10 marzo, 2021

Ruggero di Lauria , feudatario delle terre di Longi

 Intorno agli anni 1280 (XIII secolo), Riccardo di Lauria  venne investito quale Signore delle terre di Longi. Riccardo era il padre di Ruggero,  Grande Ammiraglio del regno di Aragona e di Sicilia. Alla sua morte ne fu il successore nel feudo di Longi. 

In occasione della battaglia all'estuario del fiume Zappulla, Ruggero ricavò dai boschi del territorio il legname necessario per cotruire le sue navi. Si ipotizza che, durante la signoria dei Lauria o Loria, venne importato dalla Catalogna il culto della Madonna di Montserat e costruita una chiesa in contrada S. Maria, andata distrutta con la famosa frana del 1831.

ASPETTI DELLA GUERRA DEL VESPRO: IL BIENNIO 1296-1298 NELLA PROSPETTIVA DI FEDERICO III, RE DI SICILIA, E DI RUGGERO DI LAURIA

di Rosanna Lamboglia

I vent’anni della guerra del Vespro siciliano (1282-1302) – esito estremo della frattura tra il potere regio e i ceti nobiliari isolani che si era andata prefigurando già alla fine del dominio svevo in Italia meridionale1 – rappresentano un periodo breve della storia del Mezzogiorno medievale e tuttavia estremamente significativo, soprattutto se si considera che dalla sollevazione palermitana si generarono conseguenze di carattere permanente, destinate a determinare, ben oltre la soluzione del conflitto, gli sviluppi politico-economici dell’intera area. Ciò che poteva sembrare una faccenda locale e marginale, sulla scala invece delle tendenze di durata secolare e dei bilanci a lungo termine, finiva col rivelarsi un punto di non ritorno nella storia del Mediterraneo, proprio per i suoi imprevedibili esiti. Infatti, a partire da quegli anni, la Corona d’Aragona si sarebbe imposta come uno dei maggiori protagonisti politici della scena mediterranea, ma anche come un tenace elemento perturbatore2.

1 Allo stesso tempo, si sarebbe avviato quel processo storico conclusosi non solo con l’annessione dell’Isola alla Corona d’Aragona, bensì con la riduzione di tutto il Regno a Viceregno. Se però ci si attiene ad una prospettiva di medio termine, va parimenti rilevato come con l’incoronazione nella primavera del 1296 dell’infante Federico d’Aragona a re di Sicilia3 si apra un nuovo periodo di autonomia giuridica dell’Isola, che sarebbe poi continuato sotto i successori, fino almeno a tutto il regno di Federico IV (1355-1377) e, in parte, nel breve regno di Martino I, il Giovane (1402-1409). L’acclamazione a re di Federico in un parlamento, a Catania, già nel gennaio del 1296, è la soluzione di un complesso nodo politico secondo una prospettiva di parte – quella del cosiddetto partito dei “Siciliani” – che, sin dal 1293, si era opposta a qualsiasi trattativa di pace, volta a realizzare un ritorno dell’Isola sotto le insegne angioine4. In tal senso, la rilettura dei capitoli conclusivi dell’Historia Sicula di Bartolomeo diNeocastro5 è assai eloquente di una precisa linea d’azione, maturata all’interno dell’osservatorio politico siciliano e relativa alle trattative di pace messe in campo dalla diplomazia di papa Niccolò IV. Ciò infatti è quanto emerge dal discorso, intriso di retorica, che il Cronista fa pronunciare a uno dei legati dell’ambasceria siciliana presso la corte aragonese, il messinese Pandolfo di Falcone. In un’arringa in cui è prevalente il motivo polemico nei confronti del re aragonese, Giacomo II, che si è lasciato troppo facilmente persuadere alla pace non considerando adeguatamente tanto l’inganno soggiacente alla pace stessa quanto pure la sorte dei Siciliani, Pandolfo di Falcone mette bene in evidenza come, in Sicilia, si fosse posto il problema del gioco politico di Giacomo. Salvaguardare l’autonomia dell’Isola e allo stesso tempo garantirne la difesa erano pertanto le due massime preoccupazioni che i Siciliani individuavano e che quindi esponevano nell’ambasceria6. La soluzione politica prospettata da Bartolomeo di Neocastro per bocca di Pandolfo di Falcone è molto chiara: essa prevede la designazione di Federico a re e la difesa militare della Sicilia, da affidare ancora così come lo era stato sino a quel momento all’ammiraglio della flotta siculocatalana, Ruggero di Lauria (1245/1250 ca - València 1305)7. Ad essere richiesti erano però anche l’intervento e il consenso di Giacomo; anzi, proprio costui doveva sentirsi in dovere di patrocinare la designazione regale di Federico sulla base di quella discendenza avita che dai Siciliani era parimenti riconosciuta, dopo di lui, anche all’Infante e che risaliva per mezzo di Costanza di Svevia alla famiglia dell’imperatore Federico II: tanto, dunque, i Siciliani – novelli figli dell’aquila8 – chiedevano e si aspettavano che Giacomo facesse a loro garanzia e tutela9. I resoconti delle cronache – è noto – non sono una completa testimonianza di verità, in quanto i cronisti scelgono i fatti che riportano e ne sono in primo luogo commentatori e giudici. Pertanto dietro l’immagine di un resoconto che viene presentato con un qualche gradiente

5 di ufficialità, c’è sempre il nesso tra fatti narrati e modo in cui vengono narrati: esso è in un certo qual modo rivelativo della parzialità della cronaca, almeno nella misura in cui questa veicola la cultura, l’inclinazione politica e il sentimento d’appartenenza propri di chi queste narrazioni ha redatto. Se dunque vale ancora il monito di Gina Fasoli secondo cui le cronache «a saperle leggere con quello che dicono e con quello che non dicono, raccontano moltissime cose»10, anche l’improbabilità dell’arringa di Pandolfo consente di cogliere gli aspetti propri del problema che una eventuale trattativa di pace avrebbe comportato per i Siciliani. E questo è tanto più prezioso, quanto più conciso ed essenziale è invece il resoconto che, relativamente alle stesse vicende, offre l’altro cronista sincrono, Nicolò Speciale11. Nella Historia Sicula di Nicolò Speciale, a prendere l’iniziativa dell’ambasceria alla corte catalana è la regina Costanza di Svevia che, dalla Sicilia e nel 1295, chiede al figlio Giacomo chiarimenti non più sulle trattative di pace di papa Niccolò, bensì su quelle che il nuovo pontefice, Bonifacio VIII, aveva posto in essere con gli accordi di Anagni12. È in Nicolò Speciale, dunque, che l’elezione di Federico si determina come deroga e rifiuto della pace di fatto stipulata, nel giugno del 1295 ad Anagni13, tra Giacomo II, papa Bonifacio e l’angioino Carlo II; e tale Nel mezzo – e, nella fattispecie, nel cap. XXIII – Nicolò Speciale riferisce che fu proprio Ruggero di Lauria insieme a Vinciguerra di Palizzi a veicolare in maniera determinante l’acclamazione di Federico a re di Sicilia, avvenuta all’interno di un generale colloquium, a Catania, il 15 gennaio 129615. La narrazione è anche ricca di particolari a riguardo, poiché afferma che alla designazione si procede al termine di un’orazione di Ruggero di Lauria, nella quale l’Ammiraglio, primum orans, prendendo cioè la parola per primo, aveva indicato la soluzione politica dell’incoronazione dell’Infante. E vi si procede “legittimamente”, in quanto Federico è detto substitutus ex testamento patris16 e dopo che chiari erano risultati gli intendimenti di Giacomo17. Nel prosieguo del racconto, sono ancora gli stessi Ruggero di Lauria, Vinciguerra di Palizzi e altri Siciliani a ricusare l’ambasceria che Bonifacio VIII aveva poi sollecitamente inviato in Sicilia per ricondurre tutti a più miti propositi18. Su questi fatti, una lettura integrata dei cronisti Bartolomeo di Neocastro e Nicolò Speciale mette ben in evidenza la prospettiva dei Siciliani e fa comprendere anche più a fondo la serie di attestazioni documentali di cui si dirà in seguito. Ed è abbastanza singolare che per far ciò si scelga un protagonista della storia militare del Vespro, Ruggero di Lauria, che molto deve in termini negativi alla vulgata storiografica di matrice sicilianista e nella cui definizione molta parte hanno avuto anche le vicende che principiarono con l’acclamazione di Federico. La figura di Ruggero di Lauria e i documenti che a lui si riferiscono offrono infatti un’insolita chiave di lettura delle diverse linee politiche alla base dal trattato di Anagni. In particolare, sono i rapporti che l’Ammiraglio intrattiene nel biennio 1296-98 con Federico d’Aragona, Giacomo II e Bonifacio VIII a chiarire come un quadro politico assai nebuloso e ambiguo per l’interferenza dei ruoli mano a mano si dipani sotto i colpi dei vincoli vecchi e nuovi, che la politica riesce a cementare. Abbastanza nota è la vulgata storiografica attorno all’ammiraglio Ruggero di Lauria: essa ne ha fatto spesso una figura controversa e contraddittoria, in quanto al Lauria vengono parimenti attribuiti tanto la fama conquistata sul campo di battaglia, cui però fin da subito si legò una coloritura negativa – quella cioè di un personaggio sanguinario ed efferato – quanto l’abominio del tradimento di cui lo tacciava tutta una tradizione storiografica che dal cronista Speciale risaliva sino all’Amari, per il supposto cambiamento di fronte nella quaestio Siculorum19. In proposito, non si tratta di ripercorrere i termini di una vulgata che non ci porterebbe molto lontano lungo la strada sempre impervia delle contrapposizioni, bensì di considerare l’intero frangente dal punto di vista dell’implicazione dei ruoli. In tal senso, giova rilevare come la posizione di Ruggero di Lauria nelle vicende del Vespro sia più volte ambivalente: egli è infatti prima vassallo dei re aragonesi – Pietro il Grande, Alfonso il Liberale e Giacomo II, nel doppio ruolo di re d’Aragona e di Sicilia – in ragione di una signoria territoriale nel Regno di Valenza costituitasi a cominciare dai tempi di Giacomo I, ma è anche vassallo, oltre che di Giacomo II, pure dell’infante Federico nel periodo della luogotenenza e come re dal 1296, possedendo l’Ammiraglio castelli e terre, nel distretto di Messina20. Ruggero di Lauria è però anche comandante della flotta siculo-aragonese per la designazione di Pietro III21 del 1283, e continua ad esserlo, dopo la riconferma nel ruolo da parte di Alfonso III22, per tutto il periodo a seguire sino a buona parte del 1296, anche cioé nella Sicilia del nuovo re, Federico III. Alla luce di tale interferenza di ruoli, non è dunque secondario considerare la posizione di Ruggero di Lauria in relazione alla pace di Anagni. Certo è che prima che venisse stipulata, Ruggero aveva accompagnato Federico ad un convegno con papa Bonifacio presso Velletri23 il 30 maggio 1295 e a Bonifacio aveva dichiarato l’improponibilità della questione della restituzione della Sicilia alla Chiesa. Con il successivopatrocinio nella designazione regale di Federico, Ruggero contribuì di suo a implementare l’ambivalenza del proprio ruolo per la quale egli ritornava ad essere al servizio di due padroni e signori, così come lo era stato una prima volta già ai tempi del regno di Alfonso III d’Aragona e dell’infante Giacomo, re di Sicilia. Nel primo trimestre del 1296, con Giacomo II, re d’Aragona e Federico III, re di Sicilia, restavano infatti immutati tanto la magistratura di ammiraglio, quanto pure i possedimenti al di là e al di qua dell’isola di Sicilia e nel Regno di Valenza. Né minore ambivalenza del resto c’era in Giacomo II, mantenendo egli le due Corone – quella aragonese e quella siciliana – e agendo, assunto il trono maggiore, sempre più in qualità di re d’Aragona e sempre meno come re di Sicilia24. Nel frangente particolare, Giacomo era soprattutto un re che si cimentava, a casa propria, nella campagna per la ri-conquista del Regno di Murcia (1296-1304)25. Strette tra il Regno di Valenza a nord ed il Regno di Granada a sud, le terre murciane erano dal 1243 distretto giurisdizionale e territoriale della Corona di Castiglia-León per le vicende pregresse della reconquista e poi anche grazie all’aiuto catalano-aragonese dell’infante Pietro d’Aragona nella cosiddetta guerra di Murcia (12651266). La decisione di Giacomo II di iniziare una nuova campagna, convinto in principio di avere il Regno murciano senza troppa fatica in cambio del sostegno che egli poteva offrire al candidato usurpatore Alfonso de la Cerda26, portò la Corona d’Aragona a un duro e lungo confronto con la Castiglia, per il quale vennero mobilitate tutte le forze della compagine catalano-aragonese27Ruggero di Lauria non era all’oscuro delle operazioni di guerra avviate da Giacomo nella penisola iberica, ma rimanendo di stanza in Sicilia non partecipava di persona alla campagna murciana. Egli non faceva però mancare, da buon vassallo e da buon ufficiale, il suo appoggio, che fu opportunamente garantito dal procuratore di Ruggero, Giacomo di Guardia28, preposto alla cura degli interessi nel Regno di Valenza e, in generale, a tutte le faccende a cui il Lauria, assorbito dalle campagne militari siciliane, non poteva provvedere. A Giacomo di Guardia, Giacomo II, impegnato nell’assedio di Oriola, chiese infatti un primo aiuto secondo quanto stabilito precedentemente nei fogli di contribuzione – sostanzialmente l’invio degli uomini di Cocentaina e di tutti gli altri castelli e terre dell’Ammiraglio29 – e successivamente anche una serie di richieste di vettovagliamento per la conduzione delle operazioni di guerra murciane30.L’acclamazione di Federico d’Aragona e la successiva coronazione cadevano dunque proprio nel mezzo della campagna murciana e con Giacomo lontano dalla Sicilia. È legittimo pertanto pensare che tanto Ruggero di Lauria, quanto gli ambienti siciliani, sia vicini alla corte sia municipali, si sentissero investiti di un ruolo politico almeno nelle faccende che ancora li coinvolgevano con gli Angioini31. Probabilmente è la consapevolezza di questo ruolo politico a far prevalere la soluzione del tutto interna all’Isola di opporsi fermamente a un ritorno sotto i Napoletani. A riguardo, molto esplicito è l’Anonimo autore del Chronicon Siculum, il quale mette ben in evidenza come l’Infante si presentasse quale interprete delle aspirazioni siciliane di autonomia. Tale è infatti il senso dei due inserti documentari che al frangente si riferiscono: il primo, concernente la lettera che la città di Palermo aveva inviato a Federico e nella quale si sconsigliava recisamente che l’Infante si recasse al colloquio richiesto da Bonifacio VIII32; il secondo relativo, invece, alla lettera che l’Infante stesso aveva fatto pervenire all’universitas di Paternò, circa l’elezione dei sindaci che avrebbero preso parte al generale colloquium di Catania33. Un peso non secondario deve poi aver avuto anche la considerazione della perdita di tutte le terre continentali conquistate qualora vi fosse stato un ritorno sotto gli Angioini, né meno giustificato era il timore della reazione francese che ancora avrebbero dovuto aspettarsi i Siciliani34. Questa stessa consapevolezza di esercitare un ruolo politico nella guerra siciliana deve pertanto aver indotto tanto Ruggero di Lauriaquanto i Siciliani a non considerare la nuova elezione come dissonante e dissenziente rispetto alla politica di Giacomo dell’accordo di Anagni. A riguardo, infatti, molto diversa era la prospettiva del Sovrano, la stessa cioè che aveva portato alle trattative di pace, mediante un processo lento e graduale, ma in buona misura maturato anche all’interno delle scelte politiche della Corona d’Aragona35. In una prospettiva che guardava ormai non più solamente alla Sicilia, bensì a tutti i Regni della Corona36, il trattato costituiva una svolta nella politica mediterranea di Giacomo, in quanto apriva nuovi spazi d’azione nel Mediterraneo occidentale e creava al medesimo tempo un avvicinamento decisivo tra il Sovrano e Bonifacio VIII37: avvicinamento peraltro ritenuto necessario anche per la felice conduzione delle operazioni nella penisola iberica. In secondo luogo, la Sardegna e la Corsica potevano ben costituire una congrua contropartita per la cessione della Sicilia38. L’elezione dell’infante Federico pertanto scompaginava soprattutto la politica di Giacomo, oltre che una delle principali clausole di Anagni. In proposito, il resoconto delle cronache sia siciliane, sia catalane non riferisce di un Giacomo particolarmente propenso all’elezione di Federico. Né sembra totalmente convincente l’opinione storiografica che, sulla base delle vicende successive, ha individuato una sorta di connivenza di Giacomo con Federico e per la quale il primo finiva col sostenere il fratello dilazionando quanto più possibile la campagna militare promessa a papa Bonifacio39 e nonostante vi fosse stata l’investitura di gonfaloniere e capitano generale della Chiesa40. Alcune evidenze documentali che mettono in relazione il contesto siciliano con le riprese del conflitto murciano sembrano infatti offrire ulteriori e più concreti motivi di plausibilità all’atteggiamento di Giacomo41. Nella prospettiva politica della Corona d’Aragona e con Federico re, era dunque necessario distrarre Ruggero di Lauria dal partito dei Siciliani. In questa direzione, va sicuramente intesa la lettera di rassicurazione che Giacomo II fa pervenire a Carlo II d’Angiò e nella quale è riferito dell’invio di un certo Galcerán di Monteliu a Ruggero per portarlo dalla loro parte42. In questo senso, più previdente di Giacomo era stato papa Bonifacio, il quale da Anagni, già l’11 agosto del 1295 – e quindi immediatamente dopo la firma del trattato – tramite il frate Bonifacio di Calamandrano, aveva formalmente insignito Ruggero delle isole di Gerba e di Cercina (Kerkennah) sia pure prevedendo il pagamento di un censo annuo alla Santa Sede43 e nonostante quelle fossero terre di conquista, che il Lauria aveva precedentemente ottenuto dai sovrani aragonesi44. Di fatto né prima, né dopo la designazione di Federico, i rapporti di Ruggero di Lauria con Giacomo avevano subito incrinature, poiché a metà del 1296 continuavano ancora i traffici delle salme di frumento e il trasporto su navi che l’Ammiraglio faceva tra la Sicilia e la Catalogna, come rifornimento e aiuto nella campagna di guerra murciana45. Né per tutto il periodo a cominciare dall’elezione di Federico, Ruggero di Lauria aveva cessato di essere anche l’ufficiale di Giacomo, poiché proprio alla Corona maggiore l’Ammiraglio, il 24 settembre 1296, presentò i conti dell’armata coinvolta nelle operazioni militari siciliane.

Già a metà dello stesso anno, principiarono invece i motivi di dissenso tra re Federico e Ruggero di Lauria, il quale – secondo il racconto cronachistico – era pur stato tra i principali sostenitori del nuovo sovrano. Non si conoscono, a riguardo, gli elementi reali del contrasto se non appunto quanto emerge dalla cronaca di Nicolò Speciale, ma si può ipotizzare che questi fossero in qualche misura legati al ruolo di Ruggero stesso, o meglio al ruolo che quest’ultimo sperava di poter esercitare in relazione alla politica di Federico. Probabilmente, l’Ammiraglio riteneva di poterla influenzare e dirigere secondo i propri piani, secondo cioè la comprensione che egli aveva della situazione siciliana ma all’interno di un contesto che non poteva non considerare anche la Corona d’Aragona. Federico, al contrario, mostrò una più decisa volontà politica e la ferma intenzione di emanciparsi dai consiglieri che aveva avuto accanto sino a quel momento. A riguardo e con riferimento a vicende politicomilitari specifiche, la cronaca di Nicolò Speciale riferisce del ruolo sempre più comprimario di Blasco d’Alagona, un nobile catalano, che aveva conseguito una certa preminenza nel corso del 129147 e titolare in Calabria dei beni sottratti a Enrico Ruffo di Sinopoli dopo la rivolta antiangioina di Catanzaro e la spartizione dei beni patrimoniali appartenuti ai Ruffo48. L’Alagona era stato quindi richiamato da Giacomo in Catalogna49, ma era poi dal 1293 rientrato in Sicilia dove, ancora secondo il cronista Speciale, risiedeva50. Proprio Blasco d’Alagona, in quegli anni, si era posto alla testa del baronaggio catalano-aragonese in Sicilia51, fomentando non poche discordie tra gli altri feudatari, ma al contempo salendo in considerazione agli occhi di Federico e molto probabilmente superando lo stesso Ruggero di Lauria negli affari di corte e – come si vedrà – anche di guerra52. Ciononostante e fino al principio dell’estate del 1296, l’Ammiraglio è comunque di supporto alla campagna di Federico III. Questi infatti aveva ordinato al Lauria l’equipaggiamento della flotta e, dai primi di maggio, si era mosso alla volta di Reggio come risposta al trattato di Anagni e alla richiesta di Giacomo agli ufficiali aragonesi di consegnare le terre conquistate nella propaggine continentale del Regno53. In proposito, vi è da rimarcare però come Federico agisse con risolutezza anche ut ab agendis future invasionis hostium pro reintegrandis Regni finibus operam admoveret54. L’intervento dell’esercito aveva infatti prioritariamente lo scopo di mantenere salda la presenza siculo-aragonese in Calabria e di difenderla da future azioni nemiche. Nella circostanza, si optò per una strategia militare fatta prevalentemente di assedi via terra a cui l’armata guidata da Ruggero di Lauria offriva opportuno rinforzo. Sebbene la campagna militare avesse ottenuto un discreto successo poiché la città di Reggio votò subito la sua fedeltà a Federico e quella di Squillace lo fece dopo l’assedio da parte di Blasco d’Alagona e Matteo di Termini55, da quel punto in poi più incerta diventava l’impresa per la vicina contea di Catanzaro, controllata dal conte Pietro Ruffo. Il grosso dell’esercito siciliano di Federico, accampato nella località di Roccella di Squillace – luogo non molto distante da Catanzaro – aveva dunque due possibilità: o continuare a muovere l’assedio a Crotone, dove già vi era un reparto alla guida di Blasco d’Alagona, o muovere l’assalto a Catanzaro56. Circa la seconda opzione, il racconto di Nicolò Speciale mette bene in evidenza il parere contrario di Ruggero di Lauria, il quale espone una considerazione propria della strategia militare al consiglio di guerra che doveva deliberare in proposito. Per Ruggero, infatti, sarebbe stato meglio avanzare su Crotone, meno agguerrita e inespugnabile all’assaltopiuttosto che affrontare Pietro Ruffo assuetus bellis et strenuus57 e le sue truppe. Alla fine, prevalse la linea dell’assedio a Catanzaro patrocinata invece dagli altri consiglieri di Federico III58. Essi infatti ritenevano cosa assai agevole espugnare il castello della città e per volgere il Sovrano al proprio partito non esitarono a condire la scelta strategica di Ruggero di Lauria di motivi personali e di parte, essendo l’Ammiraglio imparentato col conte Ruffo. Persuaso dunque da costoro, Federico ordinò l’assedio a Catanzaro e Ruggero di Lauria ubbidì ancora, assaltando le truppe di Pietro Ruffo, nella parte più accessibile della città – il castello – protetta unicamente da un fossato. Il passo della cronaca di Nicolò Speciale, a riguardo, è molto enfatico e mette in evidenza il ruolo di Ruggero di Lauria nella successiva stipula della tregua col Conte, costretto ad una resa sulla carta, qualora egli non avesse ricevuto nel termine ultimo di quaranta giorni aiuti militari da Carlo II. Gli attesi rinforzi non sopraggiunsero e Federico, senza colpo ferire, ottenne la resa dell’avversario e, al contempo, dopo l’insediamento a Catanzaro, anche un avanzamento significativo delle posizioni sul fronte settentrionale mediante la conquista dei centri di Santa Severina e Rossano. Intanto, Ruggero di Lauria partecipava con una parte della flotta, insieme al frate Arnaldo da Pons, ad una rapida incursione in soccorso di Rocca Imperiale59, assediata nel luglio, da Giovanni di Montfort60, capitano generale di Carlo II. Ruggero di Lauria seppe del mancato rispetto della tregua da lui precedentemente stipulata con Pietro Ruffo, avendo – pare – re Federico approfittato di una scaramuccia tra Angioini e Crotronesi, per rinnovare le ostilità e prendere manu militari la città61. Se però, al momento, la faccenda lo aveva oltremodo indispettito, tanto da indurlo a rassegnare– racconta ancora enfaticamente il Cronista – le dimissioni dal proprio incarico di ammiraglio62, egli mosse tuttavia insieme a Federico alla volta della già menzionata conquista di Rocca Imperiale63, cui si aggiunsero – come si diceva – anche quelle di Santa Severina64, di Rossano e delle terre limitrofe del Val di Crati65. Con la resa di Catanzaro e degli altri territori, a cui fece seguito anche la minaccia di Giacomo e la scomunica papale, la campagna di Federico in Calabria terminò, preferendo questi tornarsene in Sicilia e lasciare Blasco d’Alagona come proprio luogotenente citra farum66. Su ordine di Federico, anche Ruggero di Lauria faceva ritorno in Sicilia67, ma solo dopo essersi spinto con parte della flotta in Adriatico, dove prima fece incursioni notturne nell’entroterra leccese sino ad Otranto68 e poi, a nord, tenne una fortunata azione intimidatoria nel porto di Brindisi69. Indubbiamente il solco che si stava cominciando a scavare tra Ruggero di Lauria e Federico III venne implementato dal rifiuto di quest’ultimo di partecipare al consesso voluto da Giacomo II – e patrocinato dalla Santa Sede70 –, nella primavera del successivo 1297 ad Ischia71, allo scopo di individuare una soluzione diplomatica alla defezione che in Sicilia si era determinata con l’elezione dell’Infante. Ruggero di Lauria era particolarmente propenso a che Federico partecipasse all’incontro, spinto – aggiunge significativamente il cronista Speciale – proprio dall’emissario di Giacomo72. In effetti, dopo l’ordine di far immediato rientro in Sicilia, l’Ammiraglio molto si era adoperato per far mutare opinione a Federico e agli ambienti di corte poco favorevoli ad una trattativa con Giacomo II. A riguardo, difficile è determinare il giusto peso da dare alle parole del Cronista, altrettanto complesso è voler leggere tra le righe. Tuttavia, non è neppure lecito mettere in dubbio il passo, soprattutto se si presuppone quella implicazione di ruoli di cui era investito Ruggero di Lauria e per la quale il passo stesso troverebbe una sua fondata plausibilità. Occorre infatti considerare che l’idea di una Sicilia separata dalla Corona aragonese è soprattutto un’acquisizione storiografica mutuata sulla misura degli eventi successivi, piuttosto che una consapevolezza irrevocabile di coloro che agivano e vivevano il 1297. Pertanto si può ragionevolmente ritenere che Ruggero di Lauria non immaginasse ancora la Sicilia come definitivamente separata dalla Corona d’Aragona o a questa antagonista, così come per l’interferenza di ruoli fuorviante sarebbe pure porre la questione se dalla coronazione di Federico in poi e per tutto il tempo in cui, sino ad allora, l’Ammiraglio era stato alla testa della flotta egli avesse combattuto per l’Aragona o per la Sicilia. Il racconto cronachistico di Nicolò Speciale non lascia adito a dubbio circa i dissensi tra Ruggero di Lauria e Federico III, ma consente di intendere anche una loro progressiva incrinatura, culminata nella fin troppo nota e pittoresca scena della pubblica ricusazione del Sovrano dell’omaggio feudale di Ruggero73. In particolare, nella intera narrazione risulta evidente una dinamica per la quale il dissenso relativo alle operazioni militari fosse rientrato, poi, via via, ritorni accentuato, fino a culminare nella più ampia divergenza del consesso di Ischia, evidentemente manifesta agli ambienti di corte74. Quali che ne siano stati i motivi, i rapporti tra Ruggero di Lauria e re Federico rimasero tesi per ciò che ormai rimaneva del 1296, mentre sempre più rumorose si diffondevano alla corte siciliana le voci di un già avvenuto tradimento di Ruggero. Nella fattispecie, però, sia che quanto circolasse sul conto del Lauria fosse mera diceria, sia che si trattasse di notizia ufficiosa con fondo di verità per una scelta di campo già maturata, devono in ogni caso essere state incalzanti per Ruggero tanto la minaccia di Giacomo del 7 gennaio 1297 di revocargli tutti i feudi nel Regno di Valenza75, quanto pure la convocazione del 16 gennaio 1297 a Roma, ritenuta – questa – oltremodo necessaria proprio da Giacomo76. Entrambe bastarono infatti sia a fomentare le dicerie stesse, sia a far pendere l’ago della bilancia circa l’opportunità di prendere parte all’incontro di Ischia e a determinare – come si vedrà – la partenza dalla Sicilia. Questa, però, non è da intendersi ancora come insanabile ed inderogabile rottura con Federico, poiché – a detta del cronista Speciale – Ruggero si offriva di curare gli interessi della Corona siciliana una volta giunto al cospetto di Giacomo, a Roma: «Rogerius ire desiderans, se curaturum Regis Friderici negotia offerebat»77. Tuttavia, il Lauria si preoccupava anche di munire il castrum Laurie, Badulati, et alia castra stipendiis, armis, frugibus, et alia rebus ad futura, que pronosticabantur bella, necessariis78, oltre che di designare il nipote Giovanni amministratore dei beni siciliani. Queste operazioni, che nella prospettiva di Ruggero di Lauria potevano essere intese come una ragionevole contromisura ad un incontro che l’Ammiraglio stesso poteva giudicare come foriero di nulla di buono, insospettirono invece Federico più del dovuto. Questi infatti – secondo ancora Nicolò Speciale – non poteva che intenderli come delle spie preliminari di un passaggio di Ruggero al fronte nemico79. Ciò spiegherebbe in maniera anche più congrua e plausibile il già accennato episodio cronachistico della ricusazione dell’omaggio feudale di re Federico a Ruggero di Lauria80. A margine del vivace racconto della cronaca, si può ancora ragionevolmente ritenere che l’Ammiraglio eseguisse nel frangente le direttive di Giacomo per quella interferenza di ruoli più volte in queste pagine ribadita, che si apprestasse pertanto a condurre la contrasto con Federico si sarebbe infatti potuto accomodare in futuro anche in considerazione degli sviluppi di una politica che, all’esterno, era solo marginalmente isolana. A sostegno di tale tesi vi è l’affermazione di Nicolò Speciale per la quale Ruggero bellum non movet82, sebbene nec quicquam de impetranda pace molitur83 e nonostante fosse stato dichiarato da Federico pubblico nemico84. Si può aggiungere a ciò anche il fatto che la destituzione di Ruggero di Lauria dai beni feudali in Sicilia e in Calabria avviene in seguito alla ribellione di Giovanni di Lauria a re Federico, quando cioè Ruggero è già da qualche settimana lontano dai possedimenti siciliani e, a rivolta in corso, è ancora sulla rotta di ritorno, alla volta della Sicilia85. Si può pertanto concludere che è solo in rapporto al confronto diretto con le linee della politica di Giacomo, che matura definitivamente il nuovo atteggiamento di Ruggero di Lauria nei riguardi della questione siciliana. La serie documentale che segue mostra tuttavia le tappe di un graduale processo, per il quale l’atteggiamento stesso è veicolato e preparato, sia prima, sia dopo. Alla questione, infatti, non era rimasto estraneo Bonifacio VIII86, il quale il 3 gennaio del 1297 – dunque appena qualche settimana prima dell’ordine di Giacomo a Ruggero di recarsi a Roma – aveva inviato al Lauria una comunicazione dal contenuto assai significativo per il giro di

date. Nella bolla, infatti, papa Bonifacio aveva espresso tutto il suo gaudio per le notizie che un rapporto fidato gli aveva trasmesso e che riferiva come Ruggero di Lauria si stesse adoperando per la costituzione di un’armata da condurre col principio dell’estate contro i “ribelli siciliani”. Aveva auspicato poi parimenti che ogni iniziativa di Ruggero potesse proseguire di bene in meglio e che il Lauria stesso potesse esortare Giacomo alla costituzione dell’armata: «exhortamur [sc. Rogerium de Lauria] quatinus huiusmodi laudabiles actus tuos de bono in melius prosequaris et carissimum in Christo filium nostrorum Jacobum Aragonie, Sardinie et Corsice regem illustrem ad prosequendum efficaciter ipsius armate negotium diligenter animes et prudenter inducas»87. Il contenuto della bolla consente anche di rilevare come Bonifacio a questa data non avesse ancora la certezza del fattivo impegno del Lauria, tuttavia lo aveva considerato più che attendibile tanto da annunciare a Ruggero la futura benevolenza papale: «Nec tuam filii volumus litere noticiam sed pro certo tenere quod ea que modernis temporibus in predictis et aliis egisti et facis ac exercere te confidimus in futurum sic mentem nostram gratificant, sic contentant quod in petitis et petendis a te gratiam nostram, in quantum honeste poterimus, favorabilem tibi exhibere proponimus et benignam»88. Intanto anche Giacomo era in viaggio alla volta di Roma, per l’investitura del Regno di Sardegna e di Corsica, in cambio dell’assoggettamento della Sicilia89 e dell’allestimento, con onere quasi interamente papale90, di un contingente militare deputato all’impresa col sopraggiungere appunto dell’estate del 1297. Qualora Giacomo avesse trovato Ruggero di Lauria a Roma e costui disposto al suo servizio91, era infatti sua ferma intenzione investirlo nuovamente della carica di ammiraglio dell’armata di cui Ruggero nel frattempo era stato privato e insignito invece il catalano Bernardo di Sarriano92. Il giorno successivo dell’arrivo del Sovrano a Roma (2 aprile 1297)93, Ruggero di Lauria è, dunque, reintegrato nella magistratura di ammiraglio omnium regnorum nostrorum et comitatum, vale a dire di Catalogna, Aragona e Valenza: il che non è pura faccenda nominale, giacché dalla titolarità di Giacomo era amputata et Sicilie94. Con Giacomo II e Ruggero di Lauria a Roma, papa Bonifacio perseguiva per un verso il guadagno e il consolidamento del Lauria alla causa guelfo-angioina e, per l’altro, preparava un terreno che molto poco aveva a che fare con gli auspici di Carlo II e che, al contempo, di Giacomo si serviva95. È significativo, infatti, che il 5 aprile 1297 Bonifacio VIII emanasse una bolla in cui proponeva ai Siciliani la pace con la Chiesa. In rapporto al contesto che qui si discute, il documento è dunque di particolare interesse per la data di emanazione, per i termini del perdono in esso contenuti e per la rubrica al verso della pergamena96. Qualora infatti i Siciliani avessero accettato la proposta entro il primo settembre dell’anno corrente, papa Bonifacio si sarebbe impegnato a garantire un regime di autonomia di quindici anni all’Isola e alle sue città, alle terre e agli abitanti. Tale autonomia si sarebbe concretizzata con la presenza di ufficiali, castellani e tesorieri unicamente italici o latini, ai Siciliani non sospetti, tanto nelle terre ultra farum quanto in quelle citra farum. Altra misura concreta di autonomia sarebbe stata un’esazione ordinaria non gravosa, secondo quanto stabilito precedentemente da papa Onorio IV97. Trascorso il temine di quindici anni, l’Isola e i Siciliani sarebbero passati sotto l’autorità di Roberto, duca di Calabria98, il quale avrebbe garantito a propria volta la presenza di ufficiali italici e latini, i Siciliani liberi da franchigie, la restituzione delle terre confiscate sin dai tempi di Pietro III e la contumacia delle offese perpetrate durante gli anni di guerra99: qui, compendiosamente, a voler enunciare i vari punti di una bolla, nota non tanto nella forma del presente documento, bensì nella riproposizione dei contenuti che Bonifacio VIII riterrà di fare all’incirca due anni più tardi, in varie lettere di curia del 1299100. Rispetto a queste, la pergamena valenzana consente infatti di retrodatare i termini del perdono al 1297 e nella rubrica al verso – Diversos actes y privilegis faents per en Roger de Lluria quondam admirant de Aragó101 y de Cecilia y capità general en la conquesta de Napols – offre una ipotesi di spiegazione plausibile di un documento che appare poco coerente con gli accordi di pace del 1295 a voler proporre, dopo un regime di autonomia, la cessione del Regno di Sicilia citra e ultra farum al figlio di Carlo II, anziché a lui medesimo. In proposito, va altresì rilevato che non vi ènulla nella pergamena che menzioni Ruggero di Lauria o una qualche sua sollecitazione, sicché la rubrica che attesta «Diversi atti e privilegi fatti per intervento di Ruggero di Lauria, un tempo ammiraglio di Aragona e di Sicilia e capitano generale nella conquista di Napoli» deve trovare altre giustificazioni. In merito, qualche elemento chiarificatore giunge da un esame paleografico per il quale la nota al verso è sicuramente di epoca posteriore al documento. Pertanto chiunque l’abbia apposta deve aver ragionato sulla serie archivistica delle bolle di Bonifacio VIII conservate presso l’Archivio della Cattedrale di Valenza. Per contenuto, la quasi totalità delle bolle della serie è infatti legata alla figura dell’Ammiraglio o a quella dei suoi eredi. A non citare Ruggero di Lauria sono unicamente il documento di cui qui si discute e una seconda bolla emanata, come la precedente, il 5 aprile 1297 e recante ancora i termini del perdono a Federico: in questa seconda pergamena, in particolare, papa Bonifacio propone al Sovrano le nozze con Caterina I di Courtenay, imperatrice di Costantinopoli e gli offre il proprio aiuto per recuperare l’Impero latino102. La sequenza archivistica descritta porta dunque a ipotizzare che il primo documento datato il 5 aprile del 1297 sia stato tra le pergamene che Ruggero trattenne per sé, insieme cioè alle bolle di Bonifacio che più strettamente lo riguardavano. Nulla di più certo però si può affermare a riguardo, poiché neppure le altre due rubriche presenti sul verso della pergamena e coeve invece al documento – «Guillem de Sarrià de cúria», sul bordo in alto a sinistra, e «privilegium de reconciliacione insule Cicilie», al centro della carta – forniscono ulteriori elementi chiarificatori. Fatte però queste debite riflessioni di contestualizzazione, il perno della discussione non è tanto l’ipotesi appena formulata, né la questione se vi sia stato o meno l’intervento di Ruggero, quanto piuttosto comprendere il perché della scelta di Roberto. Oltre infatti alle argomentazioni topiche della mala signoria angioina e del regime a tratti vessatorio di Carlo II, la risoluzione papale trova una pari plausibilità proprio considerando l’esistenza di quel tenace partito dei Siciliani, affatto disposto a ritornare sotto gli Angioini, ben manifesto in entrambe le narrazioni cronachistiche di Bartolomeo di Neocastro e Nicolò Speciale e della cui resistenza Bonifacio probabilmente veniva ora confermato e reso certo dai colloqui con Ruggero103 a Roma. Da qui, dunque, l’estensione di un privilegio, che non avrà molta fortuna nella politica sia del 1297, sia in quella successiva del 1299, ma che tuttavia ben vale a comprendere la prospettiva del Pontefice: il riacquisto ad ogni costo dell’Isola104. Il 7 aprile 1297, segue quindi una nuova bolla in cui papa Bonifacio assolve Ruggero di Lauria e i suoi complici da tutti gli eccessi, gli incendi di chiese e gli omicidi di religiosi, dal commercio di Saraceni, dalla rivolta contro la Chiesa, perpetrati nel periodo precedente di guerra e dalla parte del fronte siculo-catalano105. A distanza ancora di appena tre giorni, Bonifacio VIII emana un altro documento in cui egli offre aiuto al Lauria per l’approntamento dell’armata106. Il 3 aprile 1297, Giacomo II aveva concesso invece a Ruggero di Lauria il diritto di cavalcatura e di cattura dei nemici nel feudo già dell’Ammiraglio relativo al castello e alla città di Cocentaina107, la cui prerogativa evidentemente era rimasta all’Aragonese, non essendo esplicitamente nominata nella concessione del 1291108. Né in tutto il periodo a seguire fu estraneo Carlo II d’Angiò, poiché questi, per proprio conto, il successivo 20 novembre del 1297, nominò Ruggero di Lauria ammiraglio del Regno di Sicilia per parte angioina109 e lo investì della baronia di Acerno110, nell’attuale Campania, e pare anchedi alcune terre in Calabria111, come compensazione di quelle al Lauria espropriate, in Sicilia, da Federico. Da quanto sin qui esposto, si comprende bene come tra i provvedimenti di Bonifacio e la concessione di Giacomo dell’aprile 1297 maturi, col principio dell’estate, anche la linea politica di Ruggero di Lauria. Essa però è soprattutto determinazione successiva a quello che è prioritariamente un cambiamento di fronte, in funzione guelfo-angioina, della politica di Giacomo II. È, infatti, del luglio del 1297, una minuta al verso di una carta di Giacomo, nella quale egli, da Leida, comunica a Carlo II di aver ricevuto una lettera da Ruggero di Lauria contenente, all’interno, fatti importanti che avrebbero molto interessato proprio l’Angioino e che tuttavia l’Aragonese gli parteciperà diversamente, non potendoglieli trasmettere per iscritto112. Una conferma ulteriore del fatto che tra la primavera e il principio dell’estate del 1297 tanto Giacomo, quanto Bonifacio avessero ottenuto Ruggero di Lauria alla causa guelfoangioina giunge da un documento del 17 agosto successivo nel quale vi è l’ordine di Carlo II al secreto della contea di Principato e di Terra di Lavoro di far rientrare, a spese della Curia angioina e nell’arsenale di Napoli, e di qui custodire – garantendone, presumibilmente, anche la manutenzione – le sette galee (o anche tarìde), lasciate nel porto dal Lauria stesso113. Del passaggio di Ruggero di Lauria alla fazione nemica era ormai certo anche Federico, poiché è significativo che una settimana dopo egli provvedesse ad investire Blasco d’Alagona della baronia siciliana di Ficarra, nel giustizierato di Castrogiovanni, in Val Demone e Malacii (Milazzo), che era già di Ruggero, ma che dopo l’esproprio viene concessa all’Alagona114. È dunque grossomodo dal luglio del 1297 in poi che vediamo Ruggero di Lauria votato interamente alla causa guelfo-angioina e impegnato al fianco di Carlo II nei preparativi o anche già nell’assedio di Catanzaro. Nell’estate del 1297 e con Giacomo nuovamente rientrato in Catalogna, l’Angioino cercò infatti di riconquistare col supporto del Lauria proprio la città di Catanzaro, la quale, tradizionalmente filo-aragonese, sulla base delle nuove alleanze afferiva al partito siciliano di Federico115. Una impresa non sufficientemente pianificata o, più verosimilmente, forze militari inadeguate portarono però Ruggero di Lauria ad una sonora sconfitta nel confronto con il manipolo guidato da Blasco d’Alagona; anzi, pare che lo stesso Ruggero venisse ferito nello scontro e fosse costretto a rifugiarsi a Badolato116. A seguito della sconfitta, già nell’autunno 1297, l’Ammiraglio fece vela per la Catalogna117, dove avrebbe dovuto prendere parte alle operazioni per l’allestimento di quel contingente con il quale Giacomo II aveva promesso di recuperare l’isola di Sicilia alla Santa Sede e per il quale aveva già ricevuto numerose quietanze, sebbene egli le ritenesse sempre insufficienti all’onere – e dunque anche un’ottima ragione pretestuosa per non muovere guerra a Federico118 – e, all’opposto, da papa Bonifacio – il quale, invece, per le stesse aveva impegnato le decime – fossero considerate più che sufficienti, affinché non di dilazionasse oltre l’impresa. Una minuta di lettera non inviata del 28 ottobre e nella quale Giacomo II richiedeva a Ruggero di Lauria il supporto anche da parte delle forze napoletane, lascerebbe intendere che il Sovrano contasse invece anche sull’aiuto delle municipalità napoletane, in particolare, quelle di Salerno e di Capua119. Ciononostante, sembra che l’allestimento dell’armata procedesse, sia pure non con la solerzia invocata da Bonifacio. Sicuramente Ruggero di Lauria è a Valenza il 4 dicembre del 1297, poiché figura come testimone in una carta semipubblica120, ma qui egli doveva essere arrivato già da qualche settimana, giacché il 2 dicembre era stato insignito da Giacomo II del castello di Calp e di Altea, ancora nel Regno valenzano, con tutti i diritti e le relative pertinenze121. La concessione, anche in questo caso, non manca di sollevare qualche sospetto, sia in relazione al consenso di Ruggero di Lauria che Giacomo patrocinava in maniera sempre più salda, sia in riferimento a quella faccenda del tutto privata per la quale quelle terre erano state oggetto di contenzioso tra lo stesso Ruggero e Bernardo di Sarriano, e per la quale lite il documento acquisterebbe, qui, il valore anche di una sanzione di uno stato di fatto, esistente dalla disputa in poi a tutto favore del Lauria. Appena due giorni dopo – il 4 dicembre – Giacomo II concede ancora a Ruggero il privilegio speciale del potere esclusivo sulle terre già infeudate di Cocentaina, di Alcoy, di Seta, di Calp, di Altea, di Navarrés e nella località detta Podio di S. Maria Beselga (o Buselcam)122 e in Castronovo (Castelnou), tutte ancora nel Regno di Valenza123. Al dicembre 1297, poi, l’Ammiraglio è ancora tra i creditori personali di Giacomo, se questi nello stesso giorno del precedente documento ne redige un secondo nel quale afferma di dover restituire a Ruggero di Lauria una somma per la compravendita del castello valenzano di Mont Torres e stabilisce anche le relative clausole accessorie in caso di morte di Ruggero o di mancato pagamento del debito residuo124. A Valenza e per un lungo periodo, Ruggero di Lauria è dunque con GiacomoII e la cosa non può non far ritenere che parte dell’allestimento della flotta si realizzasse anche nei cantieri valenzani, oltre che negli arsenali di Barcellona125. A breve e con una nuova flotta, l’Ammiraglio avrebbe fatto nuovamente ritorno in Sicilia, ponendosi alla testa della campagna militare che dal febbraio 1298 riprese le operazioni di guerra nel Regno di Sicilia. La nuova spedizione era infatti solo formalmente guidata da Giacomo, poiché egli era rimasto nei domini della Corona d’Aragona, dove era alle prese con la seconda campagna di Murcia (1298-1300), come ben conferma un diploma emanato durante l’assedio del Castello di Alhama, il 23 gennaio 1298, in cui rende, per istanza di Ruggero di Lauria, franchi, liberi ed immuni da dazi e pedaggi gli abitanti di Cocentaina e di Alcoy per tutto il regno di Murcia e per ogni singolo luogo del Regno, sia per terra che per mare126. Giacomo II avrebbe infatti raggiunto il resto dell’armata solamente in un secondo momento. Egli aveva infatti previsto il ritorno nel Regno di Sicilia nella primavera del 1298, secondo quanto affermava ancora in un documento del 23 gennaio dello stesso anno e nel quale ringraziava Guglielmo di Entença del fatto di aver saputo tramite Ruggero di Lauria che anche l’Enteça avrebbe fatto parte del contingente militare nell’imminente viaggio127, insieme con altri accoliti128, non necessariamente nobili129. Per la circostanza della campagna militare primaverile in Sicilia, Giacomo aveva infatti dato ampio potere a Ruggero di Lauria sia per quanto

riguardava il reclutamento di uomini e mezzi, sia per quanto competeva l’esazione delle somme necessarie, come del resto bene attestano la serie di tre documenti consecutivi che Giacomo, sempre il 23 gennaio, emanava ancora dall’assedio di Alhama e nei quali ordinava, per esempio, a tutti i marinai di Barcellona di seguire i comandi dell’Ammiraglio130 e a tutti gli ufficiali del Regno, a cui perveniva la comunicazione, di essere al Lauria di aiuto e di giovamento nelle operazioni volte all’approntamento dell’armata131. Le serie documentali qui esposte e l’interconnessione di queste con il passo della cronaca di Bartolomeo di Neocastro da cui s’è principiato – e nel quale è affermata la necessità di una difesa militare della Sicilia, da affidare ancora a Ruggero di Lauria – fanno comprendere meglio e non più unicamente su base cronachistica come proprio la determinazione del Lauria di aderire al partito guelfo-angioino di Giacomo II comportasse il necessario distacco da Federico. Agli occhi di Federico infatti Ruggero non poté non risultare che responsabile de inlegalitate et prodicione quod ipse abnegata fide et dominio nostris ruptoque homagio et violato sacramento quod nobis tamquam vassallus naturalis domino ore et manibus prestitit et iuravit (…)132. L’Ammiraglio pertanto ben meritava non solamente l’esproprio dei possedimenti, bensì anche il processo per fellonia che, a partire dal febbraio del 1298, proprio Federico gli mosse133. Il documento col quale re Federico designò come suo procuratore il catalano Ramon Folch nel processo contro Ruggero di Lauria consente di conoscere il capo d’imputazione dell’accusa. Esso consiste nel reato di alto tradimento e di lesa maestà per essere Ruggero venuto meno alla fedeltà vassallatica cui era tenuto in quanto vassallo delle terre siciliane,nonché nel reato di cospirazione ai danni della Corona siciliana, essendosi il Lauria alleato con i nemici e per aver mosso guerra contro Federico e la gente siciliana, al fine di procurare al Sovrano la perdita e dell’onore e del Regno di Sicilia. Ciò era più che sufficiente a che Federico potesse sfidare a duello Ruggero e dichiarargli guerra secundum usum Barchinone – gli Usatica di Barcellona – seu forum et consuetudinis Aragonie134, secondo le modalità cioè di una contrapposizione che è anche personale di Federico. Non si conoscono gli esiti della vicenda per la quale il Folch fu designato procuratore, tuttavia Ruggero di Lauria continuò per tutto il 1298 a fare la spola tra la Sicilia, il Regno angioino di Napoli e la Catalogna, sia per sovrintendere all’incarico dell’armata135, sia anche per le molte vertenze che continuamente lo investivano e minacciavano nei possedimenti valenzani e nelle isole di Gerba e di Cercina (Kerkennah)136. Sino infatti alla conclusione della guerra (1302) Ruggero di Lauria poté contare sull’appoggio incondizionato sia di Giacomo II, sia di Bonifacio, il quale con la tempestività con cui lo si è visto agire anche per ciò che concerne le relazioni con Ruggero, proprio ora le casse dell’Ammiraglio rimpinguava con una nuova bolla. Nel luglio del 1298, a Ruggero, ai suoi figli e ai suoi vassalli, il Pontefice concede infatti per un valore annuo pari a trecento libbre di denari barcellonesi o cento once d’oro le decime ecclesiastiche delle terre e dei possedimenti dell’Ammiraglio, nel Regno di Valenza, e quanto in queste solitamente riscosso in natura137. Insomma, la documentazione valenzana – in particolare, le bolle di Bonifacio VIII – conferma ancora una volta la conclusione – a cui si è già giunti altrove138 – che la guerra del Vespro siciliano divenne, dal 1295 in poi, sempre più una questione di prospettive differenti: la siciliana, l’aragonese, la guelfa e l’angioina. A queste si aggiungevano le molte prospettive personali all’interno e all’esterno dell’isola di Sicilia, delle quali la vicenda di Ruggero di Lauria è esemplare. Ciascuna di esse aveva una particolare e fondata ragion d’essere a seconda dell’osservatorio politico: ciascuno dei protagonisti però era invariabilmente soggetto alle leggi del contingente e dell’immediato, nonostante le vicende pregresse della guerra li avessero in qualche misura vincolati gli uni agli altri.


 
Ruggero di Lauria


Nota. Mi scuso per eventuali imperfezioni dovute alla impaginazione. Testo estratto dal saggio di Rosanna Lamboglia


(DA ARCHIVIO NORMANNO-SVEVO

Testi e studi sul mondo euromediterraneo dei secoli XI-XIII del Centro Europeo di Studi Normanni


Centro Europeo di Studi Normanni Ariano Irpino

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per saperne di più su “CAPO D'ORLANDO-ZAPPULLA, LA STORICA BATTAGLIA DEL 4 LUGLIO 1299” vai a

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