06 febbraio, 2021

I RACCONTI DEL CAVALIERE

 


Cu nasci tunnu non po' moriri quadratu”


Francesco era un ragazzo irrequieto, intraprendente, propositivo e di intelligenza notevole. A nove anni venne inviato in collegio per attendere agli studi considerato che , a quella età , aveva conseguito la licenza elementare poiché la nonna, maestra, aveva cominciato ad insegnargli le aste a cinque anni ed , al paese, le scuole finivano con le elementari.

Nel convitto si distinse per le sue doti ginniche e sportive; a quindici anni, nel campionato di calcio annuale interno portò la squadra a vincere la coppa, nel ruolo di centravanti. A premiare i vincitori vennero i giocatori della squadra cittadina, che militava in serie A.

Francesco , essendo un monello, come dicevano i suoi superiori preti, ne combinava spesso per cui regolarmente veniva punito. Una per tutte. Era lo studente preferito dal suo insegnante di italiano, un sacerdote, eroe della Resistenza, insignito di medaglia d'oro al valore civile per avere salvato, durante il nazi-fascismo, ottocento ebrei. Ebbene, nel corso di una proiezione di un film nell'apposito salone, durante l'intervallo il sacerdote si alzò dalla sua sedia per un controllo dei ragazzi; quando fu buio in sala, si avviava verso il posto a sedere , che era accanto a Francesco; questi pensò di togliere la sedia sotto al culo - lo dice il divino Dante- del suo professore, il quale rovinò per terra. Il ragazzo venne fatto uscire dal salone e relegato nella sua camerata; negli altri giorni, mentre i compagni pranzavano, a lui , in castigo , veniva concesso di consumare il pasto da solo. Insomma, le punizioni durarono per una settimana. Alla fine, Francesco chiese di volersi confessare con il suo superiore , l'eroe della Resistenza. Poichè questi era un prete non poteva rifiutarsi; dopi essere stato assolto per il “reato” commesso con la penitenza di una infinità di Pater, Ave e Gloria da recitare, si gettò ai piedi di qual santo uomo per implorare il suo perdono. Quegli, poiché era anche un servo di Dio, lo fece alzare, se lo abbracciò e tutto tornò come prima.

Ma Francesco era recidivo nel commettere monellerie e , mentre gli altri compagni giocavano nel cortile, lui veniva messo di sentinella ad un albero oppure veniva sanzionato a fare duecento giri veloci del grande cortile del convitto.

Sino a quando non ne potè più a ricevere castighi nel momento in cui un suo insegnante gli aveva dato un colpo in testa col bastone, facendogli un bernoccolo. Finì l'anno scolastico, ma non vi fece più ritorno al convitto dei salesiani.. Di quegli anni, gli rimase una solida cultura classica e l'apprendimento di valori che forgiarono il suo carattere.

Dopo quaranta anni circa, il Consigliere, quasi ottantenne – così si chiamava il capo del personale – dei preti e dei ragazzi -, quello che lo aveva numerose volte castigato, e che era stato il suo docente di latino e greco, lo raggiunse per telefono per dirgli che desideravano, i suoi ex professori, che lui prendesse l'iniziativa di riunire , per un'allegra reminiscenza , tutti i compagni del suo corso di studi, ex allievi salesiani. Francesco, rimanendo senza parole, riuscì a dire: “ lei è il terribile Consigliere Don...”. La risposta fu “si”. Si riprese dicendo di non essere in grado di contattare i suoi colleghi di classe. Ringraziò e lo salutò, pregandolo di porgere il suo ringraziamento per il privilegio di averlo scelto, ai suoi professori per la bella, ma impossibile, iniziativa. Fu un grande onore, per Francesco, ed anche motivo di orgoglio, a distanza di tanto tempo, che i suoi Maestri del convitto lo scegliessero per un così bello evento; e se ne rammaricò di non poterlo assolvere.

Al paese non c'era un campo sportivo ed i ragazzi giocavano al pallone in un piazzale in terra battuta. Ogni anno , i due paesi dirimpettai, quello con la Stella e l'altro con l'Aquila, si incontravano in un meeting calcistico amichevole nel campo sportivo di quell'altro paese. Il paese di Francesco, negli anni, non aveva mai vinto un incontro, ma quell'anno la vittoria arrise alla improvvisata squadra della Stella, che vinse l'incontro per due a uno, goal segnati entrambi da Francesco in quanto allenato a giocare in un campo sportivo: quello del collegio.

A quei tempi le comunicazioni erano precarie per cui i giocatori della Stella raggiungevano il campo sportivo dell'Aquila “pedibus calcantibus”, a piedi. Era una costante che gli incontri annuali tra le due squadre finissero in lite. Anche quell'anno fu così! I giocatori vincitori dell'incontro si avviarono a pedi per raggiungere il loro domicilio quando, arrivati sotto la contrada Santuzza, vennero investiti dal lancio di sassi provenienti dall'altura. Gambe in spalla, quindi, per sfuggire alla sassaiola.

Dopo alcune settimane, i calciatori dell'Aquila chiesero la rivincita. I ragazzi della Stella si preparavano, in piazza, ad imboccare il sentiero, che, oltrepassato il fiume, li avrebbe condotti, di nascosto dai propri genitori, al paese vicino quando, da in fondo alla strada avanzava , con passo militare, la mamma di Francesco, il quale, avendo intuito che si avvicinava qualche severo castigo, preferì darsela a gambe rifugiandosi presso la casa della nonna, presso la quale fu gradito ospite per tre giorni. Da sua madre tornò dopo la promessa di perdono.

Durante l'estate, la comitiva di Francesco, formata da dodici ragazzi, denominata la “Compagnia dell'asso di coppe”, utilizzava il tempo in escursioni in montagna, ma anche organizzando qualche recita , che avveniva nell'ampio magazzino del nonno, trasformato, per l'occasione in sala teatrale, con palcoscenico e sedie per il pubblico. Il testo della recita era a soggetto illustrato da Francesco, che ne inventava le battute con la conseguenza che, talvolta , “i giovani attori”, improvvisati, le dimenticavano. La recita , in due atti, prevedeva anche la farsa finale anch'essa improvvisata da due bravi giovani attori comici.

Fantastica fu una serata. Erano presenti una trentina di persone adulte, paganti – cinque lire a testa – un complessino di chitarra e mandolino che accompagnava la voce di una bellissima ragazza. La somma raccolta venne utilizzata per una scorpacciata di stigghiole in una notte memorabile, dove , per la prima volta, Francesco e qualche altro conobbero l'ebbrezza del vino: alle quattro del mattino andarono a rinfrescarsi alle acque che scorrevano di continuo dalla caratteristica fonte pubblica , con due bocche “dirimpettaie”, per poi concludere l'allegra nottata, con una fraterna scazzottata per smaltire gli ultimi residui dei parecchi calici di quel dolce liquore, che, dicono, piaceva tanto a quel beone di Bacco. Il quale, però, quella notte era senza Venere né tabacco.

Al liceo classico divenne campione di palla a volo portando la sua squadra a vincere, nelle competizioni interne al liceo ed in quelle esterne, con il famoso lancio della palla nell'area della squadra avversaria imprimendo un colpo della mano che faceva roteare fortemente in senso contrario la palla per cui all'avversario spesso sfuggiva di mano. Essendo alto di statura, sotto la rete, faceva delle “schiacciate” che era impossibile controllare.

Il suo professore di greco antico, quando un discente sbagliava qualche traduzione orale in diretta dal greco, lo apostrofava con il classico “ kiti fallos”, che tradotto significava due sul registro, accompagnato da “sei una testa di “ca...o”. Meno male che era una classe di soli maschi. La quale era divisa in tre fila di banchi: l'una definita zona “fabbrica di fagioli” perchè un compagno, ben messo in carne, amava molto mangiare fagioli la sera, con le conseguenze note; quella di mezzo “caduta massi”, perchè di tanto in tanto si staccavano dal tetto calcinacci; la terza, “zona Russo” perchè il compagno dell'ultimo banco, che così si chiamava, quando lo facevano incavolare si slacciava una scarpa e la tirava a colui che l'aveva “offeso”. Una classe non proprio tranquilla! Anche perchè, quando era l'ora di Storia dell'Arte, non si sa perchè era un cercare per terra matite e penne che cadevano dal banco quando la professoressa, una giovane e bella donna, non siciliana, si sedeva nella sua sedia posta sulla cattedra scoperta davanti e, poiché a quei tempi le donne non vestivano ancora in pantaloni, i movimenti delle sue tornite gambe, lasciando visibili gran parte delle cosce, divenivano oggetto di attrazione e di distrazione dalle sue lezioni: era un'ora di goduria. Eravamo negli anni cinquanta, dove ancora il “sessantotto” era ben lontano.

Ogni anno, il professore di ginnastica organizzava un incontro di calcio tra i ragazzi della scuola e le matricole universitarie locali. Francesco venne chiamato a farne parte. Nessuno aveva un abbigliamento calcistico e Francesco venne invitato a tallonare un giocatore molto alto, quasi due metri. A metà del secondo tempo erano in vantaggio i liceali per tre a uno, due dei quali mandati in rete da Francesco; gli spettatori, molti di questi donne , reclamavano il quarto goal, ma a Francesco si era aperta la normale scarpa per cui occorreva un laccio per legare la suola al resto della calzatura. Non è stato mai capito come abbiano fatto, quei suoi compagni, a trovare uno spago per cui , sul finire del secondo tempo, il giovane campione segnò il suo terzo goal. 4 a 1 per il liceo. L'indomani, in città, uscì un foglio a ciclostile dove una vignetta raffigurava Francesco che, con un pallone, sfondava il berretto universitario. Era accaduto pochissime volte.

Francesco veniva ingaggiato, a gratis, dagli istituti locali magistrale e tecnico e sempre portava alla vittoria la squadra.

Al ballo pubblico in maschera nella sala di un cinema , a Carnevale, Francesco vi partecipò vestendo i panni di Robin Hood, accompagnato da una splendida lady Marian, interpretata dalla sua prima ragazza, bellissima e di due anni più matura. Attenzione, era la sua prima “donna” perchè il suo primo amore , platonico, era rimasto nel luogo natio.

Agli esami di maturità, l'interrogazione sulla storia dell'arte venne svolta da una giovane commissaria d'esami, la quale gli chiese di commentare il quadro del Ratto di Proserpina, ma soffermandosi maggiormente sulla storia d'amore tra la dea e Giove; alla fine gli consegnò lo schizzo di un volto giovanile dicendogli: “ sei tu”. L'immagine era stata eseguita mentre Francesco era in attesa di essere interrogato e si chiedeva il motivo per cui la professoressa lo guardasse di continuo e, con la matita, disegnasse sul foglio di carta. Vai a capire le donne!

Conseguita la maturità classica, chiese alla madre, poiché era minorenne, l'autorizzazione ad iscriversi all'Accademia dell'Aeronautica per conseguire la qualifica di Ufficiale- pilota di aerei da combattimento del Corpo militare. Nulla osta che gli venne rifiutato per cui il foscoloniano “ spirto guerrier ch’entro mi rugge”, gli rimase dentro, represso.

Intanto, la sua famiglia si era trasferita in città. All'Università, il giovane ebbe diverse avventure , ma niente di impegnativo. Alla competizione elettorale per eleggere la rappresentanza studentesca in seno al Senato Accademico, nella lista monarchica, non venne eletto, ma la proclamazione degli eletti fu oggetto di contenzioso, per supposti brogli, innanzi al Tribunale. Causa persa.

Aveva conseguito la patente di guida e, dopo qualche anno di allenamento, poiché avevano comprato, di seconda mano, una Alfa Romeo 1900 di cilindrata, di tanto in tanto raggiungevano il paese per qualche giorno. Non esisteva , in quei tempi, l'autostrada per cui si doveva percorrere la vecchia strada statale attraversando l'interno dei paesi; il viaggio durava tre ore. Dopo le prime volte, Francesco riuscì a compiere il percorso in due ore : la sua Alfa, anche nei centri abitati, con le strade sgombre, volava. Una volta, un amico di famiglia , dovendo rientrare dalla città, dove si era recato per il disbrigo di affari, al paese, sapendo che Francesco con la famiglia vi si doveva recare, gli chiese un passaggio. Arrivato al centro della piazza, quegli scese dalla macchina e baciò per terra: “io con te in macchina non vengo più”.

Sorvoliamo sugli anni futuri universitari ed arriviamo a quelli del suo matrimonio per raccontarne alcuni episodi.

Prima di accedere all'altare, dove il bianco è d'obbligo, egli conduceva la sua fidanzata a qualche passeggiata serale. Quella volta era con i suoceri dietro e , dopo essere usciti da una pizzeria, intorno alla mezzanotte, Francesco disse alla sua ragazza di voler fare il circuito veloce dei laghi, laddove un tempo si faceva, in notturna , la “Dieci ore ”. Detto fatto, pigiò sull'acceleratore, ma , passando su un tratto di strada in leggera curva dove il venditore di cozze buttava l'acqua sporca in strada, l'auto sculettò dietro e si alzò e si abbassò per tre volte. La strada era scivolosa , ma il sangue freddo del conducente riuscì a rimettere in riga l'auto: avevano corso il rischio di andare a finire nel lago. Nell'incidente, i viaggiatori sul sedile posteriore – i suoceri futuri – nello specchietto posteriore furono di rapida occhiata di Francesco nel sentirli gridare e sbattere da un lato all'altro come sacchi di patate. Il giovane continuava a correre, ma i suoceri gli intimarono di fermarsi. E scoppiò a ridere. “Perchè ridi , incosciente?”- “Era una scena comica vedervi dimenare da destra a sinistra e viceversa”. La risposta fu uno schiaffo da parte della fidanzata , che non riusciva a riprendersi dalla paura.

Con la moglie doveva partecipare, in qualità di testimone, ad un matrimonio in Calabria. Partirono alle cinque del mattino portandosi dietro il fratello dello sposo con la sua consorte. Assolto al compito della cerimonia e del pranzo nuziale, il gruppo doveva rientrare alla propria abitazione. Era pomeriggio inoltrato e , per raggiungere l'ultimo traghetto che collegava le due sponde dello Stretto, occorrevano due ore buone per cui si affrettarono a partire . La strada da percorrere era la vecchia statale Taranto – Reggio C., meglio nota come “la strada della morte” per i numerosi incidenti che vi avvenivano. L'andatura era sui cinquanta kilometri orari, talvolta 80 nei rettilinei. Il panorama attraversato era incantevole , ma Francesco stava molto attento alla guida. Successe, però, in un rettilineo di un paio di Km. che, per il silenzio dei compagni di viaggio che si erano addormentati , nonché per la stanchezza che anche il guidatore sentiva essendo in piedi dalle quattro del mattino, chiuse un attimo gli occhi ma li aprì immediatamente per vedere dinnanzi a se che la fine del rettilineo doveva affrontare una pericolosa curva doppia a gomito, senza essere segnalata in tempo. Dalla quarta marcia, con una forte accelerata a folle, tentò la doppietta inserendo la leva nella seconda, senza toccare i freni; si udì un forte rombo del motore e la Lancia Appia sbandare a sinistra battendo contro il muretto; per fortuna , non procedeva alcuna auto dal senso opposto, quindi con una leggera accelerata imboccò la curva per poi , superata la seconda curva, rientrare in carreggiata. Immensa fu la paura da parte di tutti per cui fu d'obbligo fermarsi per qualche minuto per riprendersi mentre qualcuno si faceva il segno della Croce ringraziando Dio per la scampata morte.

Essendo stato arruolato nel sindacato per dirigere un giornalino locale, Francesco fu “folgorato sulla via di Damasco” per convertirsi all'ideologia socialista: proveniva – come prima accennato - da una cultura di monarchia costituzionale avendo, peraltro, fatto parte degli organismi dirigenziali giovanili del locale Partito Nazionale Monarchico, quello dell'on Covelli, che ebbe l'onore di conoscere in occasione di una sua visita presso la Federazione Provinciale del partito. La sua adesione al P.N.M venne rafforzata con convinzione, dopo avere ascoltato , durante un pubblico comizio, il grande oratore , Cesare Degli Occhi, che faceva parte dell'ala sinistra del partito. Ciò succedeva durante la sua frequentazione dell'Università. Poi, entrato nel mondo del lavoro , ne conobbe gli aspetti della dura realtà, dei sacrifici, dello sfruttamento aziendale e delle difficoltà in cui versavano i lavoratori, mono reddito, per l'insufficiente salario rispetto alle complesse esigenze del mantenimento di una famiglia. Vide anche lavoratori morire di infarto perchè si sottoponevano a turni massacranti senza soluzione di continuità. Fu soprattutto questa dura e pesante realtà lavorativa che lo convinse ad impegnarsi nel Sindacato.

Separatosi dalla moglie, Francesco fu chiamato, dal Segretario Generale del sindacato, ad andare a lavorare a Roma quale capo redattore del giornale nazionale di categoria. Era iscritto all'Ordine regionale dei Giornalisti di Sicilia , quale giornalista pubblicista, avendo appreso l'arte di scrivere un pezzo, che doveva avere come principio fondamentale quello della ricerca della “Verità”, nonché della impaginazione del giornale in tipografia. Lo stile che preferiva era quello del Daily Mirror , inglese, a quattro colonne, che trasferì nel giornale nazionale , che originariamente veniva stampato a nove colonne, riducendolo a formato tabloid.

Nella capitale aveva conosciuto una vedova, con alcuni anni in più rispetto a lui, con la quale ebbe l'opportunità di conoscere le bellezze , antiche ed artistiche, della città e dei dintorni. Talvolta , nei fine settimana raggiungevano, con la Fiat 500 delle donna, rinomati luoghi del Lazio e dell'Umbria. In un tiepido fine settembre, raggiunsero Castelgandolfo per un pic-nic. Lily – così si chiamava la donna – aveva preparato qualcosa da consumare nel bosco, attorno al lago. Il cielo terso era striato da qualche nuvoletta rosea, un venticello tiepido accarezzava i volti, si udivano in alto fringuelli cinguettare, negli anfratti del bosco alcune coppiette tubavano o, seduti sul prato, consumavano un panino. Francesco e Lily, trovata una rientranza lungo il sentiero, nascosta discretamente alla vista di guardoni da una alta siepe di pungitopo , ancora senza bacche, vi posteggiarono la macchina, uscirono fuori plaid e merende e si distesero per terra. Cosa possono fare due giovani di sesso opposto in un posto così tranquillo e dove l'aria bucolica impregnava le narici invitando ad estraniarsi dai mali del mondo? Francesco era già sopra la donna per le prime effusioni quando essa lo invitò ad alzarsi un attimo per sistemarsi meglio. Scorse un ombra alle sue spalle: un uomo, con un grosso sasso alzato, lo stava per colpire sul capo; fece finta di prendere la pistola – che non aveva – nella tasca posteriore dei pantaloni ed, alzandosi per difendersi , gli gridò, bleffando: “ti sparo, mascalzone”. Il criminale sessuale, il torvo aggressore fuggì. Lilly e Francesco raccattarono tutto ciò che era sparso sul terreno, si misero in macchina, avvisarono altre coppie appartate e si fermarono al primo bar incontrato per riprendersi dalla paura e dal pericolo scampato di morte certa, oltre che da una violenza sessuale che la donna avrebbe subito. Si scolarono due cognac.


Rammentando il titolo del libro di Jach London, “Il richiamo della Foresta”, per fare intendere il grande desiderio di tornare a casa, ma non per il suo contenuto – essendo vissuto per circa un anno in una grande città, bella quanto mai , si, ma chiusa nei suoi rapporti sociali, egli decise, inopinatamente per il Segretario Generale, che gli tolse il saluto per un anno, di abbandonare un avvenire che lo avrebbe portato ai più alti vertici dirigenziali del sindacato e, forse, ad incarichi più allettanti nel mondo della comunicazione giornalistica. La solitudine, purtroppo, cambia, talvolta, l'avvenire delle persone. La lontananza , da ciò che è caro, - il luogo natio, il, dialetto siciliano, i volti amati - appariva nella sua tormentata realtà quando Lilly doveva recarsi da una sorella per trascorrere il fine settimana e la domenica . Ciò si verificava una volta ogni quindici giorni. Erano due giorni in cui l'uomo si aggirava da solo nella città sconosciuta, consumando i pasti , in trattoria, assistendo soltanto all'allegra conversazione dei commensali ai tavoli vicini, senza potere intervenire . Questo stato esistenziale indusse Francesco a prendere la decisione, anche se malvolentieri, di rientrare a casa. Doloroso fu il distacco da Lilly, durante una intera notte trascorsa insieme, che pianse con calde lacrime che sgorgavano dai suoi carezzevoli occhi; non sapeva Francesco se essa si fosse innamorata di lui perchè mai reciprocamente lo manifestarono. Era dolcissima , si trovavano bene insieme e questo , per loro, era l'importante. Senza nulla chiedere. Nè mai Francesco le fece promesse per un loro futuro insieme. Non era bella, ma gradevolmente appetibile, piacevole conversatrice durante lo stare insieme, con alcune lentiggini sul corpo e con lunghi capelli di colore mogano, naturale, che scendevano sciolti lungo tutta la schiena. Ricordava “L'amante di Lady Chatterley” quando essa cavalcava nuda coperta della sua lunga chioma, nonché la ribellione della nobildonna alle stereotipate convenzioni sociali dell'epoca; od anche Lady Godiva nel dipinto di John Collier.

Da un amico siciliano, ben inserito nella confederazione sindacale , il giovane ottenne la corrispondenza del giornale nazionale per la Sicilia orientale.

All'alba, guardando dal finestrino del treno l'azzurro del mare Tirreno in prossimità dello Stretto, il cuore gli si allargava e ritornava il sorriso e la speranza. Era tornato nella sua terra.


Rientrato nella città dello Stretto, visse gli anni del '68 impegnandosi a guidare la protesta ed i cortei dei lavoratori, nonché trovando il tempo di partecipare ai sit-in dinanzi all'Università agli Studi.

Riprese a dirigere il giornale di categoria provinciale, ma, dopo la scissione del P.S.I., il Segretario provinciale del P.S.D.I. , un deputato regionale, lo invitò a ricoprire gli incarichi di responsabile dell'Organizzazione e di Capo redattore del settimanale del partito. La proposta era allettante e Francesco accettò. In questo compito era collaborato da una segretaria , per l'aspetto burocratico-organizzativo, e dalla segretaria del direttore del giornale, per la redazione, una giovane donna, molto bella, che, allora tra le poche in città, indossava la minigonna, versatile e poliedrica: giornalista freelance, attrice di teatro per hobby, poetessa.

Dopo la scissione socialista, confluirono nel Partito socialdemocratico cittadino eminenti personalità, alti ufficiali un ammiraglio, medici, avvocati, industriali ed anche massonici ( di costoro Francesco lo seppe dopo). Di lì a poco si dovevano affrontare le elezioni amministrative per il rinnovo degli organi politici della città. Francesco stese un programma organizzativo di massima , che sottopose all'approvazione del Segretario della Federazione. Avuto l'o.k., si attorniò di una squadra di giovani per la propaganda elettorale cittadina. La quale si svolse in maniera nuova ed originale: furgoni ed automobili, imbandierati con il simbolo del partito, con pannelli che annunciavano i vari appuntamenti elettorali, altoparlanti che non diffondevano, girando i quartieri, slogan ma canti socialisti; all'imbrunire veniva accesa una lampada per illuminare il pannello. Solo in occasione del comizio del socialdemocratico Ministro della Difesa a chiusura della campagna elettorale, i ragazzi con i loro automezzi tempestarono la cittadinanza, con messaggi registrati, che , nel pomeriggio inoltrato, ci sarebbe stato quel comizio dell'importante uomo di governo. Durante l'evento, Francesco, malgrado il parere contrario del Commissario di P.S. della piazza, attraverso l'intervento del Segretario del Ministro della Difesa, riuscì a dislocare ai lati del palco gli automezzi propagandistici, imbandierati e con i pannelli illuminati: un colpo d'occhio. Notevole fu l'affluenza di cittadini per ascoltare l'oratore, sia per l'alta carica da esso riscoperta, sia per la conosciuta eloquenza.

Quell'anno, per la prima volta, il partito si collocò al secondo posto dopo la D.C. conseguendo il diritto alla carica di Vice Sindaco; il compagno designato, dopo qualche anno, essendo deceduto improvvisamente il Sindaco, ne fece le funzioni per parecchio tempo. Quella carica venne conferita ad un amico carissimo di Francesco, il quale lo volle quale capo della sua Segreteria politica.

Facendo un passo indietro, Francesco aveva avuto assegnato un autista con macchina con i simboli del P.S.D.I. per controllare l'andamento della campagna elettorale nelle zone della città, per andare in provincia, quando necessario. Durante la distribuzione , in piazza , dell'organo del partito, un gruppo di fascisti aggredì i ragazzi che lo distribuivano dando fuoco alle copie rimaste e, quando Francesco intervenne per invitarli ad abbandonare la postazione, i fascisti presero a calci e pugni l'automezzo: Francesco si salvò bloccando, dal di dentro, gli sportelli e ordinando all'autista di farsi strada senza fare danni, come “quel tale Ferrer”, di manzoniana memoria, che ordina al suo cocchiere durante una sommossa: Adelante, Pedro, con juicio, si puedes”.

La componente socialdemocratica del suo sindacato provinciale , in occasione di un grosso problema aziendale partorito a livello ministeriale, poiché non venne appoggiata dal partito, a Roma, si rivolse, tramite un rappresentante della componente socialista minoritaria del sindacato, ad un Deputato nazionale del P.S.I, il quale riuscì a portare in porto positivamente l'azione che il sindacato si era intestata. A quel punto i dirigenti del sindacato confluirono tutti nel P.S.I. Francesco, che continuava a militare nel sindacato, comunicò al Segretario della Federazione del PSDI di essere costretto a lasciare gli incarichi rivestiti, malgrado i “ponti d'oro” che gli vennero proposti.

E continuò nel suo impegno sindacale, dirigendo anche il giornale di categoria provinciale.

Il successivo anno si tennero le elezioni politiche e Francesco si impegnò nella campagna elettorale per sostenere un suo amico dai tempi del convitto, candidato alla Camera dei Deputati. Assieme a lui girava in provincia facendo assemblee nelle sezioni del P.S.I e quant'altro occorreva ai fini di procacciare voti e consensi.

In quell'occasione , pubblicò anche una edizione del periodico sindacale e, in un articolo, si espresse contro coloro che militavano nel M.S.I, denunciandone le malefatte poste in essere dai fascisti durante il famigerato “Ventennio”. La loro risposta non si fece attendere. Il gruppo del “boia chi molla”, - forse gli stessi di coloro che lo avevano aggredito nella piazza centrale, qualche anno addietro, nella giornata di celebrazione della Resistenza, il 25 aprile, compì un attentato dinamitardo mettendo una bomba sotto l'automobile della madre. Poichè l'impegno politico di Francesco continuava , qualche giorno prima delle votazioni, venne data alle fiamme la sua auto. Interrogato dai funzionari della Questura, cui raccontò i fatti, anche quelli relativi al suo impegno politico precedente di qualche periodo addietro, costoro fecero intravedere la possibilità che, per il secondo evento criminale, gli autori potessero essere frange di massoni , che non gli avevano perdonato di avere egli abbandonato il precedente partito. Gli venne rilasciato il porto d'armi e si dovette accompare ad una pistola che teneva nel borsello.

Numerose furono gli attestati di solidarietà, alcuni dei quali provenienti da dirigenti nazionali del sindacato e della stampa del partito; tra costoro, il Segretario Generale del suo sindacato, il quale sin'allora non gli aveva perdonato di avere lasciato la conduzione della redazione del giornale nazionale.

Abbandonò la città, su consiglio del Questore, per evitare che gli eventi criminosi a suo danno potessero ripetersi.

Dopo qualche anno, venne eletto Segretario regionale del sindacato e si trasferì nel capoluogo di regione , la “Panormus, urbs felix”. Costituì la segreteria regionale , prima inesistente, fondò il giornale di categoria regionale e girò in lungo e largo tutta la Sicilia, facendo assemblee e partecipando ai vari congressi provinciali.

Un episodio da rammentare. Il direttore regionale dell'azienda aveva l'abitudine di incontrare , nelle varie province siciliane, i funzionari assieme ai rappresentanti sindacali. In una di queste occasione, parlò male del sindacato di Francesco. Il quale venne subito informato. Era in stampa il giornale e il direttore scrisse una pesante versione poetica, che pubblicò, contro quel direttore regionale. Egli era un ex deputato nazionale della D.C e non tollerava che alcuno potesse criticare il suo operato. Convocò, pertanto, Francesco presso il suo ufficio, introducendo il discorso: “da questo momento in poi con lei non parlò più, anzi ho dato incarico al mio avvocato di vedere se ci sono gli estremi di diffamazione nei miei confronti nel pezzo che lei ha scritto”. Erano presenti due alti funzionari e proseguì. “ questi sono i miei padrini, che mi rappresenteranno da ora in poi”. La risposta fu: “ in quale giorno, a quale ora e presso quale sagrato, nascosto, di chiesa dobbiamo incontrarci per il duello”. Si alzò per respirare un po' di ….aria pura uscendo da quel mega- ufficio, senza accogliere il guanto della... sfida. La denunzia per diffamazione non si poteva configurare perchè, nell'apprendere le nozioni del giornalista , assieme alle cinque W , le regole del giornalismo anglosassone – chi, come , quando, dove e perchè - Francesco aveva appreso anche come adoperare la penna: perseguire la verità, denunziare i fatti, far intendere la durezza delle parole senza adoperare aggettivi che potessero configurarsi come reato di offesa , insulto o diffamazione.

Francesco fu confermato Segretario regionale da tre congressi regionali, cioè rimase in carica per quindici anni. Durante i quali ricoprì anche la carica di Consigliere nazionale del Dopolavoro Centrale dell'Azienda , incarico che lo portava spesso in giro per le alcune sezioni provinciali d'Italia per manifestazioni o quando l'Organo di gestione centrale riteneva di dovere intervenire di fronte a disfunzioni o criticità degli stessi.

In pratica, Francesco, facendo parte anche della Direzione nazionale del Sindacato, era costretto a muoversi dalla sua sede regionale molto spesso ed era divenuto un habituè delle linee aeree.

A tal proposito, Francesco ha due ricordi: il primo, col battesimo del volo per raggiungere Trieste in occasione di un congresso nazionale, quando un Fokker con due turboeliche, attraversando l'Appenino centrale, s'imbatté in una tempesta , si spensero le luci nella cabina, cominciò a rollare e, dopo alcuni minuti – che sembrarono un'eternità – uscendo dalla fitta nebbia, era parso di precipitare in quanto , a poche decine di metri, si vide la terraferma: era in fase di atterraggio, non preannunciato dal comandante probabilmente perchè impegnato a controllare l'aereo “impazzito”.

Un'altra volta, rientrando da Roma, atterrato all'aeroporto Falcone e Borsellino, vide ressa di uomini in divisa e ne chiese il motivo. La risposta: un areo è precipitato nei pressi di Ustica. Era l'aereo precedente a quello di Francesco, che percorreva la stessa aerovia , colpito – come noto- da un missile.

Ancora una volta, una delle tre Parche della Morte, Atropo, decise di non recidere il filo della sua vita, pur avendogli ...“mostrato”, diverse volte, qual'è l'aspetto dell'ultimo momento terreno. Indescrivibile!

Nella sua stanza, al sindacato, egli aveva appesi alle pareti tre poster, quello di Sandro Pertini, quello di Che Guevara e quell'altro di Salvatore Carnevale, il sindacalista ucciso dalla mafia: i simboli di riferimento della propria vita.

Alla fine del suo mandato sindacale, Francesco venne eletto Sindaco del suo borgo natio. Ma questo è un periodo che appartiene a quella storia.

Dalla culla della sua virtuale Itaca, con la barba imbiancata, Francesco , con una lunga carrellata , guarda indietro il percorso sin qui seguito e rasserena la sua coscienza nel momento in cui nessun fotogramma gli mostra di non avere assolto, talvolta, al suo dovere di uomo impegnato sia nel sociale, sia nell'azione politica. La difesa dei deboli, la ricerca della verità, la giustizia sociale e la lotta contro tutto ciò che era ingiusto sono stati irrinunciabili principi, dettati dalla sua sete di sapere e dalla sua fede socialista, democratica e riformatrice. Le amarezze della vita , le falsità incontrate e l'iniquità umana sono state somatizzate, ma non dimenticate. Convivono in lui con la consapevolezza di avere fatto sempre il proprio dovere, senza “se e senza ma”.


A Francesco piaceva questa frase:“Sapere quello che va fatto ed essere capace di spiegarlo, amare il proprio paese ed essere incorruttibile sono le capacità necessarie ad un uomo che vuole governare la propria città” (Pericle , 460 a.C.).


Gaetano Zingales


il '68






7 commenti:

gaetanozingales ha detto...

Da Lena. “Francesco” ha avuto una vita ricchissima di avventure , sia professionale che personale. Tante lotte sindacali e tante soddisfazioni sempre a difesa dei deboli. Con coerenza ,dignità forza e coraggio. Ricordi emozionanti giovanili,di collegio,di sport, di marachelle, di ribellione. Spericolato guidatore. Di Amori. Di paure, di scelte forzate dagli eventi Ha vissuto tantissime esperienze che hanno formato l'uomo saggio , colto, intellettuale ,semplice,umano, sensibile. Scrittore e poeta. Emozionante leggerti.

gaetanozingales ha detto...

Da Vincenzo. Complimenti. Mi sa di autobiografia, considerata la riservatezza dell'estensore.

gaetanozingales ha detto...

Da Elena .Molto bello e interessante

Unknown ha detto...

Ti ho conosciuto da adulto ma penso che ci sia molto del "Tanino"che conosco .
Complimenti !!!!

gaetanozingales ha detto...

Chi sei? Solo il nome

gaetanozingales ha detto...

Da Teresa. Ah.......questo Francesco!!!!
......Da dove si evince che, ciò che geneticamente è nella personalità di ciascuno, rimane compagno di vita per sempre, trasformandosi e maturando da "cerchio" in "quadrato", entrambe figure geometriche importanti ed essenziali!
Il vecchio proverbio smentito?👏🏻

gaetanozingales ha detto...

Da Antonino Vicario

Ho letto e con piacere quanto Gaetano Zingales ha raccontato nel suo ultimo "passatempo": CU NASCI TUNNU NON PO', MORIRI QUADRATU" destinato ad estimatori, curiosi, "luncitani", longesi e per quanti apprezzano la "penna" dello Zingales. Infatti, Francesco, il protagonista , a mio avviso non era quel tale che "nasciu tunnu" era semplicemente un ragazzetto vivace, vivacità insita nel suo gene, quindi nulla di straordinario, era "tunnu" e basta! Ed è proprio a causa di questa sua vivacità, Francesco nel suo percorso di vita, si è reso protagonista di una poliedrica vita davvero invidiabile. Ora, quel Francesco "tunnu" nonostante tutto è rimasto tale e... continua imperterrito il percorso che la vita gli ha assegnato. Era "tunnu" e... basta !