiviso, poiché un messaggio dell’ultima ora, affidato al
più alto esponente locale dei socialisti, di formare una lista tra
socialisti e democristiani con la presenza soprattutto, ma forse
esclusiva, di alcune persone, che rappresentavano il rinnovamento
politico, non mi fu mai recapitato. Tra le persone, che avrebbero
dovuto far parte dell’Esecutivo, venivano indicati i responsabili
locali della D.C., del P.S.I. e della CISL. Sarebbe stata una squadra
forte, in grado, proba-bilmente, di cambiare il volto del paese. Per
il solito miope egoismo di qualcuno nel privilegiare il proprio
interesse personale a discapito di quello della comunità, la
soluzione, che mi doveva essere proposta, purtroppo, non ebbe la
sorte di poter vedere la luce.
Iniziarono
così le febbrili trattative nel tentativo di formare una lista di
uomini di sinistra e di indipendenti, che si protrassero per parecchi
tormentati giorni, laddove il veto incrociato per determinate
presenze nella lista, soprattutto di Assessori, faceva saltare quello
che si era riu-sciti a costruire il giorno precedente. Il relativo
ragionamento – se così si può chiamare una discussione che
procedeva su veti e per proposte non motivati politicamente –
esulava dal programma e si concentrava sulle persone: è un vizio
antico, quanto mai sbagliato, che produce solo rapporti rancorosi e
distrugge le buone ipotesi di un lavoro di squadra e di un cartello
di intenti, attorno al quale i principi si riconoscono, crescono e
trovano attuazione.
In
questo contesto demolitore andò in frantumi anche una mia pro-posta,
accettata da tutti tranne che dal capo della corrente minoritaria del
P.S.I., che vedeva, tra l’altro, suo fratello, medico, persona
capacis-sima e stimata, come candidato a Presidente del Consiglio
Comunale e il Segretario del P.S.I. quale Vice Sindaco. Successivi
tentativi, risultati vani, indussero alcuni socialisti a ritirare la
loro disponibilità, tant’è che altri mi consigliarono di gettare
la spugna. La mia cocciutaggine, però, ebbe modo di cominciare a
farsi conoscere nell’ambiente.
La
deprecata legge regionale elettorale – spiegherò dopo perché
de-precata – consentiva ad un cittadino di candidarsi senza essere
collega-to ad una lista di aspiranti al Consiglio Comunale, purché
presentasse i nominativi degli Assessori, con i quali intendeva
gestire il Comune ed il programma da realizzare nei quattro anni del
mandato elettorale. La mia caparbietà, nonché lo sconoscere
l’intreccio delle competenze degli Organi comunali per la gestione
amministrativa, all’interno delle quali è prevista anche la
facoltà di veto e di rigetto, da parte del Consiglio Comunale, delle
proposte della Giunta – discrezionalità, che si accen-tua in caso
di divaricazione politica tra i due Organismi – mi fecero de-cidere
ad imbarcarmi nell’ “avventura”.
“Ah!
Quanto, a dir qual era, è cosa dura questa selva selvaggia e aspra e
forte, …”, mi
si consenta di ripetere con il Sommo Poeta, peccando ov-viamente
d’immodestia nel paragonare la mia gestione del Comune di Longi
all’Inferno Dantesco. L’accostamento è irriverente ed eccessivo,
ma serve a rendere l’idea del percorso praticato nei quattro anni
di Sindacatura.
Riuscii,
allo scadere del tempo previsto, a presentare una squadra qualificata
di Giunta, che vedeva socialisti, democristiani dissidenti e
indipendenti. Devo questa mia riuscita all’aiuto determinante del
geom. Turi Miceli, democristiano DOC., mio coetaneo ed amico sincero.
Nes-sun aiuto mi venne dai maggiorenti socialisti, anzi qualcuno di
questi mi osteggiò: eppure, per il passato, essi avevano presentato
liste al completo per il Consiglio Comunale. Operazione,
quest’ultima, che a me non fu consentita.
Ebbe
inizio, così, la mia campagna elettorale, ispirata ad un nuovo modo
di incontrare la gente, facendo dei comizi attraverso i quali
cer-cavo di sviluppare un ragionamento sulle cose da fare, senza
attaccare, politicamente o personalmente, avendo acquisito la cultura
della tolle-ranza e del massimo rispetto, soprattutto delle idee
altrui, comprese quelle degli avversari.
Fui
presentato ai cittadini, in occasione del mio primo comizio, dal dr.
Ciccio Frusteri, rappresentante del P.C.I. locale, quello stesso che,
quattro anni dopo, si mise a capo di quella fazione che aveva deciso
di “buttarmi fuori del Comune”, riuscendovi, ma autocastrandosi
perché spianò la strada alla compagine avversaria di sempre, ad una
delle tan-te anime dell’ex D.C. Ma quest’argomento fa parte del
dopo.
Elezioni
amministrative novembre 1993. Comizio di Gaetano Zingales, candidato
a Sindaco. Sul palco, gli Assessori designati: prof Nino Carcione,
d.ssa Rosa Maria Mice-li, dott. Basilio Lazzara, arch. Franco
Brancatelli.
Vinsi
le elezioni battendo il mio avversario candidato a Sindaco, geom.
Nino Fabio, nonché Segretario della Sezione della D.C., con 667 voti
contro i suoi 421. Le schede bianche, la cui matrice era intuibile
che provenisse dalla mia stessa area politica, in dissenso con me,
furo-no un centinaio circa. Nessun risultato elettorale
amministrativo, a Longi, fu mai così strepitoso. Il Consiglio
Comunale era, però, di colore politico diverso essendo l’unica
lista presente nella competizione. Ne fu eletto Presidente il rag.
Adele Machì e Vice Presidente l’ins. Rosario Priolisi, già
sindaco negli anni intorno al ’65. La Giunta era così forma-ta:
dr. Basilio Lazzara, Vice Sindaco, arch. Franco Brancatelli, prof.
Nino Carcione e Rosa Maria Miceli, Assessori. Quest’ultima era il
fiore all’occhiello dell’Esecutivo. La notte del risultato del
voto, nell’iniziare il giro del paese, dedicai la vittoria alla
memoria di mio padre, morto in giovane età mentre serviva la patria,
e mi fermai in doveroso raccogli-mento dinanzi al monumento ai Caduti
in guerra, ai quali promisi che avrei servito il loro ed il nostro
paese con dedizione ed al massimo dell’impegno. Una breve arringa
in Piazza, intorno alla mezzanotte, mi consentì di ringraziare gli
elettori, nonché di ribadire il proposito per realizzare gli impegni
assunti ed illustrati durante la campagna eletto-rale.
Trascorsi
pochi mesi di rodaggio come novello Amministratore, il primo tremendo
impatto con le difficoltà, in parte sommerse, avvenne nel mese di
marzo del 1994.
I
debiti del comune, il dissesto evitato
Introduco
l’argomento trascrivendo, in parte, il testo del mio comizio,
tenuto in Piazza Umberto I, in data 23 marzo 1994, indossando la
“fa-scia tricolore”:
“Vi
parlo non come uomo politico, ma come Sindaco di tutti. Per que-sto
ho indossato la fascia: per sottolineare anche la gravità del
momento. Vi presento la mia prima relazione scritta, approvata dalla
Giunta Muni-cipale.
Mi
sono chiesto sempre il perché qualcuno non voleva che io diventassi
Sindaco. Oggi l’ho scoperto. Non certamente per fatto politico. Non
si vo-leva un uomo nuovo che avesse la capacità ed il coraggio di
scoperchiare le pentole del diavolo.
Nel
momento in cui io ebbi a giurare, dinanzi al Prefetto, fedeltà alla
Costituzione, giurai anche di rispettare le leggi dello Stato e di
servire il Paese, e, quindi, anche questo paese. Servire significa,
tra l’altro, lavorare per il bene, per la giustizia, per la difesa
degli interessi collettivi.
La
mia storia di dirigente sindacale, in prima linea per difendere gli
in-teressi dei lavoratori e nel denunciare abusi, soprusi e magagne,
non poteva e non può che farmi continuare sulla stessa strada,
questa volta al servizio della comunità, della mia, della nostra
Longi. Ne accetto i rischi e le responsabilità, ma non rinuncio al
mio dovere di uomo e di pubblico amministratore, di rappresentante
periferico dello Stato.
A
me, quindi, è toccata la sorte, quale soggetto nato dalle viscere di
questa terra, ma forse predestinato a temprare altrove la mia
personalità, attraverso una dura scuola di vita, per chiudere un
periodo storico di questo nostro paese, iniziato circa trent’anni
addietro ed esploso oggi in tutta la sua dimensione drammatica.
È
una sorta di nemesi storica, che oggi si compie per il popolo di
Longi. Ma veniamo ai fatti di questi tre ultimi mesi. …omissis…
Siamo venuti a conoscenza della massa di debiti che il Comune ha
accumulato negli anni. …omissis… C’è stato comunicato che, con
una stima approssima-tiva, oggi il debito per il pagamento degli
espropri viaggia sul miliardo e mezzo di lire, ma non sappiamo se
sono comprese le parcelle degli avvocati, altrettanto onerose.
…omissis…
In
data 19 febbraio, la Giunta approvava il bilancio di previsione 1994.
Alcuni segnali e comunicazioni successivi mi fecero intuire che
qualcosa non andava per quanto riguardava il pagamento di contributi
previden-ziali all’INAIL; mi recai personalmente, assieme
all’Assessore al Conten-zioso, all’INAIL di Milazzo per conoscere
la posizione debitoria del Co-mune. Appresa la somma, sbalorditiva,
disposi una ricognizione anche presso l’INPS e la CPDEL: anche qui
la stessa situazione, pesante e gra-vissima. A questo punto, chiesi
all’Ufficio di Ragioneria il conteggio esat-to delle somme dovute
agli Istituti Previdenziali. In data 16-3-94 appresi che il debito
del Comune, per il periodo 1987-1993, comprese more, inte-ressi,
sanzioni e spese legali, è di circa 350 milioni di lire, se queste
som-me saranno pagate entro il 31 marzo p.v. Possono aumentare sino
al 200% se, invece, esse verranno pagate dopo tale data. Oggi siamo,
quindi, su circa due miliardi di lire di debiti. Ci troviamo di
fronte a debiti liquidi ed esigibili, dei quali gran parte fuori
bilancio.
È
stata una fortuna che il Consiglio Comunale non abbia approvato
ancora il bilancio di previsione.
Dopo
aver bussato ad alcune porte degli Assessorati regionali e della
stessa Presidenza della Regione, per chiedere anticipazioni di Cassa
o con-tribuzioni, ed avendo avuto la medesima risposta d’inesistenza
di forme integrative di contribuzioni ai Comuni, dichiarai al
Consiglio comunale il ritiro della delibera della Giunta, relativa
alla proposta di bilancio previ-sionale ’94 e l’intenzione di
chiedere all’Assessorato Regionale agli Enti Locali l’invio di un
Commissario per il bilancio.
Il
Consiglio Comunale m’invitò a rivedere il bilancio tagliando,
quanto più possibile, alcune somme dei vari capitoli di spesa…
Omissis… Conte-stualmente, il Segretario Comunale ed il Revisore
dei Conti hanno fatto pervenire richiesta di dichiarazione di
dissesto riguardante il Comune di Longi, perché la Ragioneria non
può equilibrare il bilancio.
Dichiarare
il dissesto comporta, tra l’altro, la nomina di un Commissa-rio ad
acta per gestire la situazione debitoria. Questi, ai fini del
risana-mento, provvede a mettere in piedi i seguenti provvedimenti:
vendita dei beni patrimoniali del Comune; aumento ai livelli massimi,
consentiti dal-la legge, dei tributi, delle tariffe e dei canoni dei
beni patrimoniali; modifi-ca della pianta organica del Municipio
(riduzione del personale a 15/16 dipendenti su 27 in servizio); messa
in mobilità del personale esuberante e conversione dei posti; blocco
totale delle assunzioni; se spettante, viene concesso un mutuo, per
risanare il bilancio, da parte della Cassa Depositi e Prestiti, al
tasso vigente, ammortizzabile in 20 anni per mezzo del con-tributo
statale del fondo di investimenti, che non può essere utilizzato per
nessun intervento sul territorio comunale (strade, opere viarie,
ecc.). L’unica positività sta nel fatto che la deliberazione del
piano di risanamento sospende le azioni esecutive dei creditori
dell’Ente. Infine, gli Am-ministratori, rimasti in carica,
gestiscono l’ordinaria amministrazione.
È
una situazione di pesantezza estrema, cui sembra non si possa
sfug-gire. Rinviare, anche di un anno, la dichiarazione di dissesto,
giacché eventuali anticipazioni di cassa non potranno essere
ripianate con le en-trate correnti, significa raddoppiare, almeno, la
massa dei debiti. Mi af-fermano che bisognava dichiarare il dissesto
già alcuni anni addietro per non arrivare al punto in cui oggi
siamo.
Gli
Amministratori, pertanto, ed io personalmente, non possiamo fare come
lo struzzo, nasconderci in pratica la testa sotto la sabbia, rinviare
o lasciare ad altri la responsabilità che oggi incombe sulle nostre
spalle. È, infatti, direttamente coinvolto nelle responsabilità
altrui quell’Amministratore che, venuto a conoscenza di debiti, li
occulta o non li denuncia agli Organi preposti.
Gli
Assessori ed il Sindaco sono personalmente convinti che legalmen-te,
contabilmente e razionalmente, l’unica strada che ci rimane sia
quella di chiedere l’invio di un Commissario regionale per il
bilancio previsiona-le ’94 e per un esame della situazione
contabile complessiva (perché po-trebbero scoppiare improvvisamente
altri debiti che oggi non si sanno) e quindi far decidere al
Commissario il da farsi.
Io,
però, non mi sono ancora rassegnato a gettare la spugna. Ho
con-vocato, pertanto, per domattina un consulente tributario di
Palermo per un esame di tutta la situazione, per vedere se esista
qualche scappatoia giuridica per evitare lo stato di dissesto;
sottoporrò anche alla sua valuta-zione una mia proposta, che è
tecnicamente realizzabile, ma non so se lo sia altrettanto
realisticamente. Quella, in pratica, di andare alla costitu-zione di
una forma societaria, il cui capitale azionario sia costituito, in
parte, dai beni immobili del Comune (bosco, terreni, impianti
sportivi ed altro) e, per l’altra parte, da quote azionarie in
denaro liquido versate da Enti e da cittadini; questa massa di denaro
potrebbe essere utilizzata per pagare parte dei debiti e, pertanto,
per evitare la dichiarazione di dissesto, anche se, purtroppo, il
tempo necessario è impietoso con noi, perché in-sufficiente.
Adesso,
veniamo ad un’analisi delle cause che hanno determinato la gran
parte della pesante situazione odierna sui debiti per il pagamento
dei maggiori oneri d’esproprio.
Il
tutto ha inizio in data 2 ottobre 1965, quando muore la Duchessa
d’Ossada lasciando, per testamento, gran parte dei suoi beni
all’Ente Co-lonia montana Duca d’Ossada ed all’Ente Asilo nido
Duchessa d’Ossada, enti che formalmente non esistevano, ma di cui
doveva essere richiesto il riconoscimento giuridico al Prefetto entro
un anno dalla morte della Du-chessa, in altre parole entro il 2
ottobre 1966.
Ci
risulta, attraverso sentenze dei Tribunali, inviateci dal Marchese di
Cassibile, che il Comune avrebbe dovuto dichiarare di accettare
l’eredità col beneficio dell’inventario, inventario da compiersi
a norma dell’art. 487 II comma del C.C. nel termine di tre mesi. Il
Consiglio Comunale, con de-libera del 22 luglio ’66, a meno di due
mesi dallo scadere del 2 ottobre 1966, dichiarò di accettare il
lascito, ma mai fu redatto il prescritto inven-tario. A sua volta,
l’ECA, statutariamente abilitata ad agire nella vicenda, per il
tramite del Comune forse, inoltrò domanda al Prefetto per il
ricono-scimento dei due predetti Enti (Colonia montana ed Asilo
infantile) in da-ta 16 novembre 1966 e non entro il 2 ottobre 1966
(art. 600 C.C.).
Il
Comune di Longi, quindi, perse, di fatto, l’intero asse ereditario
ed invano, circa dieci anni dopo, si oppose all’entrata in possesso
dei beni testamentari da parte dell’avv. Procopio e del Marchese di
Cassibile, eredi della Duchessa, venuti fuori a distanza di tempo,
perdendo tutte le cause: in Tribunale, in Corte d’Assise ed in
Cassazione.
Mi
scrive il Marchese di Cassibile in una lunga lettera inviatami: “ma,
in effetti, il Comune non ha perso niente perché, se non fossero
stati asse-gnati a me, i detti beni sarebbero rimasti in potere
dell’usufruttuario, giacché il Comune non avrebbe avuto più
titolo per richiederne la conse-gna. Il Comune ha perso l’eredità
disposta in suo favore nel momento in cui lasciò scadere i termini
perentori, che avrebbe dovuto osservare per perfezionare
l’acquisizione dell’eredità”. E da qui, quindi, cominciarono i
guai per il Comune di Longi.
Mi
chiedo, perché furono fatti scadere i termini? Per ignavia, per
dolo, per omissione o per altro, a qualunque supposto titolo?
Io
ritengo che i longesi abbiano il diritto di chiederne conto agli
Ammi-nistratori dell’epoca; ritengo, quindi, sia giusto che i
cittadini si costitui-scano parte civile contro la Giunta Comunale in
carica negli anni 1965-66 e, pertanto, chiedano al Consiglio Comunale
di deliberare in tal senso.
Io
non faccio, in questa sede, i nomi degli Amministratori di cui a
rife-rimento, ma li farò in sede consiliare, se mi saranno
richiesti. I meno gio-vani del paese, però, si ricorderanno e
potranno avere elementi di giudi-zio.
Considerato,
altresì, che ci sono grosse responsabilità che emergono da sentenze
passate in giudicato, delle quali prima accennavo, non posso esimermi
dal fare alcune considerazioni personali: 1° c’è qualcuno che
dovrebbe avere il buon senso di scomparire dalla scena politica
longese, soprattutto da quella di rappresentanza amministrativa; 2°
i cittadini che hanno cause in corso con il Comune, per il pagamento
di maggiori oneri d’esproprio, dovrebbero accedere ad una richiesta
di transazione, se que-sta ci sarà, e, pertanto, chiedere il giusto
ed il dovuto, e non il superfluo… Omissis… Questa piazza e questa
chiesa, nei secoli, sono state testimoni di eventi belli e brutti di
fronte al popolo, qui riunito; ma, mai come questa volta, sono state
mute testimoni di un così grave disastro, che espro-pria di beni e
di gruzzoli di risparmio la nostra comunità, il cittadino lon-gese.
Nessuna giustificazione, se mai c’è stato dolo, potrà perdonare i
po-tenziali autori di questo stato di cose.
Io
mi auguro di poter essere l’artefice della “primavera di Longi”;
se mi sarà consentito di amministrare ancora questo nostro Comune.
Di fronte a questa chiesa, giuro che m’impegnerò al massimo delle
mie modeste ca-pacità per far rinascere questo nostro paese, per
realizzare quello che vi ho promesso nel mio programma, anche se la
sorte ci toglierà qualche bene strumentale, che potrebbe non essere
più patrimonio di Longi.
Longi,
oggi, è un paese saccheggiato, ma verrà il giorno della
resurre-zione! Longi risorgerà se uomini coraggiosi, dalle mani
pulite e dagli in-tendimenti che si richiamano a quei valori di
solidarietà, di giustizia so-ciale e di amore per questa nostra
terra, governeranno il paese”.
La
Giunta Municipale, negli anni 1965-66, era formata da: ins. Rosa-rio
Priolisi, Sindaco, e dagli Assessori, Ins. Attilio Iannì, ins.
Antonino Imbrigiotta, geom. Francesco Lazzara, ins. Nicolò
Bringheli. Lazzara era l’usufruttuario dei beni della Duchessa
d’Ossada ed aveva sposato una sorella d’Imbrigiotta.
Alla
fine del Comizio, il Comandante della Stazione dei Carabinieri si
offrì per accompagnarmi presso il Palazzo Municipale. Un gesto,
que-sto, per significare che un’istituzione dello Stato, la
Benemerita Arma dei C.C., era accanto al Sindaco di Longi nella
denuncia drammatica dei fatti accaduti, in un momento così carico di
tensione e di così gros-sa assunzione di responsabilità nella
gestione del passaggio dal dissesto strisciante alla normalità
amministrativa e finanziaria del Comune.
Qualche
giorno dopo, continuando nel tentativo di rendermi conto cosa fosse
accaduto nel recente passato, chiesi al Capo Settore dell’Ufficio
di Ragioneria il motivo per cui venne omesso il pagamento dei
contributi dei lavoratori, già ritenuti alla fonte, agli Istituti
Previ-denziali. Mi rispose di non essere nelle condizioni di darmi un
chiari-mento esauriente, se non quello che gli Amministratori
precedenti ave-vano utilizzato quelle somme per altre necessità.
La
richiesta ad un Sindaco novellino, di dichiarazione di dissesto del
Comune, da parte del Segretario Comunale e del Revisore dei Conti,
professionisti con esperienza alle spalle, mi fece trascorrere alcune
not-ti insonni al solo pensiero che, dopo quasi centotrenta anni
dalla sua nascita amministrativa, sarei dovuto essere il primo
Sindaco, nella sto-ria del paese, a dichiararlo. Dissi: no! A me
stesso ed agli altri; tra que-sti, ai Consiglieri Comunali, i quali,
per la verità, in quel frangente, si dichiararono disponibili a
collaborare per trovare la soluzione atta a respingere la richiesta
del “disastro” economico. Anche i dipendenti comunali, riunitisi
in assemblea, si dichiararono ben disposti a rinunciare alla somma di
circa cinquanta milioni di lire, loro spettante, per il 1993, per il
miglioramento dell’efficienza dei ser-vizi.
Mi
venne incontro l’abitudine, sin dal mio insediamento, di leggere
giornalmente le Gazzette Ufficiali. L’individuazione di un Decreto
Leg-ge, che fu, però, oggetto di difformità d’interpretazione e,
pertanto, d’applicabilità specifica, tra me ed il Segretario
Comunale, m’indusse a percorrere strade giuridicamente più
illuminate. La consultazione ed il successivo parere di consulenti ed
Organi di livello superiore mi solleci-tarono ad andare avanti nella
ricerca interpretativa e nell’applicazione della su riferita
normativa. Fui, così, messo nelle condizioni di poter prendere
contatto con un professionista tra i più qualificati della Re-gione,
il dr. Salvatore Arcidiacono, ex Ragioniere Generale della Pro-vincia
Regionale di Catania, nonché Segretario Generale dell’Associazione
Nazionale dei Responsabili di Ragioneria degli Enti Locali
(A.R.D.E.L.).
L’art.
10 del D.L. n. 184 del 18 marzo 1994 così recitava: “Gli Enti
Locali di cui al comma 1 sono autorizzati a negoziare con gli
Istituti di credito… apertura di credito a fronte di deliberazioni
di alienazioni di beni di loro proprietà”. Confortato dal
contenuto di quest’articolo, ot-tenni dal dr. Arcidiacono un
appuntamento in quel di Catania, al quale feci partecipare il
Segretario Comunale, dr. Giuseppe Romano, l’Assessore Nino
Carcione, la Ragioniera del Comune, sig.ra Antonia Ruffini. Il dr.
Arcidiacono ed il Ragioniere Generale della Provincia Regionale di
Catania, anch’egli presente, diedero ragione a me circa la
possibilità di applicare il sunnominato articolo per evitare la
dichiara-zione di dissesto del Comune; di contro, il dr. Romano
sosteneva che il Decreto Legge in questione non potesse essere
applicato perché non era stato tramutato in legge e non era certo
che sarebbe stato reiterato alla sua scadenza.
Le
motivazioni ed i ragionamenti, di natura tecnico-giuridica,
inne-stati dai due professionisti catanesi convinsero, infine, il
Segretario Comunale circa la fattibilità dei provvedimenti da
adottare e ad espri-mere, quindi, parere favorevole sulle relative
delibere.
Rientrati
a Longi, nella nottata del 30 marzo, la Giunta Municipale approvò,
dichiarandole immediatamente esecutive, assumendosene quindi una
grandissima responsabilità economica, le delibere per lo storno dei
fondi da diversi capitoli di spesa, finalizzati al pagamento
dell’esposizione debitoria del Comune nei confronti degli Istituti
Previ-denziali (Inail, Inps, Cpdel). È stata un’operazione ad
altissimo rischio, perché i capitoli “spogliati” dovevano essere
rimpinguati al più presto. L’indomani, giorno di scadenza per il
pagamento del debito, l’Ente provvedeva a ripianarlo, lievitato da
interessi, da more e penalizzazio-ni.
A
quel punto, non mi restava altro da fare che inviare tutta la
docu-mentazione, per l’individuazione di eventuali responsabilità
patrimo-niali, alla Sezione Regionale della Corte dei Conti. Per ben
due volte, un Ispettore dell’Assessorato regionale agli Enti Locali
fu inviato al Comune per esaminare gli atti e relazionare alla Corte
medesima. Io stesso fui convocato dal magistrato contabile per
riferire sui fatti. Chie-si, poi, di essere informato circa gli esiti
della visita ispettiva presso la Ragioneria Comunale, avendone
diritto in quanto promotore dell’inchiesta e rappresentante legale
del Comune. Mi fu opposto un diniego. Nel corso degli anni
successivi, non seppi più alcunché circa gli esiti
dell’istruttoria. Sarebbe stato veramente interessante, per i
cit-tadini longesi, venire a conoscenza dei contenuti della relazione
ispetti-va, attraverso cui la Corte dei Conti si sarebbe mossa per le
relative de-cisioni, considerato l’enorme danno che era stato
procurato alle casse comunali, nonché per l’onerosa responsabilità
che era stata assunta da me e dalla Giunta intera nell’evadere le
delibere “notturne” per pagare i debiti. Ma, come si sa, gli
assessorati Regionali sono retti da politici e parecchi funzionari,
in lista d’attesa per fare carriera, sono sensibili ai loro
“inviti”: i meandri della politica sono a volte imperscrutabili,
se non oscuri. Una cosa è certa: qualcuno ha procurato quel danno
eco-nomico al Comune, ma nessuno ha pagato, nonostante l’evidenza
dei fatti e la chiarezza della documentazione.
Il
cammino sulla strada del risanamento, nei mesi successivi, conti-nuò
con l’adozione di alcuni atti deliberati dal Consiglio Comunale, a
seguito di proposta della Giunta Municipale, tra cui l’approvazione,
all’unanimità, del bilancio di previsione del 1994.
Restavano
aperti i problemi relativi alle cause con i privati per il pa-gamento
ultradecennale degli espropri, effettuati nel corso degli anni
passati. Alcune cause, andate a sentenza, ci costrinsero a pagare gli
im-porti stabiliti dal giudice; altre, invece, avrebbero visto la
sentenza negli anni immediatamente successivi.
Nel
frattempo, una legge, approvata nel dicembre del 1995, diede la
possibilità ai Comuni di chiedere un mutuo alla Cassa Depositi e
Presti-ti, con ammortamento degli oneri a carico dello Stato, per
azzerare i debiti in argomento. Mi attivai immediatamente per mettere
in piedi la relativa procedura. Convocai le controparti (il Marchese
di Cassibile ed altri), assieme ai rispettivi avvocati, per
raggiungere un accordo. Il qua-le si poté fare solo accettando
quanto da loro richiesto, e cioè sulle somme loro spettanti venne
fatto uno sconto del 20%, mentre gli avvo-cati praticarono una
decurtazione del 30% sulle loro parcelle. In caso contrario, ove non
avessi accettato le loro condizioni, le cause sarebbero continuate
sino alle rispettive sentenze definitive, con aumento no-tevole degli
importi che il Comune avrebbe dovuto pagare a carico del proprio
bilancio e senza sconti. In sostanza sarebbe significato il
pi-gnoramento di tutti i beni comunali, con contestuale dichiarazione
di dissesto, che, sino a quel momento, avevo evitato e combattuto.
Il
Consiglio Comunale, appositamente convocato in data 27 maggio 1996, a
corredo della pratica di richiesta del mutuo alla Cassa Depositi e
Prestiti, doveva ratificare l’accordo fatto con riconoscimento dei
debi-ti fuori bilancio. A quel tempo, l’ “idillio” iniziale tra
la Giunta Munici-pale ed il C.C. era tramontato da oltre un anno ed
il cammino era stato costellato da scontri accesi e divaricazioni
politiche, che portarono all’immobilizzo dell’attività
amministrativa.
Il
Consiglio Comunale, pur convergendo sulla necessità
dell’approvazione della delibera di risanamento finanziario,
accolse una proposta del Capo Gruppo consiliare B., che si
sostanziava in una pugnalata alle mie spalle: “Il Consiglio si
riserva la facoltà di promuo-vere eventuali azioni di responsabilità
contabile per il danno erariale cagionato all’Ente a seguito del
mancato rispetto della normativa vigen-te in materia, anche con
riferimento ai maggiori oneri causati dalla mancata applicazione,
alle controversie che hanno comportato i debiti fuori bilancio in
questione, delle disposizioni contenute nell’art 5 bis della L. n.
359/92 e nell’art. 1 comma 65 della L. 549/95. Viene fatta sal-va,
altresì, ogni azione di rivalsa nei confronti degli amministratori
pro-tempore”.
Che
cosa dice il predetto art. 5 bis? Nel concretizzare la transazione,
in pratica, dovevo pretendere di avere dimezzate del cinquanta per
cen-to le somme dovute per il pagamento di maggiori oneri
d’esproprio. Lo feci, ma la mia richiesta fu respinta. Quindi, o
accettavo le condizioni dei creditori oppure dovevo far continuare le
cause. Le conseguenze sa-rebbero state che, dal miliardo e duecento
milioni di lire concordate e con pagamento degli oneri d’ammortamento
da parte dello Stato, dopo un paio d’anni avremmo avuto un debito
di oltre due miliardi di lire, come già detto, interamente a carico
del Comune. Mi fermo qui, senza aggiungere alcun commento alla
cronaca, permettendomi, però, qual-che considerazione
sull’allucinante dichiarazione approvata e delibera-ta dai
Consiglieri dell’ex D.C.
È
stata certamente una carognata nei miei confronti, ma che ho
can-cellato dalla memoria delle vicende politiche longesi perché
ripagato dall’intima soddisfazione di aver potuto mantenere il
giuramento, fatto nella Piazza Umberto I, che mi sarei battuto con
tutte le mie forze per salvare il paese dalla bancarotta. Sì, Longi
non aveva più debiti, dopo tanti anni, ed il dissesto era stato
impedito.
Ovviamente,
come era mio costume, provvidi ad inviare alla Corte dei Conti tutto
il dossier riguardante quei debiti fuori bilancio, nel caso
sussistessero responsabilità patrimoniali a carico di chicchessia,
alle-gando anche la delibera del Consiglio Comunale, in cui è
contenuta la proposta di “ben servito” nei miei confronti.
Sarebbe veramente ed in-credibilmente assurdo se la Corte dei Conti
mi accollasse il pagamento di un miliardo e duecento milioni di lire,
per danno all’erario, per non aver “imposto” l’applicazione
del su esposto articolo 5 bis della Legge 359/92. Ve lo immaginate?
Il Sindaco, che ha evitato il dissesto a segui-to di debiti da altri
cagionati, chiamato a rifondere il danno all’erario! È proprio
vero che, per taluni improvvisati politicanti, privi della cultu-ra
di un qualsivoglia pensiero ideologico, la cecità della personale
logi-ca politica esula dai valori dell’oggettiva riconoscenza umana
e del comportamento morale nei confronti del proprio prossimo. In
costoro, poi, non esiste alcun ragionevole discernimento nei
confronti del sog-getto politico, definito avversario, ma da loro,
ancora incivilmente, ne-mico.
Qualche
anno dopo, il mio avversario politico, N. F., che mi subentrò nella
carica, ebbe la spudoratezza di affermare che avevo “af-fossato il
paese” per i debiti da me lasciati attraverso delle parcelle che
dovevano essere pagate ad alcuni avvocati. Il sig. F., nella qualità
di Sindaco, prima, e d’uomo, poi, ha mentito sapendo di mentire.
Infatti, era noto ai funzionari del Comune, che avevano istruito la
pratica per la transazione dei debiti derivanti dalle cause per il
pagamento dei maggiori oneri d’esproprio, che qualche avvocato,
imbranato, nella fase transattiva, dimenticò di inserire una delle
sue diverse parcelle, preten-dendone, però, il pagamento dopo che la
Cassa Depositi e Prestiti aveva concesso il mutuo. E nulla gliene
importava che doveva essere il Co-mune a caricarsi di quest’onere.
L’unica concessione che fece fu quella di dilazionare, nel tempo,
l’importo. A me nessuna colpa si può impu-tare, quindi, per quanto
non è stato oggetto di transazione. Se colpa esiste, semmai, oltre
che a quell’avvocato, essa è da imputare a qualche funzionario del
Comune, poco attento, che non ha controllato bene le cause, a
ciascuna delle quali dovevano corrispondere altrettante parcel-le, da
inserire nell’atto di transazione. Inutile fu una successiva
richie-sta, integrativa della precedente, alla Cassa Depositi e
Prestiti.
Continuando
sull’argomento, com’è noto, il mutuo doveva essere estinto in
vent’anni per mezzo di rate annuali di circa cinquanta milio-ni.
Forse il sig. F. pretendeva che fossi stato io a pagare le rate?
Op-pure che lasciassi al suo destino il Comune senza approfittare
dell’opportunità che ci si offriva per sanare il lungo contenzioso
e la pe-santissima situazione debitoria che ne derivava? Per riparare
i danni della guerra, come si sa, occorre affrontare sempre un
periodo di sacrifici. Ed è quello che Longi ha dovuto fare. La
manovra d’assestamento di bilancio e di risanamento, infatti, era
chiaro che non poteva esaurirsi con gli atti di cui in narrativa. Ma
doveva continuare per alcuni anni incidendo nel settore delle
entrate, per far fronte ai nuovi impegni as-sunti, che avevano i loro
riflessi nelle uscite.
Nel
momento in cui mi trovo a raccontare la storia del risanamento,
proseguendo sul tema, tengo a rammentare che l’Amministrazione
van-tava un credito di alcune decine di milioni per tasse non pagate,
e, tra queste, quelle, considerevoli, per il consumo dell’acqua
potabile. Un centinaio circa di cittadini, e tra questi alcuni
facoltosi, non pagava, da anni, il tributo dovuto. E nessuno aveva
intimato il recupero. Affidai, quindi, l’incarico ad un impiegato
scrupoloso, togliendolo a colui che precedentemente, in quel senso,
non si era adoperato. Il risultato fu che tutti saldarono il debito.
Ma
c’era un altro settore, in cui l’evasione era abbastanza
considere-vole: la tassa dell’I.C.I., la quale non veniva pagata da
circa il 25% dei contribuenti, soprattutto di cittadini, proprietari
di case a Longi, ma che non vi risiedevano stabilmente. Conferii
l’incarico, pertanto, ad un commercialista esterno per i dovuti
controlli ed il successivo recupero, ma la fine della mia legislatura
non mi consentì di portare a compi-mento l’azzeramento di
quest’ultima sacca d’evasione fiscale.
Venni
a sapere che l’Amministrazione che mi seguì, presumibilmente per
ingraziarsi il consenso degli elettori, abbassò l’importo
dell’I.C.I. dal 7 al 4 per mille. Operazione contabilmente errata
perché, dimi-nuendo le entrate, nel noto frangente in cui si trovava
il Comune, si è pregiudicata una manovra relativa alle uscite, cui
il medesimo doveva far fronte.
Doveva
essere chiaro e consequenziale che un Comune, oberato da una notevole
massa di debiti, per uscire da questo tunnel doveva neces-sariamente
chiamare i suoi concittadini a sopportare, per alcuni anni, qualche
sacrificio. In questi casi, la solidarietà fiscale non è un fatto
dai risvolti politici, bensì una necessità oggettiva per il
risanamento del bi-lancio di una collettività, la seconda grande
famiglia di ciascun cittadi-no.
La
politica delle opportunità clientelari e dell’allargamento del
con-senso, che passa attraverso l’assistenzialismo e la mancata
applicazione di alcuni parametri per la formulazione ed il pareggio
del bilancio, ha portato e porta inevitabilmente l’Ente verso il
baratro dell’immobilismo di gestione e dell’accumulo di debiti,
che potrebbero essere evitati, in-vece, se tutti pagassero il giusto,
il dovuto ed il necessario.
A
margine dell’argomento, ritengo doveroso segnalare il
comporta-mento del Segretario Comunale, Giuseppe Catalfamo, che, con
la sua professionalità, mi mise nelle condizioni di revocare la
vendita dei terreni comunali in Contrada Petrusa, il cui ricavato
doveva servire a ri-pianare quell’anticipazione di cassa del 1994
per pagare, in fretta e fu-ria, gli oneri contributivi, da anni non
versati agli Enti Assistenziali, di cui ho parlato precedentemente.
Quest’atto, accompagnato da un lavo-ro certosino, sui bilanci e
sulle carte contabili, per la ricerca di econo-mie effettuate negli
anni passati, e che diede i suoi sostanziosi frutti, ritenni doveroso
premiarlo con un “encomio solenne” durante una se-duta di
Consiglio Comunale.
Il
balletto degli assessori
La
legge elettorale siciliana, varata nel 1992, consentiva al Sindaco
elet-to di nominare gli Assessori Comunali al di fuori del Consiglio.
Un evento innovativo, che dava la possibilità al Sindaco di
sganciarsi, al-meno sulla carta, dalle logiche politiche del partito
e dalle diverse cor-renti dei partiti, nonché di scegliere persone
qualificate. La stessa legge prevedeva, però, la possibilità, per
un cittadino, di proporsi come Sin-daco senza essere collegato a
nessuna lista candidata al Consiglio Co-munale. Ove veniva a
verificarsi, però, quest’ultimo frangente – come è stato nel
mio caso – il Sindaco eletto, pur dotato di alcuni poteri
mono-cratici, era vincolato alle decisioni del Consiglio Comunale,
conservando, quest’ultimo, alcune prerogative che ne condizionavano
totalmente la gestione amministrativa da parte della Giunta. Non
aveva senso, per-tanto, per un Sindaco “solitario”, la
presentazione ai cittadini di un programma elettorale nel momento in
cui il Consiglio bocciava le pro-poste presentate dalla Giunta: vedi
bilancio, piano triennale delle opere pubbliche, e così via, che
sono alla base della realizzazione di un do-cumento programmatico.
Inoltre, al Consiglio era data la possibilità di sfiduciare il
Sindaco e di chiedere il referendum cittadino per la sua rimozione.
Una legge sbagliata, in talune sue parti, che successivamen-te è
stata corretta con la prescrizione dell’obbligo, per i candidati a
Sindaco, di collegarsi ad una lista che concorresse all’elezione
dei suoi aspiranti in seno al Consiglio Comunale.
Ma
torniamo alla composizione della mia prima Giunta, che annove-rava
persone culturalmente qualificate per gestire i settori loro
affidati. Non dimentichiamo, però, lo stato d’abbandono
dell’andamento dei servizi comunali, le incrostazioni di natura
politica che affliggevano la maggior parte dei dipendenti e che
tiravano fuori nel momento in cui decidevano di fare ostruzionismo,
sul piano burocratico; a ciò si ag-giungeva la scarsa preparazione
professionale da parte di parecchi. Con questo stato di fatto, la
Giunta si è dovuta misurare: collaborazione da parte di alcuni –
pochi – , ma ostruzionismo anche proveniente da par-te di quelli
che avevano deciso di svolgere il ruolo di miei avversari po-litici.
Ovviamente, il lavoro che la Giunta voleva e doveva portare avan-ti
veniva decuplicato, ritardato e, talvolta, impedito. Pur tuttavia,
poi-ché l’impegno era al massimo per cambiare le cose, gli
Assessori ed io personalmente eravamo alla continua ricerca
d’acquisizione di nozioni e procedure amministrative, attraverso il
contatto con gli Uffici di rife-rimento, a livello provinciale e
regionale, nonché con la lettura delle specifiche leggi pubblicate
sulle Gazzette Ufficiali. Un lavoro di squa-dra, che ci vedeva
impegnati per parecchie ore il giorno: io personal-mente, talora,
anche per più di dodici ore giornaliere.
Qualcuno,
però, dopo circa un anno, manifestò la sua stanchezza di fronte a
siffatta situazione, laddove l’Ufficio, con il quale si rapportava,
non seguiva le sue indicazioni o disposizioni; conseguentemente
rasse-gnò le proprie dimissioni. Qualche altro, invece, si dimostrò
claudican-te nel portare avanti gli incarichi assunti e, purtroppo,
poco presente nell’attività amministrativa giornaliera:
comportamento alquanto gra-ve, soprattutto se si ricopre l’incarico
anche di Vice Sindaco. Vani fu-rono gli inviti e le sollecitazioni ad
un maggior e più assiduo impegno, per cui, pressato di continuo da
quelli che erano stati i miei sostenitori politici, fui costretto a
revocare la nomina al Vice Sindaco, dr. L., e prendere atto, nello
stesso tempo, delle dimissioni dell’arch. B. da Assessore ai Lavori
Pubblici. Nella comunicazione fatta al presidente del Consiglio,
l’Assessore Nino Carcione scriveva che “il prov-vedimento è
stato preso in considerazione del fatto che il predetto40
non ha curato alcuni adempimenti derivanti dal suo incarico e per
i quali il Sindaco lo aveva invitato a predisporre le opportune
iniziative e l’iter burocratico per tramutarli in decisioni della
Giunta”. Uno di tali man-cati adempimenti fu quello relativo alla
pratica di gestione, da parte del Comune, del servizio
dell’autoambulanza, che sarebbe stata donata dal-la Banca
Cooperativa “Valle del Fitalia”. Omissione che consentì al
su-bentrante ing. Z. di proporre la costituzione di un’associazione
“no profit”, la S. Leone, per la gestione dell’ambulanza, la
cui conse-guenza fu quella di poterne disporre solo dopo ben quattro
anni dalla donazione dell’automezzo. Nella prefata lettera,
l’Assessore Carcione comunicava, altresì, che il dr. L. “non ha
dato quel suo contribu-to, in termini di presenza attiva e
continuata, sia alle riunioni di Giunta sia presso la sede di
quest’Ente per gli affari d’ordinaria amministra-zione e di
provvedimenti che si sarebbero dovuti prendere in assenza del
Sindaco. Per una maggiore precisazione di quanto sopra detto, si
partecipa, tra l’altro, che, dall’insediamento di
quest’Amministrazione, su n. 75 riunioni di Giunta Municipale, il
predetto dott. B. L. ha assicurato n. 32 presenze”.
Ebbero
inizio, immediatamente, le consultazioni e le riunioni del mio gruppo
politico per procedere alla sostituzione dei due Assessori, usciti
dalla Giunta. Il mio tentativo fu di assicurare all’Esecutivo
un’ovvia prosecuzione di elementi culturalmente qualificati.
Invitai, pertanto, persone che ritenevo all’altezza del compito, ma
n’ebbi un ri-fiuto.
Ho
insistito, oltre che sulle capacità, sulla levatura culturale degli
As-sessori giacché, per le responsabilità di cui anch’essi sono
investiti, nonché per la gestione amministrativa di settori e
programmi, da parte dei medesimi, era ed è molto riduttivo e
pericoloso chiamare a far par-te della Giunta persone prive dei su
indicati attributi.
Mi
furono proposti, invece, dei nominativi che, a mio parere, non
avevano i requisiti da me pretesi ed oltretutto erano fraterni amici
di… Bacco; pertanto, fui costretto a ricusarli. Questo mio rifiuto
mi costò… la “carriera politica”. Da quel momento, il gruppo
politico che mi aveva sostenuto mi sbatté la porta in faccia. Fui
costretto, quindi, a chiamare in Giunta persone che non riscuotevano
il placet da parte di parecchi cittadini che mi avevano sostenuto.
Nominai, pertanto, Vice Sindaco, l’ing. L. Z., ed Assessore, il dr.
A. F.: elementi sulla cui preparazione professionale e culturale non
v’era nulla da eccepire.
40
Dr. L. (n.d.r.).
Sino
allora il percorso, intrapreso tra Giunta e Consiglio, era stato
quello di una discreta collaborazione. Bilancio e Piano Triennale
delle Opere Pubbliche del 1994 erano stati approvati di comune
accordo, quasi sul finire dell’anno. La Giunta si apprestava,
quindi, ad approvare il Piano del ’95-’97, fotocopia di quello
dell’anno precedente, il quale era già superato dal punto di vista
procedurale. I due nuovi Assessori nominati ritennero di dovere
dissentire, per i loro motivi, da un accor-do che già esisteva, sia
nella maggioranza di Giunta sia col Consiglio Comunale. Misero in
giro, quindi, voci calunniatrici, riferite alla mia persona,
contestando, nel frattempo, le motivazioni che precedente-mente ci
avevano indotto a collocare prioritariamente talune opere: al-cune di
queste mi erano state lasciate in eredità dall’Esecutivo
prece-dente. Riuscirono a portare sulle loro posizioni un altro
Assessore e, per questo problema, mi trovai in minoranza, all’interno
della Giunta Municipale, assieme all’Assessore Carcione; inoltre,
fecero in modo di indirizzare diversamente anche il Consiglio
Comunale. A nulla valsero i reiterati inviti rivolti all’Assessore
R. M. M. di mantenere fede all’impegno assunto circa il mio
programma politico, giacché quelle opere ne facevano parte. Essa fu
irremovibile nel dichiararsi d’accordo con i due nuovi venuti. A
quel punto, non mi restava altro da fare, es-sendo semplicemente
assurdo che un Sindaco si trovasse a gestire in una posizione
minoritaria di Giunta, che revocare la nomina della M. Apriti cielo!
Le ire di parecchie persone si scatenarono contro di me perché la
suddetta, nel paese, era considerata una donna integerri-ma e giusta,
sol perché era impegnata nell’Azione Cattolica. In una squadra,
quando uno dei giocatori si mette a fare il gioco degli avversa-ri,
facendola perdere, cosa resta da fare al capitano o all’allenatore?
Prendere il provvedimento più ovvio: sostituire, in campo, il
compagno infedele. La M. fu surrogata dal signor G. B. Il quale,
sottoposto a continue intimidazioni e pressioni, nel giro di pochi
mesi diede le dimissioni.
Alcuni
passaggi della motivazione di revoca della nomina all’Assessore M.,
così recitavano: “ha
manifestato contraddizioni ed
incoerenza
di linea politica nel momento in cui si è dovuto procedere
all’affidamento di incarichi a professionisti per la redazione di
progetti di massima, relativi a opere collocate al 1° posto nelle
priorità di settore del Piano Triennale di Opere Pubbliche 1994-96;
infatti, pur essendo state de-liberate dalla Giunta in carica in quel
momento, della quale la S.V. faceva parte, a distanza di pochi mesi
non ne riconosce più l’utilità e, quindi, le priorità a suo
tempo decise; “….”
i Suoi recenti atteggiamenti, che si ispi-rano ad un’inversione di
fiducia nei confronti del Sindaco, fanno emerge-re tentativi
artificiosi e speciosi, orientati verso l’assunzione di una
posi-zione politica tesa a sconfessare ed a demolire l’attività
innovatrice e riformatrice del Sindaco; “….azione tesa “a non
lasciarsi sfuggire le oppor-tunità, emergenti dal Bilancio Regionale
e dai Programmi Europei, per avere inserite, nel corso del corrente
anno, all’interno dei piani di finan-ziamento regionale ed europeo,
alcune opere collocate utilmente e priori-tariamente nel Piano
Comunale Triennale delle Opere Pubbliche 1994-96, la cui
realizzazione reputo indispensabile per il nostro paese, soprattutto
perché, tra l’altro, l’insediamento dei relativi cantieri
creerebbe le invocate opportunità di lavoro per la vasta fascia di
lavoratori longesi disoccupa-ti.”
In
data 31 maggio ’95, nonostante una diffida inviatami dal
Presiden-te del Consiglio Comunale a deliberare in merito
all’affidamento di in-carichi progettuali riferiti alle due opere
collocate in posizione priorita-ria nel Piano Triennale delle Opere
Pubbliche ’94/96 (Consolidamento della strada provinciale e della
strada comunale Longi-Cerimo; Lavori acquedotto con telecontrollo nel
centro urbano), essendo venuto a sa-per che il Consiglio avrebbe
cambiato il tutto, convocai egualmente la Giunta per decidere. Ma,
guarda caso, l’Assessore B. non si pre-sentò alla riunione ed i
due Assessori, Z. e F., non vollero aderire a quanto in precedenza
era stato stabilito e deliberato dal Con-siglio Comunale, ragion per
cui fui costretto a ritirare la proposta, con-siderata la parità di
voti che si sarebbe avuta nella votazione: due a fa-vore e due
contrari.
Omissis
Dalla
stampa fui additato quale Sindaco siciliano che aveva destitui-to il
maggior numero di Assessori. In effetti – è bene puntualizzarlo –
, quelli destituiti sono stati solo due per i gravi motivi riferiti.
Gli altri si sono dimessi volontariamente. Alcuni di questi vi furono
indotti a se-guito di forti pressioni poste in essere dai miei
avversari, che erano pe-raltro loro amici o parenti. I medesimi
avversari, oltre tutto, si adope-rarono attivamente per crearmi terra
bruciata attorno; anche nel mo-mento successivo in cui avrei dovuto
formare la lista per il rinnovo dell’elezione, indussero parecchia
gente a non accettare una mia pro-posta per un incarico assessoriale
o di consigliere. E dire che molti di
quelli,
invitati a scendere in lizza, erano stati da me beneficiati, e
co-me!, sia singolarmente sia collettivamente: tra questi ultimi i
braccianti agricoli, alcuni dei quali non avevano speranze di
lavorare per conto della Forestale ai cantieri di rimboschimento
annuale, ma che, alla fine di una battaglia da me condotta, memore di
essere stato sindacalista, furono tutti avviati al lavoro. Parecchi
di questi, però, non ritennero di riconfermarmi la loro fiducia e
votarono per i miei avversari politici.
Dimenticare
questi comportamenti e talune persone, che ritennero moralmente
giusto di dovermi tradire, è stata la mia ferma decisione degli anni
successivi. Tutto ciò, però, mi è servito notevolmente per
co-noscere bene l’animo di taluni longesi, che è parecchio diverso
di quello della gente con la quale avevo avuto a che fare, durante la
mia trenten-nale attività sindacale, svolta in ambienti certamente
più evoluti sul piano sociale, e quindi dotati di un diverso modo di
pensare e, consequenzialmente, di comportarsi nei confronti di chi
aveva loro dedicato un minimo del suo impegno sociale, che traeva e
trae origine da quel credo nella solidarietà umana.
Il
referendum per la rimozione del sindaco
Nel
clima di guerra globale alla mia persona, iniziato all’interno
della Giunta contestualmente all’ingresso in essa dell’ing. Z. ed
acuito-si subito dopo la sua fuoruscita, si trovarono d’accordo le
due fazioni locali, storicamente avversarie da sempre: il centro e la
sinistra. Trovò, quindi, terreno fertile l’iniziativa assunta dal
Consiglio Comunale di proporre la mia rimozione attraverso il
referendum cittadino. La ri-chiesta del Consiglio Comunale era stata
preceduta da un ben orche-strata campagna diffamatoria, basata,
soprattutto, su volantini contro di me, taluni anonimi, talaltri
firmati, accompagnata anche dalla messa in circolazione di
apprezzamenti e di mie supposte volontà che, se fos-sero state vere,
avrebbero disonorato il mio buon nome e la mia dignità di persona
onesta, che ha contrassegnato la mia strada di serio e stima-to
sindacalista. Esistono, in tal senso, attestati di stima, sia da
parte dei vertici del mio Sindacato, sia di quelli della mia
Amministrazione, presso la quale ho prestato servizio per 35 anni.
I
primi venti di guerra cominciarono a spirare nel settembre del 1995,
quando il Consiglio Comunale non approvò la mia relazione
se-mestrale, invitandomi alle dimissioni. A quest’atto fece
seguito, succes-sivamente, un ordine del giorno, presentato dal Vice
Presidente, ins. R. P. – già Sindaco, come detto, negli anni 1965-
66 – con il quale avanzò la proposta di mie dimissioni, approvata
dal Consiglio, dopo avermi tacciato di inadempienze programmatiche.
La richiesta di rimozione fu resa esplicita nella seduta del 27
novembre 1995.
Per
capire ancor meglio, però, il clima politico di quel periodo, è
be-ne fare una breve cronistoria ricostruita attraverso documenti, ad
ini-ziare dal maggio del ’94, quando ebbi a presentare al Consiglio
ed ai cittadini la mia prima relazione semestrale, in un’aula –
fatto inusitato – strabocchevole di pubblico. Dopo aver illustrato
il percorso sino allo-ra compiuto, attraverso il quale si era dato
impulso all’inceppata mac-china amministrativa, dopo aver
illustrato le proposte e le iniziative che, nel medio tempo,
s’intendevano portare avanti, concludevo la lun-ga relazione con un
invito ai Consiglieri di collaborare con la Giunta, anche se diversi
politicamente, poiché il paese, per risollevarsi, aveva bisogno
dell’azione e dell’impegno dell’intero carro politico che lo
gui-dava. La relazione fu distribuita a tutte le famiglie, nel solco
di quel nuovo indirizzo instaurato, basato sulla trasparenza e sulla
comunica-zione all’esterno di quelle cose che interessavano la
popolazione. La re-lazione, seppure tra i distinguo e le immancabili
critiche alla Giunta, attraverso la mia persona, fu approvata
all’unanimità da parte del Con-siglio Comunale.
Seguì,
nel gennaio del 1995, la mia seconda relazione semestrale. Dopo aver
fatto un’analisi sullo stato di salute dell’Amministrazione,
delle cose fatte e di quelle che mi proponevo di fare nel breve
periodo, mi avviavo alle conclusioni, dichiarando: «La storia ha
prescelto Voi, giovani Consiglieri comunali, ha prescelto noi, nuovi
amministratori, per fermare, attraverso una gestione trasparente,
obiettiva e dalle riso-luzioni coraggiose, la corsa del nostro paese
lungo la china della banca-rotta… se l’obiettivo, comune, è
quello di far rinascere questo nostro paese, se l’intento politico,
anch’esso comune, è quello di una gestione aperta, non
discriminante, e trasparente della nostra comunità, in cui tutti i
cittadini sono uguali, quali sono i punti che diversificano il mio
programma politico da quello del partito, cui la maggioranza di voi
fa riferimento? Io rimango ideologicamente un socialista democratico
e riformista, ma senza tessera né partito, perciò non devo portare
acqua ad alcun mulino politico, il mio solo intento è di applicare i
miei con-vincimenti di democrazia, di libertà, di tolleranza,
d’eguaglianza, di ga-ranzia e di giustizia sociale, di solidarietà
verso i più deboli e di pro-gresso economico nella gestione del
nostro paese.»
Proseguivo
con l’auspicare che era opportuno «andare a concretizza-re quella
più volte dichiarata collaborazione tra Esecutivo e Consiglio» e
che, conseguentemente, era «venuto il momento di dar vita a comuni
gruppi di lavoro, a comitati unitari per lo studio e la gestione
delle pro-blematiche del paese e delle iniziative che s’intendono
portare avanti, a unitarie designazioni di rappresentanti all’interno
di Organismi istitu-zionali e Commissioni comunali. In occasione
della campagna elettora-le abbiamo dato, insieme, una lezione di
stile e di crescita civile: non disperdiamo questo valore, ma
continuiamo su questa strada, malgra-do alcune incomprensioni che è
possibile però superare, per raggiunge-re l’obiettivo della
pacificazione sociale e politica cancellando i gruppu-scoli di Guelfi
e Ghibellini, presenti nella nostra piazza, sempre pronti a demolire
anziché a costruire.»
Concludevo
con le parole del Papa Wojtyla: «“Varcare la soglia della
speranza”, per il nostro paese, potrà avere un significato di
comuni in-tenti e di unitari traguardi se questa “soglia”
oltrepasseremo tutti quan-ti insieme.»
Subito
dopo la lettura della relazione, il Consigliere P., pren-dendo la
parola, tra l’altro ebbe a ringraziarmi “per l’impegno, per i
sa-crifici con cui avevo condotto l’attività amministrativa del
Comune”, mentre il Consigliere B. mise in risalto come “la
disponibilità del consiglio è stata ampia”, votando anche
all’unanimità il programma triennale delle opere pubbliche. La
relazione fu approvata dopo due mesi di gestazione, nonostante un
documento di deduzioni piccanti presentato dal consigliere B..
L’immediato,
successivo periodo, quando i rapporti tra me ed il Vice Sindaco, L.
Z., si deteriorarono – come detto – sino ad arrivare alla mia
revoca del solo incarico di Vice ed alle sue dimissioni dal-la
Giunta, fu l’inizio di quella durissima battaglia tra me ed il
Consiglio Comunale. L’estate di quell’anno, 1995, fu
contrassegnata da un imbarbarimento dei rapporti, voluto dai miei
avversari: due volantini anoni-mi inondarono le vie del paese, a
cominciare dalla Via Garibaldi, che n’era piena (non esiste il…
”delitto perfetto”). Essi, stilati da uomini di cultura, muniti
di laurea, i quali, per sviare i sospetti, li hanno riempiti di
errori ortografici, hanno segnato il momento di maggior degrado
so-cio – politico della vita del paese, per opera di pochi ignobili
personag-gi, laddove il livore appariva in tutta la sua dimensione
per le falsità narrate, per le cafonesche citazioni e per gli
apprezzamenti personali, rivolti anche ai componenti della mia
famiglia. A questi volantini ed all’altro, sempre anonimo, che ne
seguì, io ritenni di non dovere ri-spondere per le rime poiché la
carica rivestita, la mia educazione per-sonale e la mia cultura
politica non mi consentivano di scendere allo stesso livello di
bassezza morale e d’inciviltà degli estensori delle tre
sconcertanti “novelle”. Pur tuttavia, presentai querela contro
anonimi, sia per le frasi infamanti contenute in quei fogli, sia
perché erano stati commessi dei reati penali dal momento in cui la
legge vieta l’anonimato nelle pubblicazioni attraverso stampa;
nella stessa querela aggiunsi che, se si fossero individuati i
responsabili, l’eventuale risar-cimento in denaro l’avrei
devoluto a fini benefici alle casse del Comune. Non ho saputo più
niente circa la sorte delle indagini (fatte?). Eppure non sarebbe
stato tanto difficile, da parte di un tecnico, individuare la fonte
della stampa: nella nostra piccola comunità, quante macchine per
scrivere con quei caratteri e quante fotocopiatrici esistevano?
Per
completare il quadro, in quel periodo, furono tagliati gli alberelli
da poco piantati nella Via Roma, dove c’è la sede municipale e,
quindi, del Sindaco e furono tagliate le gomme alla mia autovettura e
ad un au-tomezzo comunale: atti chiaramente intimidatori, finalizzati
a farmi abbandonare il Comune. Gli autori, però, sconoscevano che
ben altri momenti drammatici, nella mia vita passata di militante
socialista e di sindacalista avevano contrassegnato il mio cammino,
che continuai, quindi, con determinazione soffocandone lo stato di
prostrazione.
Per
completare il quadro dell’imbarbarimento della situazione, a Longi,
credo per la prima volta, avvenne un “evento” quanto mai
as-surdo, se non incivile. In occasione della festività del
Crocifisso, il 23 agosto, è usanza che la banda musicale accompagni
il Gonfalone ed il Sindaco dalla casa municipale alla chiesa madre.
Ebbene, quell’anno qualcuno ordinò ai dirigenti della banda
musicale locale di astenersi dall’andare al Municipio per
accompagnare le autorità comunali. Dopo inutile attesa, ed aver
saputo che il complesso bandistico non sarebbe venuto, decisi di
recarmi alla messa cantata e, preceduto dal Gonfalone, entrai in
chiesa, nel silenzio totale e lo sbigottimento da parte dei fedeli,
indossando la fascia tricolore. Mi chiesi e mi chiedo ancora: chi è
stato ad intimare alla compagine musicale di astenersi dal recarsi al
Municipio, secondo la consuetudine? I miei avversari politici? Un
cit-tadino “influente”? O verosimilmente “Chi” l’aveva
ingaggiata?
Torniamo
all’ulteriore mia relazione semestrale di fine agosto del ’95, in
occasione della quale si ebbero le avvisaglie di quanto era nelle
in-tenzioni del Consiglio Comunale da lì a poco tempo dopo. Per
proposta del consigliere B., infatti, la relazione fu respinta con
una motiva-zione subdola e non pertinente, quella, vale a dire, di
non essere “con-forme al programma politico presentato durante la
campagna elettora-le”. Dopo alcuni giorni, il Presidente del
Consiglio presentò le contro-deduzioni alla stessa, accusando la
Giunta di essere priva di una “reale cultura di governo” e di
agire “in contrasto con ogni minima politica di programmazione”.
Tra tutte le accuse possibili, ove avessero avuto un fondamento,
queste sono state quelle che più facilmente si potevano prestare ad
essere demolite attraverso un esame obiettivo dell’attività
esplicata dalla Giunta nei decorsi venti mesi di gestione. Il
Presidente concluse la sua recita a soggetto accusandomi di
“inadempienze ed in-capacità amministrativa” ed invitandomi a
rassegnare il mandato. A lui fecero eco i Consiglieri.
In
un crescendo di tensione, il Consigliere P., qualche giornata dopo,
presentò l’ordine del giorno, di cui si è fatto già cenno.
Nella
sua dissertazione, l’ins. P., tra l’altro, dichiara: «Certo
sa-rebbe tanto ingiusto, quanto strumentale, l’affermazione, e
peggio an-cora l’accusa, che41
è stato del tutto inattivo, possibilmente si è adope-rato per
far meglio, e per questo è meritevole di un riconoscimento e di un
grazie…»
Quanta
incoerenza, quanta contraddizione in ciò che è stato detto, dal
suddetto Consigliere e dai suoi colleghi, in tutta la vicenda!
Nel
novembre del 1995, il Consiglio Comunale, a maggioranza dei suoi
componenti e con l’astensione del Gruppo indipendente, facente capo
al Consigliere B., evase la delibera della mia rimozione at-traverso
la consultazione popolare per “gravi inadempienze program-matiche”.
In una pubblicazione, distribuita ai cittadini, che riportava il
testo del ricorso, da me inoltrato al Co.Re.Co. di Messina, e che è
ri-prodotta a fine capitolo, oltre a definire pretestuose,
surrettizie e prive di fondamento le accuse rivoltemi, elencavo, tra
l’altro, tutta l’attività svolta dalla Giunta e da me nel
biennio di gestione.
In
questo clima di guerra – credo che sia il termine appropriato per
quello che è stato fatto e detto nei miei confronti – viene a me
indiriz
zata
una lettera aperta da parte dell’ineffabile C. F., eclettico
personaggio che, secondo le circostanze, assumeva le vesti di medico
a tempo pieno, e, a tempo perso, di attore di teatro, di politico, di
fustiga-tore, di comunista, prima, e di giustizialista post-comunista
poi (si fa per dire quando si vuole che i principi di giustizia siano
applicati per l’uso ove convenga), e di giustiziere essendosi
autoconferito il mandato di cacciarmi dalla poltrona di Sindaco
avendo io commesso, a suo dire, il reato di lesa maestà nei
confronti della sinistra longese. Nella lettera aperta, tra
esternazioni e doglianze, il dr. F. mi ha tacciato d’opportunismo e
d’incoerenza nel momento in cui avevo tradito il mio “vecchio
credo facendo la spola da un partito all’altro”, di aver dato
corso a dissapori e contrasti, come mai non sono esistiti a Longi, di
es-sermi chiuso nel bunker del Municipio rifuggendo dalla
socializzazione con la gente, di avere incrementato le spese del
bilancio comunale deli-berando l’indennità di carica per gli
amministratori ed il gettone di presenza per i consiglieri, di avere
liquidato alcuni Assessori, tra cui la sua parente, R. M. M.
Continuando nelle accuse, F. conclude la sua lettera dichiarandosi a
favore dell’indizione del refe-rendum popolare per la mia
rimozione. Mi sembra doveroso consegna-re alla memoria storica del
paese alcuni passaggi, i più espressivi, della mia risposta dal
titolo: “Lettera aperta ad un amico”. La pubblico, per-tanto,
integralmente, a chiusura di questo capitolo.
41
Il Sindaco (n.d.r.).
Per
avere contezza di una panoramica completa dei fatti intrecciatisi,
nonché del comportamento, nuovo per il paese, perché basato sulla
trasparenza degli atti, sulla democraticità dei contatti con la
gente, mi sia consentito far risaltare come nessun Sindaco o
candidato a Sindaco ha fatto tanti comizi ed assemblee cittadine
quanti ne ho fatti io. Ebbe-ne, nel periodo della su richiamata
“guerra referendaria”, ho dovuto in-contrare, in Piazza, i
cittadini, il 1° luglio del ’95 ed il 4 febbraio del ’96.
Nel
primo comizio, della durata di ben due ore, ho dovuto rispondere alle
accuse rivoltemi dall’ing. Z, non più Assessore, in occasione di
una sua nota letta in piazza ai compaesani, e completare il mio
co-mizio con l’elencazione dello stato di fatto di alcuni problemi,
nonché di alcune iniziative portate a termine.
Nel
fare un excursus delle principali attività durante l’anno e mezzo
di gestione, ho fatto notare come i primi sei mesi sono stati
dedicati al bilancio previsionale del 1994, al problema della
discarica abusiva dei rifiuti solidi urbani, per la quale c’era
stata una denuncia da parte del WWF di Tortorici, all’avviamento
dei progetti finanziati, che erano fermi da qualche tempo.
Dal
secondo semestre dello stesso anno la Giunta è stata impegnata a
redigere ed approvare il Piano triennale delle Opere Pubbliche
’94-’96, ad avviare i lavori presso le scuole, elementare ed
asilo nido, presso il campo sportivo, quelli dell’arredo urbano
delle vie Roma e piazza Fon-te Pubblica, di vari tratti delle reti
fognanti e idriche; era stata ripristi-nata la funzionalità
dell’intera rete elettrica; erano stati sostituiti i con-tatori del
consumo di acqua potabile; dopo il sequestro della discarica dei
rifiuti solidi urbani, si stava procedendo alla realizzazione di una
nuova, in un sito diverso da quello precedente; era stato garantito
l’avviamento al lavoro di tutti i braccianti impegnati nel
rimboschimen-to; si era intervenuti per il risanamento della frana in
contrada Pado, nonché per la riparazione delle strade Pado-Portella
Gazzana-Alcara Li Fusi e Portella Gazzana-Mangalavite. Inoltre, erano
in corso o stavano per iniziare i lavori di riparazione di sei strade
agricole in contrada Gazzana, quelli per la realizzazione della rete
idrica nelle contrade, di un cantiere comunale per la
ristrutturazione della Via Dante Alighieri ed, ancora, quelli per
interventi di vario genere su cinque strade del centro urbano.
Dopo
l’illustrazione di così copiosi interventi nel campo delle opere
pubbliche, mi sono soffermato ad illustrare le priorità indicate
dalla Giunta nella compilazione del Piano Triennale delle Opere
Pubbliche ’94-’96, divenuto esecutivo nel novembre del ’94, e
che il Consiglio Co-munale non ha voluto reiterare, in “fotocopia”
per il 1995. Le priorità indicate, alla luce delle disponibilità
nel bilancio della Regione Sicilia-na, avrebbero consentito il
finanziamento di quattro o cinque opere su sette e ciò avrebbe
significato lavoro, lavoro, lavoro per i disoccupati. Il piano in
questione, oltre ad essere stato approvato due volte dalla Giunta,
evaso senza modifiche dal Consiglio, per l’anno 1994, e con-cordato
con lo stesso per il successivo anno, con qualche aggiunta, era stato
affisso per altre due volte all’Albo Pretorio senza che vi fossero
stati né ricorsi, né proposte di modifica.
Ma
– proseguii – subito dopo l’accordo, intervenuto con il
Consiglio Comunale, erano entrati in Giunta i due nuovi Assessori Z.
e F., che costituirono una sorta di contro-potere al potere del
Sindaco, quando, invece, per mandare avanti le progettualità,
occorre una cen-trale operativa che si muova all’unisono. Quello
dei due nuovi venuti era il vecchio modo di fare politica per creare
l’immobilismo. Le cose già deliberate, peraltro, non possono
essere variate né per capricci per-sonali, né per nascosti
interessi soggettivi. Essi, purtroppo, si misero a brigare per
convincere il Consiglio Comunale a variare le priorità, quel-le
relative al Piano ’94- ’96, per le quali era mio dovere, sin
dall’1 gen-naio del 1995, affidare gli incarichi tecnici a
professionisti. Ma i due predetti Assessori riuscirono a convincere
l’Assessore R. M. M. di non votare, in Giunta, a favore della mia
proposta, benché la stessa avesse già votato per due volte a favore
delle scelte progettuali prima operate. Era chiaro che si tentava un
ribaltone, una sorta di mini “colpo di stato” contro la
maggioranza già esistente in Esecutivo per varia-re gli incarichi
progettuali che, successivamente, si sarebbero dovuti dare ai
professionisti, che la nuova maggioranza avrebbe proposto.
Quale
riflessione a distanza di tempo, è legittimo chiedersi il motivo di
siffatto comportamento, considerato che, sia l’ing. Z., sia il
figlio dell’avv. F., anch’egli ingegnere, avevano avuto degli
incarichi proget-tuali da parte della mia Giunta, conformata
precedentemente in maniera diversa. È legittimo, altresì, il dubbio
se gli stessi potessero essere portato-ri di interessi. I quali,
ovviamente, erano a me estranei, com’è palesemen-te dimostrabile
attraverso la conoscenza di alcuni atti, che dovevano esse-re
tramutati in delibere: per gli incarichi relativi alla redazione dei
proget-ti, posti al primo posto delle priorità di settore, e per i
quali i due soggetti brigarono tanto per farli saltare, erano stati
già indicati i professionisti. Uno di questi era un architetto
longese; gli altri: l’uno, già indicato dall’Amministrazione
precedente senza però perfezionare l’incarico (ho avuto il
sospetto che rappresentasse un professionista longese, già propo-sto
peraltro come ingegnere capo), l’altro ancora era un forestiero,
qualifi-cato però per i progetti di rete idrica con telecontrollo.
Gli importi delle opere erano quantificabili in alcuni miliardi di
lire.
Riprendendo
il filo del mio comizio, continuai con l’asserire che l’azione
demolitrice della mia persona, messa in piedi dai “golpisti”,
diffondendo veleni tra la gente, mettendo in giro la voce di
sottofondi inquietanti ed interessi nascosti, ed il pontificare
attraverso la cattedra di “tecnico”, ipoteticamente credibile
quindi, indussero il Consiglio Comunale, il quale pertanto non aveva
colpa alcuna perché ha agito in buona fede, a variare, per il
’95-’97, le priorità del Piano, già con me precedentemente
concordate, in accoglimento delle proposte avanzate dal nuovo
Assessore ai Lavori Pubblici. Continuai elencando le nuove priorità
del Piano Triennale delle Opere Pubbliche ’95-’97 e facendo
ri-saltare che l’unica opera che poteva essere finanziata,
attraverso il bi-lancio della Regione, era per l’importo di poche
centinaia di milioni e che, rispetto al Piano precedente (quattro,
cinque opere per le quali po-ter chiedere il finanziamento su sette
priorità), il rapporto era sceso ad una su sette, e ne illustrai le
motivazioni che ostavano al finanziamen-to, nonché l’illogicità
delle scelte operate alla luce di direttive regionali, di norme, di
iniziative già intraprese. Misi in risalto che il danno arre-cato
alle possibilità future di lavoro, per i giovani, era stato immenso
in quanto non si può pensare di venire incontro ai disoccupati con i
pochi soldi dei contributi regionali per gli interventi
infrastrutturali annuali (Legge 1/79), ma che occorreva creare le
premesse e le condizioni per realizzare opere utili per il paese, che
richiedessero il lavoro di decine di operai, quindi opere di un
importo alquanto consistente.
Mi
soffermai, indi, sui progetti “incriminati” e declassati. Quello
del-la “rete idrica con telecontrollo”, del quale ultimo
strumento nessuno conosceva l’esistenza e l’importanza: di
conseguenza, ne ho illustrato i vantaggi ed ho chiesto ai delatori
come mai non avessero contestato anche il progetto per la “captazione
della sorgente Tre Schicci”, nel quale, per imposizione del Parco
dei Nebrodi, si era dovuto inserire il telecontrollo. Quest’ultimo,
nel progetto della “rete idrica urbana”, era stato definito
“inutile”. Doveva servire, secondo le voci fatte girare nel
paese, solo a fare lievitare il finanziamento, dietro il quale ci
sarebbero stati interessi occulti. Per quell’altro del
“consolidamento a monte del paese”, che era un’eredità da me
trovata, avevo il dovere morale di por-tarlo avanti sia per i
pericoli incombenti su una zona a rischio del pae-se, sia per
l’obbligo a me derivante, quale responsabile locale della
“protezione civile”.
Tralascio
di soffermarmi su altri argomenti trattati, importanti per quel
periodo ma di minore entità: alcuni di questi tendevano a
diffon-dere una cattiva luce sul mio comportamento in Comune. Erano
pette-golezzi artatamente montati, che non meritano di essere
ricordati. Così come non ritengo opportuno rammentare gli episodi,
riferiti al com-portamento dell’allora Vice Sindaco nei miei
confronti, che m’indussero a revocargli la nomina e che ho portato
a conoscenza dei cittadini. Maggiori approfondimenti su quest’ultimo
argomento, ai fini personalmente conoscitivi o di cultura storica,
possono essere fatti at-traverso l’ascolto del nastro registrato
del mio comizio.
Proseguendo
nel discorso, misi in risalto che la crisi della Giunta non era
imputabile alla mia persona e che la stessa andava risolta al più
presto, altrimenti l’alternativa sarebbe stata la presenza di un
Commis-sario e Longi sarebbe ripiombata nel buio attraverso
l’azzeramento del lavoro fatto per risolvere i problemi che si
erano affrontati. Lanciai, quindi, un appello a coloro che volessero
costruire, escludendo i faci-norosi, i demolitori ad ogni costo, i
portatori di interessi personali. Ap-pello, rivolto soprattutto
all’unico partito strutturalmente esistente: il Partito Popolare
Italiano. Col quale sarebbe stato possibile fare un ac-cordo
preventivo sul programma da portare avanti e sull’ingresso in
Giunta dei nuovi Assessori; un accordo che avrebbe potuto spostare
l’asse della gestione politica longese al “Centro”.
Chiudendo
il comizio, risposi, esponendo il mio convincimento, rela-tivo al
ruolo ed alla personalità del Sindaco, invocati per il paese,
alcu-ni giorni prima, da parte dell’ing. Z.: «se volete un Sindaco
che non abbia il senso dello Stato, che non faccia rispettare e non
rispetti doveri e diritti, che non dia dignità e prestigio a quella
che è la carica di Ufficiale di Governo; che, anziché lavorare con
proficuo impegno per il paese parecchie ore al giorno, passi il suo
tempo in piazza a pettegolare o di fronte a qualche esercizio
pubblico magari per essere verbalmente aggredito su fatti ed azioni
compiuti o su problemi non potuti portare a soluzione; che non
pretenda rispetto per il Gonfalone e per la bandiera italiana, che
non metta in atto il cerimoniale, disciplinato dal buon senso o con
atti scritti, nei rapporti tra istituzioni, nonché tra Stato e
Chiesa e che, in rappresentanza della cittadinanza ed unitariamente
ad essa, non partecipi col distintivo e con i segni identificativi
d’uso in tali frangenti, a quelle cerimonie religiose, che
rappresentano il momento di maggior giubilo ed importanza aggregativa
in occasione di avveni-menti cittadini, nel rispetto dei diversi
ruoli confluenti, quello civile che si affianca a quello religioso,
per sottolineare l’unione della comunità attorno al particolare
momento celebrativo. Se volete un Sindaco che abiti ogni giorno a
Longi omettendo di poter utilizzare i tre giorni che sta a Palermo
per il disbrigo delle pratiche correnti del Comune presso gli
Assessorati ed Enti, laddove le porte mi si aprono senza il bisogno
di essere accompagnato da qualche politico longese, che per me si
vor-rebbe scomodare; che abbia soltanto competenza politica, e non
anche conoscenza del mondo del lavoro e della pubblica
amministrazione; che sappia dialogare con la gente che ha il solo
interesse di far cortile, e non anche con i lavoratori, con gli
artigiani, con i giovani, con le casa-linghe, con i rappresentanti
delle istituzioni ai diversi livelli; ebbene, quel Sindaco non sono
io!
Io
ritengo che un uomo non possa abbandonare mai quella cultura che si è
formata dopo trent’anni di esperienza sindacale. E fare sinda-cato
significa vivere ogni giorno con i deboli e con i problemi del mon-do
del lavoro: e lì non esistono né appartamenti reali, né troni, né
esi-bizionismi oratori, ma il confronto-scontro con la dura realtà
d’ogni giorno. Io, oggi, mi ritengo un ex dirigente sindacale
prestato alla poli-tica per amministrare il suo paese d’origine,
portandosi dietro il suo bagaglio di convinta democrazia, di
giustizia sociale, di idee e di espe-rienze maturate nel difficile
impatto con la complessità dei problemi dei lavoratori e con il duro
confronto con la controparte. Solo che, es-sendo cambiato il ruolo
ricoperto, debbo saper conciliare la disponibi-lità acquisita verso
la gente con l’obbligo di assolvere i miei doveri di pubblico
amministratore e di responsabile dell’Amministrazione co-munale.
“C’è un modo nelle cose”, dicevano i latini, e questo detto va
applicato anche a chiunque assolva il compito di Sindaco o di
Ammini-stratore, per questo, di tanto in tanto, occorre sedersi in
qualche sedia di rappresentanza o indossare la fascia tricolore. I
“muri di Berlino” non fanno parte della mia cultura politica,
così come non vi fanno par-te atteggiamenti di prosopopea: io,
infatti, mi siedo a tavola di buon grado anche con gli allevatori e
con i “mitateri”, come qualcuno li chiama, e con loro discuto
volentieri su tutto, interessandomi anche ai loro problemi.
Se
voi volete, invece, quel tipo di Sindaco che vi è stato descritto
qualche settimana addietro, lo avete trovato: ha iniziato già la sua
campagna elettorale da circa sei mesi, ma, purtroppo per lui, la
legge ed il buon senso non ammettono che contemporaneamente ci siano
due sindaci in carica. Dall’esterno dell’organismo istituzionale
deve, pertanto, incominciare tutto daccapo per presentarsi a voi da
semplice cittadino.
Amici,
nell’autunno del ’93, mi sono presentato chiedendo un con-fronto
politico serio e sereno. Così non è stato, mio malgrado. Odio le
astiosità e le liti, ma a queste ultime vi sono stato costretto
perché tra-scinato. Vorrei riprendere un dialogo di civiltà e di
crescita sociale con tutti. Voglio mantenere l’impegno preso di
mettere a disposizione del mio paese natio le mie modeste capacità e
le mie energie. Per questo chiedo il vostro aiuto. Fate in modo che
tutti quanti insieme superiamo la crisi amministrativa. Come sempre,
viva Longi.»
Un
comunicato del Partito Popolare Italiano di Longi, che è pubbli-cato
in appendice, riassume il risultato dell’invito da me fatto di
andare alla costituzione unitaria di un Esecutivo. Non dice, però, i
motivi del mancato accordo. Non potevo stravolgere il mio programma
politico, sul quale ero stato votato, né essere in minoranza in
Giunta rinuncian-do ad uomini da me proposti e soprattutto a colui il
quale mi era stato sempre vicino in tutte le traversie della
gestione: Nino Carcione.
Dopo
l’audizione presso il Co.Re.Co. di Messina sul ricorso da me
presentato avverso la delibera del Consiglio Comunale d’indizione
del referendum per la mia rimozione, in data 30 gennaio 1996, feci un
co-municato alla cittadinanza, il cui testo potrà essere letto
nell’appendice. Il Co.Re.Co. non solo m’impedì di esporre le mie
ragioni e di confutare le tesi del Consiglio Comunale, ma, dopo la
mia uscita dalla sala, l’audizione del Presidente del Consiglio,
M., e del Capo gruppo, B., si limitò al tempo strettamente
necessario perché io raggiungessi l’uscita sulla strada, in
pratica pochissimi minuti. Ebbene, il testo del comunicato, poche
copie affisse in paese, pervenne, nel giro di poco tempo, nelle mani
del Presidente del Co.Re.Co, il quale, ritenendosi of-feso, conferì
l’incarico ad un legale di procedere in via giudiziale. La vi-cenda
si chiuse senza conseguenze, grazie all’intervento di un amico, ed
alle scuse formali che ho dovuto inviare ai componenti dell’Organo
di Controllo messinese.
A
distanza di tempo, torno sull’argomento per riconfermare quanto da
me scritto nel comunicato nella parte: “Tutto ciò dimostra
chiara-mente che la decisione era già stata stabilita ancor prima di
valutare la documentazione e di sentire le ragioni della parte offesa
(il Sindaco)”. Dichiarazione, questa, che ovviamente non ero nelle
condizioni di dimostrare, ma che trova riscontro però nel fatto che
una copia del comunicato, affisso negli spazi comunali, fu divelta e
recapitata all’Organo cui si riferiva. Da chi? Non certamente da me
o dai miei As-sessori, bensì da chi aveva interesse a colpirmi ed
era ben… accreditato presso il Co.Re.Co. Il quale, com’è noto, è
composto da membri nomi-nati dai partiti. A buon intenditore, poche
parole!
La
sera del 4 febbraio del ’96 tenni in Piazza un comizio sui fatti in
corso. Misi in risalto la mancata obiettività del Co.Re.Co. – con
riferi-mento all’ingiusta e penalizzante decisione, non avendomi
consentito di entrare nel merito delle motivazioni addotte nel mio
ricorso, che re-spingevano come non vere le enunciazioni e le accuse
del Consiglio Comunale – essendosi soffermato solo sulla
legittimità della delibera consiliare.
«Occorre
avere in mano documenti e prove» dichiarai «e non emette-re un
giudizio sulla base di una dichiarazione non provata: falsa, quin-di,
e bugiarda. … Stamperò alcune copie del mio ricorso con gli
allegati di modo che tutti i cittadini le possano leggere per
rendersi conto della verità.» Anticipando alcune smentite su
determinati argomenti, esposi come, attraverso lo strumento del Piano
Triennale delle Opere Pubbli-che 1994-96, sarebbe stato possibile
dare quattro o cinque incarichi progettuali, mentre con quello del
’95-’97 il conferimento degli stessi si sarebbe limitato ad uno
soltanto.
«Dopo
la deliberazione del Co.Re.Co., la mia prima immediata rea-zione fu
di dimettermi per mettere fine alla stagione di veleni, di insul-ti,
di bugie, di insinuazioni ed alle intimidazioni ricevute e che voi
tutti conoscete. A mente serena, però, spinto anche da mio figlio e
da mia moglie, nonché da alcuni amici, che sono a conoscenza degli
enormi sforzi e del notevole impegno profusi per affrontare e
risolvere i pro-blemi del paese, è prevalso il “senso dello
Stato”, come si suole dire, in pratica il senso del dovere nel
continuare a servire il mio paese in que-sto momento delicatissimo di
completamento degli atti, necessari per uscire dalla crisi in cui
l’ho trovato. Un commissario pregiudicherebbe il risultato
positivo, che s’intravede e che inseguo da due anni. Solo il
Sindaco in carica, da longese, può essere l’interprete
dell’interesse col-lettivo nel mandare avanti le pratiche
intervenendo, laddove occorre, ai vari livelli, regionali,
provinciali o anche nazionali. Mi sarei dimesso se il Consiglio
Comunale fosse stato della mia stessa espressione politica. Ma gli
otto consiglieri del C.D.U. (usciti dal P.P.I.) avevano
preannun-ciato, dopo essersi insediati due anni addietro, che
avrebbero chiesto il Referendum, ed in questi anni, tranne qualche
isolato episodio d’interesse collettivo, non hanno fatto altro che
ostacolare il mio lavoro e la mia gestione. Diversa è la posizione
dei quattro consiglieri indipendenti che, seppure avversari, hanno
avuto a cuore i problemi che interessavano il paese.
I
Consiglieri del C.D.U., peraltro, hanno usato tutti i meccanismi
del-la lotta politica, leciti e non, per farmi gettare la spugna,
abusando an-che di apprezzamenti negativi e di parole pesanti sulla
mia condotta politica. Mi hanno invitato pure a dimettermi
dichiarando che anche loro lo avrebbero fatto. Le loro dimissioni non
avrebbero arrecato al-cun danno al paese perché l’unico lavoro
impegnato, che facevano e fanno, è quello di criticarmi in piazza ed
attaccarmi nelle sedute consi-liari, laddove, talvolta, il Presidente
del Consiglio non mi ha concesso la parola per intervenire, negandomi
quindi un mio diritto-dovere, calpe-stando i principi della libertà
e della democrazia; se mi fossi dimesso io, come poc’anzi ho detto,
il paese avrebbe perduto i risultati da me conseguiti e quelli che
sono in via di realizzazione. Restava loro, per-tanto, l’ultima
arma, il Referendum, e l’hanno usata proditoriamente e vilmente
costruendo un castello di menzogne. Se ne assumeranno le
responsabilità, relativamente alle conseguenze che ne deriveranno,
so-prattutto dal momento in cui sono stati usati da altri, ed ancora
lo sa-ranno, quale “comodino” per mettere in piedi false accuse
di “gravi inadempienze programmatiche del Sindaco”, da me
sistematicamente e totalmente smontate punto per punto.
Potrei
seguire un’altra strada. Quella di fare ricorso al T.A.R. e, se
sa-rà il caso, al C.G.A. È una strada piena di incognite, che ci
porterebbe ad avere la risposta non prima del mese di novembre, a
meno di un an-no, quindi, dalla scadenza del mio mandato e di quello
del Consiglio Comunale. Se, per quest’ultima data si dovessero fare
le elezioni per il Referendum, potremmo correre il rischio che a
sostituire me ed il Con-siglio verrebbe nominato, per quasi un anno,
un Commissario. Fran-camente e responsabilmente non me la sento di
far correre questo peri-colo al paese. Di conseguenza, consapevole
della grande responsabilità che grava sulle mie spalle, ho deciso di
non dimettermi, né di far ricor-so al T.A.R. Affronto, pertanto,
l’incognita delle votazioni referendarie.»
Ho
continuato con l’elencazione delle pratiche delicatissime, in corso
di definizione, che, se abbandonate e non seguite, avrebbero fatto
tor-nare indietro il paese di alcuni anni. Tra queste, il pagamento
dei debiti per maggiore onere di espropri per un importo di circa un
miliardo e mezzo (una volta fatta la transazione con i proprietari
dei terreni, il Consiglio Comunale avrebbe dovuto adottare la
delibera per il ricono-scimento dei debiti fuori bilancio ed
autorizzare la contrazione del mu-tuo con la Cassa Depositi e
Prestiti), l’appalto dei lavori per il progetto di captazione
dell’acqua potabile dalla sorgente Tre Schicci, l’appalto dei
lavori della rete fognante e del collettore, l’appalto per la
Strada Vendipiano-Castaneto, il piano triennale delle Opere pubbliche
’96-’98 rapportato alle possibilità di finanziamento da parte
dell’Europa con il progetto POP, il risanamento del bilancio per
rientrare dei 260 milioni pagati per i contributi previdenziali
arretrati, oggetto tra l’altro della ri-chiesta di dichiarazione di
dissesto del 1994, com’è noto respinta; inol-tre, portare a
finanziamento il progetto per la ristrutturazione del ser-batoio
dell’acqua potabile alla S. Croce, della sorgente Filipelli e della
relativa condotta, la rideterminazione della pianta organica alla
luce delle esigenze odierne del Comune e dei carichi di lavoro, il
bando per la costruzione e l’assegnazione delle case popolari.
Tutte queste prati-che, per essere definite, avrebbero richiesto non
meno di quattro, cin-que mesi di tempo. Dovevano essere definite,
pertanto, entro il 30 giu-gno del ’96.
Dopo
aver illustrato il meccanismo del voto e le determinazioni che lo
avrebbero seguito, ho invitato i cittadini ad una profonda ed
obietti-va riflessione giacché non era in gioco il destino politico
o personale di ciascuno di noi amministratori, bensì quello più
alto, più nobile e su-premo del paese di Longi.
Mi
apprestavo, con animo sereno, ad attendere il Decreto Assessoria-le
d’indizione delle votazioni, che prevedevo potessero essere
razional-mente abbinate o alle elezioni politiche del 21 aprile o a
quelle del 16 giugno per il rinnovo dell’Assemblea Regionale; e
ciò, anche per un’economia, da parte del Comune,
nell’organizzazione e nella relativa spesa se le due votazioni si
fossero tenute in un’unica tornata elettorale. Ma non fu così.
L’Assessore regionale agli Enti Locali firmò il suddetto decreto
il 23 febbraio, fissando la consultazione per il successivo 31 marzo
1996.
Siffatta
fretta, da me certamente non sollecitata, nello stabilire l’illogica
data del 31 marzo poteva avere una sola chiave di lettura. Quella,
vale a dire, che era stata ipotizzata la mia defenestrazione e,
quindi, la possibilità di andare alle nuove votazioni nel giugno
prossi-mo per gestire tutte quelle pratiche, che io avevo elencato
nel comizio del 4 febbraio, e che sarebbero state servite su un
piatto d’argento a chi ed a coloro che tanto avevano brigato per
pervenire allo scontro refe-rendario. Ritenendo pilotati sia la
decisione ingiusta del Co.Re.Co, i cui componenti, ripeto ancora,
sono di nomina politica, sia l’affrettato provvedimento
assessoriale, ed essendo spinto e sollecitato da parecchi cittadini
di fare ricorso al TAR di Catania, ritenni più opportuno
ri-mangiarmi la promessa fatta nel comizio e spiegare ai cittadini,
tramite un comunicato, il motivo della mia decisione a resistere con
l’adire la strada del TAR.
La
notizia del mio ricorso frenò gli entusiasmi e l’arroganza degli
av-versari, i quali reagirono con un volantino, ancora una volta
anonimo, a firma di un sedicente “Comitato pro referendum”,
consci che nessun intervento politico, questa volta, sarebbe stato
possibile presso i giudici del Tribunale amministrativo, i quali
avrebbero certamente emesso una sentenza con obiettività e con
serena valutazione degli atti, rendendo giustizia a chi era nel
giusto. Il TAR, infatti, accolse il mio ricorso ed emise una sentenza
d’annullamento degli atti relativi alla proposta di mia rimozione.
Un
mio comunicato, che si riproduce assieme agli altri precedente-mente
citati, mise fine alla pretestuosa ed ingiusta montatura.
Le
opere pubbliche ed interventi vari
Il
Piano Triennale delle Opere Pubbliche è lo strumento principale, che
consente all’Amministrazione Comunale in carica di attuare larga
parte del proprio programma. La legge prevede un doppio passaggio per
la sua esecutività: il primo, attraverso una delibera di Giunta
Municipale, per proporre al Consiglio Comunale, in ordine cronologico
e priorita-rio, l’elenco delle opere che s’intende realizzare; il
secondo per l’approvazione definitiva del programma. La legge
sottintende che ci sia una convergenza d’indirizzo politico tra
Giunta e Consiglio. La qual cosa così non è stata nei quattro anni
della mia gestione: infatti, come già detto, il Consiglio non era
espressione politica della mia candidatu-ra – allora, come detto,
la legge elettorale regionale lo consentiva – e per questo ci siamo
trovati su posizioni contrapposte nella gestione del Comune. Guelfi e
Ghibellini d’oggi, che si fronteggiavano ad armi im-pari, per cui a
soccombere era sempre una parte: l’Esecutivo. In prati-ca, il
legislatore – con miopia amministrativa e forse tecnico- giuridica
– ebbe a prefigurare un Sindaco, cui la legge conferiva ampi poteri
per una gestione monocratica, lasciando al Consiglio poteri di veto
nel momento in cui bisognava passare sotto le sue forche caudine per
ave-re i “soldini” ed il placet per realizzare i programmi.
Da
quest’anomalia della legge regionale elettorale siciliana del 1993
è nata la stasi del Comune, nel settore delle opere pubbliche, e la
feroce contrapposizione tra i due schieramenti avversi: Giunta e
Consiglio.
Il
tormentone ebbe inizio con la prima approvazione del Piano trien-nale
delle Opere Pubbliche, nel maggio del 1994. Il documento, variato
rispetto alle proposte deliberate dalla Giunta, a seguito di mio
ricorso, fu bocciato dal Co.Re.Co. Centrale di Palermo.
Successivamente, nell’ottobre dello stesso anno, fu approvato così
come formulato dalla Giunta. La quale, nello stabilire le priorità
delle opere da realizzare nei vari settori, tenne conto delle
disponibilità economiche presenti nel bi-lancio della Regione,
nonché dei programmi di finanziamento da parte della Comunità
Europea: è stato un lavoro di paziente ricerca e di in-formazioni,
da me portato avanti presso i vari Assessorati Regionali.
Considerato
che l’esecutività della delibera di quel primo Piano in-tervenne
solo verso la fine dell’anno, venne concordato con il Consiglio di
riproporre, per il successivo anno, il medesimo documento di
pro-grammazione. La Giunta, pertanto, provvide ad evadere la delibera
per il Piano Triennale delle Opere Pubbliche ’95/’97 nella
invariata formu-lazione precedente. Essa prevedeva al primo posto dei
diversi settori: Acque
e Fonti di energia: Acquedotto
centro urbano con telecontrol-lo; Agricoltura:
Rimboschimento a monte strada provinciale n. 157; Ambiente:
Completamento
rete fognante nelle frazioni e realizzazione
collettore
a valle del centro urbano; Difesa
del suolo:
Consolidamento versante nord centro urbano a protezione dell’abitato,
della strada pro-vinciale e della strada comunale Longi-Cerimo –
Mirzulera; Edilizia:
Costruzione
di n. 30 alloggi popolari;
Impianti sportivi: Ampliamento
campo
sportivo; Viabilità:
Arredo urbano di via Umberto I e Piazza degli Eroi.
L’ingresso
in Giunta, però, dei nuovi Assessori, L. Z. e N. F., determinò
quella crisi e quella rivoluzione di cui ho parlato precedentemente.
Il Consiglio Comunale, fomentato da questi ultimi, rivide la propria
posizione e, venendo meno ad un accordo in prece-denza intervenuto,
dopo un sofferto e tormentato iter, evase il Piano ’95-’97 nel
maggio del 1995. Queste le nuove priorità di settore. Acque
e
fonti d’energia: Manutenzione
sorgente Filipelli e serbatoio S. Croce
con
condotta d’adduzione da sorgente a serbatoio; Agricoltura:
Com-pletamento strada di p.a. Case Botti – Case Barillà42;
Ambiente:
rima-sto invariato rispetto alla proposta di G.M.; Difesa
del suolo:
Sistema-zione idraulica torrenti S.Croce – S. Maria43;
Edilizia:
Adeguamento edifici pubblici alle direttive CEE ecc.44;
Impianti
sportivi e ricreativi:
Costruzione strada di accesso al Campo sportivo45;
Viabilità:
Costru-zione strada intercomunale Gazzana – S.Giorgio46.
- Doveva essere realizzata con i fondi del Comune in quanto non esisteva possibilità di avere finanziata la costruzione di strade (ndr).
- Non esisteva possibilità alcuna di finanziamento (ndr).
- Erano adempimenti di legge, che bisognava fare, senza poter chiedere finanziamenti, con i fondi propri dell’Ente (ndr).
- Era un pallino del Vice presidente del Consiglio, R. P.., in quanto portava in vita uno dei progetti del defunto cognato, ing. Calogero Sirna, già Assessore (ndr).
- Come detto, i Consiglieri erano a conoscenza che non esisteva la possibilità di ottene-re il finanziamento per la costruzione di nuove strade, pur tuttavia tolsero la proposta di Arredo della Via Umberto I e Piazza degli Eroi in quanto si era sparsa la voce che la Giunta intendeva affidare l’incarico progettuale all’Architetto B., ex mio Asses-sore. C’è da aggiungere che l’intervento sulle strade intercomunali era di competenza della Provincia Regionale, la quale, nel 1997, a seguito di mia richiesta, intervenne sulla strada indicata (ndr).
- Con la proposta della G.M., che rispecchiava il Piano Triennale del 1994, sarebbe esistita la possibilità di avere finanziate tutte e sette le opere, poste in posizione prioritaria. Naturalmente, sarebbero stati ne-cessari un consistente impegno e l’aiuto della fortuna. Finanziamenti che magari potevano intervenire nell’arco di due tre anni, se si fosse la-vorato bene. Con la delibera approvata, nel 1995, da parte del Consi-glio, le possibilità di finanziamento, invece, si riducevano a due soltan-to: all’intervento sulla sorgente di Filipelli e del serbatoio di S. Croce, nonché al completamento della rete fognante. Esiste in tutto questo stravolgimento di programma una minima logica politica d’opposizione al Sindaco, nel momento in cui sono stati calpestati gli interessi del paese, pur di fare, forse, gli interessi di altri? Proprio così: interessi di altri, dal momento che si pretendeva che io dessi gli incari-chi progettuali, col Fondo di Rotazione, ai tecnici locali, senza tenere conto della possibilità di finanziamento delle opere. S’intendeva, in pratica, gestire il detto Fondo con i metodi del passato utilizzandolo come cassa d’assistenza. Se lo avessi fatto, avrei tradito il principio del-la legge, che aveva istituito il Fondo di rotazione, oltre ad essere passi-bile di qualche denuncia penale per abuso o interesse privato o, addirit-tura, per peculato (chissà quali di questi si sarebbero inventati i miei cosiddetti “amici” alla luce del sole, ma “nemici” nell’ombra, pur di de-nunziarmi).
I
motivi del contendere con l’ing. Z. e con l’avv. F., prima, e con
i Consiglieri, poi, furono soprattutto per “l’acquedotto con
telecon-trollo nel centro urbano” e per il “consolidamento del
versante nord del centro urbano a protezione dell’abitato, della
S.P. e della strada comu-nale Longi – Cerimo. Mirzulera” (per
intenderci meglio, la strada è quella che va verso il Cimitero,
laddove si sono verificate frequenti ca-dute di massi, che hanno
sfiorato alcuni cittadini o causato incidenti).
Venendo
al primo progetto, la rete idrica del paese era stracotta in quanto
vecchia, tant’è che spesso aveva bisogno di interventi urgenti per
guasti improvvisi, che non sempre si riuscivano ad individuare con
immediatezza e con il pericolo, altresì, di inquinamento dell’acqua
po-tabile, in quanto la rete è contigua a quella fognante, anch’essa
oggetto di frequenti guasti. Il telecontrollo, poi, avrebbe
consentito l’immediata individuazione di un possibile guasto, la
razionale erogazione del liqui-do nei vari rioni, secondo le esigenze
di stagione, la lettura del consu-mo effettivo dell’acqua di
ciascun utente con immediata emissione del-la bolletta e con notevole
risparmio di ore di lavoro da parte degli Uffici comunali. A ciò è
da aggiungere che il Parco dei Nebrodi, per il proget-to
dell’acquedotto esterno (tramite la captazione della sorgente Tre
Schicci), aveva preteso l’installazione del telecontrollo: si
sarebbe veri-ficata, cioè, la contraddizione che si sarebbe potuta
controllare la conduttura esterna, mentre per quella interna le cose
dovevano rimanere allo “statu
quo ante”,
cioè obsolete. Praticamente non si voleva accetta-re il progresso
tecnologico, ad eccezione di quello imposto da organi esterni al
Comune, ovviamente più lungimiranti. Tutta quest’impostazione era
semplicemente balorda e fuori d’ogni logica, soprattutto quando
siffatte indicazioni provengono da tecnici. Man-canza d’aggiornamento
professionale e, quindi, arretratezza d’elaborazione progettuale. O
semplice ostruzionismo? O, mi sia con-sentito, altri interessi
nascosti?
Per
il secondo progetto, invece, si è portata avanti la tesi che si
trat-tava di un mega-progetto (oltre 4 miliardi di lire di
finanziamento), im-possibile da realizzare. Inoltre, sostenevano i
delatori, il paese abbiso-gnava di progetti di due, trecento milioni
per far lavorare le imprese lo-cali. Anche questa è un’altra
assurdità in quanto, di fronte alle effettive esigenze di opere al
servizio del paese, viene meno qualsiasi diversa motivazione. E Longi
aveva ed ha bisogno di quest’opera di protezione e di
consolidamento poiché i rischi ed i pericoli, per il paese, sono
no-tevoli. Tant’è che, dopo la bocciatura della proposta della
Giunta, da parte del Consiglio Comunale, cercai di tutelarmi per non
incorrere nelle responsabilità derivanti da un’eventuale omissione
in presenza di un qualche evento disastroso per il paese. Non ci si
dimentichi che il Sindaco pro-tempore è anche responsabile della
protezione civile loca-le. Chiesi alla Provincia Regionale, e lo
ottenni, un suo intervento tra-mite l’Assessorato Territorio ed
Ambiente. Il geologo incaricato, dopo il sopralluogo, stese una
relazione, laddove era messa in evidenza la peri-colosità di “alcune
situazioni di dissesto e di latente instabilità”. Le zo-ne
maggiormente interessate ai pericoli d’erosione e di frane sono
quel-le del campo sportivo, del versante a monte del centro abitato,
laddove, nel 1851, c’è stata la famosa e rovinosa frana, nonché
del Rione Borgo. Il sopralluogo ha altresì evidenziato “la
necessità di eseguire un attento studio geomorfologico e geognostico
sulle condizioni di stabilità del versante sia a monte sia a valle
del centro abitato, anche per valutare i diversi gradi di rischio,
preventivare le tipologie d’intervento e stabilire il relativo
ordine di priorità”. Ogni commento è superfluo! C’è altresì
da aggiungere che una petizione, da parte di cittadini, per questa
zona a rischio, era stata presentata, nel primo trimestre del ’95,
e riproposta nel gennaio del ’97, con la quale venivano messi in
risalto i danni e le lesioni già in corso e, consequenzialmente, si
chiedeva al Sindaco di in-tervenire. Non c’è niente di peggio di
coloro che fanno finta di non sen-tire e di non vedere quello che
già, però, sanno, consapevoli di cono-scerlo.
Il
detto documento venne da me inviato, per i relativi provvedimenti
d’intervento, al Genio Civile di Messina, alla Protezione Civile di
Roma, al Presidente della Regione, al Prefetto di Messina. La
relazione è stata pubblicata su un opuscolo distribuito in paese e
che qui in appresso viene riprodotto.
L’apice
dell’assurdità e dell’incoerenza fu raggiunto, però, nel 1999,
dall’Amministrazione che mi succedette, allorché nel Piano
Triennale 1999-2001 fu inserito al primo posto del settore “difesa
del suolo” il progetto “Consolidamento del centro urbano nella
Via S. Croce, Piazza degli Eroi e contrada S. Maria”. Il quale non
è altro che una parte di quello complessivo “Consolidamento
versante nord centro urbano a protezione dell’abitato, della S.P e
della strada comunale Longi-Cerimo-Mirzulera”, la cui priorità a
me fu precedentemente negata dai Consiglieri di quella medesima
espressione politica divenuta maggiori-taria, elaboratrice del Piano
’99-2001. L’incarico – mi è stato riferito – pare sia stato
conferito al figlio (ingegnere) dell’Assessore ai LL.PP., ing. P.,
longese abitante a Messina; sarebbe stato corretto, a mio parere,
affidarlo a quel progettista, a suo tempo contattato dal Sindaco,
Franco Fabio, perché ne facesse uno stralcio dal “preliminare”,
già in possesso del Comune.
Dopo
l’approvazione del Piano 1995-’97, il Consiglio Comunale si
astenne dall’adempiere, negli anni seguenti, a siffatto
importantissimo dovere programmatico. L’Assessorato Regionale, da
me opportunamen-te informato, non si peritò minimamente
d’intervenire con la nomina di un commissario ad acta, che avesse,
cioè, l’esclusivo compito di eva-dere i successivi Piani (’96 e
’97).
A
conclusione dell’argomento, mi sia consentito mettere in risalto
al-cune realizzazioni, che costituivano le annose aspirazioni dei
longesi, perché conseguite tra le non indifferenti difficoltà
frappostemi, sul pia-no politico e ricorrendo, nello stesso tempo, ad
iniziative ostruzionisti-che: l’inizio dei lavori per la captazione
dell’acqua potabile presso la lo-calità Tre Schicci ed il progetto
per la strada di collegamento Case Bot-ti-Barillà, chiesta,
quest’ultima, per circa trent’anni, dai braccianti fore-stali
presso il cantiere di Barillà. Sono state delle opere che si sono
do-vute scontrare con l’opposizione del Parco dei Nebrodi, ma che,
alla fi-ne, è stata rimossa grazie alla mia tenacia ed a quella
degli uomini del-la mia Amministrazione: un merito particolare, se
non esclusivo, per la succitata strada, va al Vice Sindaco, Nino
Carcione, che si è notevol-mente impegnato per dimostrare la
fattibilità ai responsabili del Parco. Mi ha amareggiato, però, il
fatto che la stessa non abbia potuto vedere la luce durante la mia
gestione, la quale ne aveva completato tutti gli elaborati tecnici e
le procedure amministrative. Anche qui mise lo zampino il Consiglio
Comunale, che tardò ad approvare il Bilancio di previsione 1997,
adempimento che dovette porre in essere a seguito della diffida da
parte della Regione attraverso un Commissario ad acta. La strada,
infatti, si sarebbe dovuta realizzare con i fondi comunali, che
dovevano essere, pertanto, deliberati in bilancio.
La
captazione dell’acqua potabile, il cui inizio lavori era stato da
me annunziato, come data possibile, per i primi mesi del 1996 (dopo
l’autorizzazione fattami rilasciare dal Genio Civile di Messina, in
data 30/12/95, per l’anticipato inizio dei lavori), è stata
rinviata a causa di iniziative ostruzionistiche poste in essere da
vari soggetti, interessati acchè i lavori non fossero da me, bensì
da loro, consegnati alla ditta aggiudicataria dell’appalto. Ultimo,
in ordine cronologico, eclatante episodio fu quello del relativo
annullamento del bando di gara d’appalto poiché il tecnico
comunale, G. V., nella trascrizione del testo da pubblicare sulla
Gazzetta Ufficiale della Regione, saltò, a piè pari, alcuni periodi
o intere righe, che costituivano adempimenti cogenti per le ditte
interessate ai lavori. La conseguenza fu che il Comune si dovet-te
caricare di un onere diretto di circa 10 milioni per procedere alla
rei-terazione della pubblicazione del bando, riveduto e corretto,
sulla stampa regionale. Fu, questo, un errore voluto? Ritenni
doveroso, in ogni caso, di inviare gli atti alla Procura della Corte
dei Conti per il danno erariale procurato all’Ente.
Sarei
incompleto nell’esposizione se non accennassi ad alcune opere che
erano finanziate, sì, ma carenti in taluni aspetti.
La
“piscina comunale”, il cui progettista era il geom. F., Sindaco a
me subentrato, era priva, tra l’altro, di strada d’accesso. Per
il suo in-serimento e costruzione, fu chiesto il relativo
finanziamento di 50 mi-lioni al Comune, il quale, però, non poté
reperire la somma necessaria, che peraltro doveva aggiungersi a
quell’altra di oltre 30 milioni per la sua gestione annuale e
manutenzione.
La
strada “Vendipiano-Castaneto” stava per essere mandata in gara
d’appalto, ma il Segretario Comunale scoprì che era senza visto di
con-formità allo strumento urbanistico, che il tecnico comunale non
rila-sciò, giacché il Piano regolatore aveva variato la zona del
tratto d’inizio, da agricola ad insediamento urbanistico.
Occorreva, quindi, procedere ad una variante del progetto, alla quale
se ne aggiunse un’altra richiesta dalla Sopra Intendenza
all’Ambiente. Altre difficoltà si assommarono tramite le pratiche
del rinnovo del finanziamento da parte dell’ESA. Per completare il
tutto, il progettista, malgrado sollecitato e diffidato, non si
adoperò per la presentazione delle varianti. Ciò malgrado,
comincia-vamo a prepararci a completare il tratto di strada, che dal
Castaneto si sarebbe dovuta congiungere all’esistente strada S.
Lorenzo-Iapichello, la quale, nel tempo, avrebbe potuto avere una sua
naturale continua-zione verso il Passo della Stretta di Longi, per
superarla ed allacciarsi allo scorrimento veloce che scende da Galati
Mamertino verso il mare. Riuscimmo a realizzare quest’ultimo breve
segmento di strada con i fondi del Comune.
Stessa
sorte della precedente opera ebbe quella relativa al primo trat-to
della “rete fognante e del collettore a valle del paese” – il
cui finan-ziamento venne da me richiesto ed ottenuto nel luglio del
1995 – per-ché doveva essere apportata una variante al progetto a
seguito di un ri-corso avanzato da alcuni cittadini relativamente
all’occupazione di un terreno. Anche per quest’altra opera, le
diffide ed i solleciti non sortiro-no alcun effetto nei confronti del
progettista, che prendeva tempo, fa-cendone perdere di prezioso al
Comune ed ai lavoratori disoccupati.
Il
recupero delle “Case di Mangalavite” fu anch’esso per parecchio
tempo bloccato dalla Sopra Intendenza ai beni ambientali e culturali,
che non intendeva rilasciare un visto.
La
costruzione di “30 alloggi popolari” non poté iniziare il
proprio iter, al di fuori di un impegno di finanziamento da parte
dell’Assessorato Regionale ai Lavori Pubblici, perché il Consiglio
Co-munale non provvide mai – ogni volta trovava una scusante per
rinviare ad altra seduta – ad approvare la delibera di assegnazione
dell’area su cui sarebbero dovute sorgere le case.
Altri
ostacoli si sono dovuti superare relativamente al finanziamento della
“copertura del campo plurimo” e del “consolidamento delle Case
Ferrante”; ma eravamo alla fine, quasi, della mia gestione, per cui
fu la Giunta subentrante ad iniziare i lavori.
In
previsione dell’arrivo dell’acqua potabile dalla sorgente Tre
Schic-ci, cui si doveva collegare la rete idrica delle Contrade,
realizzata nel 1995, affidammo l’incarico informale all’ing. M.
L. per pre-disporre la progettazione di una vasca di decantazione
(Imoff), in con-trada Liazzo, laddove scarica i liquami la rete
fognante proveniente dal-le campagne. La quale, malgrado realizzata
da diversi anni, non era stata collaudata poiché priva di vasca di
decantazione; di conseguenza, i cittadini delle campagne non potevano
allacciarsi alla rete idrica per-ché l’acqua utilizzata non poteva
essere scaricata nella rete fognante. Ma i soliti problemi di
bilancio – occorrevano circa 50 milioni dai fondi comunali – non
ci consentirono di portare a compimento il progetto, anche perché
eravamo già a fine mandato.
L’unico
incarico che la Giunta fu in condizione di deliberare, certa di
ottenere il finanziamento dell’opera, collocata al primo posto di
settore nel Piano Triennale delle Opere Pubbliche ’95-’97, fu
quello relativo alla “ristrutturazione del serbatoio d’acqua
potabile alla S. Croce ed alla sorgente di Filipelli”. Ma fu
respinto dal Co.Re.Co. di Messina in quan-to il tecnico comunale non
rispose, entro i venti giorni previsti, alla ri-chiesta di
chiarimenti sulla delibera della Giunta. La quale, non poten-do
reiterare analogo atto deliberativo, decise di attendere
l’approvazione del nuovo Piano ’96-’98; ma, come
precedentemente det-to, il Consiglio non approvò mai i Piani
Triennali, successivi a quello, per ultimo esitato ed esecutivo, del
1995. Analogo progetto, con qual-che aggiunta, fu deliberato dalla
Giunta subentrante, ma con affida-mento d’incarico ad un tecnico
diverso, che – per la cronaca – era an-che Sindaco d’Ucria. È
il caso di chiosare: “dal collega di Longi, Sinda-co e Geometra,
con amore… al più volte collega di Ucria, tecnico non longese…”.
Sul
sopraddetto atto è d’obbligo una considerazione circa il relativo
comportamento del tecnico comunale, durante la mia e sua presenza al
Comune. Questi è stato oggetto di contestazioni, più di una volta,
da parte degli Amministratori. Comportamento, considerati i due casi
prima citati, che non fu certo di collaborazione con la Giunta in
carica. Tutt’altro. Oltre tutto, non nascose mai la sua avversione
politica nei miei confronti. Certo, un conto è dichiararsi
avversario politico, un al-tro è quello di sostanziare siffatto
ruolo all’interno dell’Amministrazione d’appartenenza, laddove
occorre adempiere il proprio dovere, nolente o meno. Ho avuto,
quindi, il fondato dubbio che questo dipendente lavorasse per “il
re di Prussia” e che non fosse esente da iniziative
ostruzionistiche, quale “longa
manus”
di coloro i quali avevano interessi perché l’Amministrazione, da
me presieduta, fosse stoppata nel mandare avanti i propri programmi.
Fui accusato di aver favorito la sua richiesta di distacco al Parco
dei Nebrodi perché ebbi a privare il Comune di un’unità,
“indispensabile” presso l’Ufficio Tecnico. Sono convinto,
invece, di aver adottato un saggio provvedi-mento, evitando così al
Comune ulteriori danni, considerata altresì l’inefficienza, la
precarietà e l’accumularsi di pratiche inevase, in cui ebbi a
trovare quell’Ufficio.
Un
discorso a parte va fatto per la discarica dei rifiuti solidi urbani.
Dopo pochi mesi dal mio insediamento, appresi che, assieme ad altri
tredici Sindaci del comprensorio, ero stato denunziato perché la
disca-rica dei rifiuti non era autorizzata dagli Organi preposti e,
peraltro, in-quinava le acque del fiume Fitalia. Premetto che il sito
era stato scelto dalle amministrazioni precedenti e che vi si
conferiva la spazzatura del paese da un paio di decenni. Ma il WWF
pensò che era venuto il mo-mento di incriminare i nuovi
amministratori, da poco eletti. Diedi di-sposizione, quindi, al
tecnico comunale di individuare un nuovo sito; mi fu risposto che non
esisteva alcun posto dove si potesse realizzare la nuova discarica.
Della situazione portai a conoscenza tutti gli organi possibili, dal
Presidente della Repubblica al Ministro della Sanità, dal Presidente
della Regione a quello della Provincia, nonché alla Procura della
Repubblica. Nessuno si fece vivo. A questo punto, personalmente ed
assieme all’Assessore Carcione, incominciammo a battere a tappeto
tutto il territorio. Riuscimmo ad individuare una zona idonea,
abban-donata, di circa due ettari in contrada Gazzana, laddove
sarebbe stato possibile far sorgere un impianto di riciclaccio e di
incenerimento dei rifiuti, che poteva servire addirittura i paesi
dell’apposito nascituro Consorzio. L’impianto, a parere dei
tecnici, non avrebbe inquinato la circostante area, considerate le
più avanzate tecnologie che, a tal pro-posito, sarebbero state
adottate ed insediate; nello stesso tempo, avreb-be offerto lavoro
stabile a circa trenta persone. Ovviamente, fu messa in piedi
un’azione di protesta attraverso la raccolta di firme tra
cittadi-ni che si dichiaravano contrari alla creazione della
mini-industria – a dir loro, inquinante – in quella zona
adiacente al Parco dei Nebrodi. In-vitai, allora, i cittadini a
segnalarmi un sito alternativo. Nessuno si fece avanti.
Dopo
qualche periodo, la Guardia Forestale ebbe l’ordine di seque-strare
la discarica esistente, con conseguente altra denuncia penale a mio
carico. Costretti a scartare altri siti perché poco idonei o in area
protetta da vincoli ambientali, arrivammo dopo tante traversie ad
indi-viduare un’area, in contrada Gazzana, al confine con il
territorio rica-dente all’interno del Parco dei Nebrodi, ma al di
fuori dello stesso, di proprietà comunale. Fu merito del tecnico
comunale Ottavio Pidalà, il quale, leggendo attentamente e con la
lente d’ingrandimento la cartina topografica della zona, mi mise
nella condizione di insistere che era-vamo fuori Parco. Il geometra
Pidalà fu oggetto di un mio “encomio so-lenne” in una pubblica
seduta di Consiglio Comunale. Superammo gli ulteriori, intuibili,
ostacoli di natura ambientale, e demmo al paese la sua discarica dei
r.s.u.. Ma non finì qui, poiché il solito cittadino “scon-tento”
mi denunziò perché “avrei dato la possibilità ad alcuni di
attiz-zare il fuoco alla discarica”, con conseguente inquinamento
dell’aria. Altra denunzia penale per il sottoscritto.
Nel
tema dei lavori pubblici, pur essendo opere d’arte, potrebbero
rientrare i “Murales” presso la strada provinciale in contrada
Castiglio-ne, anche se non fanno parte delle realizzazioni di
pubblica utilità. So-no stati dipinti, con professionalità e con
amore, da artisti longesi e non longesi. Essi costituiscono un
patrimonio artistico che valorizza il paese anche dal punto di vista
paesaggistico e, perché no, turistico. Sa-rebbe opportuno, quindi,
un intervento per la loro conservazione giac-ché le intemperie ne
stanno deteriorando la bellezza dei colori e dei soggetti ritratti.
Sarei
incompleto se non riferissi di un mio intervento in occasione della
riunione dei Sindaci per la formulazione del Piano Territoriale
Provinciale, che tramutai in richiesta scritta alla stessa Provincia
Re-gionale di Messina. Tra le opere prioritarie da realizzare, ebbi a
segna-lare: la costruzione della strada di collegamento con lo
scorrimento veloce Galati Mamertino – Rocca di Caprileone, con
inizio dall’esistente strada di penetrazione agricola in Contrada
Castiglione del Comune di Longi, cui si sarebbe dovuta allacciare
quella costruenda, Vendipiano-Castaneto; gli scavi archeologici in
Contrada S. Fantino, laddove esiste-va l’antica e nota Crasto
(successivi studi ed approfondimenti dimo-strarono che trattatasi di
Demenna e non di Crastos); l’acquisizione del Castello Ducale per
destinarlo a Museo Etno-Antropologico, Galleria d’arte, Centro di
cultura, nonché sede di rappresentanza dell’Amministrazione
Comunale; la conservazione e la protezione dei Murales con
rivestimento in pietra viva del circostante muro in cemen-to. Il
Piano Territoriale Provinciale non vide la luce sino alla data della
mia presenza presso il Comune; né seppi, in seguito, che fine abbia
fat-to.
Per
la strada di collegamento veloce “Monti-Mare”, segnalata al
pri-mo posto alla Provincia, occorre dire che il relativo progetto,
esistente presso il Comune, fu restituito al tecnico, dal Commissario
Caiola, giacché era prevista una spesa di circa 70 miliardi:
impossibile, per il nostro piccolo centro, potere ottenere un simile
finanziamento. Ogni discorso, per la sua realizzazione, sarebbe stato
inutile per una serie di motivi, tra i quali lo sbarramento al
relativo finanziamento da parte della Regione, che, per le strade
extraurbane, nel proprio bilancio ha messo zero lire, nonché
l’opposizione che sarebbe stata messa in piedi dagli ambientalisti
nel momento in cui si sarebbe dovuta attraversare la “Stretta di
Longi”. Quest’ultimo ostacolo, forse, si sarebbe potuto ag-girare
con l’attraversamento del sito in galleria, per il quale, però,
sa-rebbe occorsa un’ingente somma, oppure con un ponte di legno
sospe-so sulla Stretta, costruito in maniera e forme tali da poter
creare il mi-nore impatto ambientale possibile. Un ponte, cioè, che
diventasse un tutt’uno armonico con il paesaggio, su cui si sarebbe
dovuto adagiare. Un’opera d’alta creatività e sicurezza
strutturali. Oggi, anno 2000, l’unica possibilità per ottenere il
finanziamento proviene dai program-mi europei (vedi Agenda 2000,
inesistente sino al 1997), anche se l’inserimento in essi e
l’istruzione della pratica presentano complesse difficoltà e
notevolissimo impegno per seguirne l’iter, a livello regionale
soprattutto.
La
complessa vicenda delle opere pubbliche finanziate, che non han-no
potuto vedere l’inizio dei lavori durante la mia gestione, è in
larga parte acquisibile, sotto l’aspetto cognitivo, attraverso le
varie note e pubblicazioni allegate a questo lavoro.
Il
Piano Regolatore Generale, adottato dal Commissario, dr. Caiola, ma
già redatto negli anni decorsi, per potere diventare operativo ha
do-vuto affrontare un tragitto lungo quattro anni, in quanto il
C.R.U. dell’Assessorato Regionale Territorio ed Ambiente fece
decorrere i termini di 180 giorni, prolungati di altri 90, entro i
quali l’avrebbe dovuto approvare. Proposi allora al Consiglio
Comunale, alla luce delle norme in materia, di dichiarare operativo
il Piano. I Consiglieri si convinsero ed approvarono la delibera. A
questo punto, s’innestò un braccio di fer-ro con l’Assessorato
con conseguenti diffide da parte dello stesso, ri-chiesta di pareri
legali ed altre delibere del Consiglio, per cui i tempi si
protrassero per altri due anni. Alla fine il P.R.G. fu approvato, in
peggio mi è stato detto, e modificato in larga parte. Certo, una
variante, che tenga conto delle esigenze edilizie e per lo sviluppo
economico del pae-se, tra un paio d’anni, andrà fatta, in maniera
razionale ed organica.
Sogni
rimasti nel cassetto? Sì, tanti. Tra questi, la realizzazione di una
vera Villa Comunale, fruibile da tutti, in contrada Giardino, il
re-cupero del centro storico adiacente al Castello Medioevale,
l’arredo ur-bano di Piazza degli Eroi, comprensivo del restauro del
Monumento ai Caduti, il cui incarico progettuale avevo già affidato
ad un architetto longese, l’arredo urbano della Piazza e della Via
Umberto I con rifaci-mento della pavimentazione e revisione delle
opere di urbanizzazione sottostanti (progetto ripreso, in dimensioni
ridotte, dalla successiva Amministrazione e realizzato attraverso un
mutuo con la Cassa Deposi-ti e Prestiti, pur rientrando tra i pochi
progetti che la Regione finanzia-va), l’ampliamento organico e
definitivo del Cimitero verso Cerimo, at-tuabile per mezzo di un
mutuo di un miliardo e duecento milioni di lire da me richiesto ed
avuto dalla Cassa Depositi e Prestiti (l’importo dalla subentrante
Amministrazione fu parcellizzato in diversi interventi a di-scapito
dell’area cimiteriale da allargare), la rete di distribuzione del
gas metano, il cui programma non decollò in quanto sarebbe occorsa
una delibera del C.C. per la stesura del contratto con l’Agip-gas
(consi-derati i rapporti esistenti, non mi sono sognato ad accennarne
per non andare incontro ad un ulteriore rifiuto), la ristrutturazione
della Chiesa del Cimitero, il Monumento agli Emigranti longesi, il
Museo Etno-Antropologico, l’acquisto del Castello, il recupero del
Centro storico, adiacente il Castello medioevale.
Un’altra
grossa iniziativa che intrapresi fu quella della costituzione di un
consorzio della Valle del Fitalia, che potesse sfruttare le
possibilità di finanziamenti previsti dal Leader II della Comunità
Europea: la riu-nione si tenne il 24 settembre del 1994, presso
l’aula consiliare del Co-mune di Longi, e vide la partecipazione
dei Sindaci, o loro rappresen-tanti, di Galati Mamertino, Frazzanò,
Mirto, Caprileone, Capo d’Orlando, San Salvatore di Fitalia,
Castell’Umberto. All’incontro ebbe a partecipare il Presidente
del Centro di Ricerche Economiche e Sociali per il Mezzogiorno, che
doveva seguirci, consigliarci, mettere in piedi quei programmi che
potessero avere la possibilità di essere finanziati. Il documento,
qui pubblicato, ne illustra l’importanza di quell’Organismo
consortile. L’iniziativa, purtroppo, non poté andare avanti perché
il Parco dei Nebrodi ne prese una analoga, coinvolgendo tutti i
Comuni facentivi parte, i quali, non sborsando una lira, ovvia-mente,
confluirono verso quest’ultima. Seppi, poi, che il Leader II del
Parco dei Nebrodi non fu prescelto tra quei progetti ammessi al
finan-ziamento.
L’estate
longese del 1995 fu tra le più interessanti e ricche di
manife-stazioni. Vi parteciparono tre associazioni locali, le quali
misero in pie-di iniziative, che ebbero un convinto accoglimento da
parte dei longesi e degli ospiti estivi. Fu in quell’occasione che
si poterono realizzare, tra l’altro, i Murales sulla S.S. 157, una
mostra fotografica su aspetti pae-saggistici del paese ed una di
fossili. In quello stesso anno, feci richie-sta all’Assessorato
Regionale del Turismo di finanziamento della mani-festazione per l’
“Elezione della Lady del Parco dei Nebrodi”, da tenere presso il
Belvedere Serro. Mi fu risposto che “a causa di difficoltà
d’ordine procedurale e contabile insorte nell’esercizio
finanziario 1995”, l’Assessorato “non ha potuto dare esecuzione
ad alcuno dei provvedimenti previsti nel settore delle manifestazioni
turistiche”. Con buona pace del Comune di Longi, per allora e per
gli anni futuri.
Nella
mia agenda della programmazione sono rimasti, quali sognanti appunti,
alcune iniziative, che avevo in animo di proporre e cercare di
realizzare.
Continuando
nell’amara enumerazione di cose non potute conferire al paese, non
posso non mettere in risalto il fatto che non esiste, tra i
cittadini, il senso della memoria storica rivolto a coloro i quali
hanno dato lustro al paese. Per fortuna, qualche pubblicazione, opera
di cul-tori locali della storiografia longese, ne ricorda le gesta.
Alcuni tra que-sti meriterebbero, però, un’evocazione tangibile e,
direi, eterna, attra-verso l’intestazione di strade e piazze alla
loro memoria. Senza scende-re nei particolari, in quanto i loro
meriti sono noti ai più, voglio qui ri-cordare: la Duchessa D’Ossada
Zumbo, donatrice di gran parte dei suoi beni al Comune, anche se
quest’ultimo non si adoperò per rispettare la sua volontà, il
Prof. Antonino Ciminata, Chirurgo di fama nazionale ed autore di
trattati di Chirurgia, il generale Francesco ed il colonnello Franz
Zingales, pluridecorati al Valore Militare, l’imprenditore
Antoni-no Scurria, il più noto tra gli emigranti longesi, ed infine,
ma primo per le sue doti di santità, di capacità intellettive e
culturali, il padre dome-nicano Tommaso Landi, cui andrebbe dedicata
la piazza principale.
Altre
annotazioni erano quelle di ristrutturare il Casolare di Ferrante,
donato dal Duca d’Ossada, per realizzarne un Ostello della
Gioventù, e di recuperare le Case di Mangalavite per farne un posto
di ristoro da af-fidare in gestione ad una cooperativa di giovani.
Alla quale si sarebbe potuta conferire anche la gestione del Bosco
Soprano, cui affiancare il rimboschimento dei terreni comunali di
Petrusa, per la coltivazione in-tensiva, attraverso impianti
d’irrigazione, di funghi porcini ed ovoli da conferire ad
un’abbinata industria conserviera, realizzata in loco e ge-stita
dai giovani longesi.
Impresa
titanica, perché non priva di veti e di resistenze, sarebbe sta-ta
quella di acquisire al patrimonio comunale sia il Castello Ducale,
sia la Chiesa di S. Salvatore. Quest’ultima, mal ridotta e
destinata, dal Par-roco, ad essere ristrutturata con copertura fissa
del tetto, perdendo quindi tutta la sua bellezza ed interesse
architettonico durante le rap-presentazioni estive, avrebbe dovuto
conservare intatta la sua attuale struttura, dotandola di una
copertura mobile e di una serie di soppalchi armonizzati con
l’ambiente, in modo di allargare la capienza degli spet-tatori. Una
struttura, di cui si sente la mancanza, da utilizzare in estate ed in
inverno per tutte le manifestazioni e gli incontri collettivi
cittadi-ni.
Ultimo
rammarico è quello di non avere potuto realizzare un Monu-mento
all’Emigrante Longese, il cui desiderio era stato espresso dagli
americani, venuti in visita al loro paese d’origine.
Le
inadempienze del Consiglio Comunale ed i rapporti con l’esecutivo
Non
furono certamente idilliaci i rapporti tra l’Esecutivo ed il
Consiglio Comunale, com’è chiaramente desumibile dalla narrazione
dei fatti precedentemente descritti.
Interrogazioni,
interpellanze, bocciatura delle proposte di Giunta al Consiglio,
scontri in aula, cattiverie, diniego di concessione della parola al
sottoscritto durante il dibattito propedeutico all’approvazione di
de-libere, la guerra del referendum costellarono il cammino politico
di quattro anni di non pacifica convivenza amministrativa.
Nonostante
gli appelli, gli inviti alla collaborazione – ne sono prove alcune
mie relazioni semestrali, un mio comizio e la lettera di risposta,
qui pubblicata, a quella inviatami dal segretario della locale
sezione del P.P.I., Fabio Antonino – i tentativi non sortirono
alcunché di positivo. Subito dopo questa lettera, anzi, furono
avviati i preparativi per la mia rimozione attraverso il referendum.
Il
dopo referendum continuò nel clima di ostilità, del quale sono uno
spaccato alcuni documenti del 1996, riprodotti in seguito, cui
aggiungo la mia relazione semestrale al Consiglio Comunale del
30-7-96, che pe-rò non presentai per una sorta di opportunità
politica, ma che è neces-sario far conoscere adesso per inquadrare
meglio l’aria che allora si re-spirava.
In
quell’atmosfera di veleni e di pesantezza, che si era venuta a
crea-re, innanzi al comportamento del Consiglio, il sottoscritto fu
spesso costretto a protestare abbandonando talvolta le sedute dello
stesso o ad-dirittura non partecipando a parecchie di loro.
L’anno
1997 vede un disimpegno quasi totale, manifestato attraverso azioni e
comportamenti ostruzionistici, da parte del Consiglio, il quale, con
la scusante del rinvio dell’argomento, non provvide ad adempiere i
suoi doveri di approvazione degli atti più importanti della vita
ammini-strativa dell’Ente, così come è possibile acquisire
attraverso la lettura dei documenti pubblicati in calce.
Il
conflitto permanente e continuo tra la Giunta o, meglio, tra il
sot-toscritto ed il Consiglio ha paralizzato, di fatto, l’attività
dell’Esecutivo nell’azione propositiva e nel settore dei lavori
pubblici. Sembrava tro-varsi in un campo di battaglia, in cui gli
opposti schieramenti si logo-ravano a vicenda con azioni di
guerriglia e di decimazione delle scorte per la sussistenza, mentre
il paese restava ostaggio e vittima di truppe mercenarie al servizio
dell’opportunismo e del tornaconto politico. Per costoro, prima
veniva l’interesse dello schieramento politico, del quale facevano
parte, e poi quello della comunità, malgrado si riempissero la bocca
nel professare amore verso il paese ed i suoi cittadini: stucchevo-le
retorica accompagnata da affettata riverenza verso il popolo sovrano.
Il quale, però, non sapeva e, pur non sapendo, ha dovuto o voluto
giu-dicare incappando in un grosso incidente di percorso o, direi
meglio, in un’imboscata con tutte le conseguenze nefaste che questa
si porta die-tro.
Il
compito degli Amministratori, purtroppo, è stato quello di
difen-dersi per respingere gli assalti senza potersi dedicare,
quindi, al lavoro che un’Amministrazione “normale” avrebbe
dovuto portare avanti. Quella di Longi, del periodo ’93-’97, è
stata un’Amministrazione ano-mala, a causa di una sbagliata legge
elettorale regionale, e nulla è stato fatto, da chi aveva il
coltello dalla parte del manico, per attutirne gli ef-fetti.
Tutt’altro, è stato tutto ingigantito ricorrendo alle menzogne,
alle delazioni, all’ostruzionismo, alla violenza di atti e di
comportamenti. C’era chi costruiva e chi, contemporaneamente,
demoliva; chi predica-va la pace e l’unità di intenti, perché vi
credeva, forse ingenuamente, per far uscire il paese dai danni
itineranti, e chi, invece, la notte studia-va i piani per il
conflitto dell’indomani.
I
risultati positivi – e sono consistenti – la Giunta li ha potuti
conse-guire quando non doveva passare dalle forche caudine del
Consiglio, ma nel momento in cui si è trattato di programmare il
futuro, che do-veva essere deciso, “ope
legis”,
dal Consiglio Comunale, le speranze del paese sono cadute sul terreno
del fuoco incrociato, alimentato dalle armi ostruzionistiche, di
diniego e demolitrici, dei Consiglieri.
Chissà
se il rimorso della coscienza è un sentimento conflittuale che
investe gli uomini onesti e retti oppure riesce a scalfire anche
quelli diseducati a quei principi, in cui credono gli uomini giusti.
A ciascuno il proprio esame di coscienza!
Il
lavoro che non c’è
“Per
favore, tolga i nostri figli dai bar”.
Così
stava scritto in una scheda dell’indagine conoscitiva, finalizzata
a “sviluppo e occupazione”, da me proposta durante la campagna
elet-torale del 1993, e che mi fu restituita assieme ad altre, che ho
conserva-to. Mi piace rammentare alcune indicazioni, le più
espressive, avanzate spontaneamente da semplici cittadini. Eccole:
“Costruzione di par-cheggi, di case popolari, della strada
mare-monti, della strada Portella Gazzana-Alcara li Fusi, della
palestra e della piscina, approvazione del Piano Regolatore che ‘da
vent’anni si tiene sotto il banco’, valorizzazio-ne delle
frazioni invogliando a ristrutturare le case per abitarle,
indivi-duazione di una zona per costruire 20, 30 villette per fare
arrivare gen-te forestiera”.
Le
proposte continuavano con la realizzazione di una “fabbrica di
ve-tro soffiato, di ceramica e di oggetti di artigianato locale,
quali ‘cestini e panieri, sgabelli di felle,
cioè i fillizzi;
inoltre, coltivazione, raccolta e conservazione di funghi, di
castagne e nocciole, nonché istruire i gio-vani alla ricerca di erbe
medicinali e di spezie da immettere sul merca-to”. Ed ancora, fu
proposta la creazione di un “museo Etno-Antropologico laddove
esiste l’asilo nido abbandonato, la creazione di centri
socio-culturali e sportivi, per i ragazzi, e sociali, per gli
anziani; lo sfruttamento del sughero del bosco a fini commerciali;
favorire la produzione casearia e la coltura del fico d’India
attraverso la costitu-zione di una cooperativa gestita dal Comune”.
Parecchi, poi, si sono soffermati sulla disfunzione dei servizi e
degli uffici comunali; altri an-cora si sono espressi con un richiamo
alla “trasparenza ed all’onestà”. Tutti concordavano con la
proposta della realizzazione di un polo turi-stico, dell’insediamento
di strutture per la valorizzazione e la commer-cializzazione dei
nostri prodotti tipici, agricoli e zootecnici e sul pro-getto per la
nascita di un artigianato locale, che producesse oggetti per il
turismo o l’esportazione.
Infine,
una lettera, inviatami dagli alunni della 2° A per l’ambiente,
della locale Scuola Media, diceva, tra l’altro, “speriamo che i
suoi pro-getti non siano falsi come quelli degli ex Sindaci che hanno
ammini-strato (per modo di dire) Longi, che ora economicamente è a
terra. A noi è piaciuto molto il suo programma riguardante e
l’ambiente e l’agriturismo…”.
Alcune
schede – non so quante – vennero sottratte da ragazzi,
ovvia-mente mandati, nella scatola che le conteneva e laddove i
proponenti le avevano immesse per essere da me ritirate. Peccato!
Ebbene,
alcune delle suddette proposte attengono all’iniziativa priva-ta,
quindi l’Ente comunale poco può e poteva fare, se non proporle;
al-tre, invece, erano di pertinenza dell’Amministrazione comunale.
La quale, come già detto, purtroppo, è stata indotta ad impegnarsi
nelle “liti” con gli avversari ed è stata bloccata
dall’opposizione perseguita dal Consiglio Comunale. Quest’ultimo,
infatti, come già illustrato, boc-ciava sistematicamente tutte le
proposte innovative della Giunta, come, ad esempio, l’istituzione
del premio “La Spiga d’oro”, proposto per onorare i cittadini
più meritevoli o che avessero arrecato lustro al pae-se.
Pur
tuttavia, nei quattro anni di gestione, dal ’94 al ’97, sono
stati spesi, dal bilancio comunale, per lavori vari nel paese, ben
2.547.332.945 di lire, che, in larga parte, sono andate nelle tasche
dei lavoratori e delle ditte artigiane. Somma, questa, che, aggiunta
a quell’altra derivante dalle giornate fatte da alcuni manovali
alle dipen-denze delle ditte, che hanno eseguito i lavori pubblici in
appalto, va a formare un discreto gruzzolo che è entrato nelle
famiglie dei longesi. Posso anche affermare che si è raggiunta la
piena occupazione, se così è possibile definire le prestazioni a
tempo determinato, tramite l’avviamento, ai bacini di lavoro della
forestale, di tutti i braccianti iscritti nei relativi elenchi al
Collocamento. In quest’ultimo settore, massimo è stato il mio
impegno, a me congeniale alla luce della tren-tennale esperienza di
sindacalista. Diversi e reiterati sono stati i miei interventi presso
gli Ispettorati della Forestale di Messina e di Catania, nonché
presso l’Assessorato Regionale all’Agricoltura e Foreste,
innu-merevoli i miei messaggi scritti inviati a questi Organi, gli
incontri con i responsabili dei suddetti uffici, alla presenza anche
di rappresentanti dei lavoratori, con relative liti e minacce di
denunce da parte mia. Compiti, tutti, che non mi spettavano
istituzionalmente, ma che, solle-citato da parte dei lavoratori,
poiché non si sentivano tutelati dalle Or-ganizzazioni Sindacali,
ben volentieri e per solidarietà con loro mi de-cisi ad assolvere:
erano, d’altronde, un ruolo ed un lavoro che conosce-vo abbastanza
bene.
La
protesta del 1997, da parte dei forestali longesi, fu la più lunga,
la più accesa e la più drammatica, sino a sfociare nello sciopero
del 18 lu-glio. Sciopero, che fu da me stesso sollecitato e
consigliato, durante il quale si pervenne all’occupazione della
Sala consiliare ed al blocco stradale, che però fu tolto a seguito
dell’intervento delle forze dell’ordine. Le quali, in verità, si
dimostrarono, nel frangente, abba-stanza comprensive evitando di
procedere a denunce contro i lavorato-ri, a seguito dell’impegno da
me assunto di dissuaderli dal porre in es-sere talune iniziative
illegali. La ferma protesta ci portò ad un incontro con l’Assessore
regionale all’Agricoltura e Foreste, il quale, dopo aver ascoltato
la mia illustrazione della vicenda e le richieste consequenzia-li,
ebbe ad assicurare il suo personale interessamento. L’incontro, per
la verità, vide presente anche il geom. N. F., essendone stato il
promotore tramite i suoi riferimenti politici. Alla fine della
riunione, fu concordato il testo di un fonogramma, indirizzato al
sindaco di Longi, per la stesura del quale venni io stesso incaricato
dall’Assessore; l’originale, però, che pervenne al Comune,
vedeva in indirizzo non più il Sindaco, ma il Consiglio Comunale,
dello stesso colore politico del geom. F. e dell’Assessore
mittente. Il Consiglio, in tutta la vicenda, non c’entrava
alcunché. Si cominciavano a delineare gli scontri per le imminenti
elezioni amministrative. Tant’è che il geom. F. si arrogò tutto
il vanto di avere sbloccato la situazione. Il lavoro intenso, da me
svolto, e la dedizione totale al servizio dei braccianti agricoli
furono bruciati da quel fonogramma, malgrado gli stessi interessati
fossero a conoscenza di tutto quanto era stato fatto da me
personalmente e dal Vicesindaco Carcione, e da un successivo comizio,
da parte del suddet-to Assessore Regionale, a chiusura della campagna
elettorale. Lavora-rono tutti, quell’anno, alla Forestale, come gli
altri anni passati, ma, sconsideratamente e misconoscendo le tante
cose per loro portate avanti – mi permetto rammentare la Strada
Botti-Barrilà, che avrebbe consentito loro di rientrare ogni sera a
casa e di non fare il lungo giro, attraverso la strada per Catania,
per raggiungere il cantiere di Barillà – mi voltarono le spalle
dal punto di vista del consenso elettorale. Ingra-ti? Forse è un
modo di comportarsi, tipico di alcuni longesi: i diversi casi di
ingratitudine, in cui sono incappato, a seguito di grossi benefici da
alcuni soggetti ricevuti, per il mio tramite, mi consentono siffatta
dichiarazione. Dolorosa ed amara per chi ama il proprio paese natio!
Qui
appresso è possibile venire a conoscenza di alcuni documenti, che
fanno parte della numerosa produzione di atti in questo settore,
durante la mia gestione.
Da
queste annotazioni sull’argomento, emerge quanto è stato
possi-bile fare in favore dei lavoratori longesi. Le possibilità
occupazionali dei Comuni sono limitate; la piena occupazione dipende
da fattori che trascendono il ruolo dell’Ente comunale e che
attiene ad una moltepli-cità di convergenze economiche, che
riguardano l’azione della Regione, dello Stato ed anche dei privati
industriali, che devono essere messi, però, nelle condizioni
ottimali di produrre e, quindi, di erogare lavoro.
Per
la prima volta, a Longi, ebbi a stabilire un metodo di trasparenza e
di rotazione nell’affidamento dei lavori: non più solo agli amici
del Sindaco, come s’usava per il passato, ma a rotazione tra tutti
gli arti-giani. Sorteggio dei nominativi per l’incarico di
direzione dei lavori dei cantieri, sorteggio anche per la raccolta
della legna presso il bosco co-munale, rispetto dell’entrata in
protocollo delle richieste, e così via.
Tutto
ciò significava applicare principi di giustizia sociale, concetto
prima sconosciuto a taluni longesi. Ma, da quanto ebbi ad apprendere,
questo metodo non sempre e non da tutti è stato bene accetto. E sarà
vero. Perché le molteplici promesse fatte da qualche mio avversario
po-litico, durante la campagna elettorale, portarono parecchia gente
sulle sponde della vecchia “ingiustizia sociale” e della
discriminazione tra pari concorrenti o aventi diritto: allocchi che
caddero nella trappola te-sa perché molte promesse non potevano
essere mantenute. Infatti, non furono onorate!
La
(mancata) riforma del comune
Com’ebbi
a dire prima, alcune richieste, che mi pervennero, riguarda-vano il
funzionamento degli uffici comunali. Misi in piedi, pertanto, al-cune
iniziative arrivando a minacciare anche provvedimenti disciplina-ri
nei confronti dei renitenti; talvolta, gli ordini di servizio e le
disposi-zioni arrivarono a buon fine, tal altra no. Troppe
incrostazioni mentali e mancanza di strumenti amministrativi
m’impedivano di andare avan-ti. Dopo le notevoli difficoltà
incontrate nel fare funzionare la macchi-na burocratica e dopo aver
studiato a fondo il relativo meccanismo, configurai un’ipotesi di
riforma della pianta organica del Comune, che avrebbe rivoluzionato
l’esistente, ma che non potei presentare, per l’approvazione, al
Consiglio Comunale perché, “more
solito”,
l’avrebbe bocciata. La consegnai in Segreteria, una volta esaurito
il mio manda-to. Ma seppi che l’Amministrazione a me subentrata non
ne tenne al-cun conto. La mia proposta di nuova Pianta Organica
prevedeva la soppressione dei sei settori su cui si articolava la
struttura municipale (al coordinamento dei quali, talora, c’era un
capo che comandava se stesso) e la contemporanea ristrutturazione in
tre soli settori: ammini-strativo, tecnico e finanziario-contabile. A
capo di ciascuno di questi sarebbe dovuto esserci un responsabile in
possesso di laurea, il cui cor-so di studi doveva essere attinente al
settore da gestire. Inoltre, il setto-re finanziario-contabile
sarebbe dovuto essere potenziato e meglio arti-colato nella
suddivisione dei diversi incarichi. Ritenni e ritengo tuttora una
necessità quella che l’amministrazione comunale si debba
attrez-zare in tal senso, giacché la molteplicità di leggi che
disciplinano la ma-teria degli enti locali, nonché l’aggiornamento
continuo delle stesse, ri-chiede un’adeguata preparazione culturale
che consenta una certa di-mestichezza con la normativa in continua
evoluzione. Questa trasfor-mazione è tanto più indispensabile dal
momento in cui il pubblico Amministratore, con la riforma dell’Ente
Locale, dà l’indirizzo politico alla gestione, mentre la
conduzione vera e propria della problematica che ne consegue attiene
al funzionario responsabile del settore, il qua-le, quindi, per
salvaguardarsi, non si può esimere dal sapersi districare nel
ginepraio delle specifiche leggi e disposizioni. Inoltre, il
Funziona-rio responsabile del settore Amministrativo avrebbe
assommato anche l’incarico di Vice Segretario Comunale. Tale
figura, per il Comune di Longi, con i problemi che i vari Segretari
succedutisi hanno procurato, per il loro assenteismo o per lo
scavalco, sarebbe stata oltremodo utile, per non dire indispensabile.
Il Comune era carente, come da più parti lamentato, di Vigili
Urbani. Su tre in organico, uno era deceduto e l’altro era stato
trasferito al Parco dei Nebrodi. Avevo preparato la deli-bera per il
bando di concorso pubblico per l’assunzione di un Vigile, ma
occorreva procedere alla variazione di bilancio per recuperare circa
due milioni per la pubblicazione del bando sui giornali. Cosa che il
Consiglio Comunale si astenne dall’adempiere. Ancora oggi i due
posti sono liberi, con le note conseguenze sul piano della
funzionalità del servizio.
Il
Comune, certamente, si ritrova ad avere dei problemi, legati alle
proprie entrate, per l’assunzione di personale nuovo, del quale ha
biso-gno. Ma, in quest’ultimo periodo, si è “liberato” di
alcune unità, per pensionamenti o trasferimenti ad altre
amministrazioni: quindi, il cari-co del pagamento degli stipendi da
corrispondere ai possibili assumen-di sarebbe reperibile da queste
economie realizzate di recente; a ciò po-trebbe aggiungersi la
possibilità di costituire un Consorzio di servizi con i paesi
vicini, con i quali ripartire l’onere stipendiale e previdenziale.
Ma, forse, per queste trasformazioni avanzate occorrerà attendere
ancora qualche …“anta” di anni… per farle maturare tra la
coscienza della gente del luogo. Per intanto, sono convinto che il
Comune di Lon-gi ha perso un appuntamento con la possibilità di una
vera riforma amministrativa che potesse incidere per una maggiore
funzionalità del suo ente pubblico.
Vengono
consegnati a queste pagine alcuni degli articoli, di cui sono venuto
in possesso, anche quelli a me non favorevoli, nonché taluni
vo-lantini, tra i quali quelli anonimi, perché chi leggerà queste
note potrà avere maggiori elementi di giudizio e perché, ancora,
una storia scritta, affinché possa essere credibile, deve
necessariamente essere stesa at-traverso fatti obiettivi ed una
documentazione non solo di parte. Ov-viamente, chi ne avesse
interesse culturale o storico potrà approfondire le questioni
attraverso la lettura di documenti esistenti negli archivi. Il mio è
soltanto un intendimento di consegnare alla storia del paese quattro
anni di gestione amministrativa del Comune, tra luci ed ombre, se
volete. Più luci che ombre, però, considerati i risultati
conseguiti, re-lativamente ai problemi da anni stagnanti, tra i quali
alcuni, come più volte affermato, che minacciavano la sopravvivenza
finanziaria dell’Ente. Quattro anni di gestione, vissuti certamente
al massimo dell’impegno civico e delle forze psicofisiche, della
correttezza e della giustizia sociale, del rinnovamento, della
trasparenza e dell’imparzialità, pur tra le notevoli difficoltà
di non potere portare avanti un programma, soprattutto quello delle
opere pubbliche, perché osteggiato da un Consiglio Comunale che mi
era ostile e che ha frenato quasi tutte le mie iniziative, che
dovevano essere sottoposte alla sua approvazione. Difficoltà
divenute ancor più onerose considerato che si è tentato di fare
terra bruciata attorno alla mia persona, nonché avver-so alle
proposte politiche che provenivano dalla Giunta.
Assemblee,
comizi, comunicati, bollettini sono, però, postume testi-monianze di
fatti, di azioni, d’informazione continua, attraverso i cui atti la
mia amministrazione ha voluto caratterizzare la vita politica ed
amministrativa del paese durante quella legislatura. Un’impronta
che sarà difficile cancellare.
Scomparso
il P.S.I.
In
tantissimi, centinaia di migliaia di italiani, rimanemmo orfani del
partito dopo la dissoluzione del P.S.I. E, come tali, sbandati
politica-mente. Ritenni, allora, di dovere continuare a militare
nelle fila di un partito della sinistra, che aveva occupato il posto
del mio defunto pun-to di riferimento ideale. Conoscevo un
Consigliere provinciale del P.D.S., al quale mi rivolsi chiedendo
l’appoggio politico alla risoluzione dei problemi
dell’Amministrazione Comunale. Per i problemi a livello regionale,
questi mi presentò al referente messinese in seno all’Assemblea
Regionale Siciliana: ebbe, così, inizio la mia breve per-manenza
all’interno dei cosiddetti Progressisti. Essa, infatti, fu breve
sia perché nessun riscontro ebbi mai, in termini di risposte,
rispetto al-le necessità del Comune – e Dio solo sa quante e quali
esse erano – sia perché cominciava a trasparire la verità sul
diabolico progetto, messo in piedi dall’ex P.C.I. per
l’annientamento del P.S.I. e dei partiti ad esso alleati, con lo
scopo di carpirne, evidentemente, i consensi elettorali degli stessi,
o quanto meno di quelli della sinistra.
Come
è stato denunciato da autorevoli esponenti della politica e della
cultura, alcuni giudici, ideologicamente vicini al comunismo, si
assun-sero l’incarico di operare una distruzione politica, cui fece
seguito an-che quella fisica di alcuni uomini, che avevano costituito
un grosso ostacolo alla presa del potere da parte del P.C.I. Una
rivoluzione che eludeva lo strumento democratico del consenso
elettorale, ma che pas-sava attraverso l’azione di alcuni
rappresentanti del potere giudiziario. Qualcuno di questi, pur non
etichettato politicamente, vide, nell’operazione di repulisti
politico, un’opportunità di protagonismo e di una susseguente sua
proiezione nella scena politica nazionale. Sia chiaro che non intendo
schierarmi a fianco dei corrotti che furono in-criminati, ma,
considerato che tutti partiti partecipavano al banchetto del
finanziamento illecito – come fu denunciato, non smentito, da
Bet-tino Craxi – perché il P.D.S. non fu coinvolto nello scandalo
giudiziario, mentre solo taluni partiti pagarono per tutti? Ma qui
non voglio adden-trarmi in una dissertazione su tangentopoli e sulle
polemiche ancora non spente. Intendo far emergere come, al pari di
moltissimi italiani, anch’io trassi la convinzione che il mio
partito era scomparso perché altri – gli ex comunisti – lo
avevano deciso e pervicacemente attuato, applicando la sottile
strategia dell’infausto giustizialismo bolscevico nell’eliminazione
cruenta, e non attraverso un percorso democratico, dell’avversario
politico. Il quale, considerati i metodi applicati e gli ef-fetti
indotti sul piano fisico, è stato considerato un nemico da eliminare
dandolo in pasto ai “media” ed ai sistemi di tortura psicologica
giudi-ziaria. Lasciai, quindi, le sponde del P.D.S. cercando di
sopravvivere attra-verso le conoscenze politiche che avevo maturato
nel Sindacato; ma non erano sufficientemente idonee per muoversi
nella giungla degli or-ganismi di decisione politica, a livello
regionale, nonché provinciale.
Dopo
alcuni mesi, mi fu presentato il Segretario Regionale del P.P.I., il
quale m’invitò a partecipare alla vita del nascente partito,
venendone in contatto, anche, col Segretario Provinciale di Messina:
e, poiché le necessità del paese erano sempre nei miei pensieri,
cominciai ad inve-stirli per gli opportuni interventi. Anche qui
subii una delusione. Il se-condo si defilava regolarmente lasciandomi
senza risposte, mentre il suo Segretario Regionale, deputato europeo
ed ex Assessore regionale, mi disse chiaramente che non aveva la
possibilità di aiutarmi nella ri-soluzione dei problemi che
l’Amministrazione longese aveva in piedi con la Regione. Rimasi di
stucco ed ancora una volta in mezzo alla strada, come si suole dire.
A questo punto, decisi di non aderire ad al-cun partito, ma di
muovermi da indipendente. E tale rimasi per lungo periodo, sin tanto
che il Presidente della Provincia Regionale di Messi-na, da me
invitato per una visita ufficiale al Comune, durante la cena, dopo
l’ufficialità dell’incontro, cercò di illustrarmi le
motivazioni per le quali un Sindaco non poteva rimanere senza un
qualsiasi riferimento politico, qualunque esso fosse; non soltanto
per il ruolo che doveva svolgere, ma anche perché la stessa
amministrazione comunale ne av-vertiva l’esigenza nel momento in
cui doveva rapportarsi agli organismi politici ed amministrativi ai
vari livelli. In sintesi – mi disse il Presiden-te – uno che fa
politica non può non schierarsi, se fare politica significa anche
tentare di coglierne i frutti a vantaggio della gente o, comunque,
della comunità che si rappresenta. Il suo ragionamento mi convinse,
ma non mi fece decidere.
La
diaspora socialista, cui seguì la parcellizzazione dei suoi
rappre-sentanti in diversi partitini, l’inesistente incisività
degli stessi all’interno delle varie istanze politiche ed
amministrative, m’indussero a scartare immediatamente, soprattutto
ed anche in termini opportunistici e stra-tegici nei confronti della
politica amministrativa che dovevo portare avanti presso il Comune di
Longi, l’idea di un possibile ritorno in uno dei tre o quattro
schieramenti socialisti nati dal disfacimento del glo-rioso P.S.I.
Fece
seguito, quindi, una disamina delle forze politiche in campo, che
fossero una sintesi dei principi in me radicati. L’analisi
m’indusse a guardare con attenzione al Movimento di Forza Italia,
laddove avevano trovato convergenza e possibilità di convivere
pensieri politici diversi: dai cattolici ai laici, dai socialisti
agli ex democristiani, dai socialdemo-cratici agli ex liberali ed ex
repubblicani.
Il
fallimento del socialismo reale, la manipolazione e la deviazione,
talora, dell’ideologia marxista, l’evoluzione delle forme di
socialismo nei diversi stati, laddove attraverso una politica
riformistica, abbiamo assistito, in termini antitetici e
contraddittori, prima, alla creazione dello stato assistenziale, poi,
al suo progressivo smantellamento, ac-compagnato dal
ridimensionamento del peso dello Stato nell’economia; realtà
geografiche in cui il socialismo venne orientato verso forme di
lavoro ispirate dal mercato e, quindi, oggetto di flessibilità;
altre ancora laddove è stato dato corso al suo opposto, indirizzando
l’attenzione del-lo Stato a regolare il mercato ed a proteggere il
“welfare state” sono va-riegate espressioni, tutte quante e
ciascuna, dell’ideologia marxista, che portano a considerare le
diverse interpretazioni del pensiero socialista nei diversi angoli
del continente europeo, se non addirittura a livello mondiale,
applicate in maniera disomogenea, travisando spesso l’ispirazione
originaria; interpretazioni che hanno ingenerato una con-fusione
ideologica in molti socialisti, e tra questi il sottoscritto,
indu-cendoli ad un revisionismo evolutivo, ispirato da nuove realtà:
quelle economiche, che vanno verso la globalizzazione, e che
condizioneran-no quindi il futuro europeo e mondiale, quelle
politiche, che sono de-terminate dalla linea e dalle direttive della
Comunità Europea.
Anche
se il percorso è ancor oggi tutto da sperimentare, la presenza,
invece, in Forza Italia, di pensieri politici eterogenei, che
presuppone dialettica e sintesi propositiva, ovviamente all’interno
di un cemento ispiratore e programmatico di fondo, unificante quindi,
nonché di di-versi ex dirigenti socialisti; la lettura attenta del
progetto del movimen-to, che si prefiggeva e si prefigge di
raggiungere obiettivi per un “futuro moderno e progredito,
tecnologicamente avanzato e insieme umano”, che dava e dà primaria
collocazione alla libertà ed alla democrazia, che propugnava un
liberismo morbido ma che faceva intravedere ai libe-raldemocratici, e
quindi ai socialisti democratici e riformisti, la possibi-lità di
coniugare assieme libertà e giustizia sociale, garantendo,
attra-verso quest’ultima, gli individui deboli; nonché la più
volte dichiarata identità del movimento di considerarsi erede delle
forze democratiche che avevano governato l’Italia negli ultimi
cinquanta anni con richiami netti e chiari all’azione politica di
De Gasperi, di Saragat, di Nenni, di La Malfa e di Einaudi, mi fecero
decidere di avvicinarmi a questa nuo-va presenza politica.
Decisivo,
per me, fu l’esposizione di un piano economico per il recu-pero del
deficit del Paese e per l’occupazione, ispirato ad una
liberaliz-zazione morbida dell’economia e ad una politica fiscale
che punti sullo sviluppo anziché sull’oppressione dei
contribuenti. È da aggiungere, inoltre, il merito che va dato a
Forza Italia ed al suo fondatore di avere riequilibrato, nel 1994, un
sistema politico che appariva pericolosamente sbilanciato verso una
decisa egemonia del più grande partito comunista dell’Occidente,
dando così rappresentanza democratica a quasi un terzo degli
italiani.
Sul
piano del lavoro, a seguito di una maturazione concettuale dell’ex
sindacalista, che sono stato, arroccato sulla difesa ad oltranza del
lavo-ratore occupato, mi sono convinto, osservando attentamente la
realtà meridionale, che la vecchia strategia del Sindacato era da
superare per dare spazio alla creazione di condizioni favorevoli per
tutti i lavoratori presenti sul mercato. La politica, quindi,
dell’appiattimento salariale, che favorisce le zone già
industrializzate riducendo la convenienza a nuovi insediamenti in
quelle più povere, andava sostituita, a mio pare-re, con la
possibilità di applicazione di differenti livelli retributivi nei
diversi territori e con l’aggiunta contestuale, per il Meridione,
di pac-chetti di agevolazioni, nei confronti degli imprenditori,
attraverso pre-senze infrastrutturali sul territorio interessato,
nonché di sgravi fiscali, tenendo presente che lo stato sociale dei
lavoratori, vecchi e nuovi, an-dava comunque salvaguardato. Questa
progettualità avrebbe sospinto e sospingerebbe i grandi capitali di
rischio ad investire nel Sud per pro-durre ricchezza collettiva e
nuovi posti di lavoro.
Con
quest’ottica ho guardato a Forza Italia, un movimento che so-stiene
di voler rompere con le consuete ideologie, con i vecchi sistemi e
con alcune fallimentari strategie politico-sindacali per
l’occupazione, e che vede nel futuro del Paese, in particolare del
Meridione, l’esclusione di forme di assistenzialismo e di
clientelismo, erogatrici di povertà, di ricatti civili e morali e di
subordinazione al volere del “feudatario poli-tico” di turno.
Pragmatismo economico coniugato a giustizia sociale, principi portati
avanti da questo neo-partito, ove avesse la ventura di governare
l’Italia, potrebbero portare il nostro al livello di quei Paesi
dove le socialdemocrazie liberali hanno sconfitto le piaghe della
mega-disoccupazione e del bisogno.
“Ma
non v’è dubbio che la storia del nostro Paese – sostiene
Ferdi-nando Adornato – avrebbe ora bisogno di un grande ‘patto
liberale’ sti-pulato tra soggetti diversi dell’area laica
democratico-socialista e dell’area cattolica, del Nord e del Sud.
Un ‘patto liberale’ che riprenda il filo storico delle tradizioni
di De Gasperi, di Einaudi e del socialismo liberale per gettare le
basi di una nuova modernizzazione del Paese”. Io ritengo che, per
la presenza di soggetti in Forza Italia, che s’ispirano a quelle
tradizioni, questo movimento o partito, che sia, potrebbe dare
impulso al “patto liberale”, cui si richiama il liberista
Adornato.
Oltre
alle su menzionate valutazioni, considerazioni anche di oppor-tunismo
politico finalizzato a poter servire meglio il mio paese, avendo
presente la posizione di preminenza amministrativa del Polo delle
Li-bertà a livello provinciale e regionale, mi indussero ad operare
la scelta dell’adesione a Forza Italia. D’altronde, nel mio
microcosmo longese, l’importante era continuare a gestire
applicando i miei principi radicati di socialista democratico e
riformista, con il pensiero rivolto alle so-cialdemocrazie europee,
che avevano fatto storia ed avevano avuto lun-ga vita politica.
Decisione di cui non ebbi a pentirmene mentre rivesti-vo la carica di
Sindaco.
OMISSIS...
Le
denunce
Nella
mia vita non avevo avuto a che fare con i giudici. Ebbene, tra gli
altri regali non graditi, avuti in dono da parte di alcuni miei
concitta-dini, posso anche annoverare alcune denunce.
La
discarica dei rifiuti solidi urbani mi vide fortemente impegnato nel
risolvere il problema del sito, idoneo alla bisogna, dopo che tutti
gli altri Sindaci precedenti vi avevano avuto vita comoda, benché il
D.P.R., con il quale ero stato incriminato, risalisse al 1982. Si
vede che il “pre-destinato” a sanare l’illegale situazione ero
io. Ma non ho potuto capire come mai il Sindaco di Galati Mamertino,
che gestiva la discarica del suo paese, di rimpetto a quella nostra,
spesso bruciando i rifiuti, abbia potuto continuare a mantenerla nel
medesimo posto, mentre noi siamo stati costretti a sloggiare. Fui
obbligato a ricercare spasmodicamente e per lungo periodo un luogo
che potesse essere regolarmente autorizza-to, perché la Guardia
Forestale venne a sequestrare la vecchia discarica a seguito della
denunzia del WWF di Tortorici. Sequestro che mi costò un rinvio a
giudizio per connesso reato penale, cui si aggiunse altra de-nuncia,
ritengo verbale, di un concittadino, ma cui aveva fatto seguito una
circostanziata relazione da parte della locale stazione dei
Carabi-nieri, perché altri avevano appiccato il fuoco alla nuova
discarica. Ci mancava pure che io mi mettessi di guardia alla
pattumiera del paese o che incaricassi, notte e giorno, un vigilante
a sostituirmi nella garitta.
Nelle
argomentazioni a discarico citavo, tra le altre, la bocciatura, sia
da parte della Forestale di Galati Mamertino, sia da parte della
Sovrin-tendenza B.C. ed Ambientali, sia da parte del Parco dei
Nebrodi, sia da parte dei cittadini, di alcuni siti proposti. E che
le insormontabili diffi-coltà riscontrate sono state superate grazie
all’intuito ed alla prepara-zione professionale del tecnico
comunale Pidalà, il quale, sfidando il Parco dei Nebrodi, riuscì a
dimostrare che, grazie a qualche millimetro di differenza nella
lettura della carta topografica, il nuovo insediamen-to era fuori,
anche se al confine, del Parco. Inoltre, il decreto di seque-stro
della vecchia discarica fu emesso dopo che da circa due mesi il
Comune conferiva i rifiuti a quella nuova di Contrada Tre Aree.
Per
quanto riguarda l’incendio, procurato da ignoti e per il quale
eb-bi a presentare regolare denuncia, nessuna responsabilità poteva
es-sermi addossata perché, in quei giorni, non mi trovavo in paese.
In ag-giunta, feci notare che i fumi emessi dall’incendio,
considerato che la zona è deserta, soprattutto a novembre, nessuna
molestia hanno potuto arrecare alle persone, mentre le uniche
abitazioni – due trattorie – di-stano dal luogo in questione
qualche migliaio di metri. Peraltro, essen-do la discarica più in
alto rispetto alle due trattorie, i fumi, a quella di-stanza sono già
rarefatti e dispersi nell’aria. Eccesso di zelo, da parte di “chi”
ha effettuato l’accertamento, o ignoranza delle leggi di Fisica,
secondo le quali il fumo sale verso l’alto e non si dirige, invece,
verso le zone sottostanti?
Per
questi due processi venne emesso, da parte del G.I.P., su richiesta
del P.M., un decreto che, in sostituzione di mesi uno e giorni dieci
di arresto, mi condannava al pagamento di lire 12.000.000 per la
discarica di Filidone, cui fece seguito un ulteriore decreto che mi
ingiungeva a pagare la somma di £ 2.800.000 circa. Chiesi il rinvio
a giudizio e, nella prima udienza, il mio avvocato, Elio Aquino,
riuscì a fare unificare i due procedimenti penali. Grazie alla
bravura del mio difensore, dopo due anni di rinvio delle udienze e di
patemi d’animo, fu emessa la sen-tenza di assoluzione con formula
piena.
La
convivenza con le altre autorità locali
Cercai
di dare un certo assetto alle manifestazioni religiose e ad un
controllo del territorio più assiduo.
Per
quanto riguarda il primo aspetto, proposi al Parroco di rendere
maggiormente solenne la festa del S.S. Crocefisso, nel mese di
agosto, attraverso l’attuazione di alcune iniziative. Nel rispetto
di un certo pro-tocollo e di un cerimoniale, considerato che esiste
quello tra Stato e Chiesa, chiesi che il Gonfalone del Comune, la
bandiera nazionale ed il Sindaco, cinto della Fascia, rappresentante,
quindi, di un’istituzione, nonché la Giunta e le Autorità
Comunali, potessero essere accompa-gnati, nel tragitto tra il Comune
e la Chiesa Madre, dalla banda musica-le del paese e che, durante la
messa solenne nella Chiesa, potessero se-dere negli scanni lignei
dell’antico Coro. A tal proposito, scrivevo all’Arciprete: la
“proposta non può essere intesa come atto di protervia nei
confronti di chicchessia. È atto di superbia, da parte del Clero,
se-dere su appositi scanni anziché su sedie o panche? Certamente no,
per-ché fa parte di un cerimoniale. Il quale, com’ è noto, va
posto in essere, attraverso un apposito protocollo già esistente,
anche nel momento in cui avviene la partecipazione contestuale a
cerimonie pubbliche, in qualsiasi luogo, da parte dei rappresentanti
delle istituzioni siano esse religiose, civili o militari. Non è,
questo, un formalismo, ma un atto pubblico dovuto che serve a dare
autorevolezza – non autoritarismo – agli Organi istituzionali”.
La richiesta fu bocciata.
Inoltre
proposi, così come avviene in parecchi centri dell’Isola, di far
partecipare, alla Messa ed alla processione, la rappresentanza
militare dei Carabinieri in alta uniforme ed invitare anche il
Comando territo-riale della Guardia di Finanza, della Pubblica
Sicurezza e della Guardia Forestale. Non ebbi ascolto. Come non ebbi
ascolto per disciplinare meglio la relativa processione. Chiesi,
infatti, che la stessa si svolgesse, in un’unica tornata, nel
pomeriggio; al limite, a mezzogiorno, le statue del Crocifisso e di
S. Leone sarebbero potute uscire dalla Chiesa Madre per andare a
quella della S.S. Annunziata, per poi, nel tardo pomerig-gio, fare il
giro di tutto il paese. Si sarebbero raggiunti due obiettivi: primo,
evitare la calura agostana del mezzogiorno; secondo, dare la
possibilità a tutti i cittadini di festeggiare con un sereno pranzo,
magari assieme ai parenti o agli ospiti, l’importante festività.
La processione, forse, si sarebbe anche accorciata come durata.
Proposi anche di dona-re, come Comune, un carro meccanico per il
trasporto della pesante Vara di S. Leone, considerate le scarse
disponibilità di uomini a met-tersi sotto. In tutti questi tentativi
di ordinata e di più fastosa celebra-zione della più importante
festa dei longesi, non ebbi la fortuna spera-ta.
Il
rapporto con il Comandante della Stazione dei Carabinieri,
mare-sciallo B., fu altalenante. Da quello iniziale di
collaborazione, il rappresentante dell’Arma passò, prima, a quello
d’indifferenza, all’abolizione del saluto una volta non più
Amministratore. Come si sa, il Sindaco, nell’esercizio delle sue
funzioni, riguardanti l’ordine pubbli-co, è anche Ufficiale di
P.S. e, quindi, superiore in grado al Maresciallo. In tale veste,
pertanto, ebbi ad invitarlo, senza fargli pesare l’autorità della
persona, ad una maggiore presenza sul territorio e durante le
ma-nifestazioni. Come quella volta che, durante la processione del
Croce-fisso, sono successe delle liti tra i portatori della Vara di
S.S. Leone, che arrivarono ad aggredire verbalmente l’Arciprete,
per cui sono dovu-to intervenire. I Carabinieri non erano presenti;
fui costretto, pertanto, ad inviare il Vigile Urbano per cercare il
Maresciallo. Erano già le ore quattordici circa ed egli forse stava
pranzando serenamente con la fa-miglia: fu, quindi, disturbato… Mi
raggiunse alla fine della Via Libertà, ma non si presentò a me per
chiedermi cosa volessi, bensì all’Arciprete, che non gli diede,
però, retta. Erano entrambi incavolati.
Per
questa scarsa presenza dei Carabinieri in paese, ricordandomi
peraltro che, sino ad alcuni anni addietro, la loro camionetta girava
si-no a notte tarda, fui costretto a scrivere una lettera al
Prefetto, il cui te-nore era il seguente: “mi corre l’obbligo di
chiedere il Suo intervento, presso il Comandante Provinciale dei
Carabinieri, affinché l’organico della Stazione dei C.C. di Longi
possa essere ripristinato, a seguito di trasferimento di uomini in
altre sedi, e perché i carabinieri, qui asse-gnati, possano essere
esentati dal servizio di scorta”. Ciò al fine di pre-venire
eventuali turbative dell’ordine pubblico. “Cito qualche caso:
atti di teppismo in occasione di un concerto bandistico, in luogo
aperto al pubblico, consistenti in lanci di palloncini colmi di acqua
sporca47,
laddove inutilmente ebbi a cercare la presenza di un Carabiniere, sul
po-sto, perché potesse immediatamente intervenire; la saltuarietà e
di-scontinuità, durante le manifestazioni pubbliche estive ed in
occasione della processione del g. 23 agosto u.s.48
del servizio d’ordine dell’Arma dei Carabinieri; la
possibilità che gli anonimi dei due allegati volantini49
hanno avuto ed hanno di gettare indisturbati, lungo le strade del
paese, alcune centinaia di fogli, avvelenando quindi l’ambiente,
politico e delle relazioni sociali, di Longi. Inoltre, nel recente
passato, si sono verifica-ti: tagli ai copertoni delle macchine
comunali, danni consistenti all’arredo ed all’impianto elettrico
del Belvedere Serro, asportazione di suppellettili con rottura dei
vetri esterni presso la scuola materna della Contrada Crocetta, furti
presso la scuola Media. Per gli anzidetti moti-vi, La prego,
Eccellenza, di volersi adoperare per una maggiore presen-za dei
Carabinieri all’interno del Centro abitato e delle Frazioni del
Comune di Longi”.
47
Fallirono il bersaglio, che era il sottoscritto (ndr).
Il
risultato fu quello che venne al Comune il Capitano, comandante la
Compagnia di S. Agata Militello, per discutere il problema. Qualche
uomo in più si vide, ma il Maresciallo irrigidì i nostri rapporti.
Inoltre, il giorno delle elezioni amministrative del 1997, invitato
per iscritto ad intervenire presso il seggio elettorale n.1 per le
irregolarità verificatisi durante le operazioni di voto presso altri
seggi, non mosse dito. Un paio di anni dopo fu trasferito, si dice su
sua ri-chiesta, così come si vocifera che nemmeno con il successivo
Sindaco i rapporti si fossero mantenuti idilliaci.
La
magnifica campagna elettorale del 1997
La
mia campagna elettorale per il rinnovo dell’Amministrazione
comu-nale ebbe inizio con la distribuzione del bollettino, che
sintetizzava tut-ta l’attività svolta nel quadriennio ’93-’97.
Continuò con la formazione della lista dei candidati al Consiglio
Comunale, impresa che si dimostrò più ardua delle previsioni.
Premetto
che, nel mese di giugno del ’97, avevo esternato ad alcuni amici la
decisione di non ricandidarmi, tant’è che avevo già pronto il
messaggio di saluto ai cittadini. Da queste stesse persone fui
dissuaso dal farlo perché, mi dissero, la maggioranza della gente,
nel chiuso del-le case, era a me favorevole e, quindi, sarebbe stato
un errore non ri-presentarsi, perché avrei senz’altro bissato il
risultato, o quasi, della precedente vittoria. A questo dato
cognitivo aggiunsi quell’altro, riferito all’esaltante battaglia
condotta nei mesi successivi, sostituendomi al sindacato, pur non
avendone più il ruolo di rappresentante, in favore dei “forestali”.
Battaglia che si chiuse positivamente per tutti i brac-cianti e che
mi fece decidere, ricordandomi di quanto qualche mese prima mi era
stato detto e sollecitato, a tentare la formazione della lista per i
candidati al Consiglio Comunale e la ripresentazione della mia
candidatura a Sindaco. I risultati, però, furono ben lontani dalle
aspet-tative e dalle originarie previsioni.
Perché?
Le
persone, per intanto, che mi avevano indotto e convinto a
rican-didarmi, non mi diedero la loro disponibilità a fare parte
della mia squadra, né mi aiutarono nella ricerca di candidati.
Parecchie
altre persone, e tra questi alcuni lavoratori dei forestali, tra i
più rappresentativi, si tirarono indietro: non esagero, ma furono
una cinquantina gli invitati a candidarsi con me. Alla fine, riuscii
ad ottene-re la disponibilità da parte di alcuni cittadini –
qualcuno conosciuto per la prima volta in quell’occasione – ma,
per completare la lista dei dodici candidati al Consiglio Comunale,
fui costretto a scendere in campo anch’io come capolista.
In
un piovoso mese di novembre, cominciai a “tormentare” i cittadini
con una serie di comizi, di messaggi, di copie del mio programma
poli-tico-amministrativo, di visite porta a porta nel tentativo, da
me non condiviso come metodo, ma purtroppo in uso al paese, di
convincere gli elettori.
Alcuni
comizi
Conservo
ancora alcune delle cassette, che sono state registrate, dei comi-zi
che, nei quattro anni, ho tenuto nella Piazza Umberto I di Longi. Non
è un lavoro agevole trascriverle tutte quante e per intero; se si
conserveran-no nel tempo sarà possibile consultarle da chi ne avrà
interesse o curiosi-tà, soprattutto dal punto di vista storico.
Riporto, però, la sintesi di alcu-ni problematici passaggi,
esternati soprattutto in occasione delle due campagne elettorali, del
’93 e del ’97.
- 1995 (ndr).
- Erano quelli che contenevano frasi ingiuriose e diffamatorie nei miei confronti (n.d.a.).
1993
Comizio
del 7 novembre
La
presentazione di Ciccio Frusteri
Tanino
Zingales non è un forestiero, ma un longese come tutti noi.
In
questo momento di crisi profonda per Longi non si può fare a meno
della grande esperienza di Tanino Zingales, acquisita come
Se-gretario Regionale e componente la Direzione Nazionale
dell’UILPOST. Il fatto di stare a Longi ed a Palermo è un bene:
può seguire comple-tamente le pratiche amministrative e risolvere
più celermente i pro-blemi del nostro paese, che sono tanti.
Sono
contento che per la prima volta c’è un clima elettorale disteso,
che mi auguro duri anche dopo, perché ci siamo resi conto che le
con-trapposizioni muro contro muro hanno portato danni a Longi.
È
un atto di stima e di solidarietà, la mia introduzione, nei
confronti di Tanino Zingales.
Il
mio intervento
Sono
nato a Longi nella Via S.Spirito n.2 e credo, quindi, di avere
di-ritto alla cittadinanza longese, come quei vostri padri, quei
vostri non-ni, che, negli anni decorsi, loro malgrado, sono stati
costretti a lasciare la loro casa, la loro famiglia per emigrare in
cerca di lavoro. Anch’io mi considero un emigrante.
Ieri
ho fatto richiesta al Comune di avere trasferita qui la mia
resi-denza, anche perché voglio trascorrere parecchio tempo a Longi,
che amo profondamente.
La
mia candidatura a Sindaco nasce da una proposta fattami all’unanimità
da parte dei componenti il direttivo della Sezione del P.S.I. di
Longi, del cui partito faccio parte e che, sempre all’unanimità,
ha accolto la mia decisione di candidarmi da indipendente. In tale
ruo-lo ho proposto la formazione di una lista civica ai
rappresentanti poli-tici locali, ma la proposta non è stata
accettata.
Sono
socialista e sono fiero di esserlo nel momento in cui il mio
ri-chiamo ideologico è all’Internazionale Socialista, libertaria,
democrati-ca e riformista. Quell’Internazionale Socialista che si
richiama ai valori di giustizia sociale, di democrazia, di libertà
in nome dei quali la classe lavoratrice è stata guidata per il
proprio riscatto conquistando mete di avanzamento democratico ed
economico.
In
questa crisi ideologica dei partiti e della società io affermo di
esse-re un socialista sganciato dalle varie correnti del Partito;
sono un socia-lista puro e, come tale, quindi, ho partecipato alle
riunioni del P.S.I. di Longi puntualizzando in quella sede che avrei
accettato, come ho af-fermato, la candidatura a Sindaco come
indipendente, senza l’imprimatur del Partito.
Ho
tentato, dicevo, la formazione di una lista unitaria, convinto, co-me
sono, che soltanto attraverso l’unità delle forze politiche è
possibile fare uscire il paese dalla pesante crisi economica,
amministrativa ed occupazionale in cui si trova. Constatando, però,
l’impossibilità di met-tere in piedi una lista unitaria, aperta a
tutte le forze sociali e di pro-gresso, e nel momento in cui nel
corso di questo tentativo per la forma-zione della lista di candidati
al Consiglio Comunale ebbi ad accorgermi che c’era un disimpegno
da parte di alcuni miei amici (leggi
socialisti,
n.d.r.),
decisi di candidarmi comunque da solo, senza una lista di sup-porto,
alla carica di Sindaco. Questo perché io avevo assunto l’impegno
con i cittadini di mettere a disposizione di questo paese la mia
trenten-nale esperienza nel Sindacato per cercare di tentare di
risolverne i pro-blemi dichiarando, nel contempo, ad una cerchia di
amici di essere co-sciente di essere un incosciente a presentarmi
quale candidato a Sinda-co sapendo della pesantissima situazione che
c’è al Comune.
Devo
ringraziare gli amici del Movimento Democratico Longese (la lista di
Fabio, n.d.r..) per aver presentato una lista. Questo fatto evita il
ritorno di un Commissario e consente la presenza di un longese a capo
dell’Amministrazione Comunale. Aggiungo che questa lista sarà la
mia se io dovessi essere eletto ed inviterò i miei sostenitori a
votarla dissua-dendo coloro i quali pensano di presentare scheda
bianca.
Io
sono sempre dello stesso avviso che se Longi vuole uscire dalla
crisi, deve essere gestito, con un programma di rilancio economico,
da tutte le forze politiche insieme, dagli stessi cittadini che si
riconoscono nelle varie anime e movimenti politici….. In caso di
mia elezione, con-sidero una fortuna non avere una lista di supporto
in quanto, presen-tandomi da indipendente, senza vincoli di lista e
di partito quindi, pos-so realizzare quel progetto di gestione
unitaria scegliendo gli Assessori tra le varie componenti politiche,
le aree politiche, gli indipendenti. Co-storo devono essere nelle
condizioni di portare avanti e realizzare il programma delineato ed
avere i requisiti che io vi ho fissato e che van-no dalla capacità
all’impegno nel lavoro, dalla tendenza al lavoro di gruppo alla
predisposizione ad una gestione trasparente, dall’innato senso
della giustizia all’imparzialità ed all’obiettività, nonché
alla di-chiarata volontà di servire con spirito d’umiltà la
collettività longese.
Il
programma politico-amministrativo, che ho presentato assieme al-la
mia candidatura, costituisce, per me, un Vangelo e sottoscrivo qui
l’impegno pubblico a portarlo a compimento, almeno in buona parte,
ove mi sarà consentito dagli avvenimenti e dai procedimenti
burocrati-ci.
Ho
scritto su un messaggio: “Gestire Longi, dal punto di vista
ammi-nistrativo, è un’impresa non facile, forse drammatica,
certamente non improvvisabile; ma lo sarà possibile se saranno messi
al bando patriot-tismi di bandiera, egoismi, ambizioni al servizio di
interessi personali e di gruppo. Occorre, pertanto, un forte cemento
unitario tra le forze po-litiche e sociali longesi”. Questo stesso
appello è stato anche lanciato dal prof. Francesco Lazzara in un suo
articolo sul nostro giornale “Il Serro”. Né l’uno, né
l’altro, purtroppo, sinora sono stati accolti. Ma in me, ancor
oggi, non è cambiato nulla pur avendo vissuto già le notevoli
difficoltà emerse nella specificità politica longese Il mio
programma politico è articolato e corposo. Sinteticamente è stato
pubblicato sui manifesti del Comune; per intero, sarà recapitato a
tutte le famiglie. Per sommi capi, vi comunico i punti più salienti:
emergenza amministrativa derivante dal pagamento dei rilevanti
debiti; realizzazione delle opere pubbliche, già finanziate, ma
bloccate; ristrut-turazione della rete idrica del centro urbano e
realizzazione di quella delle contrade; parcheggio urbano; strada a
scorrimento veloce “Monti-Mare”; alloggi popolari; attivazione
della rete fognante nelle contrade e realizzazione del depuratore
comunale; cura e particolare attenzione all’ambiente; assecondare
il turismo e l’agriturismo. Nel settore dei Servizi, oltre quelli
ordinari e correnti, incentivare quelli culturali e ri-creativi, tra
cui la possibilità di apertura di un centro socio-culturale al
Castello Ducale, la promozione della copertura mobile della Chiesa di
S.Salvatore, l’Estate longese, quale momento, oltre che di
manifesta-zioni locali, di altre, più grosse, a dimensione
provinciale e comprenso-riale. Nel settore dell’Agricoltura, va
privilegiata l’incentivazione della forestazione quale principale
fonte di reddito per i braccianti longesi, va assecondata la
creazione di strutture per la raccolta e trasformazio-ne delle
nocciole e dei prodotti tipici locali, chiedendo il rilascio del
marchio di qualità quali prodotti del Parco dei Nebrodi.
Per
quanto riguarda il neo Parco dei Nebrodi occorre aprire un cana-le di
comunicazione e di contrattazione per inserirsi nella mano d’opera
che l’Ente utilizzerà per i suoi fini istituzionali; è necessario
chiedere la rimozione dei divieti e dei vincoli che ostano con le
esigen-ze oggettive di natura socio-lavorativa, vedi ad esempio la
realizzazione della strada Botti-Barillà; è importante restaurare
le Case di Mangalavi-te per crearne una struttura agrituristica. Nei
settori dell’Associazionismo e dello Sport va dato ampio spazio a
quelle che sono le iniziative e le esigenze dei giovani.
È
importantissimo riuscire a promuovere e costituire un Consorzio tra i
Comuni della Vallata del Fitalia per gestire insieme servizi ed
ini-ziative economiche, quali il turismo, la commercializzazione dei
pro-dotti tipici locali. Una forma di “gemellaggio”, poi, tra
paesi viciniori potrà sviluppare scambi culturali, artistici e
ricreativi, nonché comuni iniziative sul piano economico.
Una
priorità assoluta è data dalla realizzazione della strada
Monti-Mare, per far uscire il nostro paese dall’isolamento e per
consentire ai lavoratori, agli studenti, a noi tutti di raggiungere
celermente i posti delle varie attività che risiedono nei comuni
della vicina riviera.
È,
quello che io presento, un programma abbastanza ampio, impe-gnativo,
che non potrà realizzarsi nell’arco di uno o due anni. Alcune cose
sono fattibili a breve, altre a medio, altre ancora a lungo termine.
L’importante è iniziare il cammino per la loro realizzazione.
Ho
scelto come simbolo della mia lista lo scudo dello stemma del Comune
di Longi, in cui sono contenuti il campanile della chiesa ma-dre ed
il pizzo di S.Nicola, che caratterizzano il paese. Ho scelto,
quin-di, di dedicarmi a Longi, cui intendo dare il massimo del mio
“Impegno Sociale” e della mia tenacia nella ricerca del “Lavoro”
per i nostri lavo-ratori, per i nostri giovani, che sono,
quest’ultimi, il futuro del nostro paese. Ai giovani chiedo il
massimo dell’apertura mentale per un nuovo modo di fare politica,
che ci consentirà di andare verso il progresso so-ciale ed
economico.
Alla
cerimonia di oggi al Monumento ai Caduti, il Presidente della sezione
Combattenti ha lanciato un messaggio, quello che i nostri padri sono
caduti per difendere e rendere unita la nostra patria. Era
indiriz-zato soprattutto ai giovani. L’altro messaggio è stato
quello del Com-missario che ha affermato che bisogna credere nello
Stato e realizzare lo Stato qui a Longi.
Io
ho cercato e sto ancora cercando un modo nuovo di fare politica qui
al nostro paese: occorre superare quelli che erano certi schemati-smi
del passato, laddove esisteva lo scontro tra i partiti, laddove
l’astio e l’odio, anche tra famiglie, erano imperanti. No, non è
questo il modo con cui si fa politica. La politica si fa
confrontandosi sulle idee, sui programmi per cercare di realizzare
qualcosa di nuovo e di buono per il paese. Poi, bisogna tutti quanti
insieme portare avanti il programma comunemente stabilito senza che
ci siano frontismi, senza che ci siano divaricazioni, senza che ci
siano spaccature, asti e odi tra le famiglie. Questo è il messaggio
che soprattutto a voi giovani voglio indirizzare. Cerchiamo di
attuare un nuovo modo di far politica, cerchiamo di esse-re uniti
perché il nostro è un piccolo centro, che ha bisogno dell’aiuto,
del supporto di tutti noialtri; né ci possiamo permettere il lusso
di divi-dere le intelligenze che sono presenti, delle quali la nostra
Longi ha ne-cessità. Di conseguenza, dobbiamo andare avanti verso il
progresso at-traverso questa nuova formula politica, con un’apertura
mentale che oggi viene sospinta dallo stato di necessità che
scaturisce dalla crisi del sistema politico, la quale peraltro
incentiva la nascita di nuovi movi-menti, che sfuggono alla logica ed
al controllo dei partiti. Il nuovo va avanti laddove un diverso ed
innovativo modo di vivere socialmente, nel progresso, fa da guida.
Dobbiamo, pertanto, se vogliamo il nuovo, insieme avanzare per una
gestione trasparente della nostra Ammini-strazione Comunale,
imparziale ed obiettiva, nonché per il progresso economico di questo
nostro centro.
A
tutti quanti dico:
Avanti
insieme per:
Il
rinnovamento politico
La
trasparenza amministrativa
L’imparzialita’
Il
progresso economico
Viva
Longi!
Comizio
del 18 novembre
È
stato un mese di difficoltà e di tensione, dovute alla ricerca
certosina di uomini che potessero ricoprire l’incarico assessoriale
e che corri-spondessero, pertanto, alle caratteristiche che ho in
precedenza deli-neate. Ci sono stati veti incrociati, che hanno fatto
saltare una probabi-le formazione di Giunta, tentativi anche di
sabotaggio e di insabbia-mento perché io non andassi avanti nelle
consultazioni. La caparbietà, però, e la tenacia hanno vinto.
Non
c’è accordo con i partiti o gruppi politici; valuteremo la
possibi-lità, quindi, dopo le elezioni, a dar vita ad un movimento
politico for-mato da uomini che sono sganciati dai vincoli politici
nei confronti dei partiti tradizionali. Per il momento andremo avanti
così.
È
mio intendimento lavorare con un Comitato Consultivo permanen-te a
latere del Sindaco: servirà alla Giunta nel momento in cui si vorrà
mettere in piedi o portare avanti una qualunque iniziativa, che
riguardi il bene e l’interesse del paese.
Avevo
detto all’inizio che dovevano essere lasciati alle spalle certi
comportamenti del passato, che vedevano la lotta tra le famiglie
divi-dendole. Io credo all’unità ed alla sensibilità del popolo e
non raccolgo, pertanto, determinate polemiche, determinate
insinuazioni, determina-te illazioni che sono state fatte. In tal
senso, pertanto, poiché lobby è uguale a centro di potere
economico, finanziario o politico, non mi ri-sulta che dietro di me o
accanto a me ci siano centri di potere finanzia-ri, economici o
politici, ma ci sono invece un gruppo di lavoratori, di braccianti
agricoli, un gruppo di professionisti che, assieme a me, vo-gliono
portare avanti un discorso di rinnovamento e di gestione sana e
pulita del nostro paese. Nessun partito, lo ripeto, o gruppo politico
è al-le mie o alle nostre spalle. Alle insinuazioni, alle
maldicenze, che arta-tamente vengono fatte girare sul mio conto, io
rispondo con le parole del divino poeta: “Non ti curar di loro, ma
guarda e passa”. Ne sentirete dire ancora altre sul mio conto e sul
conto degli Assessori, ma noi non rispondiamo e proseguiremo per la
nostra strada. Ma una cosa voglio puntualizzare: lasciate stare in
pace i morti, i morti della mia famiglia. Su questo non transigo.
Alcuni di voi, quelli della mia età e quelli anco-ra più grandi
sanno che la mia famiglia ha dato al paese dei Sindaci. Ritengo siano
stati dei Sindaci onesti e che abbiano fatto il bene di questo paese.
C’è una storia scritta e non scritta, tramandata, che è alla
portata di tutti. Non scherziamo con queste cose, non tocchiamo la
pa-ce dei nostri defunti.
Questo
quadro che è sotto di me, laddove è raffigurato il simbolo che
accompagna la mia candidatura e che io ho prescelto dandogli un
par-ticolare ed emblematico significato, assieme al motto che vuole
caratte-rizzare questo quadro, se voialtri lo vorrete, andrà nella
stanza del Sin-daco eletto perché il Sindaco, che sarà di tutti i
cittadini, si possa rammentare quali sono gli impegni assunti col suo
programma, che co-stituirà il suo vangelo.
Uniamoci
veramente, cittadini, nel portare avanti gli interessi di que-sto
paese, per fare più bella la nostra Longi, per renderla
economica-mente solida e perché possa diventare ancora più avanzata
socialmente in tutta la vallata del Fitalia. Oggi è tra le prime
cittadine di questa val-lata. La è stata sempre, me lo ricordo da
ragazzo, avendo espresso delle intelligenze che si sono
contraddistinte nel portare avanti iniziative sul piano culturale,
sociale e sportivo. Ma questa Longi può ancor più avanzare ed
essere sempre più rispettata in questa nostra bellissima Vallata del
Fitalia.
1997
I
comizi, nonostante la pioggia sempre presente in quei giorni, so-no
serviti a puntualizzare alcuni aspetti delle dichiarazioni
pro-grammatiche enunciate, delle opere fatte, nonché a dare una
ri-sposta ad alcune critiche portate avanti dagli avversari politici.
Ne do una sintesi dei passaggi salienti.
Comizio
del 19 novembre (sotto
la pioggia)
Mi
ha preceduto l’Inno dei Lavoratori, come quattro anni addietro, ed
è presente quello stesso simbolo di allora, che oggi rappresenta la
lista n. 2. Ciò per una questione di fedeltà al passato, per
dimostrare che quello che io ero quattro anni addietro lo sono
tuttora: uno che proviene dall’impegno nel mondo del lavoro. È,
quindi, giusto che mi preceda quell’inno che accompagna i
lavoratori durante le manifestazioni. Nei quattro anni di sindacatura
ho fatto il Sindaco ed ho fatto anche, certe volte, il Sindacalista.
Ritengo
che moltissimi dei problemi che ho trovato al Comune siano stati
risolti. Se vi ricordate, in questa stessa piazza ho promesso che
avrei risolto la crisi economica del Comune: è un impegno che ho
man-tenuto. Oggi il Comune non ha più quei grossi debiti che aveva
quattro anni addietro e che ammontavano a circa due miliardi di lire.
La ge-stione che verrà troverà, quindi, una strada in pianura.
Con
modestia, ma lo devo pur dire, sono riuscito a risolvere un altro
problema che il Comune aveva: un vecchio progetto, del 1986, per la
captazione dell’acqua potabile, che restava nei cassetti.
Nonostante le difficoltà frapposte dal Parco dei Nebrodi e da taluni
uffici, sono riusci-to a portarlo a definizione: i lavori sono già
iniziati e l’acqua di Manga-lavite, fra qualche anno, sarà una
realtà per il nostro paese. Altro dato di fatto, fra alcuni mesi,
sarà quello della pista di servizio Botti-Barrilà, cui da decenni i
nostri lavoratori della forestale aspiravano. Il Comitato Tecnico
Scientifico del Parco ci ha dato l’assenso, a seguito delle nostre
insistenze supportate da dati tecnici e da proposte valide, e noi
abbia-mo messo in piedi il progetto, che già è depositato al
Comune, quindi prevediamo che, per la primavera prossima, sarà
possibile iniziare i la-vori, la cui ultimazione consentirà ai
nostri lavoratori di raggiungere i cantieri di Barrirà con la
propria macchina.
Tutto
quello che è stato competenza della Giunta Municipale è stato
realizzato, così com’è stato realizzato un buon 60, 70 per cento
del mio programma, presentato quattro anni addietro. Devo anche
ammettere che un programma politico non può essere un libro dei
sogni e nel 1993 ho presentato un programma che poteva esserlo. Oggi,
dopo aver acquisito un’esperienza non indifferente, conoscendo bene
i meccani-smi di finanziamento ed il bilancio della Regione, ho
cercato di focaliz-zare l’impianto di un programma attendibile,
delle cose che sono rea-lizzabili alla luce delle disponibilità
regionali, statali e della Comunità Europea, opere che rientrano nei
settori delle reti idriche, delle reti fo-gnanti, dell’ambiente,
dell’arredo urbano. Ma di queste cose parleremo nel prossimo
comizio poiché la pioggia insistente non ci consente di proseguire
oltre.
Comizio
del 23 novembre
Oltre
tre anni addietro promisi, qui, in questa piazza, di salvare Longi.
La promessa è stata mantenuta. I tre grandi obiettivi raggiunti, di
diffi-cile realizzazione, possono così essere sintetizzati:
- la gran massa di debiti risalenti a circa due miliardi di lire non esi-ste più. Il dissesto è stato evitato. Di conseguenza, si è scongiurata la presenza del Commissario ad acta per la gestione dell’improvvido provvedimento comprendente la vendita dei terreni comunali, l’aumento delle tasse locali al massimo dei parametri, il trasferimento ad altra sede del personale in esubero tra i dipenden-ti del Comune;
- l’aggiudicazione della gara per la captazione dell’acqua potabile presso la sorgente Tre Schicci è un atto compiuto. Rammento che mi sono trovato dinnanzi ad un progetto del 1986, bloccato, con il finanziamento che era perduto per cui ho dovuto chiedere un nuo-vo decreto assessoriale per fare tornare in vita le precedenti somme stanziate; mi sono trovato a dover superare i veti del Parco dei Ne-brodi, subendone pur tuttavia i vincoli e le prescrizioni nella fase lavorativa e di realizzazione dell’opera; ho dovuto affrontare persi-no gli ostruzionismi locali, che hanno comunque frenato i proce-dimenti;
- la strada Botti-Barrilà, chiesta da sempre dai lavoratori della fore-stazione e mai realizzata, ha pronto il progetto essendo riusciti a strappare l’assenso al Parco dei Nebrodi. La strada potrà diventare presto una realtà.
Abbiamo
portato avanti, inoltre:
- l’inserimento nel piano regionale del finanziamento di numero trenta alloggi popolari, la cui procedura attuativa non è stata pos-sibile avviare poiché il Consiglio Comunale non ha voluto assegna-re l’area su cui sarebbero dovuti sorgere gli alloggi;
- la rete idrica nelle Contrade è stata completata, ma non si è potuta attivare perché la preesistente rete fognante non è stata ancora col-laudata pur essendo stata realizzata qualche decennio addietro. Per procedere in tal senso, abbiamo dato incarico, per un progetto pre-liminare, ad un tecnico al fine di collegare quest’ultima ad una va-sca di decantazione (Imoff) del relativo materiale di scarico;
- pur avendo pronto un progetto per un piccolo allargamento del Cimitero, il quale peraltro è stato dotato di un nuovo impianto elet-trico, nel contempo è stata avviata la pratica con la Cassa Depositi e Prestiti per un mutuo di un miliardo e mezzo finalizzato ad un più vasto e definitivo suo allargamento verso Cerimo;
- sono state sistemate parecchie strade nelle campagne ed abbiamo portato a gara d’appalto, definita, il progetto per la costruzione dell’anfiteatro al Campo Plurimo.;
- tante altre opere realizzate, per un importo di due miliardi e 600 milioni di lire, sono state elencate nel bollettino della Giunta Mu-nicipale, distribuito il mese scorso.
Infine,
un’altra cosa importantissima: per quattro anni ho tenuto du-ro,
nonostante l’isolamento politico, la richiesta di referendum, i
volan-tini oltraggiosi, la richiesta di dimissioni da parte del
Consiglio Comu-nale, impedendo così che venisse un Commissario
Regionale.
Vi
sembra poco tutto questo? Pur tra le notevoli difficoltà di gestione
amministrativa, di situazioni e attacchi che ho dovuto subire, di
veti ed ostruzionismi vari, cose che tutti voi conoscete, gli
obiettivi di compe-tenza della Giunta sono stati raggiunti. Tutti.
Giudicate voi, quindi, se ho lavorato bene, se ho mantenuto, almeno
per la gran parte, le pro-messe e gli impegni presi con voi,
concittadini.
Oggi
fare il Sindaco non può essere frutto dell’improvvisazione.
Ri-tengo doveroso, quindi, mettere ancora al servizio del mio paese
quest’altra esperienza maturata, dopo quella, notevole, negli anni
di impegno sindacale ai più alti livelli, assieme alle mie modeste
capacità, nonché la conoscenza delle leggi, acquisita durante i
quattro anni, per potere amministrare un Comune. Certo, qualche pecca
c’è stata, qual-che mancanza pure, ma non certamente in malafede.
Ho cercato di amministrare in maniera imparziale, trasparente,
trattando tutti i cit-tadini sullo stesso piano: non ci sono stati né
avversari politici, né ami-ci, che sono stati rispettivamente
discriminati o privilegiati, ma chi aveva un diritto gli è stato
assicurato o riconosciuto. Se ho potuto arre-care involontariamente
danno a qualche cittadino oppure se non ho potuto accogliere la sua
richiesta, gli chiedo scusa: non sempre è possi-bile fare tutto
quando non c’è disponibilità di soldi nelle casse comuna-li.
Per
realizzare un programma non bastano quattro anni di ammini-strazione;
io, in questo periodo, ho dovuto dedicare gran parte delle mie
energie e del mio tempo a risolvere i grossi problemi che ho
trova-to. Ora è venuto il tempo di programmare il futuro e fare
quello che non mi è stato consentito di fare. Alcune cose sono
avviate, altre con-trastano con gli ostacoli incredibili della
burocrazia, altre ancora han-no trovato difficoltà tecniche, che
però sono in fase di superamento. Le nuove bisogna metterle in
piedi, facendo parte del mio programma, che necessariamente può
essere riassunto per grandi linee in quanto la sua realizzazione
dipende dai finanziamenti disponibili nei vari comparti e settori. Le
cose che indicherò sono frutto dell’esperienza dei quattro anni e
non faranno parte quindi del libro dei sogni50.
Revisione
e razionalizzazione del P.R.G.; consolidamento a monte del paese e
del rione Borgo, secondo quanto indicato dall’apposita rela-zione
geologica; collegamento veloce con la S.S.113; case popolari nelle
Contrade per la loro rinascita; allargamento verso Cerimo del
Cimitero e ristrutturazione della sua chiesetta; arredo urbano del
Corso Umberto I e delle viuzze attorno al Castello (centro storico);
incremento del ver-de pubblico con Villa comunale in zona “Giardino”
– Serro; rete idrica interna e serbatoio Filipelli, rete fognante e
depuratore.
Il
turismo, l’agriturismo e l’agricoltura sono settori che attengono
al privato imprenditore. Il Comune può realizzare dei percorsi per
escur-sioni, come ad esempio alla Stretta di Longi, anche in
collaborazione col Parco; una volta recuperate le case di Mangalavite
e quella di Ferrante, la loro gestione deve essere affidata ad una
cooperativa di giova-ni. Nei servizi, affidamento ad una cooperativa
specializzata della rac-colta differenziata dei rifiuti solidi urbani
con possibilità di diminuzio-ne della relativa tassa. Per quanto
riguarda la forestazione, il settore dipende dai finanziamenti
regionali, quindi il Sindaco può solo assiste-re i lavoratori.
Mi
soffermerò adesso sul problema della forestazione e su quanto è
accaduto giacché attorno alla vicenda si sta facendo populismo,
bassa speculazione elettorale col vantare credito presso gli appositi
organismi regionali. C’è una legge nuova (la L.R. 16/96) che
stabilisce i criteri di avviamento al lavoro tenendo conto della
copertura economica annua-le. Ci sono poi dei parametri che
stabiliscono la ripartizione delle somme tra i vari distretti;
all’interno dei quali vengono messi in piedi i progetti in base
alle esigenze esistenti presso i boschi e le superfici da “boscare”.
Non sarà, pertanto, l’intervento di qualche onorevole regio-nale a
stravolgere ciò che è stabilito per legge. Si tratta solo di
vigilare perché non siano penalizzati alcuni paesi del distretto a
beneficio di al-tri. E per questo compito esistono le organizzazioni
sindacali. Di con-seguenza, è importante essere presenti all’interno
dei Sindacati ed in-calzarli. Un Sindaco, in assenza dei Sindacati,
in occasioni di situazioni come quella che di recente si è creata,
se ne ha la capacità, può inter-venire presso gli organismi
preposti per portare la voce dei lavoratori e cercare di ottenere il
rispetto della legge. I braccianti agricoli longesi, non avendo una
guida sindacale, si sono rivolti al loro Sindaco quando ne hanno
avuto bisogno. Ed il loro Sindaco, ricordandosi di avere fatto il
Sindacalista nel passato, ha cercato di aiutarli intervenendo a
Paler-mo, a Messina ed a Catania. Oggi, tutti i braccianti agricoli
hanno lavo-rato presso la Forestale. Merito del Sindaco o di qualche
altro? Di nes-suno dei due; il merito è solo ed esclusivo dei
lavoratori, che hanno protestato, sono scesi in lotta trovando un
loro portavoce, che si è sosti-tuito
50
Sono passato indi all’illustrazione dei punti programmatici, che
sinteticamente ri-chiamerò (nda.)
al
ruolo istituzionale dei Sindacati. Questo Sindaco, infatti, è
in-tervenuto presso il Prefetto di Messina, presso l’Assessorato
Regionale all’Agricoltura e Foreste, presso l’Ispettorato della
Forestale di Catania, laddove, in data 3 settembre ’97, è riuscito
a strappare due progetti per complessive 35 unità circa, tant’è
vero che l’Assessore Regionale Cuffa-ro, nell’incontro avuto in
data 18 settembre scorso, annunciò che in da-ta 16 settembre il
Comitato tecnico dell’Azienda Forestale aveva appro-vato due
progetti per dieci più trenta unità presso il bosco di Barillà:
erano quindi i due progetti di cui si era discusso a Catania il 3
settem-bre. Se, poi, il fax, che peraltro il sottoscritto scrisse di
proprio pugno, per incarico dell’Assessore Regionale, arrivò al
Comune con l’indirizzo cambiato, “al Consiglio Comunale anziché
al Sindaco”, fa parte di quel-le furbizie di bassa lega politica.
Esistono
documenti in mio possesso e testimoni, venuti con me sia a Catania,
sia a Palermo, che possono testimoniare quanto ho asserito. Nella mia
lunga carriera di sindacalista ho imparato che i lavoratori non si
devono prendere in giro. Se qualcuno, pertanto, vuole fare oltre che
il Sindaco anche il Sindacalista, incominci ad imparare a non
rac-contare bugie.
Sull’argomento
dell’indennità agli Amministratori, se volete un Sin-daco e degli
Assessori che siano presenti al Comune quando sono liberi dai loro
impegni di lavoro, votate per chi rinuncia all’indennità. Se,
in-vece, volete un Sindaco e degli Assessori che siano ogni giorno
presenti in Comune, anche, talvolta, per 12 ore il giorno, e che
amministrino con professionalità, con testardaggine nel seguire le
pratiche e per ri-solvere i problemi, allora votate per chi ha
bisogno dell’indennità, quale rimborso spese e per affrontare
eventuali incidenti amministrativi e giudiziari, in alternativa ad
altri sistemi illeciti, che rifiuto e condanno. Vorrei saper chi è
quel fesso che dedica quattro anni del suo tempo, li-bero dal lavoro,
a gestire un Comune, togliendo soldi alla propria fami-glia: fare
l’Amministratore, infatti, costa denaro sonante. Vorrei sapere chi
è quel fesso che, per la gloria o per riempirsi la bocca dicendo di
farlo per il bene del proprio paese, chi è quel fesso – dicevo –
che svolge gratis un lavoro, perché di un lavoro faticoso e pesante
si tratta, anzi rimettendoci quattrini per ben quattro anni. Oggi,
tutti i Sindaci, i De-putati, gli Amministratori degli Enti Pubblici,
i Ministri percepiscono un’indennità. Perché proprio il più
fesso tra tutti deve essere il Sindaco di Longi? Chi dichiara di
rinunciare all’indennità bara, sapendo di in-gannare la gente.
L’importo dell’indennità del Sindaco di un paese pic-colo come
il nostro (un milione di lire nette circa) è notevolmente infe-riore
allo stipendio del grado più basso di un dipendente comunale e,
pertanto, offende l’intelligenza, l’assunzione di responsabilità
ed il gra-do rivestito da un Sindaco, che è anche il Capo di tutti i
dipendenti comunali. Ed allora, siamo seri, diciamo come stanno
veramente le co-se e lasciamo che gli Amministratori possano
ricoprire dignitosamente il loro incarico senza ricorrere ad
alternative strade illecite, che tutta la società civile rifiuta e
che chiede di perseguire per legge. Se, poi, le ele-zioni si debbano
giocare sulla rinuncia all’indennità o meno, allora siamo caduti
veramente in basso perché non si hanno altri argomenti su cui
confrontarsi e perché si vorrebbe calpestare, qui a Longi, quel
principio sociale che ogni lavoro onesto, reso alla società – e
fare l’Amministratore, ripeto, è un lavoro – deve essere
regolarmente retri-buito. Lo dice la legge. Oltretutto, il bilancio
del Comune non è più de-ficitario.
Ho
sempre portato avanti un discorso di pace e di civiltà, un discorso
di unità del paese. Purtroppo, però, il paese è diviso in tre
parti o fazioni. Mi auguro che ci sia una competizione civile e
democratica e che, dopo, ci sarà una riappacificazione politica
perché sarebbe veramente grave che il Sindaco eletto debba gestire
con circa i 2/3 della popola-zione contraria. Io sono venuto in pace
e voglio continuare su questa strada. Se avrò, quindi, la vostra
fiducia mi adopererò per la pacifica-zione del paese, sia in termini
di gestione unitaria, sia nei rapporti con i cittadini, che
continuerò a considerare tutti sullo stesso piano, senza che vi sia
discriminazione tra avversari e amici, ma assicurando solida-rietà,
rapporto umano, amicizia, giustizia sociale.
Contrariamente
a quanto faranno altri, io personalmente non verrò a chiedervi il
voto nelle vostre case, ma passerò per stringervi la mano e
salutarvi.
Concludo
questo mio discorso presentandovi la lista dei candidati al Consiglio
Comunale, cui sono collegato. Sono, in maggioranza, giovani, che
vogliono imparare a fare politica per gestire in maniera “pulita”
e giusta il nostro paese. L’avvenire del paese è nelle mani dei
giovani: in-coraggiateli.
Avanti,
allora, tutti quanti insieme per costruire il futuro di Longi
in-camminandoci verso il terzo millennio”.
Comizio
del 27 novembre
Il
paese, ogni paese, per andare avanti ha bisogno di stabilità
politica e, quindi, di continuità nella gestione amministrativa. Un
Sindaco, che ha operato bene, dovrebbe essere riconfermato per due
legislature conse-cutive per non bruciare l’esperienza acquisita,
per portare a conclusio-ne il programma presentato giacché non
bastano quattro anni. Il paese vicino, Galati Mamertino, è andato
avanti perché ha avuto una conti-nuità di gestione amministrativa
per diverse legislature. Questo non è un consiglio interessato, per
il tempo presente, ma lo è per sempre, an-che per gli anni avvenire,
beninteso se un Sindaco ha bene amministra-to.
È
stato affermato che ho disatteso il mio programma. Ho illustrato già
gli obiettivi centrati: quello che è dipeso dalla Giunta o da me è
sta-to realizzato, quello che doveva essere sottoposto
all’approvazione di altri, vedi Consiglio Comunale, mi è stato
impedito. Ho presentato, a suo tempo, alla Giunta di “prima nomina”
un progetto con le proposte avanzate dai cittadini attraverso
quell’indagine conoscitiva, fatta prima della mia elezione del ’93:
non ho avuto alcun riscontro in termini ope-rativi. Puntualizzo,
però, che alcune proposte potevano essere attuate attraverso
l’iniziativa privata, mentre altre dovevano passare
dall’approvazione del Consiglio Comunale. Così come sono stato
co-stretto a non convocare oltre il “Comitato di consultazione
permanente a latere del Sindaco” perché, anziché fare delle
proposte concrete e dare pareri, l’organismo si era trasformato in
una sorta di alternativa al Consiglio Comunale, dove tutti litigavano
tra loro, rinfacciandosi atteg-giamenti ed atti del passato politico,
senza produrre alcunché di positi-vo.
Mi
hanno imputato l’assenza di ogni forma di progettazione futura e la
mancata richiesta di finanziamenti utilizzando le opportunità
offerte dalla Comunità Europea. Mi hanno forse approvato i
Consiglieri Co-munali le opere finanziabili che ho proposto
nell’annuale Piano Trien-nale delle Opere Pubbliche? L’ultimo
Piano, del 1995, è stato approvato con opere non finanziabili.
È
stato mosso un rilievo perché non ho realizzato nuove strade
in-terne o esterne. Ho già risposto che, nel bilancio economico
della Re-gione siciliana, nessun capitolo ha avuto imputata una lira,
ad eccezio-ne dei finanziamenti destinati in maniera esplicita al
completamento dell’autostrada Palermo-Messina e della
Palermo-Sciacca.
Qualcuno
si è lamentato del divario esistente tra l’istituzione comu-nale e
i cittadini. Se per divario s’intende la mancata presenza in piazza
del Sindaco, ebbene solo lavorando sodo, talvolta per 12 ore
giornalie-re, all’interno del Municipio, sono stati possibili
l’opera di risanamento economico, il recupero di ciò che era
bloccato o stava per perdersi, l’allontanamento del pericolo di un
Commissario e del referendum di rimozione del Sindaco.
Sono
stato tacciato di essermi arrogato il diritto di amministrare da solo
il Comune. Ebbene, collaborato solamente dai miei Assessori, ho
risolto il 60-70% dei gravi ed annosi problemi del Comune;
figuriamoci cosa sarebbe stato possibile fare se fossi stato
collaborato, da chi di do-vere, come sarebbe stato giusto fare per il
bene della collettività. Devo assicurare che oggi non sono più
solo, ma ho una volenterosa squadra di giovani, candidati al
Consiglio, che vogliono imparare ad ammini-strare il Comune con nuovi
metodi.
Per
quanto riguarda le iniziative a favore dell’occupazione,
soprattut-to giovanile, devo rammentare che il Comune ha speso due
miliardi circa per cantieri, per giovani avviati ai lavori
socialmente utili, per la-vori affidati alle imprese locali. Quello
della disoccupazione giovanile è un fenomeno che riguarda tutta la
Sicilia, se non anche l’Italia intera, ed un Comune, da solo, fa
quel che può alla luce del proprio bilancio.
Relativamente
alla meccanizzazione dell’Ufficio Tecnico e dell’Anagrafe ho
chiesto al Consiglio Comunale la destinazione della somma occorrente,
prelevandola dai residui attivi di bilancio, ma il problema è stato
rinviato alla futura amministrazione comunale; pur tuttavia, gli
uffici di Ragioneria, Segreteria e Biblioteca sono stati già dotati
di computer.
Tanto
è stato fatto, ma ancora tanto rimane da fare. Il paese, però, è
uscito dalla notte buia pur non godendo ancora appieno della luce del
sole. Per un’alba limpida e serena che illumini il tuo “campanile
e le tue montagne”, vota semplicemente siffatto simbolo, che è il
simbolo della lista n. 2.
Comizio
del 28 novembre
È
stato detto: no alle opere faraoniche, no alle cattedrali nel
deserto; sì ai piccoli lavori per gli artigiani. Questo ritornello
lo sento da tre anni. Ebbene, ho invitato chi ha fatto questa
proposta, assieme ad artigiani locali e tecnici, a suggerirci queste
piccole opere da fare. Ancora atten-do risposte. Assieme ai piccoli
interventi da fare con la L. R. 1/79, van-no fatte anche le grandi
opere, le uniche finanziate, per migliorare le strutture ed i servizi
del paese. L’anzidetta asserzione è una strumenta-lizzazione bella
e buona dei nostri artigiani, i quali peraltro hanno tutti lavorato
per il Comune, ai fini propagandistici ed elettorali.
Sono
state fatte, da alcuni, promesse di assunzione al Comune, non-ché
sconcertanti pressioni, che rasentano il ricatto. L’unica
assunzione che sarà possibile fare, ma per pubblico concorso, è
quella per Vigile urbano. A tal proposito, devo dire che ho chiesto
al Consiglio Comuna-le di stanziare la somma di £ 2 milioni per
procedere al relativo bando di concorso: mi è stata negata.
Sono
state effettuate telefonate ai nostri attivisti per abbandonarci, a
nostri candidati al Consiglio per dividerci seminando zizzania tra
noi.
Il
paese è diviso e forse è anche disorientata quella parte di
cittadini che abbisogna di un lavoro.
Noi
abbiamo dichiarato il nostro impegno ad unire, a pacificare il paese
non tenendo conto più degli schieramenti politici attuali. In
que-sto nostro progetto unificante s’inserisce la dichiarazione
fatta di no-minare gli altri due Assessori dopo che avremo avuto il
consenso dei cittadini. Lo potremmo fare adesso – abbiamo gli
elementi –, ma il no-stro intuito politico ci porta a rinviare la
loro designazione nel momen-to in cui avremo chiara la composizione
del nuovo Consiglio Comuna-le.
Abbiamo
sentito anche urlare, in questa piazza, per dimostrare cose che non
esistono: urla chi ha scheletri nell’armadio. Noi non abbiamo
bisogno di urlare per fare valere le nostre ragioni poiché facciamo
poli-tica dicendo come stanno le cose, dichiarando la verità, che è
sempre verificabile, perché non ci permetteremmo mai di offendere
l’intelligenza dei longesi e la loro capacità di giudizio. Urla
chi ha torto, dialoga chi ha ragione. L’“urlatore”51
ha detto di avere inviato molti fax che annunciavano interventi a
favore del paese. Ne avete mai visto uno, a sua firma? Ha anche
asserito che l’Amministrazione deve avere la ca-pacità di
progettare una forestazione produttiva. Il Comune, al di fuori del
piccolo bosco Soprano, è proprietario di vaste estensioni di boschi?
51
Leggesi, on. Cuffaro: negli anni seguenti, condannato ed incarcerato
(nda).
I
progetti sono di esclusiva competenza degli Ispettorati della
Forestale, nemmeno dell’Assessorato Regionale Agricoltura e
Foreste, ed il con-fronto su questi progetti e sulla ripartizione
delle giornate lavorative avviene solo ed esclusivamente con le
Organizzazioni Sindacali. L’Amministrazione Comunale può solo fare
da sprone per ottenere il massimo. Quello che noi abbiamo fatto è
stato messo in atto soltanto in un momento di emergenza, nella fase
transitoria di prima applicazione della L.R. 16/96, sostituendoci ai
Sindacati perché sappiamo fare anco-ra ed anche quello che
istituzionalmente appartiene al Sindacato.
È
stato scritto nel programma del geom. Fabio che bisogna “amplia-re
le zone di forestazione già esistenti, ed individuarne delle nuove,
il tutto per incrementare le possibilità lavorative nel settore”.
Giustissi-mo. Ma il Comune ha i soldi per acquistare terreni da
rimboschire? Oppure si vogliono rimboschire quelli comunali, in
contrada Petrusa? Gli allevatori e gli affittuari dei terreni della
Petrusa cosa ne pensano? O si vuole invitare l’ESA a rimboschire i
terreni a pascolo di Botti? È stato chiesto alla Cooperativa di
allevatori cosa ne pensa? Queste mie considerazioni nascono dal fatto
che ho conoscenza di siffatti problemi avendoli dovuti affrontare in
diverse occasioni.
Vorrei
ricordarvi che stiamo votando per il Sindaco del Comune di Longi e
non per i deputati dell’Assemblea Regionale siciliana o della
Camera. Stiamo decidendo sui programmi presentati e sulle potenziali
capacità ad amministrare il Comune da parte dei relativi candidati.
Sono convinto, pertanto, che esiste una maggioranza silenziosa che ha
già deciso, una maggioranza formata da gente saggia e che vuole la
stabilità e la pace.
Sono
i principi della pace, della giustizia, dell’eguaglianza, della
soli-darietà, che voglio portare ancora avanti. La pace, che si
fonda sulla ve-rità, sul ragionamento. La giustizia sociale, che si
amministra rispet-tando le leggi e riconoscendo il diritto a coloro
che ne abbiano i requi-siti. L’eguaglianza, che si attua nel non
discriminare i cittadini. La soli-darietà, che trova riscontro
nell’amare i propri simili, nell’aiutarli quando hanno bisogno,
nello stare loro accanto quando sono ammalati o sono nel dolore, nel
rispettare tutti coloro che ci stanno attorno trat-tandoli con
dignità e con spirito di amicizia. So che questi principi so-no
radicati in grandissima parte della gente di Longi: dobbiamo solo
alimentarli e coltivarli perché praticandoli andremo incontro a
quella necessaria collaborazione affinché il paese possa andare
avanti con rinnovata speranza verso il futuro, quel futuro che ci
proietta già verso il terzo millennio. Sta a noi iniziare bene il
cammino verso il nuovo se-colo, verso la nuova era.
Concludo
con il famoso detto di Pericle: “sapere quello che va fatto ed
essere capace di spiegarlo, amare il proprio paese ed essere
incorrut-tibile sono le qualità necessarie ad un uomo che vuole
governare la propria città”.
Io
amo Longi come si può amare una donna dalla quale si è stati a
lungo lontani, che si è sempre amata e che finalmente si è
ritrovata.
W
i longesi, W i Lavoratori, W Longi.
Perchè
ho perso (le elezioni ed il “rinnovamento”)
Così
Giorgio Bocca sulla Sicilia: “Il
peso di eredità culturali e civili seco-lari è duro da portare,
difficile da eliminare; i pregiudizi, i privilegi, le abi-tudini, le
chiusure di un sistema feudale che ha ignorato per secoli le li-bertà
comunali e la democrazia corporativa non si cancellano in pochi
decenni”.
Io, invece, volevo rivoluzionare il sistema locale in pochi anni.
Figuriamoci!
Secondo
alcune voci, ho perso la mia battaglia, e quindi la carica, con le
elezioni amministrative del 30 novembre 1997, perché:
- ho cacciato dalla Giunta l’assessore R. M. M., il quale atto sarebbe passato in secondo piano se avessi realizzato grandi cose;
- ho detto, nell’apposito comizio, che non avrei fatto ricorso al T.A.R. contro il Referendum per la rimozione del Sindaco ed invece l’ho fatto;
- mi prendevo l’indennità di carica;
- ho fatto il comizio sulla perduta eredità, da parte del Comune, del-la Duchessa D’Ossada, con le implicazioni future che ne sono deri-vate.
Credo
di aver fornito le più ampie delucidazioni a tutte queste
osser-vazioni nelle pagine precedenti.
Chissà
perché la gente vuole ricordare le cose che ad essa non piac-ciono e
dimentica, invece, quelle buone, le quali, peraltro, secondo
un’ambigua e non corretta consuetudine, vengono azzerate nei
con-fronti di chi viene bocciato alle urne. Ed allora, poiché
“repetita
iuvant”,
in aggiunta alle motivazioni, già esposte, che mi hanno indotto al
com-portamento riferito alle accuse sopra elencate, per quanti
fingono di avere la memoria corta, mi permetto di ripetermi.
Per
le “grandi cose”: 1°) sono stati da me azzerati i decennali
debiti miliardari del Comune; 2°) il progetto per fare arrivare
l’acqua potabile al paese era bloccato ed io ho sormontato tutti
gli ostacoli tecnico burocratici e gli atti di ostruzionismo,
riuscendo a fare iniziare i lavori allo scadere del mio mandato; 3°)
il sogno trentennale dei braccianti forestali per la strada
Botti-Barrilà è diventato una realtà; 4°) sono riu-scito a far
finanziare il primo tratto del Collettore della rete fognante per un
importo di due miliardi; 5°) è stata costruita la rete idrica nelle
Contrade, che si doveva collegare all’acquedotto proveniente dalla
sor-gente Tre Schicci; 6°) è stato inserito nel programma regionale
l’importo necessario alla costruzione di n. trenta alloggi
popolari.
Queste
sono soltanto le realizzazioni più importanti. Sono poche? Sono
piccole cose? Non bisogna dimenticare il fuoco di sbarramento che ho
dovuto subire da parte dei “panzer”, avversari, o meglio nemici.
Tenterò,
quindi, di fare una personale e cruda analisi politica e socia-le,
necessariamente impietosa, ma reale ed obiettiva, per capire io
stes-so, ancor di più, l’ambiente, quello al quale anch’io mi
onoro di appar-tenere, essendo figlio di questa terra.
Tre
giorni prima delle votazioni, esattamente giovedì 27 novembre 1997,
misi insieme alcuni tasselli in mio possesso, provenienti da
co-gnizioni contingenti e da intuizioni, i quali mi portarono a
prevedere che avrei perso le elezioni e che vincente sarebbe stato il
candidato Ni-no Fabio.
Il
comportamento freddo e distaccato della gente ai miei comizi, la
paura di avvicinarsi a me anche per un saluto, l’accoglienza
ambigua in alcune case, la frantumazione dei voti tra più liste in
talune famiglie, il disimpegno di alcuni amici, nonché il
voltafaccia o addirittura il tradi-mento da parte di persone che
avevo aiutato, mi delinearono nettamen-te il quadro della situazione
in divenire. Tra queste persone, una, prima a me vicina e da me
sempre favorita nelle cose possibili, ebbe a candi-darsi, senza darmi
alcuna spiegazione, con Fabio, togliendomi all’incirca qualche
centinaio di voti.
Ho
affermato, a ragion veduta, che c’è stato anche un disimpegno da
parte di alcuni amici, se non addirittura il loro voto o una sommessa
propaganda contrari. Infatti, per quanto riguarda il disimpegno,
debbo riferire che, a distanza di un paio di anni dalle avvenute
votazioni, ven-ne a trovarmi una persona per pregarmi di un grosso
favore. Candida-mente ebbe a dichiararmi che nel 1993 aveva votato
per me perché il suo medico l’ebbe ad invitare in tal senso;
invece, nel 1997, non essen-do stata nuovamente dallo stesso
contattata, diede il proprio voto e quello della sua famiglia al
candidato F.. Questa notizia confermò il fondato dubbio, non solo
mio, ma anche di altri miei compagni di cor-data, che nel 1997 il
predetto mio amico – ed amiche erano anche le nostre rispettive
consorti – non si prodigò ad assicurarmi il centinaio di voti, e
forse anche più, della prima volta. E dire che quel professionista
era stato preferito e privilegiato quale persona cui affidare
incarichi particolari e di prestigio. Che cosa era avvenuto? Credo di
potere incastonare un tassello in questo quadro di disimpegno
politico da parte del medico. Alcuni mesi dopo le votazioni
amministrative, in occasione del rinnovo delle cariche sociali
all’interno della Banca locale, quell’uomo fu eletto Vice
Presidente, mentre l’ing. Z. ne divenne il Presidente.
Quest’avvenimento la-sciò perplesse, oltre che me, parecchie
persone, in quanto era notorio che tra loro non correva buon sangue,
anzi, incontrandosi, non si salu-tavano nemmeno a causa di una
vecchia lite tra i due. Ebbene, cono-scendo la predisposizione a
mettere in piedi fantasiose strategie politi-che da parte di L. Z., è
possibile ipotizzare un accordo segre-to, intervenuto per il tramite
di un loro noto comune amico, secondo il quale i due, mettendo
insieme le proprie forze, avrebbero osteggiato la riconferma del
Presidente uscente, dr. C., il quale era forte dell’ottimo lavoro
svolto al servizio della Banca. La condizione cape-stro, però,
sarebbe stata quella che il medico si sarebbe dovuto disim-pegnare
dall’appoggiare elettoralmente la mia persona, in quanto Z. sapeva
perfettamente cosa ciò significava per me e per egli stesso; questi
fu candidato peraltro quale Assessore nella lista di F. Non è
fantapolitica la mia supposizione, bensì real-politica, ispirata da
fatti e supportata dalla conoscenza dei contorni e degli scenari in
cui, al suo interno, si muovono, in maniera spregiudicata, taluni
soggetti. I fatti sono chiaramente visibili ed “hanno la testa
dura”, diceva Max.
Tornando
di nuovo alla competizione elettorale, la situazione stri-sciante si
acclarò ancora più distintamente quando mi comunicarono che
l’anzidetto Assessore in “pectore”, della lista n. 3 (Insieme
per Lon-gi), andava ricontattando alcune persone dicendo loro che
avevo perso le elezioni e che bastavano pochi voti al suo candidato a
Sindaco per potere vincere: questa astuzia fu sufficiente a far
spostare parecchi voti dalla mia persona a quella di C. F.. Il
richiamato comporta-mento delle persone su riferite spiega il basso
numero di consensi da me riportato.
Nel
contempo, rispetto alle previsioni di qualche mese prima, N. F., che
era dato per perdente, recuperò in effetti terreno attraverso
fortunose operazioni politiche ed organizzative. Pur tuttavia, sino
ad una decina di giorni prima della data delle votazioni, veniva
prefigurato un duello all’ultimo voto tra me e F.. Ma per noi due
la torta da spartire era quasi la stessa di quattro anni addietro,
quella che mi aveva portato alla clamorosa vittoria, con l’aggiunta
degli astenuti di allora. Mancava qualche fragola che N. F. era
riuscito a mettere nel suo panierino..
La
considerazione su questi ultimi fatti m’indusse ad incontrarmi
se-gretamente con una persona molto riservata, L. L., candidato nella
lista di Frusteri, per affidargli un messaggio circa la necessità di
trovare “in extremis” una soluzione politica se non si voleva
consegnare il paese nelle mani della parte più retriva degli ex
democristiani, nonché di op-portunisti, che a loro si erano
aggregati, candidandosi, per conseguire, come poi lo conseguirono, un
interesse personale. La risposta da parte di F. fu negativa, perché
era certissimo di vincere. Il risultato confermò la mia intuizione
politica e C, F., ubriacato per la vittoria che gli facevano
intravedere come sicura, ma certamente in buona fede, fece arretrare
il Comune di Longi su posizioni da “prima repubblica”. Alcuni
suoi amici, però, non se ne fecero uno scrupolo né si dolsero per
la perdita, giacché avevano raggiunto in ogni caso un obiettivo, che
era quello di scalzarmi dal Comune. Infatti, quando ebbi a proporre
al dr. F. di avanzare, insieme, ricorso al T.A.R. per chiedere
l’annullamento delle votazioni in quanto esistevano delle
te-stimonianze che due Presidenti di Seggio elettorale, nel corso
delle operazioni di voto, avevano aperto l’urna, contenente le
schede votate, mettendovi dentro le mani, la risposta, da parte del
mio avversario, fu negativa, sebbene il pensiero contrario di alcuni
suoi candidati al Con-siglio Comunale.
Il
post-comunista F., il quale aveva assunto la funzione, nei miei
confronti, di giustizialista politico, al grido di alcuni suoi
accoliti “fuori Zingales”, tentò in un primo momento di mettere
insieme, con-tro di me, il diavolo e l’acqua santa offrendo ad un
ex Sindaco – non longese – uno degli artefici della nota eredità
amministrativa pervenu-tami, di capeggiare “la sua lista”. Non vi
riuscì, il diavolo e l’acqua san-ta presero ognuno la loro strada,
ma egli ebbe la capacità di compatta-re personaggi, da me rifiutati
sul piano politico e tra loro divergenti sia politicamente, sia sul
piano del raggiungimento degli obiettivi non coincidenti; in
quest’operazione, coinvolse anche alcuni spiriti liberi, che
precedentemente avevano dichiarato di volersi schierare con me, sol
perché suoi parenti o affini dal punto di vista ideologico.
Considerata
la quota, quasi fissa, attribuibile agli ex democristiani (circa 450
voti), più quelli convergenti, attraverso altri accordi politici,
verso la lista di F., i restanti 750 voti circa (imputabili ai
cosiddetti progressisti nel bipolarismo comunale di Longi), su quasi
1300 votanti, dovevano essere ripartiti tra me e F.. La sua poca
lungimiranza ed arroganza politica, però, nel pretendere di
attribuirsi un numero di voti superiore a quelli che avrebbe ottenuto
N. F., preconizzando per me meno di duecento voti, portarono al
risultato che la maggioran-za dei longesi (progressista) ha dovuto
subire lo smacco di essere amministrata da una minoranza politica
(conservatrice, per volere usare un eufemismo).
Due
errori politici sono troppi
A
proposito di questo personaggio c’è da dire che, nel mese di
agosto del 2001, in occasione di un lungo colloquio che ho avuto,
presso la se-zione locale del CAI, alla presenza di altre persone,
con lo stesso F., leader, peraltro, della coalizione politicamente
minoritaria in se-no al Consiglio Comunale, si condivise, da entrambe
le parti, di perve-nire ad un incontro collegiale dei due gruppi,
sconfitti alle scorse ele-zioni amministrative, laddove, alla
pari,
si sarebbe discusso innanzi-tutto sulla stesura di un progetto per il
rilancio ed il recupero economi-co del paese, mentre,
successivamente, si sarebbe affrontato il discorso sui nominativi di
coloro che avrebbero dovuto gestire siffatto progetto. Non doveva
esserci, quindi, in partenza, alcun candidato designato a qualsiasi
carica, nemmeno a quella di Sindaco.
A
distanza di un paio di mesi, seppi che il raggruppamento politico
minoritario in Consiglio Comunale aveva deciso, per conto suo, la
stra-da da seguire indicando anche il proprio candidato a Sindaco: S.
L.. Fui, indi, contattato per un’aggregazione formale, che si
sa-rebbe dovuta sostanziare in termini di segnalazione di qualche mio
amico da candidare (sic!).
Risposi
di appartenere a quei pochi che credono in taluni principi, tra i
quali quello dell’esistenza di un’etica politica che prevede
anche “un modo nelle cose” ed il rispetto degli impegni che si
assumono.
F.
vinse nuovamente le elezioni, riportando 671 voti, contro i 540 di
L..
Non
si può far altro che desumere, alla luce dei fatti avvenuti in
que-sti ultimi cinque anni, che questa seconda vittoria, assieme alla
prece-dente, sia da imputare ai due errori politici di C. F. o, se
vo-gliamo, del suo gruppo per l’acredine nei miei confronti. Il
primo fu commesso nel 1997, quando insistette nella formazione di una
terza li-sta per sconfiggere me, Sindaco uscente, e non F. e me; il
secondo venne consumato in quest’ultima tornata elettorale del
2002, nel mo-mento in cui F. venne meno all’impegno assunto con me,
nell’agosto dello scorso anno, e volle forzare la mano designando o
fa-cendo designare, unilateralmente, il candidato a Sindaco senza la
mia compartecipazione e del mio gruppo politico.
Errori
le cui conseguenze sono ricadute e continueranno a ricadere sul paese
e sui longesi che vogliono guardare al futuro, in quanto circa
duecento persone hanno dimostrato di avere una memoria… lunga dei
fatti accaduti, negli anni, nel paese di Longi.
***
A
distanza di alcuni mesi dall’esito elettorale del 1997, una persona
mi ha detto: «Sindaco, lei non è stato rieletto perché dava
fastidio. È stato un bene per lei.»
Questa
spontanea confessione mi ha sconvolto perché il “fastidio”, nel
gergo dell’estremismo politico, prelude, in genere, ad iniziative
cruente. Mi sono posto, quindi, alcune domande.
Forse
ho dato “fastidio” perché ho denunciato, nel famoso comizio del
23 marzo 1994, il motivo per cui il Comune ha accumulato la mon-tagna
dei debiti miliardari con la perdita del patrimonio testamentario,
che avrebbe dovuto ereditare dalla Duchessa d’Ossada? Oppure perché
ho revocato la nomina ad Assessore a due persone, all’una per
scarso rendimento ed assenteismo, all’altra per non aver voluto
tenere conto del mio programma mettendomi in minoranza all’interno
della Giunta? Oppure perché ho revocato la delega di Vice Sindaco ad
un Assessore che lavorava in maniera del tutto opposta a quelli che
erano l’indirizzo politico ed il metodo di gestione assunti dalla
Giunta? O, ancora, per-ché ho fatto ruotare tutti gli artigiani
locali nei lavori che il Comune doveva effettuare e non ho fatto
lavorare, invece, solo pochi amici, co-me d’uso per il passato?
Perché ho stabilito, attraverso un sorteggio, i turni rotativi di
tutti coloro che erano iscritti al Comune quali Direttori ed
Istruttori di Cantiere? Perché ho fatto pagare le tasse anche a quei
cittadini che avevano procurato un buco debitorio per il consumo
dell’acqua potabile ed avevo dato incarico ad un tributarista di
effettua-re controlli per il pagamento dell’ICI, dalle cui voci
d’entrata risultava un’alta evasione fiscale rispetto alle
previsioni? Perché ho trattato con equità e giustizia tutti i
cittadini, senza discriminazione alcuna? Perché ho cercato di
riorganizzare gli Uffici comunali, sia attraverso la pretesa del
dovere quotidiano nell’ambito del proprio lavoro, sia presentando
una moderna ed innovativa ipotesi di pianta organica del personale?
Ed infine, perché non ho accettato imposizioni e condizionamenti da
parte del gruppo politico che originariamente mi sostenne, nel
momen-to in cui mi si volevano imporre alcuni nomi di Assessori, da
me non graditi, ponendomi nel contempo il veto su altri (da me
prescelti, ma poi dimessisi), i quali, al colmo dell’incoerenza,
furono accolti nella lo-ro lista quando lo stesso gruppo scese in
campo contro di me?
Se
questo “fastidio” era percepito da quasi tutti i longesi, hanno
fatto bene a non votarmi. Se questa sensazione, invece, era avvertita
solo da alcuni perché non li ho lasciati fare ciò che avrebbero
voluto, impo-nendomi cioè una gestione dalle scelte non obiettive, o
avere essi le mani libere nella politica amministrativa, allora la
cosa assume aspetto ben più grave ed allarmante, dal momento in cui
ho preteso
l’applicazione
di metodi e norme ispirate a principi di giustizia, di equi-tà, di
obiettività, di trasparenza e di pulizia morale. La cosa è
veramen-te drammatica in quanto, in presenza di questi motivi, sono
stati ascol-tati ed assecondati da una consistente fetta di elettori.
In entrambi i ca-si, pur tuttavia, in una valutazione non certamente
serena ed oggettiva, in riferimento alle negatività, che mi sono
state imputate, la gente ha ritenuto più gravi quelle di cui sono
stato accusato, mentre non ha te-nuto in alcun conto la positività
dei difficilissimi obiettivi da me rag-giunti, che sono stati, mi sia
consentito ribadirlo, più consistenti e più ragguardevoli rispetto
alle medesime negatività, considerata la situa-zione di inagibilità
politico-amministrativa per l’avversione preconcetta e
pregiudiziale nei miei confronti.
Il
mio sconvolgimento deriva da una riflessione sulla storia moderna,
piena di gente che dava “fastidio” alle forze reazionarie, ai
malavitosi, ai regimi autoritari, i quali non seppero fare di meglio
se non di elimi-narli fisicamente. Matteotti, Moro, Dalla Chiesa,
Falcone, Borsellino, Kennedy, Martin Luther King, Gandhi furono
barbaramente trucidati perché portavano avanti principi di
democrazia, di avanzamento e di giustizia sociale, di rettitudine
morale. Lungi da me il benché minimo intendimento di voler
effettuare una trasposizione ideale di questi Grandi della storia
nazionale e mondiale nel microcosmo longese e di volermi accostare ad
Essi nel momento in cui ho cercato di applicare i loro stessi
principi, che avevo raccolto nei campi seminati dalle forze sane del
progresso e del lavoro. Ma, nel mio cogitare, mi è venuto alla mente
il metodo che viene assunto dalle forze oscure ed inquietanti del-la
reazione nel momento in cui hanno un qualche “fastidio” da parte
di qualcuno. Tutto sommato, quindi, a me è andata bene avendo avuto
a che fare con “infastiditi”, che vivono in un ambiente in cui
certe inizia-tive cruente non sono percorribili.
Ho
ripercorso, però, tutti gli atti intimidatori nei miei confronti,
po-sti in essere dal 1995 in poi. Prima una serie di volantini
anonimi, avve-lenati, pieni di falsità ed offensivi per me e per
alcuni membri della mia famiglia; poi, il taglio delle gomme della
mia macchina ed il tentativo di distruzione degli alberelli, da poco
piantati, nella Via Roma, laddove è ubicato il Municipio e, quindi,
l’Ufficio del Sindaco. Opere di balordi oppure messaggi
d’intimidazione politica, che hanno preferito stoppare
momentaneamente per attendere la giusta scadenza “per farmi fuori”
democraticamente?
“Bisogna
far fuori il Sindaco Zingales; non importa chi dovrà essere il
prossimo Sindaco”, erano parole che circolavano prima e durante la
campagna elettorale del novembre ’97.
A
Palermo ci si ricorda, negli ambienti culturali, di una definizione
della città data da Fausto Flaccovio: “È una città che dedica
tutta la sua passione ai pensieri, più o meno profondi, sulle cose
che non accadono; ma appena qualcosa di vitale accade, gli stessi
filosofi della malinconia del fare diventano cani idrofobi,
miserabili diffamatori, invidiosissimi dissacratori”. Ritengo che
questa massima, per l’occasione, possa esse-re calata, pari pari,
nel nostro paese.
È
indubbio che non un programma politico alternativo al mio, ma le
critiche distruttive, le basse insinuazioni, le bugie e le
denigrazioni, che, messe insieme, hanno dato corpo ad un disegno
strategico ben preciso ed hanno contribuito a convincere quelle
persone che non ave-vano seguito la mia attività al servizio del
paese, che non avevano ascoltato i miei non pochi comizi o non
avevano creduto, pregiudi-zialmente, a ciò che avevo detto. Infatti,
circa 400 persone hanno volta-to le spalle a chi, quattro anni
addietro, avevano eletto, in maniera ple-biscitaria quasi, a loro
Sindaco. È stato un fenomeno che non trova ri-scontri, né
precedenti, in altre comunità; nemmeno nel nostro paese era mai
accaduto che un Sindaco uscente fosse sconfitto con tale di-stacco di
voti. Si spiegano, a questo punto, taluni comportamenti di al-cuni
longesi. Dagli applausi ai miei primi comizi si passò tutto di un
tratto al silenzio più assoluto in quelli successivi ed in quelli
finali; pa-recchie persone, interpellate ed invitate a far parte
della mia lista, nel rifiutare, addussero le scuse più banali ed
inconsistenti motivazioni. Tutto ciò significava che taluni
personaggi erano riusciti a fare attorno a me terra bruciata.
Sarei
fazioso, però, ed incompleto nell’analisi se dessi tutte le colpe
della mia sconfitta ai sunnominati elettori, ai quattrocento, cioè,
che mi hanno voltato le spalle.
Le
facili promesse riescono a trovare terreno fertile, anche se
l’assunzione d’impegno nel mantenerle dipende in larga parte da
diver-se circostanze, estranee alla volontà di chi promette, e sono
in ogni ca-so condizionate da molteplici fattori, talvolta esterni
all’ambiente in cui si opera. Mi riferisco a qualche candidato, mio
avversario, che ha men-tito, sapendo di mentire, ed ha così carpito
il voto ad alcuni elettori mortificando, nel medesimo tempo, la loro
libera volontà individuale. Essi sono caduti in una trappola,
consci, però, di sbagliare la loro espressione di voto dal momento
in cui erano a conoscenza che erano state mantenute le promesse fatte
in pubblico comizio da parte di chi aveva sempre parlato chiaro e
senza infingimenti di sorta, da chi aveva trattato paritariamente
tutti i cittadini, avversari ed amici, da chi si era impegnato nella
difesa del loro diritto al lavoro. È stato un incontro, in acque
torbide, tra un pescatore malizioso, furbo, ma bugiardo, ed i pe-sci
in cerca di… cibo, i quali hanno abboccato all’esca di bugie
drogate, essendo, tra gli animali, quelli più stupidi.
Altra
componente che ha giocato un suo ruolo è quella caratteriale insita
in alcuni spiriti amanti dell’avventura. Costoro hanno rifiutato la
strada giusta e certa, che già conoscevano, per incamminarsi in
quella ignota, desiderando forse… la luna. A costoro è andata a
finire, però, come quel noto Brancaleone… L’avventura, infatti,
si è rivelata un “boomerang”, in quanto la continua ricerca del
nuovo e l’irrequietezza, che consegue al desiderio di avere sempre
di più, ha determinato, nel paese, una situazione statica, se non
involutiva. Questi spiriti avventu-rosi, che ieri hanno votato per
chi non conoscevano sul piano politico ed amministrativo, domani
voteranno per un altro candidato, magari di uno schieramento opposto
a quello di prima, per il semplice gusto di cambiare.
In
aggiunta alle anzidette considerazioni, un altro dato importante
ritengo che abbia determinato la mia sconfitta. Eravamo in campo
ol-tre 40 persone divise nelle tre liste: era la prima volta che ciò
succedeva nel nostro paese. Ognuno dei candidati poteva contare
sull’appoggio di parenti ed amici sinceri e si è assistito,
pertanto, ad una frantumazione del voto anche all’interno di un
medesimo nucleo familiare, che si è trovato ad avere candidati in
più liste. Non si è votato, quindi, in ma-niera omogenea ed
obiettiva, per il programma e per l’uomo politico che desse
maggiori garanzie, ma per il parente o l’amico, non importa se
capace o incapace, buono o cattivo, colto o ignorante. Ed io, a
Longi, non ho cordate di parenti; ho potuto constatare, però, con
vero piacere, di avere circa 60 persone, tra amici ed estimatori, che
hanno dato il vo-to solo a me, ma non alla mia lista. Alcuni di
questi sono amici di vec-chia data, altri nuovi, che mi hanno voluto
onorare della loro stima e della loro obiettività di giudizio.
A
chiusura dell’ “excursus” sull’argomento, non posso non
ricordare una frase pronunciata e scritta da un mio avversario
politico, quando vo-leva indurmi alle dimissioni: “Longi non le
appartiene, se ne torni nella sua Palermo”. È ammissibile così
tanto razzismo verso chi non può esse-re considerato un estraneo a
questa terra, essendovi nato, e laddove da se-coli esiste la propria
famiglia, che ha dato due Sindaci al paese, oltre il sottoscritto?
Sono stato considerato un corpo estraneo all’ambiente per-ché non
si è capita o non si è voluta accettare la “nuova impronta”
della gestione amministrativa, che rompeva con i crismi del passato.
“U paler-mitanu” mi chiamavano, perché alcuni longesi hanno
ancora una conce-zione tribale del loro nucleo sociale. Mi spiego
meglio. Estremizzando l’assurdità dell’ipotesi, se si fosse
candidato a Sindaco di Longi, da vivo, il defunto Presidente Pertini,
non sarebbe stato votato perché esiste il con-vincimento, in taluni,
che tutto ciò che è al di fuori del loro microcosmo è solo
tollerato ma non gradito. E ciò per costoro è già una grande
concessione! Di conseguenza, preferiscono i loro capi autoctoni senza
andare a sottilizzare sulle capacità o sul programma presentato o
sui fatti visibili. Qualcuno potrebbe obiettarmi che ciò è falso
poiché, nel 1993, sono stato votato ed eletto a stragrande
maggioranza. È vero, ma il paese allora era nella condizione
politico-amministrativa che ho descritto ad inizio della
pubblicazione, ed aveva bisogno di un uomo che gli togliesse le
castagne dal fuoco. E poiché la gente longese non è per niente
“babba”, capì che bi-sognava cogliere al volo la nuova
opportunità che si presentava. Una vol-ta, però, conseguito il
risultato fondamentale, una parte di questa – l’altra aveva fatto
la propria scelta di campo già nel 1993 – preferì ricondursi
al-la tipicità locale di concepire un certo tipo di gestione del
“suo “paese, laddove gli “amici” del Sindaco e “gli amici
degli amici” possono dettare condizioni nel corso della gestione
stessa. Mi si potrà obiettare che nem-meno questo è vero, giacché
esiste il precedente di un Sindaco non indi-geno e non nativo di
Longi. Allora, come nel 1993, i longesi avevano biso-gno, anche se in
termini assistenziali, di quella persona. Io, invece, non potevo, né
sarei stato disponibile, se avessi potuto, a garantire forme di
clientelismo.
Per
completare il quadro socio -caratteriale dello spaccato locale, non
posso sottacere quanto ho avuto modo di toccare con mano rispetto ad
un fenomeno che è, sì, una caratteristica siciliana – per fortuna
di non tutti i siciliani – e che investe, purtroppo, alcuni
longesi. In diverse oc-casioni sono rimasto impietrito di fronte ad
atteggiamenti di omertà, pur non trovandoci, grazie a Dio, alla
presenza di una realtà locale ma-fiosa.
A
mò di appendice didascalica, per non ingenerare equivoche
inter-pretazioni, rammento che la mafia ha potuto allignare, in
Sicilia, grazie a questa tipicità siciliana, l’omertà; la quale è
nata ed è cresciuta tra un popolo vissuto all’ombra dei feudi e
del vassallaggio. Un popolo, vale a dire, che è stato “schiavo del
bisogno” perché vessato, sfruttato, ricatta-to: ieri, quindi,
invocava le “grazie” del barone e ne subiva spesso le an-gherie
abbassando il capo, nudato della coppola; poi, ha chiesto prote-zione
e favori al padrone del latifondo o dell’azienda o al padrino
poli-tico continuando, però, a subire. Questo silenzio di fronte
alle prepo-tenze, ai torti ricevuti ed ai ricatti ha dato la stura a
quella caratteristi-ca siciliana del tacere, in presenza di
situazioni “a rischio”, per paura di ritorsioni verso coloro che
“parlano troppo”, ma sarebbe più esatto dire che “parlerebbero
a ragione asserendo il vero e l’obiettivamente giusto”. Dal
tacere, innanzi alle ingiustizie e, peggio ancora, a fatti illegali,
di-scende il comportamento omertoso.
Esempi
di omertà a Longi? Tanti. Accennerò ad alcuni. La gente sa che
taluni provvedimenti, iniziative o comportamenti (basta fare mente
locale a quello che accade o è accaduto) non sono giusti, ma li
subisce sottacendo; viene violata la legge, in occasione delle
elezioni ammini-strative del 1997, con l’apertura delle urne da
parte di alcuni presidenti di seggio durante le operazioni di voto,
ebbene, cala il silenzio: non si denuncia, né si ricorre
all’autorità giudiziaria; si evadono le tasse, e nessuno si attiva
perché si ha paura di fare dei nominativi, soprattutto quando tra
questi c’è qualche “pezzo grosso”; non si rispettano i
rego-lamenti e le leggi, ed ancora le bocche si chiudono: e se
qualcuno pro-testa, quello è uno che dà fastidio. Praticamente, è
tuttora presente quella paura connaturata del “padrone” che, “sic
stantibus rebus”,
lo si sublima inducendolo ad innalzarsi al rango di “padrino”, di
nome ma non di fatto, ed in un contesto sociale laddove la mafia non
esiste.
Io
sono del parere che quando ad un uomo si nega, o egli nega a se
stesso, di compiere quelle azioni, quegli atti o l’esternazione del
proprio pensiero, che egli ritiene siano giusti, legittimi ed a
ragion veduta, si nega anche, ed egli toglie a se stesso, la libertà
di vivere la sua vita qua-le normale essere umano, divenendo egli,
così, un parassita o un ani-male che vive in cattività. Di
conseguenza, quell’uomo muore quale soggetto attivo dell’odierna
società civile.
Per
non dilungarmi ulteriormente, la mia sconfitta, in conclu-sione,
ritengo che sia da imputare ragionevolmente alla conver-genza della
complessità dei fattori analizzati e non, invece, deter-minata da
una sola di queste cause: concause, quindi, sociali, per-sonali,
ambientali, riferite al “modus
cogitandi et se gerendi”.
Oggi,
col senno del poi ed avendo avuto contezza di come vengono
considerati ed interpretati i fatti, da parte dei miei concittadini,
se do-vessi rifare alcune delle medesime cose che ho fatto e che,
secondo ta-luni, erano oggetto di penalizzazione, distinguerei due
aspetti. Se fossi chiamato a “risanare”, in un certo arco di
tempo, l’Amministrazione – dopo di che, a casa – adotterei gli
identici provvedimenti ed intrapren-derei le medesime azioni,
ritenendole tuttora opportune ed ineludibili. Se, invece, volessi
candidarmi – cosa alquanto remota e non considera-ta – per
gestire nel tempo e con possibilità di rinnovo dell’incarico,
con-siderata la refrattarietà dell’ambiente a recepire soluzioni
drastiche, al-cune di queste non le dovrei rifare. Ciò
significherebbe una rinuncia, ovviamente, a taluni miei sacrosanti
principi, pur conscio di sbagliare sul piano morale. E questo è
drammatico per chi quei principi ha ac-quisito, come si acquisiscono,
attraverso “conoscenze” umane, sociali, culturali e presenze in
taluni organismi di democrazia partecipativa. A questo punto, è
preferibile la rinuncia alla candidatura.
Tornando
a ripercorrere alcuni fotogrammi dei quattro anni di Sin-daco, mi
torna la visione di alcune persone che mi hanno osteggiato, le quali,
pur peccando nei giorni feriali, attraverso un comportamento, nei
miei confronti, costruito su continue scorrettezze e bugie, la
Dome-nica andavano in chiesa a farsi la Comunione. Siffatto modo
d’essere cattolico non viene né accettato, né consentito
dall’etica cristiana, dai principi attraverso i quali essa opera ed
è presente tra gli uomini. Io, da laico, ma con una solida
educazione cattolica alle spalle, impartitami dai salesiani del
collegio Don Bosco di Palermo, allora uno dei migliori della Sicilia,
non mi sarei mai sognato di operare in quel modo, sleale nei
confronti di Dio, prima, e degli uomini, poi. E la regola vale pure
in politica, quella fatta con onestà e correttezza, che collide,
però, con quell’altra massima, “il fine giustifica i mezzi”,
ispirata da una certa etica rinascimentale, che dai politici dotati
di dirittura morale non può essere accettata, né praticata.
A
conclusione della discettazione sull’argomento – poco culturale,
ma forse alquanto confusamente sociologica – non posso sottacere
l’irrazionalità e l’assurdità di questa vicenda, nel suo
insieme, che ha visto premiato chi, durante i quattro anni di
legislatura, prodigandosi a ingessare l’Amministrazione in carica,
è andato contro gli interessi del-la comunità attraverso un
continuo ed esasperato ostruzionismo; il quale gli ha consentito di
governare il paese, anche se col 40% circa dei consensi elettorali,
mentre chi ha mantenuto gli impegni assunti, nella risoluzione dei
gravosi problemi, è stato bocciato, ed in malo modo. Inoltre, altra
pesante ed inaccettabile constatazione è quella relativa al-la
leggerezza con cui 500 elettori abbiano votato una lista che
com-prendeva candidati che, direttamente o indirettamente, avevano
procu-rato danni alla vita economica e politica del paese.
Sono
stati dei coraggiosi, pertanto, quei candidati della mia lista e quei
260 elettori circa, parte dei quali apertamente si sono schierati con
me sapendo che sarebbe stata una battaglia aspra, ispirata, però, da
traguardi riformistici e d’impegno sociale, morale, economico, per
il la-voro e per la giustizia sociale. A costoro, la Storia del paese
non potrà non riconoscere un suo spazio per aver tentato
democraticamente la rivoluzione sociale.
A
me rimane la grande soddisfazione di essere riuscito laddove altri
non hanno neppure tentato: i pesanti problemi economici, e non, del
paese sono stati eliminati. Ma, assieme a questi dati, sono riuscito
ad imprimere una svolta nei rapporti tra avversari politici. Prima,
tra costoro, c’era l’odio, che coinvolgeva anche i rapporti tra
le rispettive fa-miglie. Oggi, tranne casi isolati che non vogliono
riconoscere la tolle-ranza come un principio della democrazia
avanzata, c’è dialogo e senso di rispetto civico tra avversari,
anche a seguito di un confronto, talvolta duro ed aspro, e sono vive,
soprattutto, unità ed armonia tra le fami-glie, legate da vincoli di
parentela e di amicizia. Anche questo è pro-gresso! Tutto ciò mi
ripaga della pesantezza dei quattro anni di gestio-ne amministrativa,
condivisa unicamente con qualche amico, tra cui principalmente Nino
Carcione, e lenisce l’amarezza delle incompren-sioni, il peso delle
denunce per opera di alcuni concittadini che mi hanno portato ad
avere a che fare con la Magistratura, cosa mai acca-dutami prima.
Sono ferite profonde che hanno segnato la mia vita, an-che sul piano
fisico.
Mi
auguro che il testimone che lascio possa essere raccolto da altri,
che abbiano la mia stessa volontà di operare avendo come obiettivo
il progredire del paese ed i principi morali e sociali, cui mi sono
ispirato durante la mia presenza al Municipio di Longi. Edificio
voluto, escluso il primo piano, postumo, da un mio antenato Sindaco,
il quale fece do-no del legname, occorrente per la sua costruzione,
ricorrendo al taglio dei castagni esistenti nella nostra proprietà
di Crocetta. Io, non avendo beni materiali da donare al Comune, offro
al paese i miei sacrifici fisici e morali, affrontati per quattro
anni, le umiliazioni e le carognate subi-te quale pena per le mie
possibili manchevolezze. Perdono coloro che mi hanno offeso o che
sono stati artefici di azioni violente o incivili o comunque non
corrette, sia sul piano etico sia su quello politico.
“La
non violenza e la verità sono inseparabili e si presuppongono
l’un’altra. Non c’è alcun dio al di sopra della verità”.
Gandhi
Nota.
La stesura di questo scritto, relativo alla descrizione della mia
gestione del Comune, ha avuto inizio qualche anno dopo la fi-ne della
stessa ed è terminata un paio di anni dopo: per questo motivo alcuni
verbi non sono stati usati al passato remoto.
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