30 dicembre, 2019

Gaetano Zingales
Tra Krastos e Demenna

Viaggio attraverso la storia e la leggenda

Quaderni culturali di GiZeta
© Copyright 2009 - Tutti i diritti riservati
Gaetano Zingales

Tra Krastos e Demenna…
Ricerca documentale
Graffiti sul Pizzo del Crasto: antica nave.

Krastos era sui Monti Sicani
Perché “Rocche del Crasto”?
Una fortezza sul Pizzo di S. Nicola
Longi “neonata” in Contrada S. Pietro,
Demenna in Contrada Lemina
Scavi archeologici, sul territorio demennita,
potrebbero portare alla luce
uno spaccato di una civiltà poco conosciuta

Premessa

La ricerca cambia le “carte in tavola”

Soffermandosi sui ruderi archeologici della città
esistita nei dintorni del Pizzo del Crasto, cima più alta delle
Rocche omonime, il Surdi, nel 1700, scriveva: “fino ad oggi si
scavano lapidi, mattoni e vestigi di fabbriche”. Lo studioso,
quindi, ebbe l’opportunità di vedere personalmente quelle
rovine.
In tre secoli poco si è salvato, in superficie, dalle razzie
operate per mano degli uomini; ma la coltre di terra, spessa
mille anni, dovrebbe avere conservate le tracce di quella
civiltà.
Con una certosina ricerca ho consultato documenti o
frammenti di essi, nonchè le poche notizie che contengono un
riferimento al territorio attorno alle Rocche del Crasto, ma
non solo ad esse. Mi adopererò di sviluppare, pertanto, una
mia riflessione per un umile contributo documentale. Che è
stato aggiornato ed integrato attraverso quel rivoluzionario
strumento fornito dalla navigazione su internet: fonte
sorprendente di notizie, talora non immaginabili. Il lavoro è
da considerare niente altro che un modesto intervento che
serva, al pari di altri, a dipanare le tenebre sull’affascinante
dilemma relativo all’ubicazione dell’antica città di Krastos,
nonché all’esistenza di Demenna. Capitale bizantina,
quest’ultima, ma anche siciliana, della resistenza cristiana e
militare alla presenza islamica in terra di Sicilia.
Sull’argomento esiste una diversità di documenti scritti
da alcuni studiosi, in antitesi l’uno con l’altro. Da gran parte
di loro viene data per scontata l’esistenza dei siti delle
antiche città di Krastos e di Demenna rispettivamente sulle
Rocche del Crasto, a cavallo tra Longi ed Alcara, e dove
sorgeva Aluntio, oggi S. Marco d’Alunzio.
Di contro, le conclusioni, cui perviene la mia ricerca
documentale, stravolgono ciò che era dato per notoriamente
acquisito.
Partendo dai dati emersi attraverso la ricerca su
internet, le cui fonti informative non erano globalmente
consultabili prima dell’evento mediatico, ed integrati da
convincente documentazione cartacea, ho dovuto riconsiderare
quello che prima anch’io ritenevo scontato e “cambiare le carte
in tavola”. Attraverso i documenti visionati, pertanto, mi
sento di affermare – tranne che ulteriori testimonianze non
dimostrino il contrario – che Demenna, esistita dal VI al X
secolo d.C., sia da ricercare nella zona territoriale ricadente
tra le pendici del Pizzo del Crasto, quelle del Pizzo di S.
Nicola e la contrada Lemina. Emerge, inoltre, anche per
mezzo di attestazioni contemporanee, che la sicana Krastos
abbia avuta la sua culla sui monti Sicani, a sud ovest della
Sicilia, probabilmente sino al 405 a.C., anno in cui venne
distrutta dai cartaginesi. Ma è altresì ipotizzabile che, prima
di Demenna, su quel territorio ci sia stato un insediamento
umano, verosimilmente siculo e non sicano, databile , quindi,
persino a qualche millennio precedente.
La tesi “Demenna uguale Aluntio” viene costruita, da
parte dei suoi sostenitori, su ragionamenti riferiti a fatti ed
eventi storici, succedutisi qualche secolo dopo la distruzione
della città bizantina.
L’ultima parola, ovviamente, la potranno esclamare gli
opportuni scavi archeologici.

ANALISI

KRASTOS
A nord-est della Sicilia?

Una parte della storiografia colloca Krastos nella zona
territoriale, in provincia di Messina, compresa tra Alcara li Fusi
e Longi, esattamente in Contrada S. Fantino. Così sostenne,
infatti, Tommaso Fazello, nel sec. XVI: "Nei colli di sopra –
Alunzio - si vede lontano cinque miglia Militello e Alcara e poco
lungi da lì si vede la rovinata città di Castro, ….E sopra Alcara,
a quattro miglia, è il Castel Lungo, da cui è un miglio lontano
Galati". E’ da notare che Fazello scrive Castro e non Crasto.
Perché?
Il prof. Camillo Filangeri ed una serie di scrittori
andarono dietro questa tesi.
A sud-ovest della Sicilia?
Altri ricercatori e taluni storici danno in vita questa città
nel territorio della Sicilia occidentale.
Nella "relazione storica sulla viticoltura nei territori dei
Comuni di: Monreale, San Giuseppe Jato, San Cipirello, Piana
degli Albanesi, Santa Cristina Gela, Camporeale, Corleone,",
allegata alla richiesta del marchio VINI D.O.C. "MONREALE" ,
dell’ottobre 1998, si legge che …."...Oltre a Jato, in questo
territorio, nacquero, vissero e scomparvero città come Entella,
Adranon, Ippana, e molte altre, soprattutto città sicane, non
ancora individuate sul territorio, ma delle quali gli storici
riportano le denominazioni: certamente si trovavano all’interno
del territorio in esame Hiccara, Makella e Schera;
probabilmente anche Indara, Crastos, Uessa, Miskera, Adrix.
Tale territorio risentì inoltre l’influenza di importanti città
finitime: Agrigento, Caltabellotta, Selinunte, Segesta, Lilibeo-
Marsala, Erice, Panormo."….
Da una pubblicazione, relativa al territorio di
Campobello di Licata, citiamo alcuni passaggi. "Nel 461 a.C…..
avvenne la battaglia presso Crastòs tra Gelesi e
Himeresi"…."Anche il papiro di Ossirinco recita: l’esercito degli
Agrigentini contro Crastòs"….(Filisto). "Nel 405 a.C. , sostiene
Diodoro, i Cartaginesi occupano tutta la Sicilia meridionale fino
alle porte di Siracusa distruggendo Agrigento, Crastòs, Kakiron,
Mactorion, Gela e Camarina."
In Internet, sul Sito archeologico del Museo di Gela, in un
documento , a firma di Rosalba Panvini, riguardante i
"Principali avvenimenti storici", si legge che nel 470-460 a.C.,
Gela affronta la città indigena di Krastòs".
Lillo Novella, nel libro su Naro, relativamente alle origini
della cittadina, scrive che “altri ancora, la vogliono identificare
con l'antica Κράστος. …..“Nell'area emergono tracce di un
tempio, incorporato in una cinta fortificata risalente alla metà
del VI secolo a.C., resti di abitazioni, di una strada intagliata
nella pietra calcarea, frammenti di ceramica risalenti alla prima
facies dell'età del bronzo e della cultura di Thapsos. …… Nella
valle sottostante si notano mucchi di pietre con strane incisioni ,
resti di edifici (forse religiosi) di qualche sconosciuta civiltà
(punica?)”.
Lo storico ravanusano Ugo Bella, dal canto suo, scrive :
"Ho scoperto una città preistorica, si chiamava Crastos". Il testo
è stato ripreso da alcuni quotidiani siciliani, che hanno scritto,
tra l’altro, che malgrado sia difficile stabilirne il nome, " si può
azzardare l’ipotesi che possa trattarsi di Crastos, città sicana
posta sulla destra del Salso, che aveva donne bellissime (l’etera
Taide) e patria del comico Epicarmo, dove esisteva un tempio
dedicato a Minerva Crastia…. La cittadella interessa circa
venticinque ettari di terreno e si trova in territorio di Naro….
Raggiunge i 450 metri d’altitudine… dall’altura è possibile
vedere l’Etna, le Madonie, ed il Monte Saraceno…."….Il sito …
fu sicuramente sede di insediamenti preistorici. Sono, infatti,
presenti tombe a grotticella artificiale e frammenti ceramici della
cultura di Thapsos."… (che proverebbero che in queste contrade
esisteva un villaggio sicano) …
Ad integrazione di quanto scritto da Bella e da Novella,
per arricchire quindi il quadro storico ed archeologico da loro
configurato, aggiungerò alcune annotazioni tratte da autori vari.
Luisa Bocciero, in un suo lavoro sulla “Megale Hellàs”,
asserisce: “ … i Greci …hanno sempre cercato di ritrovare nei
luoghi stessi la patria che malvolentieri avevano lasciato… Nello
spostarsi da una terra all’altra, i Greci cercano di ricreare lo
spazio della città…. così come lo avevano lasciato in patria”.
L’antica Sibari, infatti, ne è un esempio. Gli Achei, che la
fondarono, ad un fiume, che vi scorreva e vi scorre vicino,
diedero lo stesso nome di un corso d’acqua esistente nella loro
terra d’origine: c’è un Krathis in Acaia e c’era un Crathis nella
piana di Sibari. Non solo. C’era un tempio dedicato alla dea
Atena sulle rive del detto fiume greco, che le attribuì l’ epiteto di
Kratia; parimenti, dallo spartano Dorieo, per ringraziarla di
avergli concesso la conquista della città di Sibari, venne
edificato, sul letto disseccato del Crathis (acheo) in terra di
Calabria, un tempio in onore di Atena Cratia .
Nel riferirci quest’ultimo episodio, Erodoto, nel V secolo
a.C. continua a raccontare che Dorieo, assieme ad altri coloni
spartiati, arrivò in Sicilia e combattè nei pressi di Segesta.
Sembra che abbia fondato – secondo Filisto - Eraclea Minoa,
colonia di Selinunte, nonché addirittura Krastos. Città, queste,
finitime. Il nome Krastos potrebbe essere una rimodulazione
della Krati Achea o di krastis (pascolo fresco); il luogo era
lambito anch’esso da un fiume, l’antico Imera. Nulla di strano,
quindi, che Dorieo abbia innalzato, sempre sulle rive di un
fiume, un tempio dedicato a Atena Cratia, che, nel tempo, venne
trasformato in Minerva Crastia. E’ un gesto di devozione alla
dea, quello dello spartano colonizzatore, che si ripete nel tempo e
che ha per comune denominatore un fiume ed un nome: da
quello in Acaia all’altro in Calabria, laddove precedentemente si
erano insediati differenti coloni greci, altro ancora in Sicilia.
L’acheo conquistatore distrugge la precedente “civiltà” per far
rinascere, sulle ceneri culturali, la sua lontana patria. Sono delle
ipotesi, vicine alla verosimiglianza, che stridono, ovviamente, con
quelle dichiarazioni che affermano che l’antico centro era sorto
parecchio tempo prima ad opera dei Sicani. Dorieo, forse, dopo
averlo conquistato, ne cambiò la precedente denominazione. E fu
quella che venne trasmessa ai posteri.
Ho voluto soffermarmi su questi scarni elementi, fornitici
dalla letteratura bibliografica, per andare oltre a quanto
dichiarato da Ugo Bella in riferimento al ritrovamento dei ruderi
del tempio a Minerva Crastia. Un chiaro esempio di evoluzione
della lingua quand’essa si trasferisce da una regione, da un
continente ad altre terre: nell’ ”impatto” con il dialetto già
esistente le parole si trasformano e si adattano al…contingente.
In una "Iconografia storica della Provincia di Palermo",
è scritto che"mille anni prima della nostra era, a stare al
computo di Tucidide, troviamo la Sicilia nettamente divisa in due
territori, in dipendenza dello stanziamento in loro di due
popolazioni: i Sicani nelle regioni meridionali e occidentali, … e i
Siculi nelle regioni orientali e centrali. Tutta una serie di
fondazioni urbiche- …. Makara, Crastos, Ikkara (Carini), Jetia
(San Giuseppe Jato) …consente di meglio identificare il
territorio dei Sicani in un’ampia fascia della Sicilia centrooccidentale,
oggi compresa nelle province di Agrigento e di
Palermo."
Escludendo la dichiarazione del Fazello ( e di altri), che
colloca Krastos a nord-est dell’isola, dalle differenti citazioni sopra
menzionate è chiaro che il riferimento ad essa viene fatto quale
città esistente nella zona sud-occidentale della Sicilia
Per una didascalica ricostruzione del ragionamento
elaborato, cercherò di segnare qualche passaggio temporale
facendomi aiutare anche dai miti e dalle tradizioni. I Sicani
approdarono in Sicilia nel III millennio a.C. ma vennero confinati dai
Siculi, sul finire del II millennio a. C., nella parte meridionale ed
occidentale della Sicilia, la quale venne così chiamata in sostituzione
della precedente denominazione di Trinacria. Ai Siculi venne
attribuito il culto dei Palici, due gemelli, figli di Zeus e della ninfa
Talia, venerati in Sicilia come protettori della navigazione e
dell’agricoltura. Il toponimo Fitalia deriverebbe da “fiume di Talia”,
dove, secondo la leggenda, essa sarebbe vissuta.
Anche se il racconto affonda nella remota mitologia, questa
favola, che pur tuttavia trova riscontro nel nome di un luogo, assieme
alla attestazione che i Siculi abitarono la zona di Nord-Est dell’isola,
rafforzerebbe la tesi secondo la quale il territorio attorno alle Rocche
del Crasto era popolato dal sunnominato popolo. Non poteva,
pertanto, esserci una città sicana.
Inoltre, tra la fine del IX e l’inizio dell’VIII secolo a.C., i
Greci occuparono la Sicilia e l’abitarono sino al III secolo a.C. Nel
688 a. C. , i medesimi fondarono Gela e vi rimasero fino a quando
non vennero soppiantati dagli invasori romani, nel 241 a.C.
Ipotizzando, ora, che nello stesso sito esistesse già una città sicana, -
nata intorno all’anno mille a.C., cioè dopo l’arretramento dei suoi
fondatori dalla Sicilia orientale ad opera dei Siculi -, i greci, sul
finire del VII secolo a.C. e con inizio del VI, avrebbero fondate,
attorno a Gela ed Agrigento, altre città; alla preesistente sicana,
avrebbero cambiato il nome con quello di Krastos per quel motivo
precedentemente accennato nell’elaborato documentale steso da
Luisa Bocciero, cioè il richiamo alle memorie portatesi dietro dalla
patria di origine. Krastòs (o Crastos) visse sino al 405 a. C. essendo
stata distrutta dai Cartaginesi. In quest’ultimo arco della sua
esistenza, quale città abitata dai coloni greci, sui Monti Sicani, vi
nacquero: nel V secolo a.C., Epicarmo , che si trasferì a Siracusa
(allora città greca) dove egli fece rappresentare le sue commedie,
avendone prodotte sino all’età di 97 anni, e, nel IV secolo a.C. la
bella Taide, che andò a vivere in Grecia. Se entrambi fossero nati
nella ipotizzata sicana Crastos dei Monti Nebrodi, laddove invece
c’erano i Siculi, non avrebbero potuto andare ad operare nel mondo
greco. Allora, si era lontani migliaia di anni luce dall’odierna
globalizzazione per cui gli spostamenti avvenivano all’interno della
propria “civiltà”.
In conclusione, è fortemente verosimile che la greca Krastòs
del VII secolo a.C., sui Monti Sicani, avrebbe soppiantato
l’insediamento umano sicano stanziatovisi qualche millennio prima
della nascita di Cristo.
***
Quale città, quindi?
Il Surdi, dopo aver consultato antichi testi, riporta che
“fu edificata la città suddetta del Crastro 80 anni innanzi le
rovine di Troia, circa gli anni del mondo 2704 a C. Fu distrutta
da Saraceni l’anno del Signore 835”. Lo stesso, inoltre, riporta
che ivi “fino ad oggi si scavano lapidi, mattoni e vestigi di
fabbriche”. L’autore, ovviamente, si riferisce ad una città
esistente nel nord- est dell’isola, non essendo venuto in possesso
di altri reperti storici, probabilmente emersi nel periodo
successivo alla sua osservazione.
Altri ricercatori, tra i quali Morelli, ebbero a sostenere
che “è accertato che i Sicani, prima di essere cacciati dai Siculi
nella parte sud-occidentale dell’isola”, laddove l’oronimia di
alcuni monti trae origine dalla loro presenza, “avevano fondato
varie città nella regione centrale, tra le quali deve essere stata
Crasto”. Taluni, infatti, si sono convinti che i Sicani siano venuti
nell’isola nel terzo millennio a.C. e che l’abitassero in lungo ed in
largo; che, dopo duemila anni, però, siano stati cacciati dalla
Sicilia orientale con lo sbarco dei Siculi in questo lembo isolano.
Solo così si potrebbe giustificare la edificazione della città nel
2704 a.C., a cui si riferisce il Surdi.
C’è anche chi dichiara, supportandolo con proposizioni
geologiche, che i Sicani fossero di origine libica – e non iberica –
e “possono essere giunti nella parte occidentale dell’isola quando
una lingua di terra emersa nel periodo delle glaciazioni collegava
l’Africa alla Sicilia” (dal sito internet di Cronologia). Cinquemila
anni addietro si era ancora, però, all’alba della storia.
Le diverse tesi, contemporanee e non, possono essere
tutte valide pur collidendo tra loro.
Un diversificato riferimento storico pone Krastos a sudovest
in quanto essa, assieme ad altre città della Sicilia
meridionale, fu distrutta dai cartaginesi nell’anno 405 a.C. Se
questo dato è vero, come lo sembra, non può essere esistita una
Krastos, sicana, in una zona a nord-est – asse Longi-Alcara li
Fusi- laddove invece, allora, potrebbero essersi insediati i Siculi.
Conseguentemente a ciò, c’è da chiedersi perché la
toponomastica abbia denominato Rocche del Crasto la nota
catena montuosa? Donde proviene questo oronimo?
Per un arricchimento culturale sulla derivazione del
toponimo Krastos, annoto, in maniera sintetica, la risposta del
glottologo Antonio Sciarretta, al quale mi sono rivolto per
delucidazioni interpretative: "le radici ricostruite della lingua
indoeuropea comune....erano caratterizzate dalla cosiddetta
"apofonia".......Dalla radice *(s)ker -"tagliare" proviene una seria
di vocaboli, tra cui la forma *skerd-to, che può derivare da un
participio e dunque avrà significato "tagliata", probabilmente in
relazione al " taglio" del bosco. Si immagini una radura praticata
dai primi abitatori per realizzare l'insediamento.
Da *skerd-to , nella vocalizzazione apofonica, si ebbe
qualcosa come *Krdto-s. Nella lingua sicula, attraverso una
trasformazione vocale, si è pervenuti a *Kradtos, che , per ragioni
di eufonia, divenne *Krastos. E voilà, la forma latinizzata
Crastus.”
Nota: si legge in taluni documenti che, sino ad alcuni
secoli addietro, una vasta estensione boschiva copriva la zona di
cui parliamo. Si potrebbe ipotizzare, quindi, che i Siculi ed i loro
successori, insediatisi sulle Rocche, per fare spazio alle loro
esigenze agricole, di pascolo ed abitative abbiano dato mano al
taglio intensivo del bosco. Da qui, “Rocche del Crasto (leggi
bosco)”. Un vecchio allevatore di capre del territorio mi ha
raccontato di avere avuto tramandato dai suoi antenati che la
zona alle pendici delle Rocche del Crasto era “curma” , in
dialetto longese, cioè bosco.
A questo punto è importante una chiosa. I Sicani, venuti
in Sicilia nel III millennio a. C, non erano indoeuropei e, nel II
millennio a. C, subirono l’invasione da parte di un popolo di
questo ceppo linguistico, i Siculi, che parlavano, secondo Sucato,
una lingua del sottogruppo italico delle lingue idoeuropee. Ne
deriva che, secondo quanto sopra descritto, i Sicani non hanno
mai respirato il profumo dei boschi delle Rocche del Crasto.
Dall’esame delle diverse tesi, tutta la questione, relativamente
all’ubicazione di Krastos, dovrebbe essere messa in discussione
perché divenga oggetto di approfonditi studi, soprattutto
archeologici.
C’è da chiedersi, pertanto: nel decimo secolo d.C., i
saraceni quale città distrussero, da dove gli abitanti fuggirono
per andare a fondare Alcara, Longi, Frazzanò? Era forse la
famosa, mai individuata, città di Demenna?

I territori abitati dai popoli venuti in Sicilia
ad iniziare da 3000 anni prima della nascita di Cristo
Un ventaglio di
considerazioni
Vagliando le varie ipotesi, possiamo ragionare su
diversi, ma possibili accadimenti, per intuire la più verosimile
delle soluzioni.
Krastos sui Nebrodi?
Riflettendo sui pochi dati noti, o presunti tali, è possibile
configurare una situazione di logoramento degli abitanti della
Krastos di sud-ovest, che li portò al limite della sopportazione di
uno stato conflittuale continuo, che si accompagnava ad un
costante pericolo per la loro vita. Quella popolazione, infatti, era
costretta a subire i frequenti assalti degli eserciti nemici, tra cui
quelli viciniori di Gela e di Agrigento. Il colpo di grazia le fu
inferto per opera dei Cartaginesi, i quali, - come detto- nel 405
a.C., distrussero l’antica città sicana.
Quella gente, - i sicani, venuti da terre lontane, rimasti
fondamentalmente allogeni - era adusa andare alla ricerca di un
posto sicuro laddove insediare una propria comunità;
praticamente, in quell’epoca di enormi difficoltà per la
sopravvivenza, si era portati a trasmigrare con facilità quando si
era in pericolo. Di conseguenza, tenendo presenti queste
considerazioni ed i fatti bellici loro occorsi, si potrebbe dedurre
che gli abitanti, scampati all'eccidio dell’esercito punico, abbiano
deciso di trasferire il loro insediamento abitativo in luogo più
riparato e lontano dalle incursioni terrestri e da quelle
provenienti dal mare.
Dopo aver attraversato, quindi, montagne e territori, gli
esuli di Krastos si fermarono attorno al massiccio montagnoso,
che in seguito prese la denominazione di Rocche del Crasto, o
che di già così veniva indicato.Era, questo, un luogo che
garantiva una difesa naturale ad un insediamento abitativo.
Cominciarono a costruire, quindi, le loro abitazioni, a coltivare i
campi e ad allevare gli armenti. Rinasceva la lontana e distrutta
città di Krastos, nella quale, volendo conservare la loro
specificità, fecero rivivere la propria cultura, fatta di tradizioni,
di usi e costumi tipici della loro etnia. Gente sicana, quindi, che,
magari occultando la sua provenienza, decise di stanziare in un
territorio occupato dai Siculi?
Solo così sarebbe possibile conciliare le tesi sostenute da
chi vorrebbe i sicani di quest’epica città nel territorio
dell’agrigentino con quelle di coloro che, invece, da secoli hanno
affermato che essa è esistita nei pressi dei territori di Longi e di
Alcara Li Fusi.
Un’altra ipotesi, però, alternativa alla precedente,
maggiormente realistica, potrebbe essere quella di un popolo
staccatosi da un qualsiasi territorio per andare alla ricerca di un
sito riparato dalle incursioni nemiche e che offrisse sufficienti
condizioni di vita. Uomini e donne, dediti tra l’altro alla
pastorizia, che, giunti su quei monti, ricchi di pascoli decisero di
piantarvi le tende. Essi erano di origine greca, e, - rimodulando
il ragionamento fatto per Dorieo in relazione alla Krastos del
sud-ovest della Sicilia- poiché "erba o foraggio fresco" in greco
antico fanno “κραστις”, denominarono il sito "Krastos", da cui,
poi, Rocche del Crasto; sulla loro sommità fu costruita una città.
Quale?
Quest’ultima considerazione, ritengo mai valutata prima,
non è da meno di quell’altra precedente.
Laudedeo Testi, nel 1902, nell’introduzione del suo
manoscritto relativo ai “Capitoli di Concordia tra l’Università di
Longi e il barone Francesco Lanza”, descrivendo quei luoghi,
avendovi soggiornato, magnificava i “ pascoli sterminati che
vestono di verde ogni colle”, - malgrado i secoli trascorsi il manto
oroidrografico non era mutato - e, in un passaggio dello stesso
testo esclamava: “…la vita greco-romana si rivela all’occhio
intento, che scruta il solco aperto dal vomere dell’aratro, ancòra
virgiliano, tornante al sole i rubei lucidi frammenti delle anfore.
E il popolo narra la sera novelle di saraceni ritiratisi sull’arce
preparati all’ultima pugna disperata…” Su quale rocca? Quella
del Pizzo di S.Nicola? E contro chi fu “l’ultima pugna”?
Sembrerebbe che gli anziani dell’epoca parteggiassero per i
saraceni. Misteri della storia tramandata oralmente!
Per chiudere il ragionamento su Crastos, mi chiedo se il
Fazello, sul finire del secolo XVI, nel descrivere le vallate del
Rosmarino e del Fitalia, abbia avuto modo di documentarsi che
"la rovinata città" si chiamasse Crasto (egli scrisse Castro ndr)
oppure scrisse quel nome "per sentito dire", storpiato quindi.
Dalla distruzione della città montana erano passati più di cinque
secoli: tanti per quei tempi affinchè la comunicazione orale si
tramandasse intatta di generazione in generazione; si è portati a
tramutare un nome difficile in uno più facile: Crasto si
memorizza meglio di Dhaimonia, in dialetto del Peloponneso, o
di "Dimnnas" (Demenna in arabo, con pronuncia "Dmns").
Il monaco Tommaso Fazello descrive i luoghi dell’isola in
modo organico, seppure “imperfette e piene della credulità del
tempo “, come annota l’abate Francesco Ferrara, mentore del
benedettino Vito Amico, il quale confutò le tesi di alcuni
storiografi, tra cui il Fazello. (Tano Gullo – L’antistoria della
Sicilia – La Repubblica del 29 giugno 2007)

No, sui Monti Sicani.
Da un articolo, apparso su Panorama nel mese di luglio
del 2007, apprendo che nel territorio del Comune di
Pietraperzia, in provincia di Enna, sono in corso scavi
archeologici, che indurrebbero ad individuare il sito di Krastos.
Dall’Arch. Paolo S. Sillitto, coordinatore del progetto di
valorizzazione dell’area archeologica presso l’anzidetto Comune,
al quale ho chiesto ragguagli, mi è stato risposto – la qual cosa
sapevamo di già - che, secondo il frammento di otto versi,
riportato nel Papiro di Ossirinco (IV, 665), la città sicana di
Krasto, facente “parte della “chorà” acragantina, fu distrutta
nell’anno 430 a C. ad opera dei Geloi, che combattevano al
fianco di Himera (città della costa nord della Sicilia) in guerra
contro Akragas per il controllo dell’entroterra.” Trovano
riscontro con questa fonte letteraria “i copiosi materiali
affioranti ed è stato confermato dagli scavi testè condotti in due
aree, che la frequentazione del sito non va oltre il periodo
classico (V secolo a. C.) ed è assente il periodo ellenistico, mentre
è pressoché continua la testimonianza di insediamento
preistorico a partire dall’età del rame”. Inoltre, - afferma Sillitto
– “gli scavi hanno portato alla luce una capanna dell’età del
rame del diametro di mt. 8,50 e in uno strato superiore ad essa
una tomba di età greca con un corredo di vasi indigeni e attici; in
un’area all’interno dell’acropoli sono venute alla luce strutture
murarie riferibili a destinazione sacra perché contigue a intagli
di vasche cerimoniali, risalenti a età greca e sovrapposte ad
analoghe strutture risalenti all’età del bronzo medio”. Peraltro,
“il sito in questione….. è ancora oggi denominato “Cuddaru di
Crastu”.
Ed ancora, Giovanna Ballati, in un articolo pubblicato su
“Dedalo”, rivista quindicinale di Enna, scrive, tra l’altro: “…
Una ipotesi avanzata sul sito dagli storici Nicoletti e Lalomia è
che: "in epoca greca esisteva una città fortificata a nome Krastos
tra i territori di Gela, Agrigento ed Imera, il cui confine era
delimitato dal fiume Imera. Una delle colline dominanti la
vallata della Fastuchera conserva ancora il nome di "Cuddaru di
Crastu". "Tale toponimo, consente di fare la supposizione che la
località si possa identificare con la sicana Krastos"
Il dipartimento di Archeologia dell’Università di Palermo,
in maniera informale, mi scrive:
“Oxy. Pap. 665b = Philist., FGH III B, 577, F 1.
Sthephanus Byzantinus s.v. Krastòs pòlis Sikelìas ton Sikanon =
Philist. fr. 44 Jacoby D. Adamesteanu propone la localizzazione di
Krastos a Castronovo (Monte Saraceno, in Archeologia classica
VIII, 1956, p. 139 ss.; in Kokalos II, 1956, p. 147 con la nota 16).
L’unico dato concreto per la localizzazione è fornito dal
frammento del Papiro di Ossirinco attribuito a Filisto. Il
frammento del papiro di Ossirinco è stato attribuito da G. De
Sanctis (Ricerche sulla storiografia siceliota, Palermo1958, pp. 25-
29) a un sommario del libro IV del peri Sikelias di Filisto nel quale
sembra probabile che fosse trattato il periodo compreso tra la
caduta della tirannide dei Dinomenidi (465 a.C.) e la I spedizione
ateniese in Sicilia (427 a.C.); nel frammento si parla di lotte tra
città greche e xenoi, cioè mercenari, e in queste lotte non
compaiono né i tiranni né i Cartaginesi. I mercenari potrebbero
essere quelli che erano stati reclutati dai Dinomenidi e dagli
Emmenidi per la lotta contro le altre città della Sicilia e contro i
Cartaginesi e ai quali era stata concessa la cittadinanza. La I parte
del frammento si riferisce a un intervento dei Siracusani in una
guerra dei Geloi, probabilmente contro i mercenari stanziati a Gela
e poi cacciati. La II parte si riferisce a una battaglia vicino
Krastos tra Imeresi e Geloi da un lato e Agrigentini dall’altro.
Krastos pertanto deve essere cercata tra Agrigento e Imera (E.
Manni, «Indigeni» e colonizzatori nella Sicilia preromana, in
Sikelikà kaì ‘Italikà. Scritti minori di storia antica della Sicilia e
dell’Italia meridionale, I, pp. 97-137, in part., pp. 104 s.). Non è
proponibile la localizzazione presso le Rocche del Crasto della
Krastos del frammento di Filisteo alla luce del fatto che
quest’ultima deve essere cercata tra Agrigento ed Himera”.

E Demenna?
Tracce murarie sul Pizzo S. Nicola

La leggendaria Demenna oppose, com'è noto, una
strenua ed eroica resistenza ai saraceni. La storia, infatti, parla
di una rocca, denominata Demenna, che fu tra le ultime a cadere
nelle mani di questi stranieri. E’ altresì tramandato che, in
quello stesso periodo, anche gli abitanti di Krastos difesero,
invano, la loro città dai medesimi invasori. Ne esistettero, quindi,
due in una stessa area, che divennero roccaforti della cristianità
contro i seguaci di Allah? A quale di esse appartennero i “resti
archeologici”, visti dal Surdi, intorno al 1700?
Ebbene, attraverso un modesto, senz'altro incompleto,
lavoro di ricerca, ho voluto annotare alcuni passaggi, sui quali
invito a riflettere.
In un libro sulla Festa dei Muzzuni ad Alcara, si legge:
". ..Sui monti che sovrastano Alcara sorgevano le antichissime
città di Crastos e Demenna. Secondo il Morelli, dopo la
distruzione di queste città, avvenute per opera degli arabi, gli
abitanti scesero a valle e si rifugiarono in Alcara ...", quelli di
etnia greca; mentre, gli altri, di discendenza latina, prima
stazionarono, per molti anni, in località detta S.Nicolò (l’odierna
contrada S.Pietro, n.d.r.) “nel quale ancor oggi se ne mirano le
rovine” (Surdi). Poi, gli ex castreggiani diedero vita a “Castrum
Longum”, l’odierna Longi.
Nella documentazione esistente presso i luoghi ove operò
intensamente, praticamente in quel di Armento, tra cui in
"Cenni sulla vita di San Luca", , si legge che " In Sicilia, dalla
città di Demenna presso Alcara nacque il Santo Monaco
Basiliano Luca, ...". La sua vita rientra in un discorso diverso,
che altri hanno trattato. Qui, mi preme far notare che qualcuno,
- si dice "un suo discepolo" rimasto sconosciuto – allora, e non
parecchio tempo dopo - scrisse la sua vita ed annotò che
"Demenna" era "presso Alcara", non presso Longi o Militello o
San Marco, perché certamente San Luca (918-993), da vivo,
asseriva di essere originario di Demenna, una città vicino ad
Alcara. La medesima asserzione viene fatta da Caetani nella
“Vitae Sactorum Siculorum” (tomo II, pag. 96-99), e di recente
ripresa da Mons. Gaetano De Maria, il quale , in contrada
Lemina di Alcara, ha fatto erigere una edicola votiva, dedicata a
S.Luca di Demenna.
.
San Luca di Demenna, Patrono di Armento (PZ)
Nelle distinte agiografie di due personaggi religiosi, Luca
e Fantino, al di là di alcuni dati discordanti, si riscontra un
elemento in comune: la sorella, che li seguì in Calabria, si
chiamava Caterina. Erano, quindi, tra loro fratelli, fuggiti dal
comune luogo natio, Demenna, per sottrarsi alla persecuzione
religiosa dei saraceni. Fantino (927 – 1000), anch’egli monaco, fu
elevato successivamente al rango di santo.
A San Fantino, credibilmente per una testimonianza,
quale originario di quei luoghi, dovuta alla sua eccelsa persona ci
si volle indubbiamente riferire quando al confine della zona in
cui sorgeva Demenna venne assegnato il nome del Santo.
Contrada San Fantino si chiama tuttora la vasta area di cui
parliamo, che si trova in territorio di Alcara ed al confine di
quello di Longi.
Anziani del luogo raccontano di avere appreso dai loro
nonni, e questi ultimi dai loro avi, che in territorio di Alcara , in
contrada S. Fantino, sul Pizzo di S. Domenica, esistevano dei
ruderi di una vecchia chiesa dedicata appunto a S. Fantino. I
toponimi – così come le leggende - sono importanti per
interpretare la storia quando i fatti accaduti non sono
chiaramente espressi.
In un diploma del 3 aprile 1096, il conte Ruggero,
riferendosi alla donazione di beni feudali del 1082 al vescovo di
Traina, Roberto, scrive: “dedi quoque apud Demennam castellum
Alcariae cum tenimentis suis” (Pirri, Sicilia sacra , pag. 381). (“…
ho donato anche in prossimità di Demenna il Castello di Alcara
con i suoi tenimenti” ). “…apud Demennam…” scrive il Gran
Conte per significare “il luogo dov’è, esiste la cosa” (Antonio
Surdi). Il Ronda, poi, nella sua Biblioteca Sicula, parlando di
Demenna, adopera la preposizione “prope…” per indicarla “…
in vicinanza di” Alcara…( A Rogerio Magno prope Castellum
Alcariae describitur )”(Morelli).
In una pubblicazione, relativamente recente, il suo
autore, Salvatore Serio, tra l'altro, dichiara: "Non l'antica
sicano-greca Crastos adagiata sull'altipiano della rocca
omonima, ma Demenna... è costantemente richiamata dai
cronisti e geografi arabi contemporanei della conquista
musulmana della Sicilia. Essa potrebbe essere la medesima città:
Crastos in epoca sicano-greca, Demenna in epoca tardo-romana
e bizantina." Ciò darebbe ragione al mio amico, il prefato prof.
Don Gaetano De Maria, sostenitore di una preesistente Krastos
sulle Rocche omonime, che prese nome dal greco classico keras
_ atos, cioè “corno” o, anche, “vetta”. In pratica, secondo il
Monsignore – ma non è il solo –Krastos significherebbe “città
sulla vetta”.
Ma, si è imposto all’attenzione un manoscritto, riferito ad
una antica popolazione greca del Peloponneso, gli abitanti di
Lacedemonia o Sparta, che facevano parte della tribù dei
Dimani, una delle tre in cui erano divisi gli spartiati. Mettendo
insieme quanto ci viene fornito dalla storia greca con ciò che il
documento in questione asserisce, la cosidetta "Cronaca di
Monemvasia", all’epoca dei Bizantini in Sicilia, appunto nel VI
secolo d.C., quei lacedemoni furono cacciati dallo loro terra. Essi
emigrarono e si insediarono sulle montagne dei Nebrodi, nella
cui fascia rocciosa di difficile accesso diedero vita ad una loro
tipicità sociale e religiosa. Ribattezzarono la città, dove si
ristabilirono, per ricordare la patria lontana, col nome di
Demenna, che deriva, modificato con la loro pronuncia
dialettale, dal toponimo Lacedemonia o Dimani (demenniti). C’è
da aggiungere che, nella terra da cui provenivano, esiste, e
quindi sarà esistita anche allora, una città o paese chiamati
Dhaimona.
Il Morelli sostenne che “Demena sorgeva a nord-est
dell’abitato di Alcara, nella contrada denominata Demina o
Lemina. Ebbene, osservando la cartina geografica del
Peloponneso, notiamo: sulla destra, “Monemvasia”; sopra, più in
alto, Limani; più in basso, sulla sinistra, Dhaimona (o Demonia).
Parole dell’idioma moderno, rimodulate quindi dall’antica
lingua greca, che, mille e quattrocento anni addietro, varcarono i
confini della Grecia per approdare sui monti della Sicilia dove
c’era abbondante “krastis” (pascolo per i loro armenti). Un
ulteriore passo, questa coincidente toponomastica, verso il
dipanarsi di nuvole.
Grecia: un ramo del Peloponneso. da cui sono emigrati i
demenniti, discendenti dagli antichi spartani. Sulla destra ,
in alto: Limani; sulla sinistra : Demonìa
Ritengo di potere congetturare che: a) costoro, guidati
dai bizantini, si siano insediati – semmai sia esistita - nella
vecchia città sulle Rocche del Crasto, alla quale, assicurarono la
difesa militare contro gli assalti dei nemici ribattezzandola col
nome di Demenna;. b) non si innestarono su alcunché, ma
fondarono quella città nuova, tramandata come Demenna. E’
questi – ipotesi, tra tutte la più probabile – quel popolo di origine
greca, del quale prima ho accennato, che, trovando su quei monti
“ erba e foraggio fresco”, “κραστις” appunto, dà questo nome
alle Rocche?
I demenniti appartenevano ad una progenie pervasa
d’intensa religiosità tant’è che fondarono i due finitimi
monasteri greci, di S. Barbaro e di S. Filippo di Demenna. C’è da
mettere in risalto, ancora, che nei territori attorno ai demenniti
si diede vita a molteplici insediamenti religiosi bizantini: a Longi,
un Ospizio pei Minori dell’ordine basiliano; ai suoi confini con
Galati, il monastero di S.Pietro di Muely mentre, nel territorio di
Alcara, i monaci basiliani divennero punti di riferimento
cristiano, oltre che in quello di S. Barbaro di Demenna, nei
cenobi di S. Maria del Rogato e S. Nicolò di Paleocastro. Alcara e
Longi sorgevano e sorgono ai piedi delle Rocche del Crasto,
mentre il Pizzo di Muely era ed è da esse poco distante. In cima
alle medesime, l’insediamento urbano di Demenna, con la sua
roccaforte, faceva da sentinella ai luoghi dove la fede cristiana
cresceva e si rinsaldava per opporsi, anche con le armi,
all’infedele saraceno ed alla sua religione islamica.
Sintetizzando un passaggio di un testo storico apprendiamo:
“Dopo che gli Arabi ebbero conquistato Cefalù (858),
Castrogiovanni (859) e Siracusa (878), la resistenza
bizantina si concentrò fino al 956 intorno alle
formidabili fortezze di Demenna, Taormina e
Rometta......... Demenna, ancor più di Taormina e
Rometta, è il punto di riferimento del bizantinismo
siciliano, la città in cui si raccoglievano profughi e
fuggitivi dal resto dell'isola e si organizzava la
resistenza. “
C’è da aggiungere , per un completo ed obiettivo
panorama delle diverse tesi storiche ed archeologiche sostenute,
che un eminente ricercatore, il prof. Kislinger dell’Università di
Vienna, archeologo e studioso del bizantinismo, nei suoi scritti
sull’argomento, fa trasparire la convinzione che Demenna,
invece, si sia sovrapposta alle rovine di Aluntium, cambiandone
la denominazione, per un certo arco di tempo. Del medesimo
convincimento è Franco Ingrillì. Tesi, da entrambi sorretta,
rispettabilissima e legittima.
Tenterò, però, di mettere in risalto, attraverso una
modesta rilettura di alcuni documenti, qualche mia annotazione
sull’avviluppata questione. Per carità, il mio ragionamento
sull’argomento è tutto da verificare; pertanto, il mio invito è
quello di non volerlo considerare in assoluto, ma come un
semplice elemento di riflessione.
E’ stato affermato che il centro individuato come la
“Demenna aluntina”, nell’XI e XII secolo d.C., era frequentato
dai mercanti ebrei in quanto esisteva una prospera industria
serica. Non dubito che essa vi sia esistita. Le cronache, però, ci
hanno tramandato che, ai confini della Demenna “presso
Alcara”, il territorio che poi divenne la “baronia di Longi”, era
“ricco… di gelsi inservienti all’industria serica florida un
tempo”.
In quest’area, nonché in quella di Alcara, sorsero
industrie tessili che producevano seta grezza e lino: in contrada
Liazzo, di Longi, esiste ancora la costruzione che un tempo
fungeva da opificio per la produzione della seta, prima, e del lino
poi. Siffatta testimonianza è avvalorata dal fatto che sino ai
primi decenni del secolo scorso, nelle contrade Liazzo e
Bonaiunta, i terreni, peraltro irrigui, di proprietà del barone di
Longi, erano coltivati a gelsi, e vi si allevava il baco da seta.
Da questi riferimenti si può desumere, ovviamente, che,
all’epoca dell’esistenza della vicinissima Demenna, che si trovava
al centro quindi della produzione serica di quella zona, il tessuto
pregiato vi veniva conferito per essere commercializzato. E’ vero,
pertanto, che la cristiana città demennita era nota anche per gli
scambi commerciali, in primo luogo della seta, con mercanti
orientali. Ma la Demenna nel cuore delle “Rocche del Crasto”,
non quella “aluntina”.
Dopo la distruzione della città bizantina, la
commercializzazione della seta si sarebbe spostata nell’antica
Aluntio, oggi, S. Marco. La quale, nei secoli XI e XII, fu un
caposaldo della politica normanna; ed il termine Demenna,
riferito a quei periodi storici, va inteso come provincia o
territorio della Sicilia. Valdemone con “capoluogo” l’ex
Haluntium, ribattezzata Demenna per non far dimenticare
l’epica città? Potrebbe essere una ipotesi, non certamente
peregrina.
Il Kislinger, inoltre, sostiene che Ruggero ebbe ad
utilizzare località che, nel passato, avevano avuto grande
importanza per il controllo dell’isola poichè sorgevano su
posizioni favorevoli. In queste, edificò il “castrum Santi Marci
sul punto più elevato della Demenna bizantino-araba”.
E’ vero che il “castrum Sancti Marci” fu edificato per
dominare e controllare il territorio, ma è altresì vero che il sito di
Demenna (nascosta tra i monti) fu prescelto dai lacedemoni per
ripararsi dagli aggressori, vicini e lontani; non dimentichiamo
che essi furono più volte aggrediti dagli Avari e cacciati dalla
loro patria: cercavano quindi un nascondiglio, un luogo protetto
dalle montagne, laddove inoltre potessero difendersi. E lì,
“protettorato” bizantino, si raccolsero, in seguito, coloro che
fuggivano dalla ferocia saracena: essi furono costretti
ovviamente ad attrezzarsi per la difesa trasformando la città in
una fortezza. Che, per la sua posizione, era limitatamente atta,
però, alla funzione di controllo militare dell’area di espansione
e di dominio del Gran Conte.
L’abbinamento strategico del sito dell’odierna S.Marco a
Rometta, nonché alla Rocca di Cefalù, per il controllo normanno
dell’isola, non fu per copiare le scelte operate dai bizantini, - o
dagli arabi – relativamente alle “posizioni favorevoli”, bensì
l’applicazione di una strategia militare, già positivamente
sperimentata, che mirava ad occupare- così come avvenne – la
Sicilia per mantenerne, ripetesi, il controllo ed il dominio.
Ebbene, immaginiamo di cavalcare accanto al
condottiero normanno. Dopo che il Gran Conte Ruggero, nel
1061, occupò Messina, pervenne indi a Frazzanò, interessato a
“prendere possesso” della famosa Abbazia di San Filippo di
Fragalà, e proseguì per Enna al fine di conquistarla. Di Demenna
esistevano solo le pietre. Al ritorno da Enna, con la coda tra le
gambe per il fallito assalto, percorrendo l’antica strada romana
di 40 canne (10 metri), giunto in contrada Gazzana, di Longi,
Ruggero preferì continuare la marcia lungo il braccio viario che
era più agevole da percorrere per raggiungere il litorale marino,
rispetto a quello che da Frazzanò conduceva alla costa. Giunto
alla rocca su cui sorgeva l’antica Haluntium, che peraltro egli
aveva già scorta salendo verso Frazzanò, vi costruì la prima
roccaforte normanna perché da quella posizione strategica si
controllavano, a vista d’occhio, parecchi chilometri di litorale.
Questo ragionamento scaturisce da un esame degli eventi,
che si sono succeduti in quei secoli relativamente ai protagonisti
della nostra storia locale, calandosi nelle motivazioni delle
decisioni prese da chi guidava o un popolo in fuga, oppure un
esercito per conquistare.
Sebastiano Franchina, in un suo lavoro, dopo una
approfondita analisi del territorio, riferita soprattutto al periodo
in trattazione, e la citazione di frammenti documentali, asserisce
che”…è evidente conferma che Demenna era presso Alcara ed a
monte di essa: quasi certamente, ad una quota di m.1200, nel
falsopiano addossato (ad O.N.O.) alle più alte cime delle Rocche
del Crasto, ai piedi del Pizzo Aglio. Quivi, sui brevi piani delle più
alte cime del massiccio, le Rocche di Crasto propriamente dette
(m.1298/1315) e Pizzo San Nicola (m.1288), atte già per natura
alla difesa e quasi accoste le une all’altro, ipotizziamo due
roccheforti costituenti il complesso fortificato di Demenna:…”
E , per finire, A. Surdi, nel 1700, scriveva: “Men che
mille passi di dove era situata Demenna, ancor si vede mezza
diruta, l’antichissima chiesa di S. Barbaro, nel feudo di
S.Giorgio… territorio di Alcara…” Cosa si vuole di più?
***
L ’ IMPORTANZA DELLE LEGGENDE
E DEI TOPONIMI .
RACCONTI E NOTIZIE
Se è vero che le leggende traggono origine soprattutto da
antichi fatti accaduti e che i toponimi spesso derivino dal nome
di persone o da avvenimenti che abbiano avuto a che fare con
quell’area territoriale, di essi non può non tenersi conto nel
supporto alla dimostrazione di realtà ivi esistite, seppure
scomparse; soprattutto quando bisogna confrontarsi con
elementi, ritenuti probanti ma che, invece, sono fievoli
testimonianze.
Ebbene, esistono posti che il “passa parola” nel corso dei
secoli, trasformatosi in leggenda, ha fatto pervenire a noi una
loro denominazione per essere stati teatro di avvenimenti. La
vicenda magari sarà stata manipolata, rispetto ai fatti originari,
man mano che il racconto passava di bocca in bocca, di
generazione in generazione, assumendone contorni ed
aggettivazioni diversi; ma nella sostanza rimaneva una forte
impronta veritiera.
Nell’area attorno al territorio di Demenna, in Contrada
S. Fantino, l’origine della denominazione di alcuni siti va riferita
a coloro che abitarono quella città. Di conseguenza, bisogna far
rientrare in questo alveo toponomastico il corretto appellativo
attribuito ai posti dove i fatti si sono svolti.
Si narra che, per sfuggire alla crudeltà dei saraceni -che
praticavano lo stupro, la schiavitù e le percosse -, la moglie del
Governatore della città, Pistolla, assieme alle sue ancelle e con i
gioielli, preferì lanciarsi in un burrone profondo circa cento
metri. Esisteva ed esiste ancora, a sud-ovest del Pizzo del Crasto,
la cosiddetta “Buca della Regina” o “Sciacca di Pistolla”,
raggiungibile dalla vecchia città attraverso un sentiero, che, dopo
aver attraversato la “valle du sfànnamu”, continuava tra le rocce
per arrivare alla Rocca Calanna, uno strapiombo di circa 80
metri. Una versione, leggermente rimodulata, asserisce che gli
abitanti di quell’agglomerato urbano di cristiani, che vivevano
nella vallata compresa tra le falde dei Pizzi di S. Nicola e del
Crasto, dominata dalla fortezza sul S. Nicola, resistettero per ben
ventisette anni agli assalti dei “turchi” (sic) e che, per salvarsi dal
massacro saraceno, la loro regina, che si chiamava Calanna,
fuggendo, cadde nella profonda fenditura delle rocce, le quali da
essa presero il toponimo di Rocca di Calanna.
Sento di dovere riportare quanto, da un signore
ultraottantenne, mi è stato riferito. Oltre sessant’anni addietro,
suo padre gli aveva detto di avere conosciuta una donna alcarese,
che era stata a servizio presso una famiglia benestante di Longi,
dopo essere vissuta negli Stati Uniti d’America. Essa raccontava,
circa cento anni addietro quindi, che presso una biblioteca
statunitense (non ricordava se di Cleveland o di New York)
esisteva un documento (un libro?) dove era scritto che i due paesi
di Longi ed Alcara erano stati fondati dai fuggitivi di un
insediamento umano esistente sul Pizzo del Crasto, distrutto dai
saraceni. Non mi seppe aggiungere altro.
Sarebbe oltremodo interessante riscontrare il testo in
questione. Se ciò avesse un riscontro di verità, si potrebbe altresì
congetturare che il nucleo armato saraceno, avvistato in marcia,
lungo la regia trazzera “mare Tirreno-Troina”, dalle torri di
avvistamento bizantine, sia stato segnalato dalla fortezza di S.
Maria, sul Pizzo di S. Nicola, agli abitanti di Demenna; i quali,
per salvarsi, fuggirono verso le rocche del Calanna, laddove
vennero raggiunti e massacrati. Coloro che riuscirono a salvarsi,
in gruppi sparsi, ripararono chi ad Alkaret, già esistente, e chi in
contrada S. Nicolò (poi S.Pietro) per successivamente scendere
più a valle dando vita a Castrum Longum; altri ancora si
diressero verso Fraxino.
Per il tentativo di ricerca del libro in questione, ebbi ad
interessare un nostro concittadino, Nino Fazio, residente a
Cleveland, il quale, però, non riuscì ad avere notizie; contattai
anche il Prof. Luigi Zingales, docente universitario negli USA,
nipote del fu Generale Francesco, longese, che parimenti non
ebbe alcun riscontro relativamente al ritrovamento del reperto
documentale, pur avendo egli dato incarico a funzionari delle
principali biblioteche di New York. Ed è intuibile che sia
impossibile una mirata ricerca da una generica notizia. Che
rappresenta, però, una testimonianza significativa relativamente
all’esistenza di Demenna nei pressi del Pizzo del Crasto.
* * *
Sul dirimpettaio Pizzo di S. Nicola si possono vedere le
tracce murarie e qualche rudere attribuiti, dai contemporanei,
ad un esistente “mulino a vento” – la posizione è quella ideale –
con relativo magazzino per il deposito del grano, raccolto nella
grangia di S.Nicola di Paleokastro, servente il Monastero di
S.Filippo di Fragalà. In effetti, si tratta dell’abbandonata
fortezza.
* * *
Si racconta che, sempre parecchi anni fa, sia venuto alla
luce alle falde del Pizzo dell’Acquafridda, a sud-ovest delle Sette
Fontane, in occasione del lavoro di aratura del terreno, uno
scheletro umano di corpulente dimensioni, sepolto con la sua
arma, una scimitarra. Appartenne ovviamente ad un
musulmano. La zona è denominata “Cimitero dei Saraceni”.
Nella stessa area esistono altre tombe contrassegnate da grosse
pietre, di una certa lunghezza, peraltro portate da altre contrade,
in quanto quel tipo di materiale litico ivi è inesistente.
Ed ancora: proseguendo oltre, sulla cima del Pizzo del
Crasto, è possibile vedere delle lastre di pietra di grande
dimensione (“ciappe” in siciliano), sulle quali è stata scolpita una
croce: si tratta ovviamente di loculi cristiani. In quella zona ed a
Piano Miglino, nonché sul Pizzo di S.Nicola, a detta di alcuni,
sono stati trovati reperti antichi: monete bronzee, vasi dipinti,
frammenti marmorei, cocci vari.
* * *
Dal “cimitero dei saraceni”, salendo verso la parete
orientale inferiore del Pizzo del Crasto, si scorgono alcuni
graffiti, i quali, malgrado sbiaditi dal tempo, fanno intravedere
sagome di antiche navi a vela. Rammentiamo che i demenniti
erano provenienti dal Peloponneso, da una località marina. Lo
sconosciuto “artista” venne ispirato da un tale ricordo?
* * *
Il gong trovato e perduto
Il Paleokastro, chiamato anche kastron di S. Maria, dopo il suo
abbandono o distruzione, venne donato dai normanni
all’Abbazia di Fragalà con tutto il territorio attorno divenendo
la grangia di S. Nicola di Paleokastro. La sua denominazione di
fortezza venne dimenticata perché la struttura fu utilizzata quale
mulino a vento per la macinazione dell’enorme raccolto di grano,
cui quei terreni vennero destinati. La conferma, però, che la sua
edificazione sia stata quella di kastron o fortezza, o torre di
avvistamento di una certa dimensione, viene da un pastore, che,
alcuni anni addietro, da una crepa della roccia sul Pizzo di S.
Nicola, tirò fuori un manufatto in bronzo di forma romboidale,
spesso tre dita: un gong per dare l’allarme. Scivolatogli dalle
mani, per il suo peso, rotolò in un baratro e fu impossibile
recuperarlo.
* * *
Si tramanda, inoltre, che una porta di rame chiudesse
una infrastruttura pubblica dell’epoca, raggiungibile scendendo
attraverso i gradini scavati nella roccia: non si sa quando, questo
“Ufficio” è stato coperto da massi franati dalla montagna
sovrastante. Altre versioni sul medesimo sito, denominato
“Portella di rame”, tramandano che gli abitanti assediati, avendo
avuto la consapevolezza che la loro fine era prossima, gettarono
in un crepaccio della roccia i loro averi di un certo valore
nascondendoli con una grande lastra di rame che coprirono con
enormi sassi .
"U chianu du cori" e la " Valle dell'acero" sotto il
Pizzo del Crasto
Le foto sono di S. Migliore
La
cima del Pizzo S. Nicola vista da quello del Crasto
Deduzioni
Le tesi sostenute dai diversi studiosi hanno senz’altro una
loro logica e sarebbero, quindi, da approfondire. Nel ”puzzle” di
notizie e di considerazioni, probabilmente, sta la soluzione,
almeno in parte, dell'intrigata e complessa dissertazione
sull'esistenza della/e città di Krastos e/o Demenna.
A tal riguardo, ritengo di aver fornito un ventaglio,
senz’altro incompleto mio malgrado, ma con sufficienti spunti e
congetture pur nella personale proiezione delle diverse
idealizzazioni di una medesima città…”bifronte”.
Immagini, alternative fra loro, che, per una rapida
lettura, schematizzo in un quadro d'insieme: Krastos, grecosicana,
a sud della Sicilia occidentale; Krastos, che, nel secondo
tempo della sua esistenza, dopo il 405 a.C., intraprende un lungo
viaggio per trasferirsi con tutta la propria etnia, al nord-est
della Sicilia, dando vita, alcuni secoli dopo, ad una futura città:
la Demenna, che la sostituisce nell’appellativo nel momento in
cui gli eredi "imperiali" dei romani, i bizantini, dopo avervi
trasferito una popolazione loro amica, i demenniti, cancellano il
nome originario e la etichettano con quest’altro nuovo;
Demenna impiantata sin dalle fondamenta, da un popolo greco, il
demennita, su quell’altopiano siciliano, ricco di pascoli, e che,
per questo dono della natura, lo "intitolò" Rocche del Crasto.
Secondo quanto espresso dagli studiosi, precedentemente
richiamati, è possibile affermare, per intanto, che le rovine di
una città antica, viste dal Fazello, nel XVI secolo, e dal Surdi, nel
1700, - quando ancora i tombaroli non erano attrezzati come lo
furono ad iniziare dallo scorso secolo - , c’erano ancora. E,
poiché, non potevano essere quelle di Krastos – come
erroneamente i due scrissero, verosimilmente tratti in inganno
dal toponimo delle montagne, è da considerare l’esistenza nella
zona delle Rocche del Crasto di una città , della quale si parla
attraverso i reperti documentali. Quale, se non Demenna,
appunto? Se si vuole insistere sulla localizzazione di quest’ultima
nei dintorni o presso l’antica Alunzio, ed allora quale altra città
(vista da Fazello, da Surdi e “visitata” dai …tombaroli poscia)
conobbe il destino della distruzione ?
Nelle pagine precedenti abbiamo parlato: del diploma del
Gran Conte Ruggero del 3 aprile 1096, stilato in occasione della
traslazione della sede vescovile di Troina a Messina,
rammentando le donazioni fatte al vescovo Roberto nel 1082 ;
della “Cronaca di Monemvasia”; di S.Luca, nato a “Demenna
presso Alcara” e di suo fratello chiamato Fantino, divenuto
anch’esso santo.
In documenti di qualche secolo dopo la scomparsa di
Demenna , S. Marco viene citato come centro in Val Demona,
una città, quindi, della regione (del Vallo); di conseguenza,
S.Marco non può identificarsi con la città di Demenna.
Ad abundantiam, ripeto, rammentando che le leggende- in
precedenza descritte - hanno un minimo di fondamento e che da
fatti, cose o persone derivano i toponimi.
Sul dirimpettaio Pizzo di S. Nicola si possono vedere i
ruderi di una fortezza, il Paleokastro di S. Nicola
Nei pressi del Piano Miglino, in basso ed al nord della
città, sono stati trovati, alcuni decenni addietro, dei reperti
archeologici, tra cui una punta di lancia, che si troverebbe al
Museo archeologico di Siracusa.
Infine, sotto il Pizzo del Crasto, una certa area è
denominata “chianu du cori”: potrebbe essere il centro del
pianoro dove sorgeva un’antica città, forse la piazza principale
della cittadella (kwrh, in greco).
Pur tuttavia, volendo dare una risposta ai reperti trovati
nella zona e che si fanno risalire ad una datazione di qualche
millennio prima della nascita di Cristo, è desumibile che essi
siano appartenuti agli abitatori del territorio, ovviamente ai
Siculi che, in quell’era, si erano insediati in questa zona della
Sicilia. Oppure, se l’affermazione del Surdi, - circa l’esistenza,
contemporanea di Troia, di una città sulle Rocche, nel III e II
millennio a.C.-, potesse avere un riscontro oggettivo dovremmo
affermare che ivi una presenza sicana è stata successivamente
sostituita da quella sicula.
In una conclusione, magari non finale, nel complesso di
elementi uscito fuori dalla attenta lettura dei documenti
esaminati, l’ipotesi forte, che più mi convince e che
maggiormente si avvicina alla attendibile realtà, è quella di una
Demenna fondata, nel secolo VI d.C., sotto il Pizzo del Crasto ed
alla sommità delle Rocche omonime, e distrutta dopo pochi
secoli.
Riuscire a sapere dov’era il terzo polo di resistenza ai
saraceni, dopo Taormina e Rometta, sarebbe un avvenimento di
rilevanza internazionale per i cultori della storia, soprattutto di
quella bizantina nel periodo di occupazione musulmana della
Sicilia, e dell’archeologia.
Riscontri sul campo
Importante riscoperta archeologica sul Pizzo
di S.Nicola
(Ph:
S.Migliore)
Il Pizzo di S. Nicola , visto da sud-est
Maggio 2005
Sul Pizzo di S.Nicola della catena montuosa delle Rocche
del Crasto è esistita, probabilmente oltre mille anni addietro, una
struttura militare, di circa settecento mq di estensione: una fortezza
o una torre di avvistamento. Essa serviva per il controllo delle zone
della vallata del Fitalia, a nord-est, e, ad ovest, della regia trazzera,
che collegava S.Marco, attraversando portella Gazzana, ad altri
centri della Sicilia. Il presidio usufruiva, tra l’altro, di una cisterna
per l’acqua potabile, di due torri perimetrali per i soldati di guardia
e, probabilmente, di una chiesetta (dedicata a S. Nicola di Mira?).
Questo è quanto è emerso attraverso un sopralluogo
effettuato da due archeologi dell’Università di Palermo. Costoro, i
professori Bonacasa ed Allegro, sono stati invitati dallo scrivente
per effettuare una ricerca delle tracce della "città antica", di cui
parlano le cronache ed i documenti remoti.
Nella vita di S.Nicola Vescovo di Mira (oggi di Bari),
scritta da di Gerardo Cioffari O.P. si legge, tra l’altro:
“… Tra l’VIII ed il IX secolo si consolida e si vivifica il
culto per una circostanza particolare. Era questa l'epoca
delle invasioni arabe e nelle incursioni molte famiglie
perdevano i figli che venivano rapiti e portati in cattività. Il
ricordo andava spontaneamente ai tre cittadini miresi
salvati da Nicola dalla decapitazione e ai tre generali
bizantini salvati dal carcere (la Praxis de stratelatis). Nella
speranza di rivedere i propri figli che erano stati rapiti dai
Saraceni, molti pregavano appunto S. Nicola, il liberatore
dei tre cittadini miresi e dei tre ufficiali bizantini. In tal
modo colui che fino a poco prima era stato uno dei tanti
santi bizantini balzava alla ribalta nel mondo dei devoti…”
E’ intuibile, quindi, che, per proteggersi dai saraceni, i
soldati bizantini abbiano costruita sulla fortezza una
chiesetta dedicandola esattamente a San Nicola.
S. Nicola Vescovo di Mira
I resti dei muri del castro
Alcune suggestive
immagini durante il sopralluogo a Pizzo S. Nicola, dove i
Proff.ri Bonacasa ed Allegro hanno individuato le tracce
delle mura della fortezza: il famoso Paleocastro di S.Nicola,
di cui parla lo storico Prof. Camillo Filangeri, e non un
mulino a vento, come sin’adesso ritenuto. Le fotografie sono
di N. Allegro e di S. Migliore
Veduta sul versante occidentale dal quale si controllava la
regia trazzera Haluntium-Traina
)
Da qui si controllava il versante di nord-est:
La vallata del Fitalia, con i paesaggi di Longi e Galati
Mamertino
Spezzoni di muri - Ph. S. Migliore
“”Università degli Studi di Palermo
Dipartimento Di Beni Culturali
Storico-Archeologici, Socio-Antropologici E
Geografici
Sezione Archeologica
***
SOPRALLUOGO ESTATE 2006. SITO DI PALEOCASTRO
DI S. NICOLA (LONGI)
Il sito di Paleocastro di San Nicola nel comune di Longi è
un’alta collina calcarea sul versante sinistro del fiume
Fitalia, di cui domina l’ampia vallata. Presenta pareti
scoscese e pressoché inaccessibili su tutti i lati , tranne che
sul lato ovest, dal quale è possibile accedere alla vetta,
percorrendo un sentiero che si inerpica sui fianchi ripidi del
rilievo. La vetta è costituita da un piccolo pianoro stretto e
allungato fiancheggiato da due speroni calcarei, di cui quello
est si affaccia sulla valle del fiume Fitalia, quello ovest
controlla il percorso di un’antica strada
(la regia trazzera S. Marco A. - Troina ndr).
Il pianoro è cinto da un muro, che sul lato NO,
l’unico accessibile, presenta un secondo sbarramento. Tratti
di mura collegano la cinta del pianoro ai due speroni che lo
fiancheggiano. I muri hanno uno spessore di m 1,00 ca;
alcuni sembrano costruiti a secco, altri con malta. Nel
pianoro sono visibili i resti di una cisterna e sparsi sul
terreno si notano frammenti di tegole a profilo curvo di
impasto grossolano. Dall’esame delle strutture sembra che il
complesso abbia subito nel tempo rimaneggiamenti.
E’ probabile che le strutture di Paleocastro di S.
Nicola siano riferibili, come suggerisce lo stesso toponimo,
ad un fortino di età medioevale, facente parte di un sistema di
opere di difesa, distribuite nei punti strategici del territorio.
La scarsa visibilità del terreno, coperto da una fitta
vegetazione, non ha consentito di raccogliere cocci
diagnostici e pertanto solo uno scavo archeologico e una
ricognizione territoriale, potrebbero fornire elementi utili per
risalire alla datazione e alla funzione del complesso.
Nunzio Allegro *
(*Archeologo - Docente universitario ndr )
Facoltà di Lettere e Filosofia, Viale delle Scienze, 90128
Palermo “”
Altre testimonianze
documentali sparse
“... a quota 1298, sul vertice di una piramide di roccia,
accessibile, e con difficoltà, soltanto da ovest, ed ai cui piedi sgorga
la sorgente delle “sette fontane”, rimangono, per un’estensione di
circa settecento metri quadrati, i resti di una costruzione realizzata
con muri dello spessore variabile da un metro ad un metro e
sessanta, legati con grande quantità di calce e con l’impiego di
mattoni di argilla molto grandi”
( Camillo Filangieri - Ipotesi sul sito e sul territorio di Demenna -
1978)
Lo schema planimetrico della fortezza,
secondo Filangeri
Il punto più alto della vetta, m. 1298, presenta “un
acrocoro praticabile con non più di 2000 metri quadri di incerto
pianoro” . “ L’acrocoro è bipartito da un dislivello che separa la
parte orientale, più bassa ed affacciata sugli abitati di Longi e di
Galati, dalla parte occidentale, più alta ed impegnata dal sistema
più cospicuo dei ruderi”. I ruderi del nucleo centrale fanno
intravedere la delimitazione di “ più locali consecutivi (almeno
quattro) disposti nella parte più alta della vetta e direttamente
affacciati lungo il fianco settentrionale”.
( C. Filangeri – I ruderi di un paleocastro sui Nebrodi ).
* * *
COSI ' LA SOPRINTENDENZA DI MESSINA
In data 16 luglio 1999, la Soprintendenza BB.CC.AA. di Messina
scriveva, tra l'altro, ai Sindaci di Longi ed Alcara Li Fusi, nonchè
p.c. al Parco dei Nebrodi : " Con riferimento ai sopralluoghi del
9.06.99 e del 23.06.99 da parte della dott.ssa Gabriella Tigano,
responsabile di zona, si comunica quanto segue......................Per
quanto attiene tutta la zona di Rocche del Crasto, si sottolinea che
essa è senza dubbio potenzialmente di rilevante interesse
archeologico in quanto frequentata in età preistorica....e lungo
l'età tardo antica e medievale ( come è indicato a livello
superficiale dalle numerose concentrazioni di cocciame
superficiali rilevabili sia sulle balze superiori che nei pendii) . Per
il Pizzo di S. Nicola che sovrasta la località Settefontane, si segnala
la pubblicazione di Filangeri (in Sicilia Archeologica n. 51.1983)
che ha pubblicato anche un rilievo delle strutture bizantine ben in
luce sull'acrocoro."
* * *
"La rocca di Demenna, la cui localizzazione non è mai
stata individuata con precisione, insisteva comunque nel territorio
a sud di Alcara, probabilmente sulle Rocche del Crasto. Questo sito
faceva riferimento a strutture difensive che integravano le difese
naturali, come il “paleocastro” individuato da Camillo Filangeri a
quota 1298 su pizzo S.Nicola, e ad un sistema di rimandi visivi che
permettevano il controllo delle vallate, probabilmente in continuità
storica con lo sviluppo dell’insediamento dei Lacedemoni.” (Fabio
Tedesco- Il sistema difensivo altomedievale in Valdemone-
Paleokastro maggio 2006). Derivandola dal latino castrum, i
bizantini chiamarono la loro fortezza kastron, da cui paleocastro,
cioè antica fortezza o roccaforte.
* * *
Le piccole ma razionali fortezze Bizantine erano concepite per
avvistare il pericolo e per resistere temporaneamente ai raid in
attesa di aiuto in quanto il grosso dell’esercito viveva nelle città e
si spostava all’occorrenza.
* * *
“...Potrebbe essere questa la Gran Via che, passando per le
Rocche del Crasto, collegava la marina di S. Marco a Demenna,
sito fortificato ove soprattutto in età prenormanna potevano
trovare rifugio nei momenti di pericolo gli abitanti di questi
territori.” (Roberto Motta – Alta via: la Dorsale dei Peloritani e dei
Nebrodi ed il sistema delle trazzere – Paleokastro – maggio 2006)
* * *
Immagini e testimonianze
di cui si è avuta conoscenza
attraverso foto pubblicate su
manoscritti
o inviate da detentori dei reperti
Alcune immagini sono state riprese, per gentile concessione
da parte dell’autore, dal manoscritto di Gaetano De Maria,
“Le origini del Valdemone nella Sicilia bizantina”
Anello bizantino
Anforetta
Rocca Calanna: ossa da sepolture e
frammenti di coccio
La cartina geografica sotto raffigurata è di Liliane Dufour,
dei primi anni del 1700. Nell’ immagine, a SO di Longi, è riportato
il sito di un “ Castro”: ovviamente, quello di S, Maria o di S.
Nicola
L’esistenza della fortezza bizantina in posizione strategica, sul
Pizzo di S.Nicola, aveva un motivo d’essere in quanto era a
presidio di un grosso concentramento umano. Quale, se non
Demenna? Non avrebbe avuto senso costruire un “castro” in un
territorio privo dell’elemento umano insediato in un centro abitato
o in nuclei sparsi, ma contigui.
(1 )La cartina geografica mi è stata inviata dall’Architetto e
ricercatore Luigi Santagati di Caltanissetta, che l’ ha pubblicata in un
suo lavoro sulle antiche strade e carte topografiche del XVIII secolo
esistenti in Sicilia. Egli mi ha inoltre dichiarato che “.. Il sito
della città (Demenna) dovrebbe coincidere con il sito delle
Rocche del Crasto (m.1.315 slm) ai margini sud-orientali
del territorio dell’attuale San Marco d’Alunzio, ed a circa 2
Km a SSO di Longi. “
Cocci di anfora(greca?)

Coperture di tombe
Crocetta pettorale
Monete
bronzee trovate pressi del “Chianu
du Cori”, Valle di Sfannumu
Frammenti di mattoni sul
Paleokastro di S. Nicola
Frammenti di ossa da sepolture
presso “Matri Cresia”
Frammento monile femminile
trovato pressi “Chianu du Cori”
Frammento litico esogeno
Fregio (sepolcrale?)
Graffiti sulla parete orientale
del Pizzo del Crasto: antica nave
Lucerna presso le rovine del
Monastero di S Barbaro
Mulino a mano, frammenti macina
di mulino trovati sulla Rocca di
Calanna
Grosso mattone bizantino, trovato nel
Paleokastro di S. Nicola, su cui è possibile
vedere la crosta di un pezzettino di
intonaco dipinto. Chiaramente doveva far
parte di un ambiente chiuso, molto
probabilmente della annessa chiesetta
dedicata a S. Nicola di Mira
Mattoni di copertura di tomba
bizantina nei pressi del Krastos
Moneta bizantina F/ R
Moneta bronzea aluntina D/R
Moneta Impero Bizantino
Moneta illeggibile trovata nei pressi
del “Chianu du Cori”
Peso per telaio
Resti di mura della fortezza sul S.
Nicola

Rilevamento grafico del
Paleokastro sul Pizzo di S. Nicola a
cura dell’Arch. Franco Brancatelli
Sigillo bizantino D/R

In rosso i punti di rinvenimento di
tombe bizantine
nel territorio di Alcara li Fusi
Tombe bizantine
Vasetti greci
Vasetto intero e frammenti di altri ,
corredo di tombe
Rocche del Crasto.
Legenda: ( A ) Pizzo di S.Nicola
(Castro); ( B ) Contrada Miglino; (
C ) Chianu du Cori ; ( D) Cimitero
Saraceni; ( E ) Scontro armato
Antico villaggio rurale Stella
(restaurato)
La grossa pietra, situata come sedile, è una lapide tombale
proveniente dalla zona denominata "cimitero dei saraceni,
sotto il Pizzo dell’Acquafridda, in quanto sono venute alla
luce altre tombe, imputate ,dai contadini che aravano la
terra, ai saraceni.
"Parte terminale di
una grande spada di bronzo....spezzata ..
e ..riutilizzata ..come cuspide di lancia, con una
immanicatura". Il ferro, che si trova, a Siracusa, presso la
Soprintendenza alle Antichità , è attribuibile , secondo il
predetto Ente, alla tarda età del bronzo ( X-XIII sec. a. C)
ed è stato trovato in contrada Miglino dal Sig. Vincenzo
Lazzara di Longi, il quale l'ha consegnato alla Caserma dei
Carabinieri del luogo.
Chiosa a quanto sopra riferito:
Gli studiosi della storia siciliana, soprattutto della sua
preistoria, affermano che i Sicani sarebbero approdati in Sicilia
6000 anni circa prima della nascita di Cristo. Essi erano pastori
e agricoltori ed abitavano le alte vette dei monti . Insediati in
origine su tutta l’isola, furono sospinti nelle parti occidentali a
seguito di una forte eruzione dell’Etna , che ricoprì vaste zone
dell’isola, e dopo alcuni scontri con i Siculi, approdati nell’isola
nel corso del secondo millennio a. C., che li rinchiusero nella
parte sud-occidentale dell’isola. Gli studi archeologici, però,
fanno risalire al III millennio a.C. l’insediamento sicano nella
Sicilia occidentale, in particolare nella parte situata ad ovest
dell’Imera del sud. Soppiantando lentamente i sicani, i Siculi si
insediarono nella parte orientale dell’isola.
Ho ritenuto di dovere riassumere la presenza ed i
movimenti dei due popoli perché c’è chi sosterrebbe che quel
“ferro”, che trovasi presso il Museo di Siracusa, sia da attribuirsi
ai sicani abitanti di Krastos, sui Nebrodi. E’ chiaro, invece, che
quella lancia appartenne al popolo siculo , se è vero che quel
reperto risale alla tarda età del bronzo (XIII – X sec a.C.).
* * *
Per un arricchimento del ventaglio di notizie su cui
riflettere ai fini di una ipotetica ricostruzione preistorica del
territorio abitato, e di cui stiamo trattando, mi è stato riferito
che, oltre alla grotta della contrada “cucinato” ed altre ancora
nei frontali inferiori del Pizzo del Crasto (una di queste fu
abitata sino a circa sessant’anni addietro da un pastore con la
sua famiglia ), sulla parete orientale del Pizzo dell’Acquafridda
ne esiste un’altra, che ha le dimensioni e la conformazione di una
cappelletta, adatta al rifugio degli uomini ingrottati, vissuti
nell’epoca preistorica.
Ricordo un’escursione, fatta negli anni cinquanta, alla
Grotta del Lauro. Dopo esserci addentrati sino alla profondità
raggiungibile, con rudimentali torce di pezzi di copertoni di
gomma, ed avere attraversato uno stretto cunicolo, trovammo,
con i miei compagni, frammenti di una mandibola; considerata
la nostra giovane ignoranza, non fummo in condizioni di stabilire
se essa appartenne ad essere umano oppure animale. Mi sembra
un po’ strano che un animale (pecora, capra o cane) abbia
cercato rifugio nel profondo di una grotta per morirvi. E’ certo,
comunque, che questi ricoveri naturali costituivano, allora, un
sicuro nascondiglio contro le avversità atmosferiche, le
aggressioni di animali feroci e di nemici .
E’ verosimile che, prima dell’insediamento dei demenniti
nel territorio in trattazione, esistessero piccoli e remoti villaggi
posti in cima alle colline, i cui abitanti trovarono idonei alla loro
difesa le asperità montagnose ed i luoghi inaccessibili, che, per
quei tempi, costituivano una barriera naturale alle incursioni di
uomini , che, per sopravvivere, non erano certamente nè miti, nè
civilmente avvicinabili.
* * *
Ad ovest di Miglino esiste la contrada detta del
“cucinato”, dove ci sarebbero una grotta ed una sorgente d’acqua:
il sito è così denominato in quanto- secondo la tradizione localeivi
sarebbe stato preparato il cibo per le truppe impegnate
nell’azione militare.
* * *
Sempre secondo i racconti di don Ciccino Pidalà,
praticissimo della zona e cantore delle leggende e delle storie
centenarie, la cosiddetta“valle del liquido” prenderebbe la
denominazione dalla circostanza che in essa venivano buttati i
cadaveri dei nemici uccisi in combattimento e sciolti con un
qualche acido in uso a quei tempi. Prima, però, venivano denudati
ed i vestiti bruciati nella “valletta dei craculi”( panni strappati).
* * *
Quanto riferito va a formare un pannello di segnali positivi
che rafforzano la convinzione che, in quei dintorni, è esistita
l’antica città di Demenna.
Il territorio tra Longi ed Alcara li Fusi visto dal
satellite
Sul pianoro del Pizzo di S.Nicola, a ridosso ed al
sud di Longi, sorgeva l’antica fortezza.
AGGIORNAMENTI
Il lavoro di ricerca è iniziato alcuni anni addietro e si era
concluso prima della ripresa televisiva della RAI
Educational, la quale diede il titolo di “Cercando Demenna”
al documentario mandato in onda, cioè il medesimo con il
quale avevo pubblicato sul mio sito internet “alle pendici
delle Rocche” il presente saggio. Per non fare una ripetizione
del titolo del documentario televisivo, ho variato quello del
lavoro cartaceo, da me effettuato.
Inoltre, poiché, nel corso degli anni, prima di questa
pubblicazione , sono venuto in possesso di altri elementi, ho
ritenuto, a stesura definita e per non appesantire i capitoli
già chiusi, ho preferito aggiungere queste note a mò di
aggiornamento.
Giugno 2007
In contrada Lemina sarebbe esistita
Demenna, mentre in quella di S.Pietro è stata
posta la prima pietra per la nascitura Longi
Considerando le varie ipotesi e valutando le diverse tesi,
concordo con il professore Don Gaetano De Maria quando
sostiene che il grosso concentramento umano della “Chora
Demennon” è da individuare nella località, in territorio alcarese,
denominata ancor oggi Lemina, e che il suo nucleo abitato era
chiamato Demenna, mentre il relativo kastron – allora indicato di
S. Maria ma oggi segnalato topograficamente come paleocastro di
S. Nicola– era ed è nell’attuale territorio di Longi .
E' altresì da annotare che, dopo la distruzione di Demenna
ad opera dei Saraceni, la popolazione scampata all’eccidio – i
soldati bizantini, impropriamente intesi latini o romani (ma non
romani di Roma) sol perchè provenienti dall’Impero Romano
d’Oriente, di stanza al Castro di S. Maria ( o di S. Nicola), ed i
demenniti (greci) – si divise in diversi gruppi: alcuni si diressero ad
Alcara, già esistente, altri verso destinazione ignota. I pochi
documenti in materia dicono che avrebbero fondati, nel tempo , i
centri abitati di Longi e di Frazzanò. Ma - e questo è un fatto
nuovo-, è convinzione di qualche morfologista che gli abitanti della
contrada del Comune di Galati Mamertino, San Basilio,
presentino caratteri somatici, relativi all’aspetto strutturale e
formale, dissimili dagli abitanti del centro di cui, dal punto di vista
urbanistico, fanno parte. Essi hanno parecchie affinità con la
gente la cui religiosità faceva riferimento ai basiliani: ne è un
segno preminente il toponimo dato al loro agglomerato urbano,
nonché la festività, la più importante ancor oggi, dedicata al
fondatore dell’Ordine dei monaci basiliani: l’orientale San Basilio
Magno. D’altronde, il loro sito era una dipendenza, non lontana
da essa, della grancia del monastero basiliano di S. Pietro di
Muely. Conseguentemente, una quota della discendenza degli esuli
di Demenna potrebbe essere assegnata, quindi, ai "sanbasiloti"
(così vengono comunemente definiti e non galatesi).
Francesco Rizzo (ma lo afferma anche il Morelli) scrive:
“…ora siccome la popolazione di Crastus (secondo alcuni autori
così veniva chiamata la città distrutta dai musulmani; Demenna
venne riscoperta con la Cronaca di Monemvasia, n.d.r.) era distinta
in due rami etnici ben diversi, e cioè i Greci ( i demenniti n.d.r) ed i
Latini (i bizantini dell’Impero Romano d’Oriente, n.d.r.), questi
ultimi varcarono la cresta del monte e scesero verso il versante
orientale, fermandosi per qualche tempo nella località chiamata S.
Nicolò (vicino alla contrada Filippelli, n.d.r. ) poi scesero più a
valle nella grangia sovrastante il torrente Fitalia e costruirono un
centro abitato protetto” da una serie di forti dislocati lungo la
cresta sovrastante il detto fiume.
Viene riferito che “i villaggi e i centri minori per motivi di
economia e di pericolo continuo si svilupparono velocemente sul
modello del “CASTRUM BIZANTINO” ovvero un gruppo di casetorri
affiancate una all’altra in modo da formare una corona
fortificata le cui mura esterne sono di fatto le pareti delle case;
questi CASTRUM vennero edificati solitamente su alture, su
colline, sulle antiche acropoli, sulle coste sfruttando i dislivelli
come terrazze per elevare le abitazioni dal livello strada, le
costruzioni avevano un aspetto ermetico con poche aperture
all’esterno mentre l’interno era elegante e razionale illuminato
spesso da piccoli cortili”.
Da questa tipicità difensiva, quindi, ebbe derivazione il
nome primitivo di “Castrum Longum”, cioè edifici-fortezza
costruiti su una lunga fila. Tutto questo rafforza ancor più la tesi
che i fondatori ed i primi abitatori dell’odierna Longi sono stati i
bizantini-demenniti, sfuggiti al massacro saraceno. Nel tempo,
Castrum Longum viene modificato in Longium, poi Longus, indi
Castel Lungo, anche Alongi ed, infine, è chiamato Longi. Forse ci
si fermerà qui. Tranne che, riducendosi a piccole contrade per la
massiccia emigrazione giovanile, i tre comuni dell'Unione non
decidano di darsi, divenute borghi al pari di Capri Leone, una
nuova denominazione: magari Demenna, "risorta", considerato
che le origini genetiche della gente sono comuni e comune è il
sentire religioso ed il loro "modus vivendi".
Facendo un passo indietro, l’arrivo presso “la grangia
(dipendente anch’essa dal Monastero di Fragalà o di Demenna)
sovrastante il torrente Fitalia” avvenne, però, in due tappe: lo
stazionamento, prima, in contrada S. Nicolò, la fuga - dopo un
paio di secoli - verso valle per dare vita al centro urbano che saràcome
detto - la futura Longi.
Nel piano di S. Nicolò costruirono una chiesa dedicata a S.
Pietro, che diede, in seguito, la denominazione alla omonima
contrada: il posto divenne una grancia governata da un monaco
alle dipendenze dell’Abate del Monastero di S. Filippo di Fragalà.
Nei pressi della chiesa avrebbero realizzati, tra l’altro, un palmento
(la zona era vocata all’impianto di vigneti) ed un opificio per
ricavare il filo dalla pelle degli animali, ovviamente in Filipelli,
laddove insistevano animali da pascolo.
Il pianoro di S.Nicolò, ahimè, sarebbe stato investito da
grossi massi franati dal monte sovrastante ed interessato da uno
smottamento del terreno: tant’è che la chiesetta di S. Pietro scivolò
verso valle. Alla zona, denominata “angara”(ammasso di pietre)
di Santu Petru", malgrado il lungo tempo trascorso, è rimasta
aperta la grossa ferita, un crepaccio, inferta dallo scivolamento
del pianoro verso il basso. Nell’area circostante sono stati trovati
dei reperti, pietre squadrate che potevano fare parte dello stipite
della chiesetta. Uno studio geologico del luogo ci potrebbe dire
molto di più.
La colonia degli esuli, che ha sostato – probabilmente per
alcuni secoli- a S. Nicolò, prima di trasferirsi definitivamente nel
bassopiano dove ebbe a fondare l’attuale Longi , chiamava
quest’ultima contrada “ la Craparia”, cioè luogo di ricovero per le
capre, ma anche di pascolo.
La conoscenza di questi accadimenti ci viene dal racconto
orale, trasmesso nei secoli, ed a me riferito da lucidi ottantenni,
che l'hanno avuto tramandato, a loro volta, dai loro nonni e
costoro dagli antenati , e così via indietro nel tempo.
Per notizia correlata, è opportuno informare i lettori che,
attraverso studi strutturali effettuati dall’Architetto Franco
Brancatelli, emergerebbe che la Chiesa Madre di Longi, realizzata
nel 1500, sarebbe stata sovrapposta ad una preesistente
costruzione del 1300; pertanto, è congetturabile che l’attuale
centro urbano abbia vista la luce tra i secoli XIII e XIV . Simile
ipotesi trova supporto nel fatto che la popolazione di cui parliamo
era fortemente religiosa, grazie alla presenza dei basiliani, per cui,
contestualmente all’insediamento nel sito, poichè era sentita la
necessità di un luogo di culto, si diedero da fare per realizzarlo. La
qual cosa sarebbe avvenuta appunto intorno al 1300.
Pietre squadrate appartenenti alla chiesa di S. Pietro e forse
al palmento
Foto di sinistra, il
muro sulla strada ha coperto i resti della distrutta chiesa di S.
Pietro, che arrivavano sino a metà della strada ; il muro è
stato eliminato per consentire l’inoltrarsi della carreggiata
che
porta a Filipelli
Foto sotto: in alto, la cresta esterna dell’altopiano sul quale
la gente, sfuggita all’eccidio saraceno, aveva ricostruito la
nuova residenza. Dall’attenta visione della foto, osservando il
posto dove la chiesa di San Pietro è scivolata rispetto alla
linea orizzontale del tavoliere abitato, è chiaramente
desumibile un grosso smottamento di tutto il nucleo abitato
verso valle.
(le foto inserite
sono di Salvatore Migliore)
L’antica regia trazzera, partendo da Alcara li Fusi, passa da
contrada Lemina ( o Limina), dove sarebbe esistita Demenna,
e, lambendo la base a nord del Pizzo di S. Nicola, costeggia
la“Rocca che parla”, perviene alla contrada S.Pietro (già S.
Nicolò), dove si fermarono per lungo tempo alcuni fuggiaschi
demenniti, per finire alla “Craparia” (divenuto, poi, il sito su
cui è stato edificato Castrum Longum)
Il cognome Raciti è un testimone del
“trasferimento “ dei demenniti, dopo
l’eccidio della città, verso il futuro sito di
Longi
Roberto Raciti , che ha fatto ricerche genealogiche sul suo
cognome, mi ha inviato questa lettera, accompagnandola
con documenti .
“GentileGaetano,
…….
A proposito di Longi e della sua storia. Riguardo il mio presunto
antenato Raciti del 1217, ho alcune interessanti novita' che mi hanno
fatto cambiare idea riguardo l'origine del cognome Raciti, e qualche
indizio sulle origini di Guglielmo non piu' Normanno ma grecobizantino.
La prima riguarda una attestazione del cognome Raciti/Rachiti
ancora piu' antica, intorno al nono secolo. Difatti viene menzionato
un certo Giovanni Rachiti, eremita greco, meglio conosciuto come
San Elia il Giovane da Enna, vissuto tra il 823 ed il 904 d.C,
chiaramente di origini greco bizantine. Prima che Enna cadesse in
mano saracene costui sfuggi insieme alla famiglia in un luogo non
meglio identificato. Molti anni piu' tardi ritroviamo la madre del santo
a Palermo. La storia si concentra poi sulla vita del santo ed i suoi
viaggi in Sicilia, Calabria e la Grecia.
Si puo' congetturare che altri membri della famiglia si siano rifugiati
in altri luoghi per sfuggire le persecuzioni saracene, con molta
probabilità in luoghi in cui si praticava il culto cristiano in comunita'
tipicamente bizantine.
Questo potrebbe spiegare perche' dopo molti secoli troviamo un
certo Guglielmo Rachiti intorno al 1217 in un paese come Longi,
composto prevalentemente da una comunita' greca. Magari i suoi
antenati sono stati per l'appunto rifugiati presso Demenna per poi
trasferirsi a Longi composta da esuli demenniti. Per congettura, si
potrebbe allora affermare che presso Demenna accorrevano anche
bizantini provenienti da altri territori della Sicilia, essendo rimasta tra
gli ultimi baluardi di cristiani liberi.
Ovviamente queste sono congetture non supportate da prove certe,
ma comunque materiale su cui riflettere.
Ecco la scansione di alcune parti (quelle contenenti il nome della
persona in questione) delle trascrizioni a cura di Salvatore Cusa dei
due diplomi tratti dal convento di S. Filippo di Fragala'
rispettivamente del 1217 e 1245. Esiste anche una copia redatta in
latino del primo diploma (a quanto pare sconosciuta al Cusa
all'epoca), di cui postero' uno scan

Da notare l'uso dell'espressione: " τών λόγγων " nelle firme di vari
testimoni, a conferma del fatto che "dei Longhi" non e' un
cognome, ma probabilmente la localita' da cui provenivano, per
l'appunto Longi in provincia di Messina.
Nel secondo diploma leggo "Spitaler" e "Flatzanou", che
dovrebbero pure corrispondere a particolari comuni o contrade
della zona. Probabilmente "Flatzanou" si riferisce a Frazzano',
Ecco la copia in latino del diploma greco del 1217 tratto dal
Tabulario di S. Filippo di Fragala' a cura di Silvestri Giuseppe. In
essa Guglielmo viene chiamato "Rachiti" e non "Rachites" che
dovrebbe essere la traslitterazione corretta dal greco.
In sostanza pare che nei luoghi in cui si parlasse volgare (e
siciliano dunque) il cognome assumesse questa forma

In sintesi, da quanto sopra descritto si evincerebbe che , nel
IX secolo, periodo dello sbarco dei musulmani in Sicilia, con relativa
conquista della regione, per sfuggire alle “persecuzioni religiose” dei
saraceni, alcuni siciliani si siano rifugiati a Demenna, centro della
resistenza cristiana alle prepotenze dei musulmani, soprattutto di
natura religiosa. Una volta distrutta la città, la famiglia dei Rachiti ,
assieme agli altri esuli, nel X secolo, riparò nell’insediamento umano
che venne a crearsi in Contrada S.Nicolò (oggi S.Pietro). Dopo un
paio di secoli, questo agglomerato venne investito da una frana per
cui gli abitanti fuggirono e ripararono nell’area, più a valle, dando
Ancora una volta, verrebbe dimostrato il legame storico ed
antropologico tra Demenna e Longi.
Una breve digressione
Secondo alcuni studiosi, i bizantini fondarono Longi, i
demenniti Frazzanò. Ed a San Basilio chi ci andò? Mi sorgono
forti dubbi che gli abitanti dei citati centri abbiano avuta
un'originaria impronta genetica derivante da quella esclusiva
divisione etnica, dichiarata dalla penna di alcuni scrittori (storici?
ricercatori?). Di fronte alla tragedia della distruzione e dell'eccidio
saraceno, ritengo molto più razionale che le due etnie abbiano
solidarizzato - sempre che esse, nel tempo, non avessero già dato
vita a nuclei familiari, miscelando, ovviamente, il loro DNA,
considerato che i demenniti –discendenti dagli antichi spartani -
approdarono alle coste sicule protetti dai soldati bizantini- ed
intrapreso un percorso di fuga comune dividendosi, poi, per gruppi
familiari, o per comuni rapporti amicali o, forse, per clan.
Dalla loro fusione, dopo tre secoli circa di convivenza in
terra di Sicilia, non ha senso parlare, quindi, ancora di etnia
bizantina o demennita. Sarebbe più logico parlare di demennobizantini,
dunque greci, venuti da oriente amalgamatasi
nell'eterogeneità globulare del popolo siciliano.
Ma tutto ciò, ai fini archeologici e storici, ha relativa
importanza. Potrebbe averne, semmai, per uno studio
antropologico.
Nel porre la parola fine alla presente monografia,
necessariamente complessa, ma magari insufficiente considerata
la pochezza della documentazione a disposizione, è nel territorio
delimitato dalle contrade Lemina, Miglino, Calanna, Pizzi del
Crasto e di San Nicola, nonché nella vallata interclusa tra questi
due ultimi, che vanno incentrate le ricerche archeologiche:
esplorazione a ventaglio dei luoghi ipotizzati quali possibili
deputati al ritrovamento di reperti archeologici e di ruderi, analisi
di laboratorio e del sottosuolo con gli appositi strumenti (indagini:
tomografica elettrica, sismica, georadar), studio delle fotografie
aeree della zona, indi scavi laddove lo studio preventivo abbia dato
risultati positivi. Ma è fortemente verosimile che gli studi e le
ricerche vadano concentrati soprattutto sul Pizzo di S. Nicola ed a
Lemina in quanto gli altri toponimi richiamati sono da
identificarsi come luogo di scontri tra cristiani e saraceni.

Il territorio argomento della ricerca documentale contenuta
nel manoscritto
Demenna , dopo mille anni
E’stato definito evento storico. In pochi potremo dire: “c’ero
anch’io”. E’ per questo motivo che è stato, per me, un onore l'aver
fatto rivivere sulle Rocche del Crasto sovrastanti la natia Longi –
ma non solo mia– un pezzo di storia millenaria siciliana, quella del
Valdemone bizantino, riferita alla “chorha demennon” (territorio
dei demenniti).
Ho assaporato il privilegio di avere accanto a me un valoroso
studioso: lo storico alcarese e ricercatore paziente e minuzioso, don
Gaetano De Maria, il quale, con la sua appassionante e pregevole
monografia "Le origini del Valdemone nella Sicilia bizantina", in
un intrecciarsi di storia, di religione e di ricerca scientifica, ha
scritto la parola” fine” sulla “vexata qaestio”relativa alla
individuazione stanziale dei demenniti e di Demenna. Nel
medesimo tempo, ho provata l’intensa emozione di avere resa alla
RAI un’intervista sulle vestigia di quella che fu la fortezza
bizantina a difesa di Demenna,. E’ il caso, quì, di rammentare che
alcuni brani di storia parlano dell'eroica Demenna, quale centro
di resistenza cristiana e militare, assieme a Taormina e Rometta,
all'invasore musulmano. Mentre queste ultime due città
sopravvissero, Demenna fu distrutta pietra su pietra. Ma essa,
invece, continua a vivere attraverso la nascita di altri centri
urbani nell'alta valle del Fitalia
Mentre raccontavo della presenza di soldati dell'Impero
Romano di Oriente, che occupavano quel presidio militare , mi
sovveniva che alcuni di quegli uomini del IX secolo d.C., venuti da
chissà quale territorio orientale, furono i nostri lontani antenati. O
meglio di coloro i quali discendono direttamente da quella gente. E
riflettevo, anche, sulla catabasi demennita e bizantina,
figurandomi il percorso effettuato da quegli sventurati: longesi
“in nuce”, ma anche futuri frazzanesi e sanbasiloti . Per non
parlare di coloro i quali hanno trovato riparo nella vicina Alcara.
Non vorrei sembrare immodesto, nè retorico, se affermo di
essere riuscito - ritengo - nell'intento di aver fatto conoscere una
spaccato di storia antica siciliana, scavando nella leggenda ed
inseguendo il passa-parola tramandatosi nei secoli, nonchè
attraverso una paziente ricerca documentale. Storia, che ho avuto
il privilegio di fare rivivere sul nostro Pizzo di S. Nicola
affidandola peraltro all’etere sulle onde del documentario di RAI
Educational .
Questa antica e sconosciuta civiltà, vissuta sulle Rocche
del Crasto, le vicende occorse a questi paladini del cristianesimo,
nonchè i pochi reperti e resti archeologici non possono restare
patrimonio di pochi, nel chiuso dei confini dati dalle rocce
dolomitiche che ci sovrastano. E’ indispensabile continuare nella
nostra azione di espansione culturale dello spaccato storico per
addivenire al traguardo degli scavi archeologici nel territorio di cui
si è parlato e descritto.
Giuseppe Marino Batà scriveva nel 1998: " Alla devastante
furia umana, vi si aggiungano una lunga seria di sconvolgimenti
sismici, succedutisi nel corso dei secoli, nonchè la lenta erosione
carsica, determinata dalle acque meteoriche ristagnanti negli
incavi di natura calcarea, di cui è costituita tutta l'area circostante,
per giustificare la totale scomparsa di ogni traccia della fiorente
città". Ed io vi aggiungerei il disinteresse culturale delle varie
amministrazioni degli enti locali, succedutesi nei decenni,
soprattutto del decorso ultimo secolo.
Ma, sotto la coltre millenaria di materiale terroso, ancora
c'è parecchio tesoro archeologico da riportare al godimento
culturale di questa odierna civiltà!
Nel maggio del 2009, dopo avere partecipato ad un
convegno presso la Fondazione del Banco di Sicilia, a
Palermo, scrissi un articolo :
Demenna era sulle Rocche del Crasto
“Città fantasma” è stata definita Demenna dal prof.
Camillo Filangeri, che ha introdotto la conversazione sul tema:
“luoghi antichi e nomi moderni: ipotesi e certezze fra Nebrodi
e Madonie.”, che si è tenuta presso la Fondazione del Banco di
Sicilia di Palermo, nei giorni scorsi. Dopo avere illustrata la
realtà archeologica emersa dagli scavi di Halesa , l’Architetto
Filangeri si è soffermato brevemente su Demenna, - la quale,
secondo il proprio parere, è esistita presso il sito dell’attuale S.
Marco d’Alunzio – ed ha fatto cenno all’esistenza del
Paleokastro di S. Nicola, in territorio del Comune di Longi, del
quale, a suo tempo, egli ha eseguito il rilevamento del
perimetro murario.
Passando la parola, successivamente, al Prof. Ewald
Kislinger, dell’Università di Vienna, questi ha ribadito quanto
più volte affermato e scritto, cioè che l’antica città di Demenna
è stata fondata dai lacedemoni, fuggiti nel VII secolo d.C. dal
Peloponneso e riparati, sotto la protezione dei bizantini, in
Sicilia. Questi esuli, secondo Kislinger, approdarono alle
pendici del monte su cui sorge l’attuale S. Marco d’Alunzio e,
sulla cima, diedero vita ad un centro abitato , che chiamarono
Demenna per ricordare la patria perduta.
Il Prof. Gaetano De Maria, intervenendo a sua volta, ha
rammentato che, secondo i suoi studi, Demenna non è da
identificarsi con il sito citato dal Prof. Kislinger, bensì sulle
Rocche del Crasto, laddove esistono toponimi che ricordano la
presenza demennita. Lèmina, contrada in territorio di Alcara li
Fusi, non è altro che la derivazione glottologica di Dèmena; ed
ancora, le numerose sepolture bizantine e musulmane rinvenute
nella zona sono un segno dell’esistenza di un insediamento
umano nell’epoca a riferimento, il toponimo “chianu du cori”,
che sta ad indicare il “centro” (o forse la cittadella) dove
probabilmente si concentrava la gente prima di un evento,
bellico o religioso od anche per una decisione collettiva in
preparazione di un qualsiasi avvenimento, il pianoro sulla
Rocca di Calanna dove furono massacrati gli ultimi scampati
all’eccidio saraceno della popolazione demennita. Ed infine, le
numerose testimonianze di reperti archeologici, del periodo
arabo e bizantino, rinvenuti nella zona compresa tra le
contrade Miglino, Cimitero dei saraceni e Chianu du Cori ai
piedi delle Rocche del Crasto.
Interessante è stato l’intervento della prof.ssa Adalgisa
De Simone a proposito di una notizia del cronista arabo
al-'Ummari (Michele Amari, Biblioteca arabo-sicula):"Le
rocche della Sicilia sono: il castel di Tusa, la rocca di
Qal'at al-Qawarib (la rocca delle barchette,
identificata con il sito di S.Stefano vecchio), il castel di
Demona (=Demenna) e San Marco, il castel di Naso
etc.". Il testo arabo –ha detto la prof. De Simone- parla di"
rocca ( hisn)
di Demenna e di San Marco" , il che è anomalo e ambiguo in
quanto si dovrebbe trattare di due rocche , quella di Demenna e
quella di San Marco.Altrimenti il cronista avrebbe dovuto
dire 'di Demenna o di San Marco', oppure 'di
Demenna, altrimenti detta di San Marco'.
La prof.ssa Maria Vittoria Strazzeri, intervenendo a sua volta,
ha riportato quanto scritto nell'Etymologicum Magnum:
"Demenaì :choríon (chora) tes Sikelias: hoti en autô dédetai
ho Typhôn hypò tèn Aítnen" (=Demenna, luogo ( territorio )
della Sicilia dove, ai piedi dell’Etna, Tifone (che
allegoricamente impersona le forze vulcaniche) fu incatenato".
Ovviamente, ci troviamo in presenza di una figura retorica per
indicare la Sicilia, nella cui regione l’autore del testo colloca
Demenna non sapendone indicare il luogo esatto dove la città
sorgeva; aveva udito che essa si trovava in Sicilia, ma dove
esattamente no. La prof. Strazzeri, inoltre, aggiunge: “perché
non pensare che la città in questione sia sprofondata a seguito
di un terremoto? Si giustificherebbe, così, la sua mancata
individuazione esatta dal punto di vista topografico”. E’ molto
probabile che ciò sia accaduto considerato che la zona è
soggetta a movimenti tellurici e franosi (non dimentichiamo
che l’insediamento, in Contrada S. Pietro del territorio di
Longi, da parte degli scampati da Demenna, dopo qualche
secolo, venne cancellato da una grossa frana, che si ripetè,
dopo alcuni secoli, in Contrada S.Maria di Longi. Ma, siamo
convinti che un attento studio geologico, condotto attraverso la
strumentazione per le tomografie elettriche per ricerche
archeologiche, possa dare i risultati sperati. Dopo tutto ciò che
è stato asportato dai cosiddetti tombaroli, nel sottosuolo ancora
c’è tanto da scoprire e portare alla luce.
Dalla breve discussione seguita, è emerso che non tutti
si sono dichiarati convinti delle conclusioni del relatore sulla
identificazione di Demena nell'attuale S. Marco d’Alunzio.
Sorge legittima una domanda: quest’ultimo centro viene
ricordato dalla Storia col nome di Haluntium, quale città
importante durante la dominazione romana, sede di un
“tribunale” che raccolse le testimonianze delle ruberie di Verre
e citata da Cicerone; dopo, nel medioevo, silenzio sino alla
conquista normanna, con la quale assorbì la denominazione di
Demenna, come “capitale” del Valdemone. Se è vero che i
musulmani conquistarono quella città bizantina
assoggettandola al loro dominio, è mai possibile che non
abbiano sfruttato il luogo, rilevante dal punto di vista
strategico? Non c’è traccia alcuna di questo sito sui tomi degli
storici musulmani di quel periodo al seguito degli emiri e
caicchi arabi. La risposta alla sicurezza dei professori Kislinger
e Filangeri ritengo che sia chiaramente desumibile da quanto
sopra evidenziato La ricerca archeologica dell’eroica Demenna
va, pertanto, concentrata sui pianori delle Rocche del Crasto,
tra Longi ed Alcara li Fusi per dare ascolto a quanto scritto da
Michele Amari nelle sua voluminosa e poderosa opera,
fonte insospettabile e insuperabile: "E' accertato che Demena
fino al X secolo (d.C.) fu un centro abitato, dall' XI Demena
significò un distretto o circoscrizione della Sicilia = Il Val di
Demena". L'Amari non si dice certo sulla localizzazione di
Demèna (Monforte?); conosceva bene S. Marco e la sua storia
ma ve la esclude. Demèna ha lasciato solo un toponimo
(Demena / Lemina ) tra Alcara e Longi, ove il compianto
Professore Lavagnini, insigne bizantinista, auspicava di
procedere a sondaggi archeologici, cioè a interrogare "il
TERRITORIO, ARCHIVIO DELLA MEMORIA", felice
espressione, peraltro, del prof. Filangeri durante quest'ultimo
incontro a Palermo sull'argomento.
Chi scrive, quale presidente del Centro Studi “Castrum
Longum”, sta procedendo verso l’organizzazione di un
convegno “sullo stato dell’arte delle ricerche archeologiche
tra Longi ed Alcara li Fusi”, nonché sull’esistenza di
Demenna, la cui scomparsa diede vita ad altri centri abitati ai
piedi delle Rocche del Crasto. In quella sede, verrà proposto di
far nascere un “Museo archeologico all’aperto sulle Rocche
del Crasto”.
E’ azzardato affermare. “Demenna come Troia?”.
Un’epopea di guerra, già descritta attraverso un romanzo
storico fantastico (I Castelmalè), che potrebbe essere portata
sugli schermi cinematografici.
(L’articolo è stato pubblicato su Longiblog)
Successivamente, la Professoressa Maria Vittoria Stracuzzi, da me
contattata, mi ha inviata la seguente tabella, che riassume il lavoro da lei
fatto sull’argomento e che sarà prossimamente pubblicato. La ringrazio per
la sua cortese informazione.

TOPONIMO FONTE DATAZIONE TESTIMONIANZA
Δεμεναί Etymologicum
genuinum
858/872 Demenna: luogo della
Sicilia ai pie-di
dell’Etna sotto il quale
è incate-nato Tifone.
Δέμενvαι Cronaca di
Monemvasia
900/901 Fuga dei Laconi verso
la Sicilia e
insediamento in un
luogo chiamato
Demenna (fine VI -
inizio VII secolo).
Demena Vita anonima
di S. Luca
d’Armento
984 circa Demenna ancora
bizantina non
minacciata dagli Arabi
(fine IX secolo).
D-m-n-š ad-Dāwūdi X secolo Piazzaforte in mano
cristiana
D-m-n-š al-Muqaddasī 988 Una delle città più
importanti di Isqīliah
Dmn =
D(e)m(e)n(na)
Geniza 1046 Mūsā b. ‘Allūš
deposita a Demenna
300 rubā‘iyya per un
suo creditore
residente a Fustat.
al Dimūniš Geniza 1050 Ya‘qūb b. Isma‘īl al-
Andalusī, di
Palermo, informa il
cognato del padre a
Fustat sul lino
destinato alla
vendita sul mercato
di al Dimūniš
Dmn Geniza 1052/53 Yeshū‘ā b. Isma‘īl al-
Makhmūrī ,
mercante, registra
nel libro dei conti un
utile di 25 rubā‘iyya
realizzato a
Demenna.
Val Demanne Amato di
Montecassino
† 1083 circa
(trasmissione
della cronaca in
una redazione
francese del
XIV sec.)
I cristiani che
abitavano in un luogo
chiamato Val
Demanne accorrono
per essere aiutati dal
duca. In essa, a difesa
dei cristiani, sorge il
“chastel qui se clamoit
Saint Marc” (=1061)
Vallis
Deminae
Goffredo
Malaterra
1100 circa
(la redazione
della cronaca)
I “ Christiani in Valle
Deminae manentes”
accorrono in aiuto dei
Normanni (=1061).
Χώρα
Δεμέννων
εἰς τὸν Ἅγιον
Μάρκον
Diploma di
Adelasia
1101 Adelasia soggiorna
“nel territorio di
Demenna a San
Marco”.
D-m-n-š al- Idrīsī 1154 Il toponimo è
indicato come “iqlīm”
/ distretto, che inizia
a Caronia, distante
10 miglia da S.
Marco. Descrizione
di S.Marco nel cui
territorio si produce
seta.

La gola di Dimnas ? Ma è la
“ Stretta di Longi ”

Il Prof. Giuseppe Sirna, studioso di glottologia, da me
interpellato sulla famosa “Gola di Dimnas, mi rispose che essa
è da identificarsi con la “Stretta di Longi”, sul fiume Fitalia.
Abbiamo visionato la cartina topografica della zona e, non
distante dalla Stretta, è segnata la “Contrada Passo d’Armi, che
si trova a ridosso del Convento di S.Filippo di Fragalà; ad ovest
di essi, c’è il Pizzo Difesa. Sappiamo che Fragalà deriva dalla
corruzione di un termine arabo, fràg’al-Allàh, ossia “la gioia di
Allàh” od anche “vittoria di Allàh”. E’ possibile dedurre,
quindi, che in quella zona si sia svolta una battaglia che vide la
vittoria dei saraceni, i quali, con simile denominazione della
contrada, vollero ringraziare il loro Dio.
Riportiamo qualche passaggio tratto dall’opera di ‘An
Nuwaryri, relativamente allo scontro presso la gola di Dimnas.
“Anno 289 (A.D. 16 dicembre -4 dicembre 902). …Egli
(Ibrahim, emiro di Sicilia…mandò a Demona, con un esercito,
il proprio figliuolo Al Aglab, il quale trovò che gli abitanti
erano fuggiti ed egli prese la roba che v’era…) “
“Anno 353 (A.D. 19 gennaio 964- 6 gennaio 965) …
Manuele (comandante dell’esercito bizantino in Sicilia)
marciò con tutto il suo esercito… così numeroso che uno
simile non era mai sbarcato in Sicilia” “ Ibn Amman….pose
una schiera nella gola di Miqus e un’altra nella gola di
Dimnas (Vito Amico, nel suo Dizionario topografico della
Sicilia. Palermo 1856, la pone situata non molto distante da
Alcara). Manuele, dal canto suo,…..mandò due schiere a far
fronte a quelle (nelle due gole sopra citate); nello stesso tempo
ne fece avanzare una terza sulla via che porta a Palermo, per
tagliare il passo alle forze ausiliarie che venivano da quella
parte”
Durante la battaglia, Emanuele fu ucciso. “Gli infedeli
(i bizantini) andarono in ritirata ed i musulmani ad inseguirli
ed a farne strage. Piegando i fuggitivi verso un luogo che
parea pianeggiante, trovarono aspri sentieri e arrivarono al
ciglio di un gran burrone, sì profondo che sembrava un fosso;
nel quale caddero e si uccisero l’un l’altro onde ne fu pieno
quant’era lungo, largo e profondo e i cavalli galopparono
sopra i cadaveri. I superstiti fuggirono in alpestri sentieri e
burroni spaventevoli…tutta la notte i Musulmani uccisero i
fuggitivi per ogni luogo…Il numero degli uccisi passò i
diecimila”
La traduzione è stata fatta da M. Amari,1880,
Biblioteca…, dal testo di ‘An Nuwaryri, il quale lo scrisse nel
XIV secolo assieme ad altri avvenimenti sugli scontri avvenuti
in Sicilia tra Musulmani e Bizantini. Egli trasse le fonti da altri
autori a lui precedenti. Oltre a ciò, non possiamo non
sottolineare che erano trascorsi oltre tre secoli tra la stesura del
testo arabo e gli avvenimenti bellici descritti.
Nella cartina topografica: a destra del “Passo Zita”,
la “Stretta di Longi”, a sinistra, il “Passo d’Armi”
Riteniamo di dovere rammentare che, dopo alcuni
secoli dall’evento di cui sopra, un’altra tragedia ebbe a ripetersi
nel medesimo posto. Il corteo, che conduceva al Castello di
Longi la novella sposa del barone, per un impennarsi dei
cavalli, precipitò a valle. Esso proveniva da un’antica trazzera
che verosimilmente attraversava il Passo d’Armi. Il luogo della
tragedia venne segnato col toponimo di “Passo Zita”, a monte
della Stretta di Longi.

gaetano.zingales@gmail.com

Fonti di riferimento :

Ugo Antonio Bella – Per una Cronistoria di
Campobello di Licata- (Istituto Comprensivo “G.Mazzini”
Campobello di Licata – AG)
Salvatore Serio – Ipotesi sul territorio di Demenna ed
origini del castello di Longi
Gaetano Di Maria – Un santo basiliano sconosciuto:
S. Luca abate di Demena – Archivio Storico per la Sicilia
Orientale (estratto) anno XCII – 1996 –
Salvo Di Matteo- Iconografia storica della provincia
di Palermo (sito: infosicilia.net) –
Dujcev I. – Cronaca di Monemvasia
Ewald Kislinger- Monumenti e testimonianze grecobizantine
di San Marco d’Alunzio (ME)
Franco Ingrillì – Paesi e Paesaggi dei Nebrodi
Gaetano Morelli- Alcara li Fusi
Giuseppe Stazzone- Terra Antica di Alcara
Valenti, Campisi Carcione, Lazzara - LONGI –
Progetto Socrates-Comenius 2003-04 del Liceo “Lucio
Piccolo” di Capo d’Orlando (ME): “Bisanzio, la luce di un
mondo scomparso” –
Biblioteca di S. Marco d’Alunzio- Documenti vari
Comune di San Marco d’Alunzio – CD-ROM ”
Interactive network of Byzantine art” INBA/RAFIntroduzione
storica di Ewald Kislinger- Università di
Vienna
Domenico Ryolo – San Marco d’Alunzio
Sebastiano Franchina – Tortorici – Appunti per una
storia critica (Cap. III Attacchi contro Demona e la valle del
Fitalia)
La Sicilia –Ravanusa – Sopralluogo nell’antica
Crastos/ Una città dalle donne bellissime: articoli del 30
settembre e del 4 agosto 2000
Gazzetta del Sud – articolo del 30 gennaio 1999 di M.
Mento “Viaggio nelle città siculo-greche tra realtà e
leggenda
Comune di Armento (PZ), Profili di Santi nella
Calabria bizantina- Cenni sulla vita di S. Luca
Curia vescovile di Tricarico (Matera) – La diocesi di
Tricarico nel primo millennio della Fondazione: I monaci
Basiliani
Diocesi di Tricarico - Monaci Basiliani
Archivio parrocchiale di Armento- L’Ufficio di S.
Luca di Demenna
Francesco Rizzo – Monografia sulla Valle dei Nebrodi
formata da torrente Fitalia – Ed. 1969-
Camillo Filangeri – I ruderi di un paleocastro sui
Nebrodi – Sicilia Archeologica n. 51 del 1983
Camillo Filangeri - Ipotesi sul sito e sul territorio di
Demenna –Archivio storico siciliano serie IV vol. IV
Gaetano De Maria – Le origini del Valdemone nella
Sicilia bizantina – Edizioni ZC – 2006
Paolo S. Sillitto- (Architetto coordinatore del progetto
di scavi archeologici presso il Comune di Pietraperzia.)
Siti internet visitati :
”Cronologia” - La Sicilia (brani di storia)
Comune di Monreale - Storia vini DOC Monreale
Armento: i Santi- Cenni sulla vita di S.Luca, “da
cenni storici e artistici del patrimonio culturale di Armento”
Santi e Beati, San Luca di Demenna o d’Armento e
San Fantino il Giovane
Comune di Naro- Naro,origini leggendarie, di Lillo
Novella
Museo di Gela.- Principali avvenimenti storici
Tucidide- La guerra del Peloponneso ( da Mitologia)
Erodoto- 5,45
Luisa Bocciero- Rito, Mito e Progetto nella Megale
Hellas
Partinico – Storia di Partinico (sito internet Comune)
Fonti orali :
Francesco Pidalà
Beniamino Lazzara

Ringrazio il Dottor Salvatore Migliore per la sua
disponibilità e per la cortese collaborazione, così come
ringrazio i Sigg.ri Francesco Pidalà ed Angelo Pidalà,

Le foto di copertina sono di Salvatore
Migliore:   
nella prima, resti del muro della fortezza sul
Pizzo di S.Nicola; 
nell’ultima, il Trofeo, donato al Popolo
Longese, ricorrendo il suo Primo Millennio di
esistenza, dal Gruppo di Ricerca Longese.




NOTA . Il programma impiegato per estrapolare il testo da un file PDF non ha inserito le fotografie. Me ne dispiace. Il libro, con le foto, è pubblicato su  IL MIO LIBRO: <https://ilmiolibro.kataweb.it/libro/saggistica/54840/tra-krastos-e-demenna/>

Nessun commento: